Son stato indeciso su che titolo dare a questo pezzo.
Avrei voluto optare per il sempre efficace “a volte
ritornano”; ma poi, qualcuno dei lettori, oppure parecchi non avrebbero capito,
e magari il titolo non avrebbe catalizzato l’attenzione, che invece
un’indicazione più diretta riesce a fare egregiamente. Però, l’espressione fra
gli incisi, avrebbe in questo caso sintetizzato meglio di altro le dinamiche
del romanzo.
Il romanzo è un tipico esempio del mystery britannico,
il mystery che noi diciamo più semplicemente “alla Agatha Christie” :
pasticcini, feste di beneficenza, concerti, serate di gala, conversazioni
amabili o meno, invidie, gelosie, odio represso, ricatti, eredità e quant’altro
e..un bell’assassinio ovviamente. Che nella realtà di ogni giorno non lo è mai.
Anzi, vedere una persona in carne ed ossa morta, assassinata, fa sempre senso;
ma, assistere ad un omicidio di carta, emulare il detective nella ricostruzione
logica dell’evento e concorrere alla risoluzione del caso, deducendo quanto sia
di vitale, è altro. Ora, il mystery inglese, di solito è questo; e il sangue è
sempre quasi asettico, tanto poco si indugia sul morto. Piuttosto, il romanzo è
sempre incentrato sul resto.
Tuttavia questo non è un romanzo “di Agatha”: nei
romanzi della Christie c’è più perfidia, cinismo, cattiveria, e spesso gli
assassini uccidono pianificando l’omicidio, premeditandolo, o comunque
trovandosi in una condizione favorevole, ponendo in atto le condizioni perché
sia molto difficile (ma non impossibile, altrimenti Poirot o Miss Marple cosa
ci starebbero a fare?) essere scoperti; qui, o comunque nei romanzi di questa
scrittrice, tutta la cattiveria della Christie non c’è. Anzi…
Georgette Heyer è famosa in patria più per la narrativa
storica che per quella poliziesca: è ancora il nome più celebre per i romanzi
sul periodo per es. della Reggenza: amori, intrighi, odi, passioni, il tutto
cucito con abile penna. Insomma, una scrittrice straordinariamente brava, che
mise la sua penna al servizio dei lettori, perché anche se avesse voluto
esaminare altri periodi storici, il successo dei Regency Novels fu tale e
direttamente proporzionale alle richieste del suo pubblico, che la Heyer non
potè esimersi dal soddisfarlo. Però, accanto a questa produzione caratteristica
ed..enorme, ve ne fu anche una..versata al mystery.
Ma, come dice giustamente Anna Luisa Zazo, se la Heyer
espresse in più occasioni la sua predilezione per l’ambiente storico medievale,
e se il Medioevo fu un’epoca caratterizzata da regole e ruoli precisi, dal
rispetto delle classi, da una società estremamente caratterizzata ma nello
stesso tempo stremante rigida, definita, è evidente che la Heyer “sentisse
l’esigenza di un ambiente retto da norme chiaramente riconoscibili e accettate
da tutti, prevedibili, inafferrabili e tuttavia invalicabili, un habitat in cui
il codice di comportamento fosse unico e rigidamente definito, nelle stesse
trasgressioni”. Quindi, anche il mystery della Heyer, fu concepito in
maniera tale che rispecchiasse la sua concezione dell’ordine e del rispetto
delle regole, non solo romanzesche ma anche e soprattutto sociali: piccoli
gruppi, chiusi, in cui i vari ruoli sono fissi e rigidi, quasi che ogni volta
si dovesse recitare un copione il cui sfondo era se non uguale, almeno
stranamente simile per concezione.
Perciò, quando mi sono avvicinato a romanzi della
Heyer, lo confesso, son stato molto guardingo, tanto più che trattasi quasi
sempre di volumi poderosi, con una caratterizzazione psicologica molto accentuata,
e in cui gli indizi si trovano, se cercati, nell’ambito delle conversazioni che
immancabilmente i presenti si rivolgono: quindi bisogna sorbirsi tutti i
dialoghi, proprio tutti, non saltando a piè pari, quando si legge un romanzo
giallo, e rivolgendo l’attenzione normalmente ad altri scenari: qui, bisogna
davvero essere attenti. E quindi, i romanzi della Heyer, a mio modesto parere,
pur se molto interessanti sono anche molto impegnativi, nella mera lettura. E
quindi talora, potrebbero risultare anche un po’ pesantucci.
