mercoledì 30 gennaio 2019

Robert Arthur Jr. : La 51^ stanza sigillata (The 51st Sealed Room, 1951) - in I Gialli di Ellery Queen n.26 del Febbraio 1952

La 51^ stanza sigillata (The 51st Sealed Room, 1951) è un piccolo capolavoro. Ha un secondo titolo che rimanda al contenuto dello stesso The MWA Murder. 
Fu pubblicato per la prima volta sull'E.Q.M.M. nell'ottobre del 1951, e in Italia per la prima volta  su I Gialli di Ellery Queen n.26 del Febbraio 1952 della Garzanti Editore, quindi a distanza di brevissimo tempo. Va detto che la traduzione anonima è di eccellente fattura ed è quasi identica a quella di Luigi Viganò pubblicata su I delitti della Camera Chiusa, I Bassotti n.50 della Polillo Editore.
Gordon Waggoner è uno scrittore specializzato in Camere Chiuse. Ne ha scritte 50, ma è visibilmente contento quando partecipa alla riunione mensile dei Mystery Writer of America, perchè ha inventato si può dire uno dei trucchi  più geniali, in grado di annullare la difficoltà impossibile insita in una camera assolutamente sigillata da assi inchiodate sulla porta dalla parte interna, e da finestre sbarrate; con un camino la cui canna fumaria è così piccola che solo un gatto potrebbe percorrerla fino al comignolo; con il pavimento interamente in cemento; col tetto poggiato direttamente sulle pareti, prive di qualsiasi apertura nascosta; camera che sia stata usata per commettervi un omicidio. Perchè in tale modo l'assassino dovrebbe per forza trovarvisi all'interno ed invece... 
Alla riunione, incontra un suo più giovane collega, Harrison Mannix, suo caro amico e vicino di casa, che non ha la sua fama, ma che ha messo a segno due o tre buoni colpi, sempre in tema di Camere Chiuse, e che è alla caccia di nuove idee da elaborare in un nuovo scritto che il suo Editore gli chiede. Mannix, pensa argutamente di farlo parlare e rubargli l'idea, e poi commentare come l'idea sia vecchia ed elaborata da altri. Waggoner, non si fa raggirare, e anzi confessa che nel racocnto che sta per scrivere, farà morire proprio lui, Mannix, in quanto scrittore ladro di idee. Ovviamente lo dice scherzando, ma neanche poi tanto. E mannix deve comprendere benissimo il sarcasmo del collega: quello che riesce a ricavare è solo che la camera chiusa sarà in un cottage.
Passa il tempo e un bel giorno Mannix viene a sapere che Waggoner non è riuscito a consegnare il racconto con lo stratagemma per uscire da una Camera Chiusa sigillata, perchè a sua volta è stato ucciso in casa sua, in un cottage, nel medesimo modo: porta inchiodata mediante assi dall'interno, finestre sbarrate, camino inagibile, pavimento di cemento. Sembra essere il luogo scelto da waggoner pe ril suo misterioso racconto, solo che qualcuno l'ha adattato ingegnosamente. Aggiungendo un chè di macabro, perchè Waggoner è stato ritrovato dal suo vicino di casa, Briscoe, legato ad una sedia e le mani ad una macchina da scrivere come se stesse  scrivendo, e  decapitato, e la testa spiccata dal corpo per mezzo di una vecchia sega, e appoggiata ad un boccale di birra.
Mannix capisce dal fatto che la polizia non ha trovato il famoso racconto perchè ne avrebbe parlato, anche se nel camino è stato trovato un grosso malloppo di carte bruciate, che qualcuno deve aver rubato l'idea a Waggoner e chi avrebbe potuto farlo ricavandoci qualcosa, se non proprio un altro scrittore di gialli? Perciò vuole a tutti i costi visitare la casa, che poi è a due passi dalla propria, sempre in Connecticut.
Vi si reca e parla proprio con il padrone di casa di Waggoner, Willy Briscoe ( un meccanico che ha un'officina, uno spilungone senza spina dorsale, che ha furbescamente utilizzato l'omicidio del suo affittuario, ricreando la scena del delitto - dopo aver fatto realizzare un manichino di cera col collo mozzo e dopo aver postato la testa di cera  su un boccale di birra  - e facendo pagare l'ingresso ai curiosi e ai turisti, e ricavandoci una qualche entrata supplementare), per poter entrare in quel cottage, magari cercare qualche indizio che orienti la sua ricerca: perchè Mannix è ossessionato da un fatto: chi ha ucciso Waggoner deve essere stato per forza uno scrittore, perchè altro movente proprio non ce n'è. Ma allo stesso tempo non può esser stato uno scrittore, perchè chi avesse rubato l'idea, utilizzandola in maniera tanto diretta si sarebbe precluso automaticamente il poterla utilizzare in un proprio esclusivo lavoro. Eppure dev'essere stato qualcuno che ha parlato a Waggoner il 1° settembre, il giorno in cui Waggoner aveva rivelato a Mannix alla riunione del MWA, di aver concepito il suo omicidio impossibile sulla carta . 
E se invece di essere farina del suo sacco, come intendeva fare Mannix cone waggoner, Waggoner stesso l'avesse fatto con qualcun altro? Parterndo da quest'ipotesi Mannix arriverà all'omicida ma non potrà assicurarlo alal giustizia, perchè sarà a sua volta ucciso nel medesimo modo dell'amico: strangolato e decapitato. E il suo assassino riuscirà ancora una volta a varsi d'impaccio con la stessa straordinaria trovata.
Racconto sorprendente di Robert Arthur Jr., scrittore molto famoso per avere scritto sceneggiature televisive come The Twilight Zone e soprattutto per aver scritto molti dei romanzi per ragazzi della serie de I Tre Investigatori, oltre che le sceneggiature di molti degli episodi di Alfred Hitchcock presenta. Per di più Robert Arthur Jr.  (1909 - 1969) vinse due volte l'Edgar Award per il miglior Radio Dramma.
La particolarità del racconto più che nella soluzione (perchè eliminate le impossibilità, solo una può essere l'uscita) risiede nella straordinaria freschezza ed arguzia dell'ambientazione, e nell'aver coinvolto nel proprio racconto veri autori del MWA del suo termpo, rendendoli partecipi e nel tempo stesso rendendo i suoi personaggi meno finti del normale: vedere Carr , Rex Stout, Helen Reilly, Lawrence Bloch dire la propria, persino Simenon e poi reiterando il grado di contiguità della vittima con i suoi ipotetici colleghi (con lettere  a Boucher per esempio), ironizzare sul grado di stramberia del racconto in cui essendo sbarrata e inchiodata la porta dall'interno, non potrebbero avere le finestre le intelaiature staccabili come in un famoso racconto di Carr (si cita Carr ma non il suo racconto che è poi Goblin Wood), è uno spasso assoluto.
Peccato che al momento sia reperibile solo questa storia impossibile di Robert Arthur in Italia! Daltronde non è autore straconosciuto anche in USA nonostante i suoi vissuti. Purtuttavia esistono anche altri suoi racconti raccolti in serie: una di queste è Mystery and More Mystery (Random House, 1966), un antologia che raccoglie 10 storie di vario genere tra cui anche alcune impossibili: “10 Stories of Detection, Suspense, Mystery and Magic for Young People.” Tra questi racconti vanno ricordati The Blow from Heaven in cui la vittima è accoltellata con un coltello spuntato dal nulla, e The Mystery of the Three Blind Mice in cui vi è un crimine impossibile ed un messaggio del morente.

Pietro De Palma

lunedì 28 gennaio 2019

Patrick Laing : L’ombra del dubbio (The Shadow of Murder, 1947) – trad. Anna Benvenuti – I Gialli del Secolo N°142 del 1954 P

