martedì 15 ottobre 2024

Anthony Berkeley: Assassinio in cantina (Murder in the Basement ,1932 – trad. Mauro Boncompagni – I Classici del Giallo Mondadori, N.1056, del 2005.

 



 

Un altro piccolo capolavoro firmato Anthony Berkeley.

Il romanzo risale al periodo di maggior successo internazionale e al pieno della sua attività letteraria: dello stesso anno è infatti Before the Fact (Il sospetto) che avrà una notissima trasposizione cinematografica ad opera di Alfred Hitchcock nove anni dopo; l’anno prima, Berkeley aveva pubblicato un altro suo grande successo, Malice Aforethought (1931). E nel 1933 pubblicherà un altro romanzo fondamentale , Jumping Jenny.

La trama del romanzo è parecchio macabra.

Una coppietta di sposini ritorna dal viaggio di nozze e prende dimora in una casa affittata. Mentre lei disfa le valigie, lui non trova di meglio che andare ad ispezionare la casa, e in particolare la cantina dove vorrebbe custodire i suoi vini. Ma ecco che un particolare cattura la sua attenzione: in un angolo, il pavimento di mattoni si è come infossato, come se qualcuno avesse scavato per nasconderci qualcosa. Lui pensa ad un forziere, ma invece vi trova..un cadavere vecchio di almeno sei mesi, talmente irriconoscibile e decomposto che per puro caso si riesce a capire che era una femmina giovane e che aveva una cicatrice all’interno di una delle cosce. Il cadavere è nudo, ma su quello che rimane delle mani vi è un paio di guanti. Perché?

L’Ispettore Moresby di Scotland Yard naviga nel buio: chi era la donna? E come è finita in quella cantina? Perché aveva i guanti? La precedente affittuaria era una vecchia al di sopra di ogni sospetto, e la data della morte sembrerebbe coincidere nel periodo di agosto, in cui la vecchia era in vacanza e la casa era vuota: chi mai avrebbe potuto avere le chiavi? Dei parenti? I due soli sono due nipoti che però hanno degli alibi talmente solidi da essere subito estromessi dalle indagini. E allora? Alla minuziosa indagine della polizia non sfugge nulla. Eppure Moresby non riesce a dare un nome al corpo! I guanti sono ordinari, e le indagini casa per casa non portano a risultati perché nessuno, nelle villette vicine, ha visto nulla. Basterebbe sapere di chi diavolo è quel cadavere e lui – ne è sicuro – sarebbe a cavallo, perché l’assassino non avrebbe scampo. Ma… non si trova nulla. Finchè vi è una sua intuizione: la cicatrice. Sulla base dell’autopsia si stabilisce che la vittima era stata operata al femore e gli era stata applicata una placca di metallo per saldare l’osso dopo una frattura: la fortuna che gli arride è data dal fatto che la placca è fatta di un materiale subito abbandonato, utilizzato solo come esperimento in pochi e certificati casi. Insomma, scartando tutti i soggetti che non risultavano essere scomparsi e i cui parenti ne avrebbero subito denunciato la scomparsa, si arriva a individuare la vittima in una certa Mary Waterhouse che era riuscita a farsi assumere in una scuola privata di Allingford, Roland House, nel personale amministrativo.

Ecco che allora Moresby si ricorda che il detective dilettante e scrittore affermato Roger Sherringham, che l’ha aiutato in tanti casi, è stato in quella scuola tempo prima; e così lo interpella per chiedergli se ricordi qualcosa dell’ambiente. Infatti, diversamente da quelle che erano le convinzioni iniziali dell’Ispettore, una volta conosciuta l’identità della vittima, non si è arrivati all’identificazione dell’assassino. E neanche partendo dall’altro opposto, cioè dal luogo della sepoltura, si è arrivati ad un qualche risultato: perché non c’è modo di riuscire a capire come quel cadavere ci sia finito, e soprattutto chi poteva avere la chiave della casa, perché non è stato segnalato nel passato nessun tentativo di effrazione a quella casa.

Roger accetta volentieri di riassumere un quadro dell’ambiente all’Ispettore, anzi gli fornisce un rapporto che aveva stilato tempo prima che raccoglieva le sue impressioni sulle persone operanti nella scuola e che sarebbe dovuto servire come canovaccio per un romanzo mai scritto. Sulla base di questo Roger riesce a capire chi possa essere stata la donna uccisa senza che glielo dica l’Ispettore. Però, alla successiva richiesta di fare da infiltrato per la polizia, rifiuta, in quanto quelle persone che lui ha descritto lo hanno accolto come un amico e si rifiuta di spiarli ora.

