martedì 28 maggio 2024

Rufus Gillmore : Il letto d'ebano (The Ebony Bed Murder, 1932) - trad. Gian Matteo Montinari. I Bassotti, Polillo, N.51, 2008

 


 

Rufus Gillmore è un autore avvolto da una nube di mistero. Si sa che fu un giornalista, ma assai poco si conosce della sua vita. Talmente poco, che alcuni storici della letteratura poliziesca come Anthony Boucher o Howard Haycraft, non avevano mai letto sue opere e ignoravano chi fosse. Tutto questo però ha un certo perché: infatti Gillmore pur avendo cominciato a scrivere romanzi a 33 anni – ne scrisse tre in due anni: The Mystery of the Second Shot (1912), The Opal Pin (1914) e soprattutto The Alster Case (1914) che pare sia una parodia di The Leavenworth Case (1878) di Anna Katherine Green – ben presto smise di scrivere e per vent’anni fece altro, per ricominciare, e consegnare alla storia del genere la sua quarta e ultima opera, The Ebony Bed Mystery, nel 1932. Tre anni dopo morì.

Il Letto d’Ebano narra di un delitto celebre, da cui ne derivano altri. Luogo del delitto è la casa di una chiacchieratissima donna newyorkese, prima ballerina, poi arrampicatrice sociale, Helen Brill Kent: nella sua camera da letto, chiusa dall’interno, è stata trovata uccisa da un colpo di pistola in bocca. Sembrerebbe un plateale suicidio, se non fosse poi omicidio, uccisa sul tappeto e da lì poi  messa sul letto.

Ad occuparsi dell’omicidio è il Procuratore Hutchinson, coadiuvato dal Sergente Mullens. Entrambi inizialmente propendono per il suicidio, ma dopo che il deux ex machina del romanzo e detective dilettante Griffin Scott, già pubblicitario affermato, dimostra trattarsi di omicidio, cambiano oggetto del loro insistere, accusando di omicidio Dotothy Vroom, sorellastra della vittima. Griffin è coadiuvato a sua volta dal giornalista Rufus Gillmore, che si è guadagnata la sua fiducia, essendo riuscito a risalire alla sua vera identità e avendo scoperto il suo rifugio newyorkese.

Nella casa della vittima hanno vissuto fino alla morte di Helen, sua madre la Signora Vroom e la sorellastra Dorothy Vroom, oltre che l’unica figlia di Helen, Ethel Cushing. 4 donne. E da donne era formata la servitù. Ma la sera in cui era avvenuta la tragedia, era avvenuta una lite furibonda anche con gli altri appartenenti alla famiglia: Jesse Brill, padre della defunta; Cleveland Brill fratello maggiore e Napoleon Brill fratello minore. Soprattutto con Jesse e Napoleon, due parassiti della peggior specie. Cleveland sembra essere diverso: più fanatico degli altri membri della famiglia,  attaccatissimo ai valori cristiani tanto da essere diventato capitano dell’esercito della salvezza, disprezza il danaro della corrotta sorella defunta e vorrebbe semmai utilizzarlo per beneficenza. E come si scopre poi, sia Jesse che Napoleon avevano delle copie delle chiave della stanza, ed entrambi, creati dei falsi testamenti della defunta, cercheranno di accreditarsi come unici eredi della fortuna.

Ma intanto, Dorothy incautamente ha afferrato la pistola nella stanza della morta, caduta per terra lasciandovi le proprie impronte, e per questo diviene la principale sospettata da Hutchinson e Mullens, e successivamente qualcuno si appropria dei ricchissimi gioielli della vittima e poi uccide il Detective Haff, incaricato della sorveglianza di casa Brill Kent.

Centrale è il mistero delle 6 chiavi doppie, sei chiavi che aprono due porte diverse: la porta di casa, e la porta della camera di Helen. Una chiave è della padrona di casa, un’altra ce l’ha la madre e serve anche per la sorellastra, tre ce l’hanno le tre domestiche, e l’ultima..non si sa chi ce l’abbia. Alla fine si capisce che ce l’ha un personaggio che non fa parte della famiglia e che avrebbe dovuto sposare Helen: è sua la voce che Dorothy ha sentito la sera dell’omicidio, provenire dalla stanza di Helen e che lei non riconosce essere quella di nessuno dei fratellastri?

