La mia biblioteca è impressionante. Me ne sto
accorgendo giorno dopo giorno. Nella follia di possedere più gialli che possa,
talvolta ho comprato dei libri che potevo evitare, molte volte ho comprato
libri fondamentali, ma è accaduto più volte che abbia comprato dei libri di cui
mi sia scordato. Questo è il destino di chi ne tenga moltissimi e per di più
abbia poco spazio dove tenerli.
E’ andata così che per creare spazio utile a
sistemare altri lbri o cd di musica classica, mi sia accorto di due romanzi che
erano lì da tanto tempo (che avevo comprato in una fiera di remainder’s) e che
non avevo letto; e che abbia preso in mano il libro, “Un crimine troppo perfetto” e abbia letto il nome dell’autore “Mary
London”, sicuramente uno pseudonimo. Chi mai si chiamerebbe Mary London
oggigiorno? Brevi notizie biografiche sul risvolto della copertina: figlia di un diplomatico britannico, nata al
Cairo nel 1931. Studi a Londra, Chicago e Parigi, docente di storia delle
religioni a Eton. Primo romanzo nel 1986. Insomma…nulla.
Ho cinquantatre anni ma non sono bacucco. Le notizie
avevano un che di costruito, e per di più avevo il fondato sospetto che si
trattasse di pseudonimo. Ho chiesto ad un amico, e lui mi ha detto che dal
repertorio degli pseudonimi degli autori che lui possiede non risultava nulla.
Lui ha il repertorio inglese, si badi bene. Quindi o era come diceva lui, un
romanzo di altro autore che era stato per l’occasione accreditato a codesta
Mary London per aggirare il copyright dei diritti di autore, oppure era
pseudonimo di autrice o autore di altra lingua che non fosse l’inglese. Certo è
che però il tentativo era stato creato con arte, visto che oltre che costruire
un falso nome (uno pseudonimo) si era anche creata una falsa identità, e
addirittura si sono intitolati i romanzi con titoli inglesi: in questo caso…The murder was too perfect.
Così ho cominciato a fare ricerche in lingua
straniera e così mi sono imbattuto nel reale autore, un francese: Jean-Paul
Frédéric Tristan Baron conosciuto
come Frédérick Tristan, nato effettivamente nel 1931 ma a Sedan , un
letterato e poeta, che ha insegnato anche iconologia paleocristiana, ma che ha
scritto prevalentemente romanzi e saggi, ha vinto premi anche importanti tra
cui il Prix Goncourt, in sostanza il premio letterario più prestigioso in
Francia, molto più del Campiello; sotto altro pseudonimo ha scritto anche
poesie. E poi dal 1986 al 2006 ha scritto romanzi polizieschi sotto lo pseudonimo
di Mary London.
Sfatiamo altri giudizi. Su
Anobii gode di pessima reputazione: i commenti sono tutti o quasi negativi (2 arrivano
per bontà alle tre stelle, 1 alle due, 3 hanno addirittura dato una stella: quindi
sarebbe un autore piuttosto mediocre, anzi scadente). Altrove si fanno
riferimenti e paragoni con Agatha Christie come se chi avesse letto le opere della
scrittrice inglese fosse in grado di esternare giudizi di massima, altri non
hanno neanche detto per quale motivo abbaino dato un giudizio così negativo. E’
facile stroncare. Più difficile dire per quale motivo si sia dato un giudizio così negativo.
A me il romanzo è piaciuto. E' stato pubblicato nel 1998.
A me il romanzo è piaciuto. E' stato pubblicato nel 1998.