In pratica osserva le azioni dell’ispettore, intervenendo quando lo ritiene opportuno, perché si arrivi all’individuazione del caso.

Anche Roger tuttavia non capisce come Mary sia finita sottoterra nella cantina, finchè un’informativa della polizia rivela che la placca all’osso era stata acquistata da un carcere, dove la tizia era stata reclusa qualche anno prima, con diverso nominativo, in quanto ladra borseggiatrice: era scivolata al momento della cattura della polizia, e si era rotta una gamba. Successivamente, ravvedutasi, dopo un corso di stenodattilografia e alcuni altri lavori, e con un cognome falso era riuscita a farsi assumere nella scuola. Quindi è possibile che Mary non avesse del tutto abbandonato la sua occupazione di un tempo, oppure che risalisse al tempo in cui era una borseggiatrice, un qualche furto ai danni della vecchia padrona della casa a Lewisham, al n.4 di Burnt Oak, E anche questo viene confermato. Quindi la chiave l’aveva lei. Ma..perchè è finita lì?

Dalle indagini della polizia a Roland House emerge un quadro molto variegato: a dirigere la scuola, nominalmente è il preside Harrison, ma in realtà è la figlia Amy che dirige, attirandosi più di una antipatia. Amy è legata al signor Wargrave, un docente di Chimica: nessuno dei due ama l’altro, ma è anche conscio che solo con l’altro riuscirà ad ottenere i suoi scopi; poi c’è Elsa Crimp, altra docente legata sentimentalmente al curato; il signor Duff, il signor Parker, il signor Rice, anche loro docenti: quest’ultimo è l’amante della signora Phyllis Harrison, la moglie del preside che sembra non accorgersi di nulla, perso solo nel modo della scuola che dirige; infine c’è la governante, Jevons.

Finalmente, dagli interrogatori emerge un particolare rivelatore: il signor Wargrave era stato visto uscire dalla camera della signorina Mary Whitehouse, quando quella era stata a scuola. Successivamente si era saputo che la signorina era incinta e che sarebbe andata via perché in procinto di sposarsi con un australiano: a riprova di ciò era un anello con brillanti e smeraldi che la ragazza sfoggiava al dito.

L’ispettore è convinto di aver individuato il suo assassino, e da questo momento tutta l’indagine viene avviata allo scopo di dimostrare che Wargrave aveva ucciso Whitehouse, e con che arma. Ma le prove non ce ne sono e gli indizi sono così aleatori che neanche quando Wargrave viene beccato con un revolver calibro 45, sua pistola d’ordinanza durante la Prima Guerra Mondiale, il cui calibro è proprio quello corrispondente al proiettile che ha ucciso la donna, si riesce a collegarlo ad ella, perché la pistola è sporca, e manca il bossolo incriminato. Insomma..

Quindi entra in scena Sherringham e in un pirotecnico finale riesce a…discolpare Wargrave, individuando il vero assassino. Tuttavia non lo consegna alla polizia, perché il suo fine non è quello di Moresby, e anzi inventa una storia plausibile ad uso dell’Ispettore, dandogli una soluzione e nel termpo stesso salvando dall’impiccagione Wargrave che si è addossato il crimine di un altro, e il vero assassino, che ha ucciso perché ricattato.

Altro romanzo con una penetrante introspezione psicologica, Murder in the Basement, è solo apparentemente un procedural: in realtà il procedural serve solo a fornire le basi per l’indagine, da cui l’Ispettore e il detective divergono ad un certo punto nell’individuazione del colpevole. L’indagine di Sherringham è molto simile a quella di Poirot: si serve della deduzione, a cui si aggiunge una analisi approfondita della natura umana. E come Agatha Christie, anche Berkeley è un innovatore: infatti questo romanzo, nella storia del whodunnit poliziesco, riserva più di una sorpresa: non ne parlo in questa sede, perché sarà oggetto di un approfondito breve saggio prossimamente sul Blog del Giallo Mondadori.