Amelia Reynolds Long nacque il 25 novembre 1904 a Columbia, Pennsylvania. In giovane età si trasferì con la sua famiglia nella vicina città di Harrisburg dove visse per l’intera sua esistenza. Dopo aver frequentato l’Università della Pennsylvania ed essersi laureata nel 1931, trovò lavoro presso una casa editrice, la Stackpole Publishing Company, che era stata fondata l’anno prima e vi restò fino al 1951, diventando poi curatrice del William Penn Memorial Museum. Negli anni ’30 scrisse una serie straordinaria di racconti di fantascienza che furono pubblicati in parecchi magazine dell’epoca, prima di rivolgere il suo estro ai romanzi polizieschi. Ammiratrice di Agatha Christie (pensava che nessuno meglio della britannica avesse seguito meglio le orme di Poe) e invece denigratrice delle atmosfere “pugni e gangsters” della hardboiled school, cominciò la sua carriera letteraria scrivendo Behind the Evidence nel 1936, con lo pseudonimo di Peter Reynolds, un mystery pubblicato in sole 75 copie, la cui idea base fu tratta dal rapimento Lindbergh. Nel 1939 pubblicò con il suo vero nome, il suo primo vero mystery pubblicato in grande tiratura, The Shakespeare Murders, che ebbe un grande successo. A questo seguirono altri tre romanzi, tutti basati su Edward Trelawny. Poi scrisse sei romanzi basati sulla figura dell’avvocato Carter che difende solo chi egli è sicuro sia innocente: tra questi, Murder by Magic (1947) in cui vi è una Camera Chiusa. Tra il 1947 e il 1952, scrisse altri sei romanzi, con pseudonimo Patrick Laing, basati sulle gesta dell’omonimo psicologo cieco Patrick Laing. Amelia Reynolds per parecchio tempo ha pensato che su di lei gravasse una maledizione o una grande sfiga: il fatto che quando scriveva qualcosa, che fosse racconto o romanzo non importa, poi capitava qualcosa che aveva attinenza con quel titolo. Riporto delle sue impressioni, rilasciate durante un’intervista nei primi anni ’70:
 “It seemed that every time I used a place or a character as a basis for a story something happened. A woman that I had met in college asked me to write a story placed at her husband’s old home up in State College called Meadowside. I went up, and it was a picturesque old place. There was a place on the landing where there was a little door that led into a back attic, and every time either my friend or I would pass that door we’d get the cold shivers. We never heard that anything had happened in that room, we just had the feeling that something had. I wrote the book, the book came out in the summer, and late that fall her husband’s mother, in trying to smoke some ham in the smokehouse, let the place catch fire and burned the whole house down. Then I wrote MURDER GOES SOUTH placed in New Orleans at the time of the Mardi Gras. The book came out in the fall — next spring no Mardi Gras — we were at war. This sort of thing kept up; people that I would use for models in my stories would drop dead! It had me scared. The worst thing happened when I wrote MURDER BY SCRIPTURE at the request of my editor, since THE SHAKESPEARE MURDERS had been pretty successful. It was based on a series of murders in the Bible in which a reference to a passage in scripture would appear applying to someone, and within the next 24 hours that person would die. The book was doing okay, but shortly after it came out a child was kidnapped in Chicago, and what happened? The family started to get Bible references. I was scared silly. I thought, has my book given someone ideas? And I thought if that child were to be killed I’d quit writing. But it was found that the Bible references were a hoax and were not sent by the kidnapper at all, but it was some prankster who may or may not have read my book. Anyway, the child was found and all ended happily.
Amelia Reynolds Long condivise lo stesso destino di Cecil-Day Lewis (alias Nicholas Blake), occupandosi oltre della narrativa di genere anche di poetica:  infatti gli ultimi anni della sua vita furono dedicati alla composizione di poesie ispirate ai temi della morte, della trascendenza e della storia patria della Pennsylvania, che ella raccolse nell’antologia Pennsylvania Poems, accolta con grande entusiasmo.
La scrittrice è morta nella sua casa di Harrisburg nel 1978.
L’ombra del dubbio ( The Shadow of Murder, 1947) è il quarto romanzo della serie firmata con lo pseudonimo di Patrick Laing.
Thelma Joyce muore avvelenata. Chi aveva movente e anche opportunità materiali per eliminarla? Il marito Stephen Joyce. Che però viene assolto dall’accusa di omicidio di primo grado (per cui c’è la sedia elettrica) perché il suo difensore, Courtney Lane, riesce a far balenare nei giurati, come il sacrificio della vita di un essere umano non possa basarsi sui pochi indizi raccolti dalla polizia. Così, egli viene assolto, da noi diremmo “per insufficienza di prove”. Fatto sta che Stephen Joyce, che per la legge americana non può esser di nuovo giudicato per lo stesso crimine, tuttavia è marchiato, almeno negli affetti personali e nell’ambito di determinate conoscenze, dal sospetto di essere comunque un se non “il” probabile omicida.
Ora sta per sposarsi e vorrebbe essere riconosciuto anche moralmente innocente: per questo alcune persone, che furono coinvolte, in quanto parenti o amici, nella vicenda di quindici mesi prima, chiedono al noto Professor Patrick Laing, professore di Psicologia e abilissimo detective, seppure cieco, di investigare sulla base di quei dati e testimonianze che vorrà raccogliere, e di stabilire, con indagine solo privata, se davvero Stephen Joyce sia innocente oppure se non lo sia. C’è in ballo anche la vita di un’altra persona, la futura moglie: Virginia Thorne, che a quel tempo fu anche lei coinvolta nelle indagini. E le convinzioni di altre persone: da Waldo Mercer, fratellastro della defunta e giornalista a Kimball Kent, editore; da Courtney Lane, difensore di Joyce e tutore di Virginia e Thelma a Rosemary Sullivan amica intima di Virginia, alla sorella minore di quest’ultima Doris.
Laing deve operare solo sulla base delle testimonianze, e non può neanche esaminare di persona i luoghi in cui è stato commesso l’omicidio, siccome è cieco, e deve solo affidarsi alla ricostruzione operata dagli altri e basarsi su quanto verrà a sapere dagli altri. Si capisce che, sulla base di ciò, il suo giudizio di escludere o meno una responsabilità di Joyce nella morte della moglie, sarà molto arduo. Sa però che, almeno, esso sarà pari a quello dei giudici e dei giurati che, come lui, hanno dovuto giudicare solo sulla base di quello che veniva loro spiegato, non avendo invece avuto nulla parte della raccolta degli indizi materiali e nella raccolta delle dichiarazioni da parte di coloro che alla tragedia avevano preso parte in quanto spettatori.
Che cosa viene a sapere Patrick Laing? Che Thelma Joyce era stata uccisa il mese di agosto dell’anno prima da una potente dose di bicloridio [1] di mercurio sciolto nella limonata che ella aveva bevuto, e che le era stata propinata in un lasso di tempo che andava dalle 20 alle 20.30. Tuttavia, al di là dell’evidenza, cominciano  qui i problemi: innanzitutto chi gliel’aveva propinata? Il marito, che era andato su appuntamento a casa di lei per discutere del divorzio che egli intendeva portare avanti da lei, e di cui lei fino a quel momento si era disinteressata, era rimasto da solo ad aspettarla, dopo che lei era uscita un attimo. Quando era ritornata, ed aveva preso in mano il bicchiere di limonata che era rimasto sul davanzale della finestra laddove lei l’aveva lasciato, aveva comunicato al marito che non intendeva discutere di divorzio e che gli avrebbe reso la vita difficile. Lui era andato via, sbattendo la porta, ma poco tempo dopo, insospettito dalla sorellastra che non rispondeva, il fratellastro Waldo, era riuscito ad entrare e l’aveva trovata agonizzante per terra, piegata con le ginocchia all’altezza del mento. Aveva chiamato il dottore, ma poi, davanti all’evidenza di un avvelenamento, era stata chiamata la polizia. Ora, è ovvio che gli inquirenti, venendo a sapere che lì poco tempo prima era stato il marito a cui la moglie aveva negato il divorzio, e che questi aveva avuto l’occasione e aveva il movente più valido in assoluto per sopprimerla, avessero deciso di incriminarlo. Ma qui era arrivato il colpo del KO: come era stato propinato il veleno e da dove veniva il bicloridio (bicloruro) di mercurio?
Nessuno, tantomeno la polizia, era riuscito a capire da dove provenisse il veleno, e poi, soprattutto, come fosse stato propinato alla vittima, perché nel bicchiere non era stata trovata alcuna traccia, e tantomeno ne era stata trovata traccia nella caraffa piena di limonata. Eppure sul davanzale, attorno all’impronta del bicchiere, piccolissime gocce di veleno erano state osservate. Qui finiscono le evidenze, e cominciano i dubbi. Che l’avvocato Lane, tutore di Virginia e che si era occupato di quella anche di Thelma, dopo che i suoi genitori erano morti tragicamente, si era preoccupato di mettere in evidenza durante il processo, rimarcando come Thelma, molti anni prima, avesse tentato il suicidio ingerendo del calomelano .
Laing, interroga le sei persone che hanno firmato la lettera – in cui lo si invita ad emettere un verdetto personale di condanna o di assoluzione nei riguardi Joyce, nell’ultimo caso in cui dovrà anche indicare l’assassino – e ciascuna di esse dà la sua ricostruzione dei fatti, che sostanzialmente collima con quella degli altri. Patrick sa, tuttavia, che anche solo per il fatto che le sei persone in questione sono quelle che parteciparono ai tragici eventi , con l’esclusione di Doris, che era una bambina e non avrebbe avuto alcun motivo per voler uccidere Thelma, tra costoro è anche nascosto il vero assassino o la vera assassina, giacchè non è escluso che possa essere stata una donna, e che il veleno è notoriamente un’arma femminile.
Dalle testimonianze, ossia dalle sei storie, emerge:
–         come il matrimonio tra Stephen e Thelma fosse stato solo uno scherzo del destino: infatti a seguito delle pretese di matrimonio di Kent, Waldo l’avrebbe promessa in matrimonio, ma Thelma non sapeva come evitare la cosa; nel frattempo, una notizia falsa su Stephen era stata riportata dal giornale e il fidanzamento con Virginia si era rotto, per cui Stephen, che sarebbe dovuto partire per la guerra, aveva offerto all’amica la possibilità di sposarsi con lui a patto che dopo la guerra lei l’avrebbe lasciato libero di sposarsi. Ma poi, ritornato vivo e vegeto, Thelma aveva cambiato parere e non aveva voluto più adempiere alla promessa. Cosicchè lui aveva deciso di divorziare unilateralmente in Messico e far valere la decisione in America.
–         che Kimball Kent era stato toccato dall’omicidio di Thelma, perché avrebbe voluto sposarla se lei non si fosse legata a Stephen, e che comunque era stato sempre legato come amicizia a lei, e sempre lui era stato a fornirle la prova che un matrimonio annullato unilateralemnte in Messico non aveva alcun risultato legale in America, in quel lasso di tempo in cui lei si era allontanata dalla stanza dove stava discorrendo con Stephen.
–         che nessuno fosse entrato in casa o ne fosse uscito in quel lasso di quindici minuti da quando lei si era allontanata, che Stephen fosse rimasto sempre nella stanza, e che lui escludeva che altri si fossero avvicinati.
–         che un misterioso uomo con la rivoltella, di cui nessuno sa nulla e che viene citato solo dalla piccola Doris, si fosse avvicinato alla finestra, senza che fosse visto.
–         che strano a dirsi, in tutta quella successione di eventi che si era avuta nella serata fatale, qualcuno avesse osato anche rubare dei giochi della piccola Doris.
Dalle testimonianze emerge una successione dei vari momenti significativi, tale che i singoli minuti acquistano una straordinaria importanza: qualcosa deve pur essere accaduta senza che gli altri ci abbiano fatto caso!
Ecco la serie dei fatti:
alle ore 19.30 Kimball Kent arriva a casa Joyce, dove c’è Thelma ma anche Virginia e Lane che è di lei tutore ma che ha anche allevato Waldo e Thelma; alle 19.45 Lane e Virginia escono sulla terrazza (intanto la piccola Doris gioca nel prato); alle 19.50 Virginia raggiunge la piccola e alle 19.55 entrambe sono raggiunte dall’amica di Virginia, Rosemary Sullivan; alle 20 arriva Stephen che raggiunge in casa Thelma per parlare del divorzio; alle 20.15 Thelma lascia la stanza e rimane da sola con Kent; cinque minuti dopo Kent va via e alle 20.22 esce di casa; alle 20.20 Virginia è rientrata in casa, mentre Rosemary va nella serra e vi attende Virginia; mentre Kent esce di casa, Virginia con la piccola Doris entra in casa Lane (che è attaccata); un minuto dopo, alle 20.23, Virginia va nel bagno a prendere le tavolette di mercurio e le discioglie nell’acqua (infatti la piccola Doris si è fatta male al ginocchio e il medico ha raccomandato di farle ogni giorno delle medicazioni utilizzando del mercurio sciolto in acqua); alle 20.24 suona il telefono: è Thelma che vuole parlare con Virginia. L’avvocato Lane risponde dal pianterreno mentre Virginia prende la comunicazione dal primo piano. La telefonata dura cinque minuti; alle 20.25 Lane da casa sua ritorna in terrazza; Thelma torna nel soggiorno per parlare con Stephen alle 20.30; infine quattro minuti dopo, Stephen sconvolto va via di casa.
Laing capisce che a uccidere Thelma è stato il mercurio di quelle tavolette sciolte in acqua, contenenti proprio Bicloruro di mercurio: ma come l’acqua di quella soluzione sia andata a finire nella limonata è un mistero. Comunque sia, dalle testimonianze avute precedentemente, è riuscito a sapere che probabilmente nel bicchiere qualcosa era finito, ma Virginia e Rosemary avevano risciacquato e pulito il bicchiere perché se ne erano servite per tentare un rimedio di urgenza per salvare la vita di Thelma: avevano mischiato acqua a mostarda e avevano tentato poi di farla ingurgitare a Thelma per provocare il vomito. Poi, avevano ripulito il bicchiere e lo avevano riempito di limonata, alterando quindi la scena del crimine: tuttavia esse non sapevano ( o invece sì) che in quel bicchiere c’era stato mercurio?
Nell’alveo delle testimonianze, più d’uno sono i sospettabili, però Laing sa che almeno Virginia al pari di Stephen sarebbe stata una sospettata certa se Stephen e qualche altro ne avesse fatto parola, cosa che non è stata.
Chi ha ucciso Thelma? E’ stato uno dei sei? Oppure il misterioso uomo con la pistola?
Oppure è stato suicidio?
Thelma non era persona da uccidersi, e di questo tutti sono concordi. Ma è anche vero che la tara della pazzia si annidava nella sua casa: infatti la madre era stata curata in casa dal padre medico fino a quando lui non aveva capito che la moglie era diventata socialmente pericolosa e come tale aveva deciso di sopprimerla con una dose di veleno, una specie di eutanasia che però non gli aveva evitato la sedia elettrica. Possibile che il germe della pazzia fosse rinato in Thelma e si fosse espresso in forma autolesionistica?
Laing fornirà la prova dell’innocenza di Stephen, elaborando due teorie, la seconda escludente la prima, in cui prima accuserà Thelma di essersi uccisa involontariamente avendo bevuto prima dell’alcool e poi del calomelano, con cui avrebbe tentato un falso suicidio per concentrare l’attenzione su di sé: poi quando gli altri fossero corsi a cercare aiuti, lei davvero sarebbe rimasta avvelenata per effetto della combinazione della limonata col calomelano che avrebbe prodotto Bicloridio di mercurio, causandole la morte. Nella seconda, che pubblicamente non rivelerà, ma che gli sarà estorta dalla moglie Deirdre, che non ha abboccato all’esca lanciata dal marito agli astanti, indicherà il vero assassino e come egli ha potuto propinarle il veleno senza che nessuno se ne sia accorto.
Bellissimo romanzo, purtroppo tagliato nell’edizione Casini, propone, al di là del detective cieco protagonista delle storie di Baynard Kendrick (cioè Duncan Maclain), un nuovo detective cieco, Patrick Laing, professore di psicologia, che solo con la sua forza della sua mente riesce a ricostruire delitti e a inchiodare colpevoli. Laing si avvale della psicologia per vagliare sei deposizioni (da notare è come il numero 6 compaia in parecchi romanzi polizieschi, oltre che nel presente: Six hommes morts, di Steeman; Six Were to Die, di James Ronald; Six crimes sans assassin, di Pierre Boileau; etc..). Il detective in questione comparirà in altri 5 romanzi, tutti firmati dalla Reynolds con lo pseudonimo di Patrick Laing: If I Should Murder, Stone Dead, Murder from the Mind, A Brief Case of Murder, The Lady Is Dead.
Anche in questo caso abbiamo la situazione che il detective cartaceo corrisponde allo scrittore effettivo a sua volta pseudonimo (come Ellery Queen), situazione che vediamo realizzata anche per Abbot e Van Dine con la particolarità che qui identità c’è tra lo scrittore e l’aiutante del detective, tutti casi che comunque mi pare tendano ad inquadrare una situazione di narrativa poliziesca “made in USA”.
Che alla scrittrice americana piacessero Agatha Christie e i giallisti britannici, è confermato dal tema del plot ideato: un avvelenamento, trattato assai bene e svolto con interessanti risvolti. Anche la stessa attività da detective dello psicologo ricalca il modo di procedere di Poirot: ascolta tutti, pone domande, annota, deduce, prende appunti. Non disdegna nessuno, neanche la piccola Doris, che peraltro, non essendo stata toccata da interessi di parte, fornisce la testimonianza più vera e al tempo stesso più determinante per la risoluzione del caso. Poi al momento opportuno, riunisce tutti gli indiziati in un luogo chiuso e qui chiude il caso fornendo la sua verità ed il suo colpevole.
Interessante l’omicidio con il bicloruro di mercurio, HgCl2, veleno assai tossico e corrosivo (è la prima volta che lo vedo usato) ed ingegnoso è il suo uso medicale (vero) che spiega la sua reperibilità. Ancora più ingegnoso come esso venga utilizzato e la maniera in cui venga somministrato: tramite un giocattolo. E se al giocattolo c’ero arrivato prima che lo si rivelasse nella soluzione, sono stato preso in contropiede dalla doppia soluzione, quella vera ( con il giocattolo) e quella falsa (con la miscela di calomelano e alcool). Qui devo dire che si manifesta la capacità di Amelia Reynolds di scrittrice non solo di mystery ma anche di fantascienza, per saper inventare situazioni che lasciano sbalorditi. Devo dire che probabilmente si intendesse anche di chimica o quantomeno si fosse preparata: infatti se dimostra la possibilità nella prima spiegazione, quella falsa, che il calomelano, protocloruro di mercurio (Hg2Cl2) o cloruro mercuroso, potesse essersi trasformato in bicloruro di mercurio grazie alla combinazione con un reagente acido (vero), esso però sarebbe potuto avvenire solo per combinazione con acido cloridrico concentrato, HCl, ad ebollizione.
Ora, questo nello stomaco non può avvenire, perché la presenza di acido cloridrico è minima, e del resto come riconosce lo stesso Laing, se ciò fosse potuto succedere, si sarebbe verificato già moltissime volte prima (e invece di ciò la letteratura medica non tiene tracce). Ma intanto l’ipotesi, in quanto ha mischiato il vero col falso, ha lasciato il lettore incredulo, prima di rassicurarlo e procedere con la soluzione vera. E nello stesso tempo si manifesta scrittrice di razza, perché sa mischiare l’incredibile col credibile, l’odio con l’amore, la pazzia con la compassione.
E dopo averci convinti con l’impossibile, ci lascia ammutoliti col reale, e propone ancora una volta, in un finale memorabile, e patetico, la ripetizione del delitto, solo narrato, che aveva portato il padre di Thelma alla sedia elettrica: questa volta però, ad essere uccisa come sua madre è stata la figlia, uccisa per pietà e perché la sua pazzia non provocasse successive tragedie.