Il protagonista è Sir
Malcolm Ivory un aristocratico che aiuta la polizia a districare le matasse più
ingarbugliate. Il povero poliziotto che ricorre a lui è l’Ispettore Forbes di Scotland
Yard. In questo caso tutto nasce da una sfida lanciata al Sir da un altro Sir,
Peter Greenway, avvocato famosissimo, esperto di diritto internazionale, con
molti studi referenziati. Costui lo sfida a venire a capo di un delitto
perfetto che sarà commesso di lì a tre mesi. Il prezzo della sfida? Pag.32 di
un’opera di Walpole che Sir Ivory sta cercando disperatamente in quanto
collezionista di libri ed esperto. Dopo tre mesi, quando non ricorda più nulla,
riceve un invito di Greenway in cui lo si invita ad una conferenza tenuta dallo
stesso. Il cui oggetto interessa Ivory. Nel corso della conferenza si viene a
sapere che il genero di Greenway, James Thompson è stato assassinato.
Prende via l’inchiesta in
cui Sir Ivory ha una grande parte perché il suo amico non sa che pesci
pigliare: si tratta di grandi famiglie aristocratiche (quella di Greenway risale
al XV secolo, ma lui è sposato con Hillary erede di un grande patrimonio
immobiliare) e quindi bisogna andare coi piedi di piombo. Per di più in questo
caso, tutti ma tutti i personaggi coinvolti hanno alibi inattaccabili, all’apparenza:
Sir Peter stava tenendo la conferenza, Hillary era ad un concerto barocco, la
figlia Jane stava ricorrendo alle cure del suo psichiatra a Londra accompagnata
dal maggiordomo Thomas, il segretario di Sir Peter, considerato un secondo figlio,
era alle prese con una riunione di condominio a Londra, persino la cameriera era
in giro per far compere e risuolare gli stivali di Sir Peter. Insomma nessuno
di loro può avere ucciso James. Il fatto è che però uno deve essere stato per
forza a patto che non si pensi all’incarico dato ad un sicario; tuttavia la
natura di alcuni particolari che un sicario non può sapere (mancano le pagine
dell’agendina e dell’agenda di James relative al giorno dell’assassinio 16
agosto) perché dovrebbe ignorare dove siano state messe, rivela come il delitto
si sia maturato in famiglia ed ivi consumato. Tuttavia un altro accidente
complica maledettamente il quadro già criptico della vicenda: la vittima è
morta per un bicchiere di whisky avvelenato con una forte dose di stricnina, ed
dopo che era morto è stato pugnalato, come se l’assassino volesse accertarsi di
avere consumato il suo compito. Oppure nasce da altro motivo: voler accreditare
la pista che l’assassino non possa essere uno dei personaggi della vicenda, perché
il whisky poteva essere stato avvelenato precedentemente (e allora chiunque
potrebbe esserne il responsabile) ma nessuno avrebbe potuto pugnalare James all’ora
stabilita dal medico legale, che è quella poi reale. E niente esiste come
prova, tranne la dose di stricnina ingerita e la ferita da stiletto nel cuore, perché
il bicchiere e il whisky usati per uccidere e lo stiletto, sono spariti.
Parte quindi il tentativo
di Ivory di svellere i vari alibi inattaccabili, prima verificandone le
impostazioni, poi facendo fare indagini sui singoli personaggi e ricavando in
ultima analisi come tutto riporti l’attenzione a Greenway che è evidentemente
il mandante, e che ci debba essere tra i vari personaggi uno che debba essere
stato per forza il sicario: quindi si procede a verificare gli alibi, e a
conoscere anche gli aspetti più intimi dei personaggi. Si ricava così la
certezza che il movente è stato l’infertilità della coppia James-Jenny, il
primo un impotente dipinto come un omosessuale senza esserlo, educato in maniera
distruttiva da una madre troppo egocentrica ed egoista, figlio di un padre
troppo duro sempre assorbito nei suoi affari legali (anche Sir Thompson suo
padre è l’avvocato più in vista di Londra); la seconda, una donna vissuta in un
mondo fantastico di amore spirituale perché violentata in età infantile e
incapace a relazionarsi sessualmente anche a suo marito.