Quello che ancora una volta sottolineo è la grandezza di Berkeley, non solo uno dei grandi maestri del poliziesco psicologico britannico ma anche uno degli scrittori più affermati nel meccanismo delle soluzioni molteplici: inquadrare lo sviluppo in un senso, indirizzando la concentrazione del lettore su n un determinato soggetto e poi, al momento opportuno, rigettandolo, e fornendo una soluzione del tutto plausibile, anzi di più di quella che si era prospettata sino a quel momento. In questo senso, ecco la particolarità di questo romanzo: se per tutto il suo svolgimento sembra un thriller in quanto la vittima è risaputa e l’assassino pure e quindi l’indagine è solo rivolta a vedere di concretizzare gli indizi e trasformarli in prove schiaccianti, solo alla fine con la soluzione vera, che si allontana in parte da quella prospettata sino quel momento, il detective si distingue in tutto dall’Ispettore Moresby, che neanche stavolta riesce a far tutto da solo bene, e con una impennata, stravolge l’andamento del romanzo, indirizzandolo nel solco del Whodunnit classico.

In più lo stile è scoppiettante, mai prolisso e tedioso. E ancora una volta si afferma la precisione di Berkeley nel ricordare veri fatti di sangue ed inserirli nel contesto del romanzo (L’affare Rainshill: i coniugi Deeming), per renderlo maggiormente vicino al lettore britannico di quei tempi. In più, Berkeley, inserisce nel contesto della narrazione, degli spunti umoristici, che servono a caratterizzare meglio i protagonisti: come quando Sherringham propone all’ispettore che ha giurato di andare via e di non poter perdere altro tempo, di rimanere suo ospite a cena: il solo accenno alla trippa, un piatto per nulla britannico, e molto latino, lo convince invece a mandare al diavolo i suoi impegni:

“La cena, signor Sherringham? Temo di non potermi più fermare per cena, ora per ora…

–          Meadows non la perdonerà mai se non mangia quello che ha preparato..il piatto forte era tripes à la mode de Caen.

–          Cosa sarebbe signore?

–          Trippa.

–          Trippa?

–          Trippa.

–          Johnson può aspettare” (pag. 166).

 

Pietro De Palma

sabato 12 ottobre 2024

F. D. Roosvelt (R.Hughes, H.Adams, A.Abbot, R.Weiman, S.S. Van Dine, J.Erskine)– Le due vite di Giacomo Blake (The President Mystery Story, 1935) – Il Romanzo Mensile N.3 Anno XXXV (dell’Era Fascista) – Marzo 1937

  


In Italia, recependo immediatamente il grande successo americano, il soggetto fu pubblicato su Il Romanzo Mensile N.3 Anno XXXV (dell’Era Fascista) – Marzo 1937. Questa è la versione da me presa in esame, quella originale. Tuttavia, non è l’unica. Infatti, siccome l’ultimo capitolo lasciava la vicenda di Giacomo Blake “appesa” , parecchio tempo dopo, in America, si pensò di darvi una legittima conclusione. Così, nel 1967, il romanzo fu ripubblicato con una introduzione di Arthur Schlesinger Jr. ed un finale postumo, approntato all’uopo da Erle Stanley Gardner (creatore di Perry Mason). Questa è la veste del soggetto tradotto ad A.Ghilardelli e pubblicato nel 1982 da Mondadori nella sua collana, “Gli Oscar del Giallo”. Successivamente le Edizioni Olivares, nel 1993, ne approntarono un’ulteriore traduzione (sempre della versione postuma non originale), affidandola  a T. Guiducci.

Come già detto, l’inizio della storia, La voce dell’altro, che dovesse sviluppare il nocciolo di plot proposto dal Presidente Roosvelt, fu affidato a Rupert Hughes (sceneggiatore e scrittore).

Jim Blake è a capo di una famosa ditta di pratiche legali. E’abbastanza ricco, e ha sposato Ilka Varaska, una sedicente russa espatriata e riparata in Occidente dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Nonostante Jim la ami, tuttavia ben preso i rapporti si incrinano quando risulta che la coppia non è allietata dalla nascita di figli e che la stessa Ilka si rifiuta di adottarne. Per di più Jim, notevole filantropo, mecenate soprattutto di sportivi in erba, poveri e senza prospettive di successo, ne accoglie uno persino a casa sua, un tennista promettente di nome Earle Marshall, che come ringraziamento non solo vive e sbafa senza neanche ringraziare Jim, ma per di più si sbatte la moglie fedifraga, Ilka. Jim non sospetta nulla, ma della tresca è a conoscenza Carlotta Hope, la sua socia dello studio legale, ventiseienne, che lo ama segretamente ma è al tempo stesso conscia del legame matrimoniale che lega Jim ad Ilka, e nonostante sia a conoscenza dei rapporti dei due amanti, non dice nulla a Jim. Ma un giorno, per caso, Jim capisce di essere stato tradito dai due. Pertanto comincia a pensare di rifarsi una vita – visto che la moglie non vuole divorziare – e per questo, innazitutto vuole cambiare voce: pertanto fa ricercare un ventriloquo che gli insegni l’arte di cambiar voce. Questa sua iniziale decisione diventa una certezza quando, approfittando dell’assenza di Marshall, una sera chiama a casa sua la moglie, imitando alla perfezione la voce del tennista, e così apprende con sua grande paura, che i due folli amanti stanno progettando di ucciderlo. Lui vorrebbe sbattere la cornetta in faccia alla moglie ma poi, cambiando voce ed assumendo una dal timbro femminile, le rinfaccia di conoscere quanto lei ha appena detto. Inoltre Carlotta, nonostante lo ami, fà capire a Jim che in realtà ha un suo innamorato, e così quello capendo di non avere più ancore, né la moglie né l’amata, si fissa di non avere altra chance se non quella di fuggire via.

