Immagino
che parecchi abbiano capito che Rufus King è uno di quegli scrittori
che mi piacciono molto. E non solo perché sapeva scrivere molto bene
(era uno scrittore nato), ma anche perché è uno di quegli autori, che al
suo tempo furono osannati, e poi altrettanto rapidamente, dimenticati.
Ma se per altri autori, la cosa si può anche comprendere, nel caso suo,
diventa un enigma: perché fu dimenticato?
Rufus King probabilmente io penso ( e l’ho anche
scritto nel mio saggio pubblicato anni fa sul Blog Mondadori) nei
primi quindici anni della sua produzione, fu un autore altamente
originale, tanto da essere copiato o almeno preso a modello, ma poi pagò
il dazio ad altri autori nel frattempo saliti agli onori delle cronache
librarie, mutando il tenore delle sue storie e conformando i
suoi personaggi a caratteristiche altrui.
Siccome però sono tendenzialmente un romantico, amo
ricordare chi è stato dimenticato, secondo me non a ragione: e quindi mi
piace ricordare anche Rufus King.
Murder By Latitude, è ricordato da molti,
come uno sei suoi romanzi più caratteristici ed emblematici: alcuni vi
hanno ravvisato alcune caratteristiche, tipiche di un’opera gay. Su
Rufus King, non si sa nulla perché era talmente riservato che, al suo
confronto, Derek Smith, altro scrittore le cui notizie biografiche sono frammentarie, “era conosciutissimo”. Anche
le sue foto sono poche.
La riservatezza che permea le sue informazioni biografiche probabilmente era una conseguenza della sua volontà di non lasciar trapelare nulla che potesse in qualche modo ammaccare la sua vita. Col tempo, degli articoli di critica in USA hanno contribuito a squarciare il velo che circondava la sua vita e la sua opera, rivelando come Rufus King dovesse essere gay. Infatti di indizi in tal senso ve ne sono a iosa e non starò
ad elencarli. Fatto sta che
caratteristiche del genere (amicizie virili, ma non tanto) sono citate
nel romanzo a più riprese per diversi personaggi maschili, anche se la
più riconoscibile è quella tra Gans e Swithers (ma vi è quella accennata
anche tra un personaggio e un marinaio di sala macchine).
Al di là di questo il romanzo ha quella
caratteristica che è peculare di Rufus King: l’uso sapiente della
tensione, che si insinua dapprima, poi diventa palpabile ed infine
spasmodica, con finali sorprendenti e mai scontati. Anche qui, la
suspence la fa da padrona.
Gans, il radiotelegrafista (il marconista del tempo
avremmo detto) è trovato ucciso, a bordo del Piroscafo “Florida”:
perché mai so dovrebbe uccidere un marconista? Per evitare che possa
passare un dispaccio della massima importanza, al Tenente Valcour, della
Polizia metropolitana di New York, a bordo anche lui, assieme ad altri
passeggeri. Si è imbarcato perché, anche se non ne ha i connotati
fisici, lui e altre autorità di polizia sanno che tra i passeggeri c’è
l’assassino di Larry Lane, un riccone, ammazzato nella toilette di un
locale notturno di New York e derubato. Il killer ha anche ferito
gravemente l’amico di Lane, che però è sopravvissuto e ha contribuito a
fare l’identikit e sottolineare i dati fisici del suo assalitore. Ora il
killer è a bordo del Florida, perché vuole arrivare a Cassie Poole,
ricca signora del bel mondo, precedentemente sposata in prime nozze
proprio a Lane: Cassie dopo aver divorziato da Lane ( e da altri), si è
risposata con Ted, un uomo molto più giovane di lei, conosciuto in
spiaggia. Il killer vuole ucciderla? La ucciderà davvero? Ma perché?
Si scoprirà che Cassie ai tempi del suo primo
marito, aveva adottato per breve tempo una bambina, Toody, che poi
aveva, all’età di nove anni, ripudiato, assieme alla zia, pur versando
un assegno annuale.
C’è un testamento che Cassie non avrebbe dovuto
fare, a favore del suo nuovo marito, che impone al killer di renderla
vedova, per rendere nullo l’ultimo testamento, ed invece re-invalidare
il precedente. A Valcour spetta una delle indagini più difficili della
sua carriera: scoprire l’assassino, in mezzo a falsi sospetti, a
sparizioni strane di oggetti (un ditale d’argento, un lungo ago e delle
forbicine da ricamo calamitate, della pece), a reticenze, tra
contrabbandieri di gioielli e falsi personaggi identificati, mentre il
piroscafo è abbandonato a se stesso, in mezzo al mare.
Il finale è veramente a sorpresa: per certi versi, è molto simile al finale catartico di Il Caso dei Fratelli Siamesi,
di Ellery Queen, altro autore (due cugini) vandiniano, come Rufus King.