C’è poi il mistero di una matassina di cotone, trovata in camera della vittima, di cui Scott saggia la lunghezza, che viene successivamente rubata dalla camera, colpendo alla nuca proprio Gillmore.

Scott capisce poi, srotolando la matassina di cotone da una delle finestre della camera della vittima, che un capo cade due piani sotto in corrispondenza della finestra di Jason Sullivan, un pesce grosso della politica. E’ lui che Helen Brill Kent avrebbe dovuto sposare per l’ennesima volta. Ma non è lui l’omicida.

Nel tentativo di salvare Dorothy Vroom dalla sedia elettrica, Scott Griffin, compreso in quale modo l’omicida ha ucciso, servendosi di una pistola, di un filo elettrico e di una antenna radio, grazie ad uno stratagemma, riuscirà ad incastrare il diabolico assassino, che poi tenterà una improbabile fuga, finendo sul selciato del marciapiede, qualche piano più sotto.

Trecentodiciotto pagine, non dico noiose, ma certamente prolisse, identificano l’unico romanzo di Gillmore che abbia sfidato il tempo.

E’ certamente un clone di van Dine, anzi, passatemi la liceità, il trionfo del vandinismo, un romanzo che porta il genere derivato da van Dine, al suo trionfo e al suo eccesso.

Moltissimi infatti sono i riferimenti ai romanzi di Van Dine (e anche al primo Ellery Queen):

Gillmore (autore e Watson di Scott), il procuratore Hutchinson e il sergente di polizia Mullens, ricalcano i più noti Van Dine, Markham e Heath;

il delitto avviene in casa di una persona appartenente al jet set (seppure impropriamente) newyorkese;

Scott Griffin, che è un notissimo pubblicitario, incarna il detective dilettante in possesso di non comuni doti analitiche, e si appaia a Philo Vance;

come in Van Dine, anche qui viene consultato l’Handbuch fur Unlersuchungerichter, di Hans Gross, il testo sacro della Scienza Criminale Forense: il volume viene consultato da Philo Vance in The Greene Murder Case.

La vittima è una ex ballerina, come in The Canary Murder Case;

Come in Greene, il delitto matura all’interno di una famiglia;

Come in Greene, il delitto si consuma per mezzo di un marchingegno collegato ad una pistola;

A Greene sono collegate la figura e la natura stessa sia della vittima che dell’omicida;

L’assassino che muore durante una improbabile fuga, e la sua stessa natura, sono legati a The Tragedy of Y di Ellery Queen. A questo proposito, a meno che Gillmore non abbia avuto la stessa trovata di E.Queen, cosa alquanto singolare trattandosi di due seguaci di van Dine, verrebbe da pensare che uno dei due sia derivato dall’altro, cosa peraltro alquanto difficile da verificare essendo entrambi i romanzi del 1932.

Insomma, un romanzo derivato strettamente da quelli di Van Dine. 

Diversamente da Van Dine, tuttavia la lettura non è sempre avvincente, e vi sono vari momenti di stanca, cui l’autore sopperisce trasformando il Mystery in Thriller (come quando deve a tutti i costi entrare in casa di Sullivan e smascherarlo e tutto ciò che ne consegue) per aumentare il ritmo della narrazione. In quanto personaggio, Griffin Scott a me è sembrato talora anche più insopportabile di Philo Vance, e per di più lo stesso romanzo, ricalcando in maniera sfacciata tanti diversi richiami a Van Dine, invece di percorrere una propria strada (pur rifacendosi a Van Dine, come in Ellery Queen per esempio o in Abbot), sceglie di creare un romanzo che deriva passo passo (tranne alcune piccole differenze) da The Greene Murder Case, risultando magari allettante per il pubblico del tempo, ma per noi invece molto scontato. Talmente scontato, che molte pagine prima della conclusione , avevo già individuato l'omicida. Inoltre a me personalmente, è parso parecchio artificioso ed improbabile il marchingegno utilizzato, perchè in bella vista: possibile che la vittima sia stata così sbadata da non accorgersi di quel filo nero metallico collegato ad uno dei due suoi cupidi della testata del letto? Tutto è possibile, ma...

Pietro De Palma

 

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