Il capitolo due, La prima vita finisce, affidato a Hopkins Adams (giornalista e scrittore), è in sostanza lo sviluppo della risoluzione di Jim: assume un vecchio attore teatrale perché gli dia lezioni di recitazione; assume come proprio primo modello, per poter applicare i suggerimenti del ventriloquo e dell’attore, un certo Fillinson, suo conoscernte; si fa liquidare cinque milioni in contanti dalla sua banca; prende contatti con il chirurgo plastico Grimshaw chiedendogli, in cambio di 70.000 dollari, di rifargli un’identità facciale; e sbriga ogni giorno fino a notte fonda gli affari dell’ufficio, così da ottenere la massima liquidità possibile. Le sue assenze da casa si fanno così frequenti che la moglie, che aveva abbandonato il proposito di assassinio, spaventata dal fatto che qualcuno al di fuori dell’amante sapesse del loro piano, ma che purtuttavia aveva preso l’abitudine di chiudere la propria stanza a chiave, quando viene a sapere che pure il marito chiude la porta dalla parte sua, si fissa che la cosa accada perché è lui a non amarla più e ciò perché ama Carlotta. Così intima alla socia del marito di dirgli cosa il marito faccia la sera, non ricevendo alcuna risposta e per di più mette in allarme Carlotta, quando questa sa da lei che non c’è nessuna vacanza che Ilka e Jim stiano per iniziare, come invece Jim le ha detto motivando il superlavoro in ufficio. Ritornando in ufficio, scopre la lettera con cui Jim le dà il suo  addio.

Il Capitolo tre, Verso l’ignoto, fu scritto da Fulton Ousler (Anthony Abbot). In pratica Jim Blake chiusa la sua precedente esistenza, sotto il falso nome di Carter, si dirige verso la clinica del dottor Grimshaw, dove trova tanta povera gente ferita, dolente e terrorizzata, che grida, che piange, che si lamenta. E quindi rimane molto scosso: comincia solo ora a capire cosa lo aspetti, ma trovata la  stanza riservatagli, estremamente accogliente, solo quando vi si abbandona, si rilassa. Nei giorni successivi, espone le sue aspettative a Grimshaw che gli chiede un modello. Jim, dopo un’indagine affidata ad una agenzia investigativa, trova un modello perfetto, Frank Carter: una persona che sta per morire, che ha grande reputazione, che non ha parenti, originaria del Canada, a cui Jim chiede di cedergli la sua identità, in cambio di una cospicua somma con cui potrà beneficiare la sorella ed il nipote che non riesce a trovare. Jim viene sottoposto ad una serie di interventi operatori che ne modificano radicalmente l’aspetto, e in più con l’uso di lenti colorate, cambia anche il tono degli occhi. Inoltre tramite un’agenzia specializzata, Jim Blake con la nuova identità di Frank Carter (il vero FranK Carter nel frattempo è morto ed è stato seppellito come Jim Blake) rileva una Ditta di Toronto, “Noble & Scarf” Ltd.  rilevando il 51% delle azioni. Intanto Carlotta, trovando delle indicazioni di Grimshaw, in ufficio, è arrivata in clinica proprio mentre è presente Jim: egli ha paura di rivederla perché teme che lei possa riconoscerlo, ma è Grimshaw stesso che lo convince ad incontrarla perché solo così saprà se l’intervento di plastica è perfettamente riuscito.