Pietro De Palma

martedì 22 gennaio 2019

Mary London ( Jean-Paul Frédéric Tristan Baron) : Un Crimine troppo perfetto (il falso titolo è The Murder was too perfect, quello vero..Un crime trop parfait, 1998) – trad. Cristina Ranghetti, Armenia Editore, 2006

La mia biblioteca è impressionante. Me ne sto accorgendo giorno dopo giorno. Nella follia di possedere più gialli che possa, talvolta ho comprato dei libri che potevo evitare, molte volte ho comprato libri fondamentali, ma è accaduto più volte che abbia comprato dei libri di cui mi sia scordato. Questo è il destino di chi ne tenga moltissimi e per di più abbia poco spazio dove tenerli.
E’ andata così che per creare spazio utile a sistemare altri lbri o cd di musica classica, mi sia accorto di due romanzi che erano lì da tanto tempo (che avevo comprato in una fiera di remainder’s) e che non avevo letto; e che abbia preso in mano il libro, “Un crimine troppo perfetto” e abbia letto il nome dell’autore “Mary London”, sicuramente uno pseudonimo. Chi mai si chiamerebbe Mary London oggigiorno? Brevi notizie biografiche sul risvolto della copertina: figlia di un diplomatico britannico, nata al Cairo nel 1931. Studi a Londra, Chicago e Parigi, docente di storia delle religioni a Eton. Primo romanzo nel 1986. Insomma…nulla.
Ho cinquantacinque anni ma non sono bacucco. Le notizie avevano un che di costruito, e per di più avevo il fondato sospetto che si trattasse di pseudonimo. Ho chiesto ad un amico, e lui mi ha detto che dal repertorio degli pseudonimi degli autori che lui possiede non risultava nulla. Lui ha il repertorio inglese, si badi bene. Quindi o era come diceva lui, un romanzo di altro autore che era stato per l’occasione accreditato a codesta Mary London per aggirare il copyright dei diritti di autore, oppure era pseudonimo di autrice o autore di altra lingua che non fosse l’inglese. Certo è che però il tentativo era stato creato con arte, visto che oltre che costruire un falso nome (uno pseudonimo) si era anche creata una falsa identità, e addirittura si sono intitolati i romanzi con titoli inglesi: in questo caso…The murder was  too perfect.
Così ho cominciato a fare ricerche in lingua straniera e così mi sono imbattuto nel reale autore, un francese: Jean-Paul Frédéric Tristan Baron conosciuto come Frédérick Tristan, nato effettivamente nel 1931 ma a Sedan , un letterato e poeta, che ha insegnato anche iconologia paleocristiana, ma che ha scritto prevalentemente romanzi e saggi, ha vinto premi anche importanti tra cui il Prix Goncourt, in sostanza il premio letterario più prestigioso in Francia, molto più del Campiello; sotto altro pseudonimo ha scritto anche poesie. E poi dal 1986 al 2006 ha scritto romanzi polizieschi sotto lo pseudonimo di Mary London.