L’assassino è il più insospettabile,
anche se nella sua natura, l’autore francese svela la sua aderenza a clichè
vecchio stampo. Anche vecchio stampo è il soggetto, non certo Agatha Christie,
da cui si son prese le mosse, semmai quel Crofts, grandissimo autore inglese,
fondatore assieme alla Christie della Golden Age del Giallo, inventore di trame
basate su alibi inattaccabili all’apparenza ma che poi con una puntigliosa
indagine, si riesce a demolire.
Interessante è la
struttura del romanzo che è un ibrido, ricorrendo alla fusione di due generi
diversi: sembrerebbe il thriller (perché si sa che avverrà un omicidio) ma in realtà è una “inverted story” (perché il
mandante si sa già chi è) ed è un mystery allo stesso tempo, perché se si sa
già come Greenway sia il mandante e il regista di questo delitto, si ignora chi
possa essere stato il suo attore principale, il sicario che ha dato la
pugnalata al cuore e che si scopre solo nelle ultime pagine del libro.
Gli accenni alla natura
larvatamente omosessuale di James, ai mezzi per ovviare alla sua impotenza, ai
mezzi per ovviare alla impossibilità di un rapporto carnale completo con la
moglie per avere un figlio, rivela come il romanzo sia stato scritto abbastanza
recentemente (circa una ventina di anni fa), seppure con uno stile molto
arioso, sobrio, che si legge assai facilmente, merito anche di una traduzione
azzeccata.
Nonostante ciò ci si
immerge in atmosfere tipicamente britanniche. Ma gli autori e i detectives che
si è preso a riferimento sono molteplici. E’ chiaramente, assai chiaramente un’opera
manierista: già il fatto che il detective sia un aristocratico colto rivela
come Tristan abbia guardato non solo a Crofts per il plot, ma anche almeno a
Sir Peter Whimsey di Dorothy Sayers, e più ancora a Philo Vance, per l’essere esperto
di più arti, mentre il domestico orientale lo collegano a Ellery Queen (che
aveva il filippino come domestico), i paradisi cinesi e le letture del
Giudice Ti lo collegano a Van Gulik. Insomma…
Un’ultima nota: a metà
libro si ha netta la sensazione, ed è quella che ho avuto io, che il killer
possa essere Serge Leblond. Egli risponde a tutte le caratteristiche: è il
segretario privato di Peter Greenway, è stato adottato da lui alla fine della
seconda Guerra Mondiale, è laureato in legge e in lui Sir Peter ripone la
massima fiducia e grandi speranze, Lady Hillary lo considera suo figlio : perché
non potrebbe essere lui il sicario? Quale possibile vantaggio ne avrebbe
ricavato? Magari la possibiità di risposare Jane e assicurarle la progenie. Ma
Serge, che sembra essere anche collegato ad un tema molto caro nel giallo
inglese, se l’autore lo fosse, sarebbe potuto essere per esempio non il Leblond
che vogliono farci credere ma un figlio illegittimo di Sir Peter, il cosiddetto
erede non riconosciuto che ritorna. Ma Tristan non è inglese, è francese:
Leblond è veramente un orfano, e non è neanche l’assassino che si potrebbe
pensare che potesse essere. Semmail lui è il movente di fondo per eliminare James. No. L’assassino è un altro. Se vogliamo il meno
contemplabile, eppure quello che secondo una certa ottica non potrebbe che
essere.
Un bel romanzo in ultima
analisi.
Peccato che l’esperimento
Armenia sia finito troppo presto, dopo aver pubblicato solo un altro romanzo,
per di più una Camera Chiusa, “L’uomo che
morì due volte”, La
double mort de Thomas Stuart, secondo romanzo ad
essere stato scritto ma primo ad essere stato pubblicato nel 1998, che nel
titolo (solo nel titolo) rivela la filiazione da un altro romanzo pure di un
francese, La double mort de l’ispecteur
Belot, di Claude Aveline.
Pietro
De Palma
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