Quarto capitolo è L’Alba di Frank Carter, elaborato da Rita Weiman (una famosa sceneggiatrice cinematografica del tempo): Jim incontra Carlotta, ma quando lei lo vede non lo riconosce quindi pensa di avere preso una cantonata; nonostante ciò Jim cerca di consolarla. Avendo capito che l’intervento è perfettamente riuscito, vuole morire del tutto e quindi riesce a prendere contatto con un giovane studente di medicina, oberato da debiti di gioco, affinchè in cambio del saldo dei debiti, gli procuri un cadavere della sua corporatura. La notte prevista, avvenuta la consegna, facendosi forza, Jim ripone i suoi effetti personali su di lui e gli fa indossare i suoi indumenti, poi si mette al volante dell’auto che come Jim Blake aveva lasciato ad un’autorimessa e che lì ha ripreso, e si dirige ad un posto prefissato, lì dove c’è un burrone, dove lancia nel vuoto l’auto finchè di essa e del corpo che contiene non restano solo fumo e cenere. Intanto Ilka, che sapeva dell’auto lasciata da Jim e del tempo in cui lui l’avrebbe ripresa, l’ha seguito ad una debita distanza, fino a che assiste alla sceneggiata ordita dal marito e assiste alla di lui “morte”, rallegrandosi di essere finalmente rimasta sola a godersi la fortuna del marito, col suo amante.

Il quinto e penultimo capitolo fu affidato a S.S. Van Dine: L’imprevisto. Jim Blake prende possesso della sua nuova identità a Toronto e lì si dedica alal sua nuova occupazione, Nonostante ciò sente il bisogno di andare a vedere chi lo pianga al “suo” funerale, accorgendosi di quanto la moglie finga e di come invece sia addolorata Carlotta. Tuttavia un imprevisto scombussola quelli che erano i piani sia di Jim, che avrebbe voluto rifarsi una vita, sia della moglie Ilka che si sta apprestando a godere di quella che ritiene una grossa eredità: la moglie, avvisata del fatto che in realtà della eredità originale rimanga solo la nuda proprietà, che Jim le ha intestato prima di scomparire, con la scusa di facilitazioni fiscali, accusa Carlotta di sapere dove Jim abbia messo i soldi, venendo accusata di rimando di aver ucciso il marito. Infatti Carlotta si è accorta che Ilka è mancata alcuni giorni ed è ritornata proprio in coincidenza della morte del marito. Rosa da questa eventienza, Carlotta si reca alla polizia, dall’Ispettore Markham al quale confessa le sue perplessità, e la velata accusa che Ilka abbia ucciso Jim, sulla base dell’infedeltà manifesta di cui lei era stata  testimone. L’Ispettore ci vuol vedere chiaro e così comunica la sua decisione di voler riesumare la salma, chiedendo al dottor Doremus di apprestarsi ad una autopsia del cadavere. I risultati sono assolutamente sconcertanti: nel cranio della vittima viene rinvenuta una pallottola calibro 5,5. Guarda caso Ilka aveva proprio una pistola di quel calibro a casa sua, ma, sconsideratamente, accusata da Carlotta,  aveva chiesto al suo amante di disfarsene. Ora che la polizia, che sa dell’esistenza di una pistola a casa sua, chiede di vederla, lei non può acconsentire, ed offre quindi su un piatto d’argento la prova della sua presunta colpevolezza. Ilka viene arrestata per omicidio di primo grado e condannata a morte. In attesa di notizie, essendo venuto a sapere che pure la domanda di grazia è stata respinta e che quindi Ilka è avviata alla sedia elettrica, Jim decide di fare marcia indietro e di confessare tutto alla polizia. Per questo, decide di chiamare al telefono Carlotta, che lì per lì, prima di capire che Jim è vivo, pensa di star parlando ad un fantasma.