Sfatiamo altri giudizi. Su Anobii gode di pessima reputazione: i commenti sono tutti o quasi negativi (2 arrivano per bontà alle tre stelle, 1 alle due, 3 hanno addirittura dato una stella: quindi sarebbe un autore piuttosto mediocre, anzi scadente). Altrove si fanno riferimenti e paragoni con Agatha Christie come se chi avesse letto le opere della scrittrice inglese fosse in grado di esternare giudizi di massima, altri non hanno neanche detto per quale motivo abbaino dato un giudizio così negativo. E’ facile stroncare. Più difficile dire per quale motivo si  sia dato un giudizio così negativo.
Il protagonista è Sir Malcolm Ivory un aristocratico che aiuta la polizia a districare le matasse più ingarbugliate. Il povero poliziotto che ricorre a lui è l’Ispettore Forbes di Scotland Yard. In questo caso tutto nasce da una sfida lanciata al Sir da un altro Sir, Peter Greenway, avvocato famosissimo, esperto di diritto internazionale, con molti studi referenziati. Costui lo sfida a venire a capo di un delitto perfetto che sarà commesso di lì a tre mesi. Il prezzo della sfida? Pag.32 di un’opera di Walpole che Sir Ivory sta cercando disperatamente in quanto collezionista di libri ed esperto. Dopo tre mesi, quando non ricorda più nulla, riceve un invito di Greenway in cui lo si invita ad una conferenza tenuta dallo stesso. Il cui oggetto interessa Ivory. Nel corso della conferenza si viene a sapere che il genero di Greenway, James Thompson è stato assassinato.
Prende via l’inchiesta in cui Sir Ivory ha una grande parte perché il suo amico non sa che pesci pigliare: si tratta di grandi famiglie aristocratiche (quella di Greenway risale al XV secolo, ma lui è sposato con Hillary erede di un grande patrimonio immobiliare) e quindi bisogna andare coi piedi di piombo. Per di più in questo caso, tutti ma tutti i personaggi coinvolti hanno alibi inattaccabili, all’apparenza: Sir Peter stava tenendo la conferenza, Hillary era ad un concerto barocco, la figlia Jane stava ricorrendo alle cure del suo psichiatra a Londra accompagnata dal maggiordomo Thomas, il segretario di Sir Peter, considerato un secondo figlio, era alle prese con una riunione di condominio a Londra, persino la cameriera era in giro per far compere e risuolare gli stivali di Sir Peter. Insomma nessuno di loro può avere ucciso James. Il fatto è che però uno deve essere stato per forza a patto che non si pensi all’incarico dato ad un sicario; tuttavia la natura di alcuni particolari che un sicario non può sapere (mancano le pagine dell’agendina e dell’agenda di James relative al giorno dell’assassinio 16 agosto) perché dovrebbe ignorare dove siano state messe, rivela come il delitto si sia maturato in famiglia ed ivi consumato. Tuttavia un altro accidente complica maledettamente il quadro già criptico della vicenda: la vittima è morta per un bicchiere di whisky avvelenato con una forte dose di stricnina, ed dopo che era morto è stato pugnalato, come se l’assassino volesse accertarsi di avere consumato il suo compito. Oppure nasce da altro motivo: voler accreditare la pista che l’assassino non possa essere uno dei personaggi della vicenda, perché il whisky poteva essere stato avvelenato precedentemente (e allora chiunque potrebbe esserne il responsabile) ma nessuno avrebbe potuto pugnalare James all’ora stabilita dal medico legale, che è quella poi reale. E niente esiste come prova, tranne la dose di stricnina ingerita e la ferita da stiletto nel cuore, perché il bicchiere e il whisky usati per uccidere e lo stiletto, sono spariti.
Parte quindi il tentativo di Ivory di svellere i vari alibi inattaccabili, prima verificandone le impostazioni, poi facendo fare indagini sui singoli personaggi e ricavando in ultima analisi come tutto riporti l’attenzione a Greenway che è evidentemente il mandante, e che ci debba essere tra i vari personaggi uno che debba essere stato per forza il sicario: quindi si procede a verificare gli alibi, e a conoscere anche gli aspetti più intimi dei personaggi. Si ricava così la certezza che il movente è stato l’infertilità della coppia James-Jenny, il primo un impotente dipinto come un omosessuale senza esserlo, educato in maniera distruttiva da una madre troppo egocentrica ed egoista, figlio di un padre troppo duro sempre assorbito nei suoi affari legali (anche Sir Thompson suo padre è l’avvocato più in vista di Londra); la seconda, una donna vissuta in un mondo fantastico di amore spirituale perché violentata in età infantile e incapace a relazionarsi sessualmente anche a suo marito.
L’assassino è il più insospettabile, anche se nella sua natura, l’autore francese svela la sua aderenza a clichè vecchio stampo. Anche vecchio stampo è il soggetto, non certo Agatha Christie, da cui si son prese le mosse, semmai quel Crofts, grandissimo autore inglese, fondatore assieme alla Christie della Golden Age del Giallo, inventore di trame basate su alibi inattaccabili all’apparenza ma che poi con una puntigliosa indagine, si riesce a demolire.
Interessante è la struttura del romanzo che è un ibrido, ricorrendo alla fusione di due generi diversi: sembrerebbe il thriller (perché si sa che avverrà un omicidio)  ma in realtà è una “inverted story” (perché il mandante si sa già chi è) ed è un mystery allo stesso tempo, perché se si sa già come Greenway sia il mandante e il regista di questo delitto, si ignora chi possa essere stato il suo attore principale, il sicario che ha dato la pugnalata al cuore e che si scopre solo nelle ultime pagine del libro.
Gli accenni alla natura larvatamente omosessuale di James, ai mezzi per ovviare alla sua impotenza, ai mezzi per ovviare alla impossibilità di un rapporto carnale completo con la moglie per avere un figlio, rivela come il romanzo sia stato scritto abbastanza recentemente (circa una ventina di anni fa), seppure con uno stile molto arioso, sobrio, che si legge assai facilmente, merito anche di una traduzione azzeccata.
Nonostante ciò ci si immerge in atmosfere tipicamente britanniche. Ma gli autori e i detectives che si è preso a riferimento sono molteplici: E’ chiaramente, assai chiaramente un’opera manierista: già il fatto che il detective sia un aristocratico colto rivela come Tristan abbia guardato non solo a Crofts per il plot, ma anche almeno a Sir Peter Whimsey di Dorothy Sayers, e più ancora a Philo Vance, per l’essere esperto di più arti, mentre il domestico orientale lo collegano a Ellery Queen (che aveva il filippino Dunga come domestico), i paradisi cinesi e le letture del Giudice Ti lo collegano a Van Gulik. Insomma…
Un’ultima nota: a metà libro si ha netta la sensazione, ed è quella che ho avuto io, che il killer possa essere Serge Leblond. Egli risponde a tutte le caratteristiche: è il segretario privato di Peter Greenway, è stato adottato da lui alla fine della seconda Guerra Mondiale, è laureato in legge e in lui Sir Peter ripone la massima fiducia e grandi speranze, Lady Hillary lo considera suo figlio : perché non potrebbe essere lui il sicario? Quale possibile vantaggio ne avrebbe ricavato? Magari la possibiità di risposare Jane e assicurarle la progenie. Ma Serge, che sembra essere anche collegato ad un tema molto caro nel giallo inglese, se l’autore lo fosse, sarebbe potuto essere per esempio non il Leblond che vogliono farci credere ma un figlio illegittimo di Sir Peter, il cosiddetto erede non riconosciuto che ritorna. Ma Tristan non è inglese, è francese: Leblond è veramente un orfano, e non è neanche l’assassino che si potrebbe pensare che potesse essere. No. L’assassino è un altro. Se vogliamo il meno contemplabile, eppure quello che secondo una certa ottica non potrebbe che essere.
Un bel romanzo in ultima analisi.
Peccato che l’esperimento Armenia sia finito troppo presto, dopo aver pubblicato solo un altro romanzo, per di più una Camera Chiusa, “L’uomo che morì due volte”, La double mort de Thomas Stuart, secondo romanzo ad essere stato scritto ma primo ad essere stato pubblicato nel 1998, che nel titolo (solo nel titolo) rivela la filiazione da un altro romanzo pure di un francese, La double mort de l’ispecteur Belot, di Claude Aveline.

Pietro De Palma

giovedì 17 gennaio 2019

Ellery Queen : L’ultima donna nella sua vita (The Last Woman in His Life, 1970) – trad. Claudio Lo Monaco – I Classici del Giallo Mondadori N° 507 del 1986