Alcuni critici sostengono (io penso che possano aver ragione) che il
nome Queen potrebbe essere la risposta a King (Rufus. Daly sarebbe
venuto più in là). Del resto Rufus King non si sa nemmeno poi del tutto
se abbia seguito di poco, con il suo primo personaggio, Reginald De
Puyster, il Philo Vance di Van Dine, o se da questi sia stato copiato,
tanto contemporaneamente i due uscirono nel 1926.
Nel romanzo dei Queen, Ellery ed il padre sono in
una villa, dove si consuma un’oscura tragedia, che si trova in cima ad
una sporgenza montuosa, mentre al di sotto le fiamme divorano i boschi e
sono lì quasi per aggredire la casa; qui i personaggi sono su un
piroscafo che si trova in mare, che è isolato in mare (perché il
marconista è morto), e il cui timone è stato danneggiato e la cui
strumentazione (la bussola) è stata volutamente alterata, in modo che
vada alla deriva, sino a che non si infrangerà sugli scogli: qui il
finale catartico è lo schianto sugli scogli (che consente al piroscafo
di incagliarsi), mentre fino a quel momento ci si è interrogati
(Valcour, il capitano Sohme e..il lettore) sul perchè il cielo che
dovrebbe mostrare la rotta, non è quello solito: le stelle non sono
quelle che il capitano ha visto tante altre volte; lì era la pioggia che
salvava la villa dal fuoco, che per tutto il romanzo aveva fatto da
sfondo sempre più presente, al dramma della villa. In entrambi i casi, i
personaggi dei drammi si salvano; in entrambi i casi, gli assassini si
suicidano.
Non si capisce chi possa essere l’assassino o
l’assassina (è la grandezza dello scrittore), sino a pochi righi dalla
fine, perché Rufus King, nasconde e dissimula a suo piacimento gli
indizi, generando tensione, modificandola e accrescendola, attraverso
svariati interventi: per esempio quando fa notare ad uno dei personaggi,
come Dumarque insolitamente per la sua altezza, porti i tacchi alti. I
capitoli sono volutamente assai brevi, così da fratturare a più riprese
il discorso; vengono presentati volutamente dei falsi sospettati, così
marchianamente da far più volte riflettere: ma perché lo fa? Se davvero
lo sono, perché li fa già scoprire? E se non lo sono, perchè li
evidenzia?
L’omicida è un grande attore, ha una volontà forte,
generata dall’odio, dal risentimento e dall’avidità. E quindi il finale
sarà tragico.
E vengono presentati degli oggetti trafugati,
alcuni dei quali vediamo che hanno attinenza con uno degli assassini, ma
altri no: a cosa servono? Servono a generare tensione, perchè
porteranno a degli imprevisti della trama, che agiranno da sfondo
all’azione vera e propria.
Prima l’assassino è uomo, poi si sa che è donna,
poi che potrebbe essere una donna travestita da uomo, poi altro; prima
si dice che l’asssino quando era bambino era bambina e stava con una
nutrice, poi che la nutrice era sua zia, poi che questa somiglia
stranamente ad un certo personaggio della rosa dei sospettabili, poi..
insomma una serie di falsi sospettabili che generano scompiglio.
Mani affusolate maschili, mani e torsi villosi
virili, amicizie etero e gay, uomini dal viso femmineo, donne dalle
espressioni dure maschili, uomini che usano tacchi alti, come le donne:
si potrebbe dire che questo romanzo, sia un classico dell’ambiguità.
Per certi versi, la nave isolata in mezzo al mare,
su cui sono perpetrati due omicidi (il secondo, quello con l’ago,
richiama di nuovo un Ellery Queen della serie di Drury Lane, solo che lì
l’ago è intinto nel curaro mentre qui è inserito a forza nella nuca e
spezzato dentro), prefigura una specie di Camera chiusa allargata; e gli
elementi che si scatenano sul mare, se accelerano la tensione, servono
anche a isolare l’azione a bordo della nave, e a impedire che
l’assassino possa mettersi in salvo (assieme agli altri, s’intende). E
la presenza di latitudini diverse, ognuna a intitolare un diverso
capitolo, sta a significare che la nave pur muovendosi, è indiduabile
solo a mezzo del calcolo della latitudine e non già attraverso altri
mezzi, per cui propriamente è isolata in mezzo al mare. Il ricorso alle
varie latitudini, serve anche a concentrare ancor più l’attenzione del
lettore sugli eventi a bordo del piroscafo. Del resto il tiolo originale
del romanzo è Murder By Latitude. Questa simbologia tuttavia,
che nell’edizione delle Palmine , esisteva, successivamente è stata
abbandonata, come spesso accaduto nel passaggio da I Libri Gialli a
ristampe Mondadori posteriori; e anche nel romanzo in edicola in questi
giorni (maggio 2012), manca, secondo me, in maniera inappropriata.
Per il resto…un capolavoro.
Pietro De Palma
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