Il capitolo finale, La prova, fu scritto da John Erskine, un grande scrittore del tempo. Jim non vede altra alternativa che coinvolgere Carlotta nel suo tentativo di salvare Ilka, nonostante ella non sia una “stinco di santo” e abbia tentato di ucciderlo in passato. Ora si confessano vicendevolmente e finalmente Jim ha la prova dell’amore di Carlotta perché lei butta al vento ogni remora. Il tentativo per salvare Ilka non può che far capo al Governatore dello Stato di New York, il quale, solo lui, può annullare la sentenza capitale. Jim e Carlotta lo vanno a trovare e nonostante egli dubiti fortemente che quella persona, così diversa fisiognomicamente sia Jim, che egli ha conosciuto personalmente in passato, conunque, sulla base di ricordi comuni, che Jim gli rivela, acconsente all’estrema richiesta che gli viene formulata: l’unico che possa riconoscere Jim, lui ne è sicuro, è il cane, Tinker, che giace malato presso il suo casolare. Il guardiano, Patrick, come il Governatore, non riconosce Jim anzi si mostra decisamente indisponente, ma quando viene a sapere che quello sconosciuto vuol vedere Tinker e sa come si chiami, rimane sbalestrato: Tutti lo chiamano per nome ma il cane non risponde; ma quando Jim lo accarezza come solo lui sapeva fare, il cane in un ultimo guizzo di vita, si alza, lo lecca per poi accasciarsi senza vita. Solo a questo punto il Governatore crede alla storia di Jim e dà ordine di annullare la sentenza capitale. Jim si aspetterebbe di venir inquisito, ma anche qui vi è un imprevisto, questa volta a suo favore: il Governatore gli comunica che nessuno gli farà nulla, e che non ha da temere nulla, neanche da Ilka, visto che si è scoperto come la stessa non fosse affatto vedova, prima di sposarsi con Jim, ma avesse ancora il proprio vero marito vivo e vegeto a Varsavia: quindi il suo successivo matrimonio non è valido, e lei potrebbe essere accusata di bigamia. Solo allora Jim e Carlotta si baciano e finisce con un Happy End il romanzo.

E’ evidente, leggendo la storia, che scrivere a dodici mani non è la stessa cosa che scrivere da soli: è estremamente più difficoltoso, perché ciascun o deve imbastire la propria storia sulla base di quello che ha scritto quello prima di lui; tuttavia la storia non ha mai un andamento costante, ma ha alti e bassi. Con tutta franchezza i capitoli più entusiasmanti sono il primo, il quarto, il quinto e il sesto, cioè quelli scritti da scrittori di professione, o da sceneggiatori cinematografici: sono i capitoli che hanno un respiro più ampio e posseggono indubbiamente un piglio e un taglio assolutamente spettacolari. In particolare, il quarto, il quinto, e il sesto sono in assoluto i migliori, perché danno una sterzata al romanzo, che fino ad allora sembra una storia di appendice, trasformandolo in un thriller atipico in cui il morto è tale per opera di ignoti e il fine è quello di salvare la vita ad una assassina potenziale da parte di chi, essendo una persona buona, non può vivere col rimorso di aver mandato a morte chi in effetti non l’aveva ucciso, Si noti come Van Dine usi dei suoi personaggi della serie di Philo Vance: il dottor Doremus e Markham che qui è un Ispettore mentre lì è un Procuratore Distrettuale, come se avesse fatto carriera, laureandosi in legge. Comunque sia, magistrale è l’invenzione della finta morte con un cadavere preso in prestito, come pure magistrale è l’invenzione del proiettile nel cranio del cadavere preso in prestito, che determina l’accusa di omicidio di primo grado. Infine, il finale ha un peso letterario molto ampio ed è teatrale: il cane che riconosce il suo padrone. Dico che ha un peso letterario non di poco conto, perché mi pare che il finale ripeta esattamente un altro celeberrimo ritorno a casa, in uno dei Poemi più famosi in assoluto: l’Odissea. Anche lì Ulisse, badate bene, sotto mentite spoglie, sotto cioè un aspetto che non è il suo, come accade per Jim, si presenta a casa sua ma nessuno lo riconosce: così come Patrick, il guardiano del suo casale nei confronti di Jim, così Eumeo non riconosce Ulisse. Ma in tutti e due i casi è il cane che riconosce il padrone, seppure si presenti sotto mentite spoglie: Argo riconosce Ulisse, Tinker riconosce Jim.

E Roosvelt? Mah. Sicuramente fu migliore come Presidente che come scrittore di polizieschi. E anche se questo viene chiamato Il romanzo del Presidente, The President Mystery Story, in realtà converrà con me chi mi legge che il suo contributo fu assolutamente irrisorio, anche se il fine ultimo fu grande: si mise a punto un progetto per aiutare i bambini affetti da paralisi, che opera ancor oggi.