L’ultima donna nella sua vita (The Last Woman in His Life) è il penultimo romanzo della ditta Ellery Queen, formata dai due cugini Frederic Dannay  e Manfred Bennington Lee, tanto uniti che si solevano chiamare anche Danny e Manny.
Venne pubblicato nel 1970 e, contrariamente a quanto era accaduto con la serie inaugurata nel 1961 con L’eredità che scotta (Dead Man’s Tale) – che aveva visto l’uscita di scena di Dannay e la realizzazione di una serie di romanzi, ognuno scritto da un autore diverso che però non compariva col proprio nome (ma diversi autori firmarono più romanzi) ma con lo pseudonimo Ellery Queen, in quanto alla fine, prima della pubblicazione, il romanzo veniva sottoposto a Manfred Lee che lo leggeva, lo cambiava laddove ne ravvisava la necessità ed infine, approvando, dava il via alla pubblicazione  – il testo venne approntato da entrambi i cugini. Del resto il sodalizio si era riformato già precedentemente, tre anni prima, con il romanzo Face to Face, pubblicato in Italia col titolo Ellery Queen e la parola chiave, romanzo che aveva ottenuto entusiastici giudizi sia da critici che da colleghi, primo fra tutti John Dickson Carr.
Prima ancora, Ellery Queen era ritornato a far parlare di sé arrivando finalista all’Edgar nel 1964, con un romanzo pubblicato l’anno prima, Bentornato, Ellery (The Player on The Other Side, 1963). Tuttavia questo romanzo, se aveva spezzato il periodo di inattività della coppia di cugini, iniziato 5 anni prima con quella che sarebbe dovuto essere l’ultimo loro romanzo, Colpo di Grazia (The Finishing Stroke, 1958), come altri romanzi, aveva seguito la falsa riga di un romanzo approntato da un autore estraneo, però che questa volta aveva imbastito il romanzo non su una propria trama originale, ma seguendo una traccia di Dannay di circa settanta pagine.
Così, prima Face to Face e dopo The Last Woman in His Life, riportarono la coppia a scrivere un romanzo assieme. Ho parlato di Face to Face, perché dove questo finisce, comincia il successivo: nello stesso luogo, nello stesso giorno, Ellery e suo padre Richard Queen stanno in aeroporto: alla fine di Face to Face accompagnavano l’amico di Ellery, Burke, ad imbarcarsi su un aereo diretto in Scozia; all’inizio di The Last Woman in His Life, nello stesso luogo, nello stesso giorno, alla stessa ora, Ellery vede poco lontano due uomini che conosce: uno è il miliardario John Levering Benedict III, chiamato anche Johnny-B, uno degli uomini più ricchi d’America; l’altro è Al Marsh, suo avvocato, e anche lui molto abbiente per origini familiari. La differenza tra i due: ad uno il lavoro non importa (Benedict), per l’altro è un modo di svagarsi (Marsh).
Parlando con loro, a Ellery che avrebbe bisogno di una vacanza, in quanto il precedente caso lo ha svuotato di energie, Benedict offre la permanenza in una sua casa tra i boschi, vicino ad un torrente pieno zeppo di pesci, desiderosi di essere pescati. Così accettano. Comincia la vacanza, ma un bel giorno si presenta Benedict tutto accigliato e chiede a padre e figlio di fargli un favore che i due non sanno rifiutare:  far da testimoni e apporre le loro firme in calce ad una copia di testamento di Benedict, che dovrebbe stravolgere se non annullare del tutto il precedente, per il quale ognuna delle tre ex-mogli di Benedict, qualora non si fossero risposate, in caso di morte del miliardario, avrebbero ereditato un milione di dollari ciascuna. Ora invece, Benedict, vorrebbe cambiare le sue disposizioni testamentarie, lasciando sì 4000 dollari al mese alle tre ex-mogli e riducendo, in caso di morte, il premio finale del 90%, portandolo a 100.000 dollari.
Le tre mogli stanno per ritornare, tutte e tre: anche se la decisione è già presa, le tre cercheranno di far leva sulle loro grazie per portare Benedict dallo loro parte.
Arrivate a destinazione, Ellery fà conoscenza separata delle tre in quanto accade una cosa strana: qualcuno ruba un indumento a ciascuna di loro: ad Audrey Weston scompare l’abito da sera, a Marzia Kemp una parrucca verde, ad Alice Tierney dei lunghi guanti bianchi. Per quale ragione qualcuno dovrebbe rubare un indumento?
Ellery comincia a sentire puzza di bruciato.  Così, se il padre vuole andare in paese (è Wrightsville, la cittadina dover si svolge il dramma, che già altre volte è stata teatro di avventure di Ellery) a vedere un film erotico (Ellery commenta sul risveglio della libido nel vecchietto),Ellery invece rumina sulla sparizione dei tre indumenti, e perciò prende la decisione di ritornare alla casa padronale di Benedict ad Inver Lodge (loro due alloggiano in una casetta appartata), dove assiste ad una scenata tra Benedict e le tre ex-mogli, presente Al Marsh.
Qualche ora dopo, mentre dorme, Ellery è svegliato da uno squillo prolungato di telefono: all’altro capo è Benedict che con voce ansimante dichiara di essere stato ucciso e fornisce un indizio: Inver. Per quale ragione vuol ribadire di stare ad Inver Lodge? Fatto sta che padre e figlio andati sul posto lo trovano ormai morto, col cranio sfondato da un pesante soprammobile a forma di tre scimmiette di cui una non sente, una non parla e la terza non vede.
Altro fatto sconcertante: nella stessa stanza trovano per terra gli indumenti rubati precedentemente. Per quale ragione qualcuno vuole addossare la colpa sulle tre donne? Oppure è stata una di loro a mettere anche il suo indumento per coprire sé stessa davanti alle altre? E per quale motivo? Oppure tutte e tre hanno agito contro il miliardario a difesa dei propri interessi?
Un ulteriore fatto sconcertante avviene alla lettura del  testamento, affidato precedentemente ad Al Marsh: nessuna delle clausole precedentemente affrontate verbalmente da Benedict con le sue ex-mogli viene citata, ma solo che nel caso Bendict fosse morto senza essersi ancora sposato con Laura, tutto sarebbe andato alla cugina Leslie: chi è Laura, l’ultima donna nella vita di Benedict?
Fatto sta che ad ereditare tutto pare sia la cugina Leslie che, da povera in canna (la madre era stata diseredata dalla famiglia), si ritrova stra-arci-ultra milardaria. Possibile che sia stata lei? Alibi di ferro.
Si ricomincia daccapo ed Ellery è sempre più sconsolato perché non vede la luce, finchè avvengono dei fatti che alla fine accenderanno la fatidica lampadina: si scopre che Marzia non è affatto vedova, ma si è sposata tempo prima con un piccolo delinquente. Dopo che i due sono apparsi davanti alle autorità, accade che proprio Bernie Faulks, il marito di Marzia Kemp, viene ucciso: il sospetto è che abbia voluto ricattare qualcuno: chi se non l’assassino?
Sempre più buio pesto per Ellery. Il quale accusa un ultimo colpo di scena a cui non poteva essere preparato: contrariamente a quanto si sarebbe mai aspettato, a pochi giorni dalla morte di Faulks, Marzia Kemp si risposa. E con chi? Con Al Marsh, l’avvocato di Benedict. Possibile che Marsh celi qualcosa? Qualche affare poco chiaro, un’appropriazione indebita, qualcosa insomma che sia stato all’origine del delitto? Nemmeno su Marsh hanno trovato nulla: è ricco, spaventosamente ricco, e la sua situazione finanziaria è ottima.
Ma è proprio durante il matrimonio tra Al e Marzia che scocca la scintilla, che si accende la famosa lampadina: un attimo, la situazione vista da un’altra prospettiva e…la verità esplode nella testa di Ellery.
Riuscirà ad inchiodare l’omicida, a dare una spiegazione del perché gli indumenti fossero stati rubati, spiegando al contempo perché il Messaggio del Morente facesse riferimento ad Inver (Lodge). Tuttavia non consegnerà l’omicida alla polizia, perchè questo avrà l’opportunità di avvelenarsi col cianuro.
Straordinario romanzo della coppia di cugini, The Last Woman in His Life, ha ancora una volta una soluzione che spiazza con la sua logica inoppugnabile e con la sua capacità di penetrazione psicologica che rimette a posto le carte sparpagliate, spiegando il tutto con quella che parrebbe una spiegazione impossibile. A sorprendere è soprattutto il ragionamento che è alla base del “Dying Message”: per quale motivo, nel momento in cui stava per morire, Benedict non ha rivelato direttamente il nome dell’omicida, ma ha dato un indizio criptico, affidandosi su una capacità unica, quella di Ellery Queen, di riuscire a capire quello che è incapibile da parte di altri? Perché poteva, per varie ragioni, essere inteso diversamente, finendo per accusare persone che erano invece innocenti. Ma, una volta capita la natura dell’indizio, Ellery con un ragionamento che è puramente deduttivo, riesce prima a ritrovare la famosa Laura, e poi a trovare le prove che inchiodano l’omicida: un abito, che Ellery aveva visto indosso alla vittima durante la sua spiata fuori della casa, la notte dell’assassinio, e che poi, al sopralluogo della polizia non era stato ritrovato, particolare che Ellery aveva messo a fuoco solo prima di aver compreso la verità, e del perché l’omicida avesse ucciso Benedict.
Il romanzo è legato al precedente, e ad altri due, da vari fattori che si affacciano prepotentemente nell’ultima fase della stagione creativa dei due cugini, e che ineriscono alla sfera della sessualità. Del resto questi sono gli anni della Beat-generation, dei figli dei fiori, della scoperta della sessualità manifestata soprattutto con libri e films, con l’apparizione roboante della pornografia cinematografica. Già in uno degli ultimi cosiddetti apocrifi queeniani (che poi non lo erano perché venivano rivisti da Lee, che era uno dei Queen) il tema della sessualità e della pornografia era stato affrontato direttamente: infatti Ed Hoch (uno degli ultimi grandi maestri della Camera Chiusa) aveva firmato The Blue Movie Murders. Evidentemente vi erano delle ragioni perché i due Queen trattassero di sesso negli ultimi quattro romanzi: essi sono intimamente connessi, anche da particolari di natura crittografica. Del resto una accentuazione dei temi sessuali nei loro romanzi, era una cosa nuova, visto che mai precedentemente, se non nei casi da me ricordati, e quantomai nella prima produzione degli anni ’30, era mai stato fatto accenno a situazioni che anche lontanamente potessero raccordarsi con la sessualità.
Non vado oltre, accennando ad altre ipotesi che a me sembrano sensatissime, perché parlandone, svelerei anticipatamente l’identità degli assassini degli altri tre romanzi, con cui questo di oggi, forma una ideale tetralogia.
Ne parlerò a trattazione avvenuta di tutti e quattro.
Dico solo che l’omicida è una persona a tutto tondo, una vittima in sostanza, uno dei pochi colpevoli che forse Ellery non avrebbe voluto mai acciuffare, a cui chiede persino per quale ragione non si sia disfatto dell’abito color nocciola che mancava tra i capi di abbigliamento presenti nello spogliatoio della vittima, perchè così a lui sarebbe mancata la prova decisiva (il sangue della vittima sulla stoffa) per incriminarlo.

Pietro De Palma

sabato 12 gennaio 2019

Clayton Rawson – Da un’altro mondo (From Another World, 1948) - trad. Attilio Veraldi - in "La Quintessenza di Ellery Queen" a cura di Anthony Boucher - Feltrinelli, 1965