Non si tratta però del nostro caso: The Unfinished
Clue, “L’indizio incompleto” nella traduzione italiana, romanzo del 1934,
il terzo nell’elenco dei mystery della Heyer, dopo Footsteps in the Dark,
“Passi nel buio” (1932) e Why Shoot a Butler, “L’omicidio di Norton
Manor” (1933), è secondo me un piccolo delizioso capolavoro. Il romanzo ha
leggerezza e nel tempo stesso straordinaria capacità di introspezione, dialoghi
che sembrerebbero inutili, se non contenessero, opportunamente vagliati,
importanti indizi, che solo il segugio di turno può individuare. Nel nostro
caso, è l’Ispettore Harding di Scotland Yard, chiamato in causa dopo
l’assassinio di un vecchio militare in pensione, il rozzo, bisbetico e anche
dispotico Generale Sir Arthur Billington-Smith: egli è stato trovato, nel suo
studio, pugnalato da un tagliacarte; pare tuttavia che nei momenti
immediatamente antecedenti la morte, abbia cercato di scrivere qualcosa, una
sillaba, nella fattispecie, “LA”, ma che probabilmente significava altro: un
nome forse?
Al momento c’erano parecchie persone, nella sua
residenza di campagna, la Grange, e parecchi provavano qualcosa nei suoi
confronti: da suo figlio Geoffrey, figlio di primo letto, diseredato per la sua
unione con Lola, una ballerina messicana di locali di second’ordine, a suo
nipote, il Capitano Francis Billington-Smith, così amorale e cinico, e
desideroso del suo patrimonio, a Lola, causa della rovina di Geoffrey, e fiera
oppositrice del modo di vedere le cose del Generale, a quella specie di cugino
del Generale, l’indecifrabile Stephen Guest, innamorato mancato, seppur per due
anni di Lady Billington Smith, fino alla provocante Camilla Halliday, ospite
insieme al marito e amici di famiglia o all’imperturbabile Emily Chudleigh moglie
devota del Vicario Hilary Chudleigh, fiero oppositore dei costumi morali del
Generale e del divorzio. Insomma un bel gruppo nutrito di potenziali
assassini.E in mezzo a loro potrebbe esserci Laura (Theresa) E. Lamb, prima
Lady Billington-Smith, e madre di Geoffrey. La cosa strana della traduzione di
Paola Chiostri Gori, è che “per esigenze di traduzione”, il nome Theresa
venga sostituito dal nome Laura, senza che si capisca il perché.
Quello che va detto, e che puntualmente accade anche
in questo romanzo, è che l’assassino o l’assassina, insomma chi uccide, lo fa
non con premeditazione, ma perché si vengono a creare le condizioni perché ciò
accada: insomma un accidente qualunque che spinge all’azione, la cui mancanza
avrebbe significato la salvezza della vittima. Che poi non è detto che lo sia
veramente; come non è detto che l’omicida sia veramente la personificazione del
male nelle sue varie sfumature (cupidigia, avarizia, accidia, gelosia, invidia,
etc.etc.) come in tanti altri romanzi. Insomma in questo romanzo, come pure in
altri della Heyer, niente è sicuro.
Così come se è insicuro il movente, figurarsi l’alibi,
anzi gli alibi: vagliarli, non è cosa da poco. Soprattutto se qualcuno mente. L’omicida
francamente secondo me in questo contesto la farebbe franca se..non dovesse
fare i conti col passato: ecco perché ho detto che “a volte ritornano”. Accetta
di dare la prova, o meglio l’indizio determinante all’Ispettore, solo perché
sceglie di salvare un innocente dall’accusa di omicidio, Geoffrey Billington.
A dirla tutta, il plot del romanzo si basa sul tempo:
l’indizio è connesso con l’ora ed il posto in cui dice di aver visto il
giovane: se fosse andato via come ha affermato in un primo tempo, l’omicida
sarebbe arrivato a sua destinazione prima dell’ora indicata come prova per
scagionare il giovane; per farlo sarebbe dovuto andare solo a piedi. Ma..e qui
entra in gioco l’acume dell’Ispettore e la sfortuna dell’omicida: le siepi che
attorniano la strada. Esse, nel passato, erano tagliate più rade, ma nel tempo
dell’omicidio non vengono più curate, per cui crescono disordinatamente e
soprattutto oltre una certa altezza. L’omicida, non alto quanto l’ispettore, se
fosse stato a piedi non avrebbe potuto vedere al di là delle siepi, e quindi
doveva essere in altra condizione: questo significa che o la sua testimonianza
non vale oppure che lui è partito dopo l’ora riferita nei primi interrogatori
di polizia.
L’Ispettore deve sbrogliare una matassa insolitamente
intricata; e nel frattempo che risolve brillantemente il caso (ma l’omicida,che
è un personaggio credibile, a tutto tondo avrà il tempo di suicidarsi
“classicamente” col cianuro di potassio), si innamora, ricambiato, anche della
giovane cognata del generale, Dinah Fawcett.
Del resto, che Georgette Heyer sarebbe stata se non ci
fosse stata anche una simpatica storia d’amore?
Pietro De Palma
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