In quanto all’edizione italiana, mi vien da dire una cosa: la traduzione del testo è una delle migliori per resa in italiano che io abbia mai potuto vedere, tanto più se si pensa che risale al 1937, e la sua resa è in tale italiano fluido che si potrebbe pensare sia risalente a questi giorni; inoltre, individuo una caratteristica peculiare: in quei tempi, si tendeva a italianizzare tutti i nomi stranieri possibili, ma in questo testo assistiamo ad una procedura singolare: non so se per precisa decisione editoriale o per una presa di posizione rispetto alle direttive centrali e politiche dell’editoria, si tende a conservare dei nomi stranieri la formazione originaria: Franco Carter, viene indicato come Carter in tutto il romanzo per non indicarlo come Franco; Carlotta come Carlotta; Patrick come Patrick; “Giacomo (detto Jim)” Blake, viene indicato come Jim per tutta la durata del romanzo, invece che come Giacomo; Earle è Earle; Ilka è Ilka. Insomma, è la prima volta che mi trovo dinanzi ad una evenienza del genere ed è per questo che l’ho fatta notare.

Al di là del testo in sè per sè, comunque, il giallo può essere visto, come un Giallo nel Giallo, ad uno strato più profondo: Schlesinger Jr. nella prefazione all’edizione del 1967, avanzò l’ipotesi tutta da provare, ma suggestiva e secondo me assai verosimile, che il soggetto  inventato dal Presidente non fosse stato altro che la proiezione di se stesso secondo la tesi di Sigmund Freud secondo cui  i racconti, come i sogni, “possono essere una proiezione, la rivelazione di un processo interiore e cosi’ svelare qualche particolarita’ insospettabile del narratore”. Secondo questa ipotesi il preteso cambiamento di identità del ricco Jim Blake, sarebbe stato specularmente il cambiamento di identità del Presidente Roosvelt: anche lui appartenente all’Alta Borghesia,  disprezzava la classe sociale da cui proveniva . E sognava un’altra vita che si materializzò nella scelta politica. Cioè con altre parole “hating the falsity of his existence, the meaninglessness of his career, the sameness of his middle-aged routine, the absence of purpose and the boredom with his marriage”.

Pietro De Palma

giovedì 10 ottobre 2024

F. D. Roosvelt (R.Hughes, H.Adams, A.Abbot, R.Weiman, S.S. Van Dine, J.Erskine) : The President Mystery Story, 1935


 The President's Mystery Story da Roosevelt Franklin D: Very Good (1936)  First UK Edition. | Lavender Fields Books PBFA

 

 

Il Presidente degli USA Franklin D. Roosevelt fu sempre un grande consumatore di libri polizieschi. Un suo amico personale era Fulton Ousler che con lo pseudonimo di Anthony Abbot aveva scritto alcuni romanzi vandiniani. A lui, come ricordava lo stesso Ousler, direttore di Liberty, un grande Magazine dell’epoca, Roosvelt quando era ancora Governatore dello Stato di New York, aveva detto: “A good detective story,” he remarked at that time, is the answer to Lowell’s question, ‘What is so rare as a day in June?’ Hundreds of such novels are published every year, but only a few are really worth the time and attention of intelligent readers. Even in the good ones there is often a sameness. Some one finds the corpse and then the detective tracks down the murderer. I do not believe that such stories have to follow an inevitable pattern or formula”

In altre parole, Roosvelt contestava il fatto che su centinaia di romanzi solo pochi fossero buoni e all’interno di essi non è detto che il meccanismo del plot fosse sempre originale. Tempo dopo, quando già era diventato Presidente (il primo mandato 1933-1941), allo stesso Fulton Ousler che gli chiedeva se avesse mai pensato di scrivere lui un poliziesco originale: “Then why haven’t you written it? You seem to find the time for everything else”, il presidente Roosvelt rispose che non avrebbe trovato il tempo per farlo anche se un’idea base l’aveva: solo che non riusciva a trovare una soluzione al suo plot: “Well, I haven’t had the time for that,” he protested. “But there’s another and even more important reason — I can’t find the solution to my own plot! And I’ve never found any one else who could solve it, either.”

In pratica l’idea base era quella di un uomo in possesso di sei-sette milioni di dollari che per una ragione importante intende scomparire rifacendosi un’altra identità ma eliminando ogni possibilità che egli possa essere rintracciato sulla base dell’enorme quantità di soldi posseduti: “All right!” he exclaimed. “You brought it on yourself. Here in a nutshell is the idea. The principal character in my story is a man of considerable wealth. Perhaps he has six or seven million dollars tied up, as such fortunes naturally are, in a variety of investments — stocks, bonds, and real estate. My millionaire is not an old man — just over forty and wise enough to feel that his life is only beginning. But he’s tired, fed up with his surroundings and habits. Perhaps, too, the sameness of his middle-aged routine has begun to wear him down. Furthermore, he is disheartened at the hollowness of all the superficial friendship surrounding him. The men at the club smile and slap him on the back but they go away to do him in the eye. Finally he has an ambition, a dream….Yes, my man plans to disappear. His purpose in vanishing from the scene in which he has played an important and successful part is twofold. First, he wants to find a new world for himself, one in which he will no longer be bored. He wants to start life afresh — he’s finished with his present career because he feels he has exhausted its possibilities. Second, and equally important, that dream he has — he would like to make a certain experiment in some small city where, in his new identity, he will not be recognized. To carry out this laboratory experiment, which if successful would become nation-wide and benefit all the people, he will need five million dollars. The dream will cost money, you see, and moreover he feels that he has a right to live well and enjoy, in his new environment, the fruits of his labors in the old. In other words, he wants to vanish — but he wants his money with him when he goes.