Tra tutti i racconti presentati nell’antologia italiana (ridotta), tratta da quella approntata da Boucher, io parlerò del racconto di Clayton Rawson.
Per me Rawson è il solo autore, che nell’ambito dei misteri della Locked Room, possa stare e storicamente e inventivamente alla pari di Carr, sullo stesso suo piano. In sostanza, Rawson, che ha un evidente gap di qualità letteraria delle sue storie, sempre troppo fredde, prive di quell’afflato divino che hanno le opere carriane, dense di straordinarie atmosfere, annullano il gap in forza di una straordinaria inventiva che ammutolisce i più scettici, derivante dall’attività principale di Rawson, quella di illusionista.
Alcuni critici, soprattutto americani, per esempio Mike Grost, lo sottovalutano, perché nella struttura del testo, non dà importanza a determinati soggetti, per esempio i testimoni, o non enfatizza le descrizioni, sminuendo queste componenti all’essenziale e concentrando invece tutta la sua attenzione sull’immaginazione del plot. Rawson, in altre parole, focalizza la sua attenzione sulla ricerca di tutti quegli effetti atti a stupire a tutti i costi il lettore proponendo delle sfide impossibili, fatte di piccoli particolari, che rendono però le sue opere, a mio parere, assolutamente visionarie. Un po’ come quello che accade in certi romanzi di Paul Halter, scrittore che condivide una certa dicotomia di giudizi, alcuni troppo entusiastici, altri troppo critici. Non a caso l’illusione entra di prepotenza in molte sue opere che sono dei veri e propri capisaldi del mystery più cerebrale, quello della Camera Chiusa.
Tra i racconti presentati nella straordinaria antologia di Boucher, La Quintessenza di Ellery Queen, definita al tempo della pubblicazione, dal New York Times, “The best anthology of mystery stories that has ever been published”, quello che per me, meglio può rappresentare la visionarietà più estrema dell’immaginazione, è lo strepitoso From Another World (inserito nella raccolta, pubblicata postuma, del 1979, “The Great Merlini”, ma pubblicato originariamente nel 1948), tradotto in italiano col titolo “Da un altro mondo”.
Qui in sostanza c’è un mistero proposto a Il Grande Merlini, un grande illusionista, che ogni tanto aiuta la polizia, al risolvere autentiche sfide impossibili.
Andrew Drake è un riccone, che, come tutti i ricconi in America, fa beneficenza. Si è messo prima a strombazzare che sovvenzionerà ricerche sul cancro della portata di 15 milioni di dollari, ma ora si è messo in testa di sovvenzionare la PES (o ESP), cioè le Percezioni Extra Sensoriali. Qualcuno gli sta cercando di far credere che potrebbe, con la forza del pensiero, materializzare dal nulla delle cose reali: è Rosa Rhine, una famosa medium. Rosa mira però a ben altro: vorrebbe irretirlo, per riuscire a sposarlo e sistemarsi “vita natural durante”. Perciò organizza un bello spettacolino: alla presenza di Drake, materializzerà delle cose che non esistono nella stanza. Tuttavia, qualcosa non va nel verso giusto. Infatti, Ross, amico di  Merlini e narratore delle avventure di quello, è invitato a casa Drake, ma, giunto dinanzi alla porta di casa, si trova un tal Garrett, medico, che sta cercando di suonare al campanello di casa, estremamente preoccupato. Gli racconta di aver ricevuto una telefonata poco prima da Drake che, rantolando, gli mormorava di stare per morire.
Entrati in casa, si trovano dinanzi ad una prima impossibilità: Drake è chiuso nella sua stanza e non c’è modo di entrarvi. Per cui, cercano di entrare abbattendo la porta. Quando vi riescono, Ross sente un rumore di carta stracciata. Immediatamente dopo entrambi sono dentro la stanza, e trovano Drake morto, pugnalato, con un telefono rovesciato vicino, due lumache sul tavolo, e la bella Rosa Rhine, in un costume da bagno aderentissimo, svenuta. Nessun altro nella stanza. Ross Harte, il narratore, amico di Merlini, quando è entrato nella stanza, si è accorto che l’unica finestra è stata sigillata con carta gommata, e che pure la porta lo era, prima che loro entrassero, sfondando porta e stipite. Appena cercano di risvegliare la bella medium, quella comincia a gridare a più non posso, segno di shock.ellery_queens_mystery_194806.jpg
Ovviamente, Homer Gavigan, Ispettore della Polizia di New York, non crede alla sua innocenza; l’unico che prenda in esame la sua estraneità alla vicenda è Merlini. Tuttavia la bella Rosa stava cercando di buggerare il vecchio Drake col trucco delle cose ingoiate e poi ributtate fuori, quando dev’essere accaduto qualcosa: lei si ricorda solo che il vecchio aveva un’espressione sorpresa e spaventata (poco prima che lei perdesse i sensi, per un colpo alla nuca) per qualcosa che aveva visto alle spalle di lei. Gavigan non ci crede, mentre Merlini è perplesso.
Le prove a discapito della bella Rosa sembrerebbero schiaccianti : è stata trovata assieme al cadavere del vecchio, in una stanza non chiusa semplicemente ma sigillata dal di dentro, senza che altri siano stati trovati al di dentro o che siano potuti scappare; non ci sono aperture o porte segrete nascoste; per sigillare la stanza è stata usata della carta gommata, poi trovata lacerata intorno alla sagoma della porta; l’arma dell’assassinio infine è stata trovata: si tratta di un tagliacarte di bronzo sporco di sangue. Cosa volere di più? Dirà Ross Harte all’amico: “…Una stanza sigillata, Merlini. Una stanza sigillata che sfida tutte le stanze sigillate” (op. cit. pag.129). Come dire insomma..”il massimo del genere”.
Ma la cosa strana agli occhi di Merlini (e anche del lettore) è che Rosa Rhine era forse l’unica persona nel parco di quelle con un qualche interesse per la morte del vecchio Drake, a non averne: è evidente che uccidendolo, uccideva “la sua gallina dalle uova d’oro”. Mentre per Paul Kendrick, innamorato di Elinor Drake, la morte del vecchio spiana il suo matrimonio con Elinor, che il milionario non accettava. E ovviamente anche Elinor in fondo trae benefici dalla morte del padre. E Isabelle Potter, la segretaria della Società di Ricerche Psichiche, che ha accompagnato a casa Drake, Rosa, c’entra qualcosa? Aveva parlato di entità maligne che avrebbero sopraffatto quelle benigne evocate dall’amica e poi ucciso Drake. E Garrett c’entra qualcosa? Ma se il vecchio fosse morto lui avrebbe ricevuto un danno, perché perorava le ricerche sul cancro. Insomma..un bel coacervo di sospetti, sospettabili e innocenti, non si sa fino a che.
 E’ evidente che per venirne a capo Il Grande Merlini dovrà estrarre dal suo cappello a cilindro una soluzione a prova di bomba, che soddisfi le due impossibilità:
1) stanza chiusa dal di dentro anzi sigillata con carta gommata
2) nessun altro al dentro della stanza eccetto il cadavere ed il(la) probabile assassino(a).
La due impossibilità diventano addirittura tre quando si scopre dall’autopsia che il colpo inferto al torace a Drake, ha colpito una costola: l’arma in altre parole si è spuntata. Non ci sarebbe grande stupore se non si scoprisse che..la punta di metallo estratta dalla costola non è di bronzo ma di acciaio. Insomma…un’arma trovata che sembrerebbe ora non essere l’arma dell’omicidio ed un’altra arma..fantasma, sparita dalla scena del delitto. Così le impossibilità diventano tre:
1) stanza chiusa dal di dentro anzi sigillata con carta gommata
2) nessun altro al dentro della stanza eccetto il cadavere ed il(la) probabile assassino(a).
3) arma fantasma.
Il Grande Merlini risolverà il rompicapo fornendo una spiegazione semplicissima, perché in sostanza tutto il plot – egli spiegherà – si basa su un’illusione. Dopo aver escluso via via gli altri, indicherà in X il vero assassino, partorendo una soluzione, che in fondo tiene conto dello storico detto holmesiano, datato ma sempre valido: “When you have eliminated the impossible, whatever remains, however improbable, must be the truth (=Quando hai eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità) . La celebre sentenza di Holmes, verrà migliorata da Merlini che esclamerà : “Non credere a tutto ciò che vedi è un ottimo consiglio; ma ce n’è uno ancora migliore: Non credere a ciò che pensi” (op. cit. pag.143).
E’ opinione diffusa che Clayton Rawson abbia eccelso nei racconti, perché probabilmente soddisfacevano alla sua volontà di creare un problema virtualmente irrisolvibile, per poi fornirne la soluzione, in poche pagine, senza stare a dilungarsi in descrizioni psicologiche e di luoghi, in artifici di stile, in stravolgimenti della trama che generassero tensione, perché non ne possedeva le qualità, cioè non era un romanziere. Questa opinione è parecchio squilibrata, perché il suo primo romanzo, Death From a Top Hat, che un giorno esaminerò, pur essendo in effetti un po’ gelido, è un fuoco pirotecnico di impossibilità e di artifici spacca-cervelli, che mettono alla prova anche il più dotato dei cervelloni; e mantiene la tensione fino alla fine.
 Per me, Death From a Top Hat è non solo tra le Camere Chiuse, un capolavoro assoluto.
Ma anche questo racconto lo è.
5055802.jpgProbabilmente, potrebbe essere stata la risposta di Clayton Rawson a He Woluldn’t Kill Patience, uno strepitoso capolavoro di Carter Dickson (John Dickson Carr), pubblicato nel 1944, in cui la vittima è uccisa in una Camera non chiusa solamente, ma sigillata, tanto che neanche l’aria ne esce fuori.
Normalmente, quando si legge una Camera Chiusa, nella storia è messo in atto sempre un trucco (l’unica volta che non c’è, è quando si verifica una casualità che pone in essere una Camera Chiusa, allorché non ci sarebbe dovuta essere: per esempio, se una corrente d’aria fa sbattere una porta chiudendola, oppure se qualcuno avendo in mano la cordicella per aprire una finestra viene sparato e cadendo lasci la presa della cordicella, determinando la chiusura della finestra. E così via..). Ora questo trucco può riguardare la manomissione del chiavistello o di quant’altro della porta o delle finestre; oppure è legato a qualcosa che si sia visto per cui si esclude che qualcuno sia potuto uscire (per es. in It Walk by Night di Carr, dei testimoni sono pronti a giurare che le aperture alla sala dove è avvenuto il delitto, erano ambedue sorvegliate continuamente; oppure qualcuno è stato indotto a credere che quel che ha visto era una cosa ed invece non lo era: per es. in The Wrong Shape di Chesterton ) essendosi escluso il suicidio.
Ma in questo racconto per la prima volta, che io ne sappia, è messo in atto un trucco riguardante non la vista del testimone, ma..l’udito. Cioè un elemento sensoriale che il più delle volte non entra in scena per quanto riguarda la chiusura di una porta o finestra, ma solo nella determinazione di quanto sia accaduto (un urlo, rumori di lotta, uno sparo) cioè con l’omicidio o con la sparizione di qualcosa in una stanza chiusa dall’interno. Il solo rumore che sia in relazione diretta con la chiusura della porta, è di solito quello prodotto dalla porta e dallo stipite che vengono sfasciati, insieme o l’uno escludendo l’altro, per l’azione di qualcosa che venga usato per abbatterli: qualcuno che si lanci contro, oppure una panca usata come ariete. Quando ci sia un’illusione, essa è associata, semmai al rumore di uno sparo, che serva a dilazionare l’azione, attribuendola ad un tempo in cui si sia premeditata la testimonianza magari in buona fede, di chi giuri che l’assassino era con lui quando si sia sentito lo sparo. Qui, invece, il suono dello strappo della carta gommata usata per sigillare porte e finestre della stanza, viene associato direttamente all’impossibilità che l’assassino (a) sia potuto uscire dalla stanza. Ci sarebbe, è vero, anche la possibilità che in una camera Chiusa si oda il rumore del chiavistello, o della chiave che viene girata, e questi sono suoni che sono connessi anche con la chiusura della porta dall’interno, ma…servono solo a convincere che la porta sia stata chiusa. Qui invece la porta si sa che è chiusa, ma anche se non lo fosse, ci penserebbe la carta gommata a instaurare una impossibilità evidente, che non è tanto evitare che qualcuno o qualcosa entri (dentro la stanza, annullando l’esperimento di PES) presenti Drake e la Rhine, ma piuttosto qualcuno o qualcosa esca, determinando la possibilità che la Camera Chiusa non sia più tale. Del resto, un chiavistello si può truccare, ma come si può truccare un semplicissimo rotolo di carta gommata?
Ecco l’abilità di Clayton Rawson, nel convincere che l’illusione non ci sia mentre esiste. Eccome!
La soluzione, semplicissima (tanto che si rimane a bocca aperta), soddisfa tutte e tre le impossibilità prima indicate, fornendo una soluzione immaginifica ed inchiodando il meno probabile degli assassini alla prova delle ipotesi, ma il più probabile anzi l’unico, a quella dei fatti.
A voler analizzare poi, ancor più nel dettaglio, la soluzione proposta da Merlini, vediamo che essa in pratica non è che una variazione ingegnosa ( e più complicata, perché presenta l’illusione auditiva) del trucco adottato da Hake Talbot nella Camera Chiusa inventata nel suo primo romanzo.