In pratica, come fa un uomo a scomparire con cinque milioni di dollari in un qualsiasi modo e non poter essere rintracciato? Nell’espressione di Roosvelt : “How can a man disappear with five million dollars in any negotiable form and not be traced?”.

A questo problema, lui, il presidente per anni aveva cercato di dare una soluzione senza riuscirvi. Così chiese a Ousler come lui avrebbe fatto. Ousler vi provò e riprovò, ma per quante soluzioni egli trovasse (ne trovò in realtà tre), il suo Presidente le smontava. Così un bel giorno Fulton gli propose una sfida: “Suppose,” said to the President one evening, “that we were to ask several leading story writers of the United Stales to solve this problem — S. S. Van Dine, Rupert Hughes, and other names of equal distinction. Why could they not all collaborate on a mystery story in which your problem is dramatized in the person of a man faced with this predicament? I believe that the problem could be solved. I believe these men and women are smart enough to solve it. And even if they can’t, I believe the readers of Liberty can”. In sostanza gli proponeva di sfidare alcuni degli scrittori più in vista in quegli anni a risolvere il problema, cioè a drammatizzare il plot del presidente, creando una storia in cui quel quesito avrebbe trovato una sperimentazione valida, che sarebbe stata pubblicata a puntata proprio su Liberty, e che sarebbe stata votata dai lettori.

Il Presidente ne fu entusiasta e gli diede carta bianca: “That would be fun! Go ahead. The idea is yours — and theirs. See what you can all do with it.”.

Così Ousler provide a chiamare alcuni dei suoi colleghi più rinomati ed ad affidare a ciascuno il capitolo di quello che sarebbe dovuto essere “Il romanzo del presidente”. Gli scrittori chiamati (che accettarono entusiasticamente) ebbero ciascuno  una delle sei parti del romanzo. L’inizio eccitante del romanzo fu affidato a Rupert Hughes, il secondo capitolo a Samuel Hopkins Adams, mentre nelle successive uscite (le varie parti furono pubblicate settimanalmente sul Magazine di Ousler, Liberty), Abbot (lo stesso Ousler), Rita Weiman, S.S. Van Dine e John Erskine svilupparono la storia fino alla conclusione.

Dopo essere stato serializzato sul Magazine (1935), lo stesso fu pubblicato come romanzo (1936) preceduto da una Prefazione dello stesso Fulton Ousler che spiegava la genesi del lavoro, e i diritti furono concessi all’industria cinematografica: se ne fece  un film nel 1936,  diretto da Phil Rosen e interpretato da Henry Wilcoxon (nella parte dello sfortunato Jim Blake) l’attore che interpretò il ruolo di Marc’Antonio nel Cleopatra di Cecil B. DeMille .

Il successo fu clamoroso per l’epoca, e, come ricorda lo stesso Ousler, egli e i suoi colleghi rinunciarono ai compensi editoriali devolvendo il ricavato della vendita del libro e del film al grande progetto del presidente di una fondazione il cui scopo fosse quello di alleviare le cause della paralisi infantile (lo stesso F.D. Roosvelt era stato colpito già adulto da quella che al tempo fu definita una forma di poliomelite e che invece era la Sindrome di Guillain-Barré-Strohl, una radicolo-polinevrite acuta, con paralisi degli arti prima inferiori e poi superiori): “And finally, in appreciation of the fact that we are using without recompense a plot which was originated by Franklin Delano Roosevelt, we are, without the knowledge or consent of the President, turning over any or all moving-picture and book-publication rights to the Georgia Warm Springs Foundation, Inc., to help carry on the great work inaugurated by the President for the alleviation of infantile paralysis.”

Pietro De Palma

P.S. Alcuni testi in americano sono tratti dal sito di Liberty : http://www.libertymagazine.com

1 – continua