Pietro De Palma

venerdì 4 gennaio 2019

Paul Halter : La nuit du loup, Le Masque, Les Maitres du Roman Policier, 2000




Nel 2000, all’alba del nuovo millennio, Paul Halter volle riunire una serie di racconti che aveva scritto negli anni precedenti  in una raccolta, che intitolò La Nuit du Loup. Successivamente, nel 2006 uscì anche una edizione in inglese - affidata a quel John Pugmire che due anni prima ne aveva tradotto i lavori - che tuttavia si notò per essere diversa da quella originale. Infatti, mentre la raccolta La Nuit du Loup presentava 9 racconti, quella in inglese THE NIGHT OF THE WOLF ne conteneva 10.
Andando a vedere bene, tuttavia, si nota non solo la presenza ovvia di un racconto in più, ma anche l’aggiunta e la sostituzione di altri. Infatti, il racconto Un Rendez-vous aussi saugrenu causa l’intraducibilità in inglese della forma usata di francese che non si adattava ad essere altrimenti tradotta senza perdere i connotati su cui si basava essa stessa, fu sostituito nell’edizione in lingua inglese, dal racconto L’Abominable bonhomme de neige (The Abominable Snowman), mentre ad esso ne fu aggiunto addirittura un altro, Le Spectre doré (The Golden Ghost).
Non si deve pensare però che i racconti fossero stati tenuti in un cassetto e poi pubblicati per la prima volta in occasione della pubblicazione dell’antologia; parecchi di essi erano stati tradotti in altre lingue: 2 (The Tunnel of Death e The Night of the Wolf) erano apparsi tra il 2005 e il 2006 su EQMM, con traduzione di John Pugmire, mentre con quella di Peter Schulhman era apparsa nel 2004 sempre su EQMM, The Appel of Lorelei; 5 poi, erano stati tradotti da Tiziano Agnelli e pubblicati in Italia su “Il Foglio Giallo”, la pubblicazione de Il Club del Giallo, un’associazione che una ventina d’anni fa ancora riuniva parecchi appassionati e al quale apparteneva anche Paul Halter nella veste di socio onorario (che si è estinta dieci anni fa) : Ripperomanie e L’appel de la Lorelei nel 1999, La nuit du loup, Les Morts dansent la nuit e La Hache nel 2000. Perché furono stati scelti proprio questi racconti ?
Lo spiega Paul in due brevi righi, interrogato da me qualche giorno fa, che gli chiedevo, impressionato dalla qualità e dalla complessità de La Nuit du loup, se esso fosse per caso il racconto da lui preferito tra tutti quelli dell’antologia: «Cher Paul, depuis quelques années, je dois votre collection La nuit du loup, mais je ne l'avais jamais lu seulement l'histoire qui a donné son nom à la collection (comme je l'avais lu quelques-uns des autres). Je suis restée muette. Nous sommes face à un chef-d'œuvre, avec trois fins différentes, chacune plus étonnant que les autres. Je me suis senti la même forme d'aliénation je me suis senti à lire La quatrième porte. Vous avez appelé la collection La nuit du loup,  idéalement lacer l'histoire éponyme, je pense. Je dois penser que vous considéré comme le meilleur des neuf ? »
«Oui, Pietro, vous avez raison !Enfin oui et non...J'ai bien aimé cette histoire de loup, avec une chute un peu fantastique... La meilleure? Je ne sais pas... Peut-être ex-æquo avec La HACHE, LA LORELEI et LES MORTS DANSENT LA NUIT. Mais d'aussi loin que je m'en souvienne, j'ai dû emprunter son nom pour le recueil de nouvelles, sans doute par ce que c'est celui qui me plaisait le plus. »
Insomma, per chi non conosce il francese, Paul dice sostanzialmente che i racconti che tra i tanti ricorda con più piacere erano La HACHE, LA LORELEI et LES MORTS DANSENT LA NUIT, ma che ho ragione a pensare che in sostanza, essendo stata intitolata l’antologia con lo stesso titolo di un racconto, quello fosse senza dubbio il suo preferito.
Questo giudizio, che è quello dell’autore, toglie di mezzo tutti i giudizi arbitrari, apparsi su vari siti, secondo cui, uno più che un altro o un altro ancora, erano i migliori. Io personalmente oltre La nuit du loup che è un capolavoro assoluto, pari a qualche racconto del Carr più ispirato (The Door to Doom, per esempio) penso che un altro molto buono sia Les morts dansent la nuit, che ricorda per l’atmosfera (una cripta contenente le tombe di famiglia) The Burning Court di Carr o anche La chambre du fou dello stesso Halter , ma è un giudizio del tutto soggettivo.
Ecco a seguire il contenuto della prima edizione
L’Escalier assassin
Les Morts dansent la nuit
Un Rendez-vous aussi saugrenu
L’Appel de la Lorelei
La Marchande de fleurs
Ripperomanie
La Hache
Meurtre à Cognac
La Nuit du loup
Ed ecco quello dell’edizione inglese, in cui venne modificato l’indice originario:
The Abominable Snowman
The Dead Dance at Night
The Call of the Lorelei
The Golden Ghost
The Tunnel of Death
The Cleaver
The Flower Girl
Rippermania
Murder in Cognac
The Night of the Wolf
Di che genere sono i racconti presentati?
Ovviamente Camere Chiuse e Delitti Impossibili, anche se vi è anche qualcuno che sfugge a questa classificazione presentandosi come un racconto più libero.
Se andiamo ad analizzarli velocemente, cumulando tutti i racconti, sia dell’edizione francese che di quella inglese, possiamo tentare una classificazione veloce:
Camera Chiusa Classica
La Marchande de fleurs (apparizione dei doni di Natale in una stanza sigillata)
Murder in Cognac: (avvelenamento all’ultimo piano, chiuso all’interno, di una torre)
Les Morts dansent la nuit (Camera Chiusa classica: cripta sigillata da cui provengono orribili risate)
Variazione di Camera Chiusa sulla neve
La Nuit du loup
L’Appel de la Lorelei
L’Abominable bonhomme de neige
Le Spectre doré
Delitto Impossibile
L’Escalier assassinn (un delitto maturato su una scala mobile, a metà circa della stessa, tenuto conto che né da destra né da sinistra c’era qualcuno che potesse uccidere)
Esempi vari di deduzione poliziesca
Ripperomanie
Un Rendez-vous aussi saugrenu
La Hache
Non basterebbe certamente un articolo per descrivere e analizzare tutti i racconti, per cui dirò solo che i protagonisti sono diversi: Owen Burns, che si trova in storie affondate nel passato, è un personaggio modellato su Oscar Wilde, che ancora in Italia non è conosciuto, perché nessuno dei 5 romanzi in cui opera è stato pubblicato. A quel tempo tuttavia, solo due lo erano stati, tuttavia già bastanti ad assicurargli la fama : Le roi du désordre (1994) e Les sept merveilles du crime(1997);  Alan Twist invece vive avventure risalenti agli anni ’30-‘40. Si noti tuttavia che sia Burns che Twist in queste storie non sono accompagnati dalle rispettive spalle: Stock e Hurst.
Nonostante la presenza dei due personaggi, nessuno di loro compare nel racconto migliore in assoluto, che non esito a definire un autentico capolavoro. Se esiste il racconto perfetto in Halter, senza dubbio, a parer mio, esso è La nuit du loup.
Tengo a precisare che per sviscerare i suoi contenuti , darò la soluzione del racconto per cui chi non l’abbia ancora letto è pregato di non andare oltre questa analisi.
La storia comincia con un padre che sta rimproverando ai propri pargoli di non saper ancora andare a caccia da soli. E mentre i compagni sono intenti a dividersi un cervo, i pargoli pregano il padre di raccontare una storia. E così il vecchio, pure a malincuore, narra la storia di Pierre Lupo, un suo amico e della sua morte in circostanze impossibili.
Pierre Lupo era un tale che abitava in una casa di legno, provvista di laboratorio, al centro di una radura nel bosco. Nel vicino paese di Malmont, che in Lorena è ai piedi della catena montuosa dei Vosgi, stretto attorno ad una chiesa, sotto una coltre di neve che sembrava proteggerlo dall’esterno, si parlava sottovoce scongiurando che il lupo mannaro, che aveva ucciso vent’anni prima, non ritornasse ancora a mietere vittime.
Lupo era inviso alla comunità cittadina in quanto in tanti anni uno dei suoi sport preferiti era stato stabilire relazioni extramatrimoniali con molte donne del paese, cosicchè era divenuto inviso ai più e viveva ramingo in una casa nel bosco nel mezzo di una radura, assieme ad una cane; i suoi unici amici erano il Commissario Mercier e il vedovo dottor Loieseau.
Una notte accade che alla porta del Commissario Jean Roux bussi un tale: un piccolo uomo, talmente vecchio che l’età non era definibile, vestito con vestiti di buona fattura, ma coperto di neve che gli chieda di potersi riparare dalla tormenta di neve, in quella notte. Sulle prime il Commissario non sa decidersi: tuttavia anche se non si spiega perché mai in una notte nevosa come quella un tale sia ancora in giro, le sue condizioni lo rassicurano. E così, dopo averlo rifocillato e riscaldato, mentre quello fissa accanto al fuoco e con nelle mani un grog denso, un grosso cane lupo che dorme su una stuoia, gli racconta la vicenda impossibile a spiegarsi dell’assassinio di Pierre Loup: due giorni prima, il suo ex superiore il Commissario Mercier aveva sentito dei latrati nella notte; qualche ora dopo, il dottor Loiseau, lo aveva svegliato perchè preoccupato che dalla zona dove abitava Pierre Loup fossero prevenuti grida e schiamazzi nella notte. Così alla luce dei una lanterna si erano addentrati nel bosco, nonostante Loiseau camminasse zoppo (con il bastone) perché il suo cane lo aveva morso ad una caviglia, e qui, in una radura tutta ammantata di neve, avevano trovato la porta della casupola del vecchio Pierre, completamente spalancata: dal sentiero dove stavano loro, fino alla casa, erano visibili impronte di animale, probabilmente un lupo. Solo quelle. Nella casa trovarono il cadavere orribilmente sfigurato di Pierre, come se degli artigli e delle zanne lo avessero sbranato, per di più con un pugnale infisso nella schiena.
Il Commissario Roux indica a Dieudonne proprio in cane lupo addormentato e lo indica come possibile responsabile nel caso il padrone fosse stato solo sbranato, ma..egli è stato anche accoltellato e quindi, anche se fosse stato il cane a sbranarlo, poi chi l’avesse pugnalato avrebbe dovuto lasciare delle orme, che invece non sono state rinvenute.
Nella neve nulla che non le loro impronte fino alla casa, le impronte di un grosso cane o lupo, e ovviamente i fori prodotti dal bastone di cui si serviva il dotto Loiseau. Nient’altro.
Il sopralluogo da parte della polizia, chiamata da Mercier e comandata da Roux, non aveva sortito alcuna novità, se non ovviamente che la vittima pur essendo stata sopraffatta da un animale, era stato pugnalato. E quindi a meno di non trovarsi con qualcosa che potesse impugnare un coltello e che avesse le zampe da animale, non si riusciva ad attribuire ad altri la paternità dell’efferatezza. Ma dovunque si andasse non si riusciva a cavarne un ragno dal buco: chi aveva ucciso Roux e perché? Era un lupo mannaro o no?
Il vecchio ospitato da Mercier, di nome Noel Dieudonne, dopo aver sentito la storia, afferma che  di credere “che ci sia una spiegazione per tutto”. Roux è incredulo: lui stesso era stato svegliato da Loiseau, e con lui aveva trovato la vittima vegliata da Mercier, che gli aveva confermato la storia di Loiseau: lo aveva svegliato neanche un’ora prima chiedendo se avesse sentito urla provenire dall’abitazione di Loup. E insieme avevano trovato la vittima in uno stato raccapricciante, nello stesso in cui era stata trovata la moglie di Loiseeau vent’anni prima. Viene a sapere anche che qualche giorno prima, si erano diffuse notizie sulla possibile presenza di un lupo mannaro; e siccome prima dell’omicidio della moglie del dottore, il piccolo Henri, che nel frattempo  era diventato sì giovane aitante e forte ma anche avente il cervello di un bambino, era stato morso si diceva “da un lupo mannaro”, ora qualcuno aveva attribuito a lui quelle urla, schiamazzi e ringhi nel bosco. In particolare ad una cena a cui aveva partecipato Henri assieme a Pierre,  Mercier e Loiseau, questi due ultimi avevano avanzato ipotesi che il giovane diventasse nelle notti di luna piena “un lupo mannaro”. Loup si era risentito di questo, ma qualche giorno dopo proprio da zanne e artigli era stato quasi sbranato.
Le successive indagini avevano stabilito che Loup, donnaiolo impenitente, aveva fatto vittime femminili nella comunità, e che probabilmente anche Henri era un suo figlio, visto il lascito che Loup gli aveva destinato alla sua morte. Dei tre, sarebbe l’unico a beneficiare della morte di Loup. Tuttavia Didionne la pensa diversamente: chiede tuttavia se vi siano altri indizi, particolari di nessuna importanza che non erano stati narrati. E così viene a sapere che nel laboratorio di falegnameria di Loup, erano stati trovati in mezzo alle ragnatele e alla polvere, dei truccioli di legno fresco, segno che qualcosa era stato lavorato. Cosa?
Dieudonne raccogli gli indizi e annuncia di aver capito chi possa essere l’omicida: può essere che il Commissario Rouz che si sta scervellando da due giorni non abbia capito chi possa essere l’omicida, e Dieudonne l’abbia compreso?
E così rivela che tra i tre possibili sospettabili (Mercier, Loiseau, Henri) il solo possibile colpevole non poteva che essere Loiseau: ma come ha fatto, per di più zoppo a non lasciare impronte? E perché l’avrebbe ucciso? Perché nella notte della cena, Loup si era esposto troppo, indignato perché si fosse sospettato del suo figlio “scemo” di essere un lupo mannaro, ed aveva promesso ai due che lui avrebbe fratto giustizia e rivelato anche chi aveva ucciso vent’anni prima: il dottore, per poter sposare una giovane donna ed eliminare la vecchia).
Ecco la soluzione prospettata da Dieudionne: siccome nella notte dell’assassinio aveva nevicato per poi smettere, il dottore era arrivato alla casa di Loup in serata e lì lo aveva ucciso con una coltellata, per poi selvaggiamente ferire volto e braccia della vittima con una sorta di rastrello con cui aveva già vent’anni prima aveva simulato lo sbranamento della moglie da un cane o lupo mannaro supposto tale. Quindi nel laboratorio falegnameria annesso alla casa, ha il tempo per confezionare dei cortissimi trampoli che fissa alla suola delle scarpe e che realizza in modo che riproducano la parte finale del suo bastone. Così camminando presumibilmente un passo dopo l’altro, come se camminasse su una corda, si allontana dalla casa lasciando sulla neve solo impronte che sembreranno quelle di un bastone, quando ritornato più tardi sulla scena del delitto, infilerà il bastone proprio nei fori lasciati nella neve precedentemente. Per poi simulare le orme di un grosso cane, lascerà libero il suo cane di correre e latrare a perdifiato nella notte: saranno i suoi i latrati e i ringhi che si sentiranno nella notte. Poi va a svegliare il suo amico il commissario Mercier e insime andranno a casa di Loup e lui, avviandosi verso la casa, facendo vedere all’incredulo commissario le orme lasciate del suo cane che lui attribuirà ad un lupo mannaro, farà in modo come aveva previsto, che la punta del suo bastone cerchi i buchi fatti dai trampoli modellati sullo stesso. Dieudionne, inevitabilmente elabora lo stesso ragionamento che fa ogni lettore che legga la storia: di chi si parla, quali sono i soggetti del dramma? Solo tre persone erano così intime di Loup, che si era preclusa l’amicizia del paese in virtù della sua irrispettosa frequenza delle mogli altrui: i suoi amici: il Commissario Mercier, il dottor Loiseau, e il figlio scemo Henri per cui Loup nutre un profondo amore e anche la volontà di difenderlo da chi tenti di aggredirlo.
Il Commissario Roux non crede ai propri occhi: in poco tempo quel tale piovuto dal cielo gli ha risolto quel problema che non l’aveva lasciato dormire per due giorni.
Così finisce la storia, del padre che narra ai figli, mentre il resto dei compagni sta ancora mangiando la carne del cervo.
 Solo che a questo punto il padre rivela ai suoi figli che la storia era troppo assurda, troppo costruita per essere quella vera: in realtà ce n’era una molto più semplice, che cioè il lupo amico di Loup gli si fosse rivoltato contro quando alla luce della luna piena si era trasformato davvero  in un lupo mannaro. Cioè, qui abbiamo il secondo sovvertimento, dopo la spiegazione che ne è stato il primo: non è l’uomo che diventa lupo, ma è il lupo che diventa uomo. Una realtà troppo orribile a detta di colui che narra la storia: cosa c’è di così orribile? Il fatto che un lupo, che è un animale che caccia per nutrirsi, si possa trasformare in un essere umano. E a questo punto avviene il terzo shock per il lettore: chi ha raccontato la storia, era anch’esso un lupo, che narrava ai lupacchiotti la storia di un amico dei lupi chiamato Lupo,  che aveva chiamato il suo lupo col suo nome.
Ecco che acquista spiegazione il dialogo che poco prima ha concluso il racconto e la spiegazione del problema: “Wolf,” murmured Roux, “like his deceased master. I never understood why he called him by his own name”.“There’s always an explanation for everything, my dear sir…”. Cioè se Roux esclama : “ Wolf, come il suo defunto padrone. Non ho mai capito perché lo avesse chiamato col suo nome”, gli risponde Dieudonne a tono: “C’è sempre una spiegazione per tutto”.
In sostanza il racconto dispiega la propria azione su più piani:  in sostanza se La quatrieme porte, è una storia nella storia (noi leggiamo una storia e poi a metà del libro ci accorgiamo che a sua volta era una storia che qualcuno stava scrivendo), differentemente da essa che ha solo due piani su cui si muove, La nuit du loup, ne ha molteplici.
Innanzitutto noi leggiamo di un gruppo di soggetti che hanno cacciato un cervo e ora si apprestano a riposarsi dopo il pasto: nulla ci può far pensare che non si tratti di uomini. Solo che Halter semina indizi, modi di usare dei termini che in linguaggio lato valgono per gli uomini, ma che in origine indicano proprio gli animali. Sottolineo nel dialogo questi termini rivelatori:
“Daddy, Daddy, tell us a story.”
The chieftain looked at the little group that was devouring with gusto the deer that had been killed a few hours before. He pricked up his ears and glanced in exasperation at his son.
“Yes, Daddy, please,” insisted another of his children.
“Another one?” he growled. “You’d do better to occupy yourselves with more important things! You’re old enough to hunt now. The winter’s been hard and spring is still a long way off. How many times do I have to tell you that to live you have to eat, and to eat you have—”
“Yes, we know, but please, Daddy, please tell—”
“Now you’re bothering me! I don’t know what else to tell!”
His companion trotted through the snow to rub herself against him: “You can tell them the story of Wolf.” (traduzione di dal francese di John Pugmire).
Divorando, rizzò le orecchie, per vivere bisogna mangiare, trotterellò nella neve, sono tutte espressioni cui lì per lì il lettore non da peso, ma di cui poi si ricorda e rivaluta all’atto della rivelazione della fine del racconto, quando capisce che a raccontare era un lupo. Che parlava di un suo amico che era stato ucciso, Lupo, che aveva a sua volta chiamato il suo cane come lui. Fin qui arriva il racconto. Ma Dieudonne invita ad andare in fondo alle cose: perché Loup avrebbe chiamato il suo cane come lui? Perché entrambi condividevano la stessa natura? Loup da uomo si trasformava in lupo, e il lupo a sua volta si trasformava in uomo?
In sostanza quindi il lettore si improvvisa detective quando trova gli indizi che Halter ha disseminato nel brano perchè il lettore possa arrivare a capire (ma non vi riesce) che era una storia nella storia, in cui chi la leggeva era diverso da chi si credeva che fosse.
Anche La Quatriéme porte è una storia nella storia; anche La Tavola fiamminga di Perez Reverte è una storia nella storia.
Ma poi vi sono altri piani su cui la storia si muove.
Chi è Dieudonne? E’ il deus ex machina della storia, e si chiama proprio “Dio che da”: cosa? La soluzione. Ma che invita a guardare dentro le cose, perché tutto può essere guardato non per forza da una sola prospettiva. E' come se fosse un vecchio saggio, è come se fosse la coscienza personificata, una specie di "Γνῶθι σεαυτόν" personificata: l'istanza a guardare in se stessi, ad andare a fondo delle cose per trovare la soluzione; ma è anche l'invito a guardare le cose da una prospettiva diversa.
Poniamo che Loup e il suo loup condividessero la stessa natura:  poichè Loup si era fatta la triste storia di essere un dongiovanni impenitente, nulla autorizza a non pensare che davvero la moglie di Loiseau potesse esser stata uccisa da un lupo mannaro, cioè da Loup trasformatosi in bestia, allorchè con lui si era incontrata per avere un rapporto carnale.
In sostanza è come se gli stessi fatti autorizzassero una soluzione diversa nel momento in cui venisse contemplata una compromissione fantastica: un po’ come la doppia soluzione di The Burning Court. Se dovessimo credere alla soluzione razionale, il colpevole non può che essere Loiseau; se invece prestassimo fede al racconto fantastico, anche la soluzione lo diventa.
E perché non pensare che se Loup è davvero un lupo mannaro, non lo possa essere davvero il figlio, che era stato indicato tale da Mercier e da Loiseau?
Dieudonne avrebbe  potuto anche voler proteggere il figlio “minorato” di Loup: un figlio grande grosso, dotato di una forza bestiale, ma col cervello di un bambino. Mettiamo che il figlio avesse scoperto chi aveva ucciso la madre tanti anni prima e avesse concepito un piano per vendicare la madre, uccidendo chi l’aveva uccisa realmente (il padre, Loup) e facendo incolpare chi l’aveva tradita (Loiseau): anche così avrebbe un senso la cosa. A dirla in poche parole: se la storia viene elaborata in un universo reale può avere un solo sviluppo, per impossibile che possa sembrare in un primo tempo; se invece viene elaborata in un universo fantastico, le soluzioni possono essere molteplici.
Ecco perché parlo di un vero e proprio capolavoro.
Noto inoltre che per la somiglianza reale con la soluzione di un romanzo posteriore, Halter deve aver pensato di utilizzarla, magari variandola in qualcosa : infatti, come non ricordare la soluzione di A 139 pas de la mort ? Anche lì abbiamo una variazione di Camera Chiusa: in una casa in abbandono, viene rinvenuto un cadavere, seduto su una poltrona, in avanzato stato di decomposizione, provieniente da una tomba violata, e tutt’intorno il pavimento uniformemente coperto di polvere, in cui si noterebbero le impronte se ci fossero, e  nessuna orma che possa avvalorare l’ipotesi che qualcuno abbia scaricato su quella poltrona il corpo e, come vi sia entrato, sia poi uscito da quella casa. Eppure lì abbiamo una soluzione che direttamente si ricollega a quella de La nuit du loup: infatti i 2 travicelli di legno di un metro alle cui estremità sono infissi quattro grossi chiodi, corti di lunghezza, sfruttano la stessa soluzione usata qui: dei trampoli bassissimi ma tali nella loro doppiezza ( che nel racconto hanno lo scopo di confondere le orme ed attribuirle alla punta del bastone del dottore, e nello stesso tempo sorreggere il peso dell’uomo senza che vi sia la possibilità di cadere a destra o a sinistra).
Insomma tutto e il contrario di tutto nell’universo targato Paul Halter.
Pietro De Palma
 
P.S.
Chi voglia procurarsi l'edizione inglese, dato che quella francese è più difficile da reperire,  non ha che da rivolgersi a John Pugmire:

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