Chi dice che le pubblicazioni della Mondadori hanno
sviscerato il Giallo e che non ci sia più nulla da far emergere, si
sbaglia di grosso: accanto alla Mondadori, si è mosso tutto un mondo di
Case Editrici oramai scomparse. Semmai potremmo dire che la Mondadori
abbia incarnato un secolo di pubblicazioni e sia ancora in piedi; ed in
questo non sbaglieremmo. Anche le altre case, quelle scomparse, però
hanno dato un contributo non indifferente al genere: per es. la Aldo
Martello Editrice di Milano.
La collana che mise in piedi, I Gialli del Veliero,
ancor oggi apprezzata dai collezionisti ed appassionati, proponeva dei
volumetti formato tascabile (da qui il nome Tascabili Martello), di
autori di nicchia, con delle belle copertine a colori. Tra essi, questo
N.8, Marcia mortale in tre tempi, di Peter Curtis.
“Chi sarebbe costui?”, avrebbe detto Don Abbondio.
Peter Curtis era lo pseudonimo che Norah Lofts,
nata Robinson (scrittrice molto apprezzata in Inghilterra fino agli anni
settanta, e autrice di più di cinquanta opere più che altro di
narrativa storica), scelse per le sue storie gialle: infatti
pensava che così gli affezionati lettori delle sue opere più romantiche,
non rimanessero sconvolti dalla trama di un omicidio. Insomma una
scrittrice in qualche modo vicina a Georgette Heyer, anch’essa
scrittrice di narrativa amorosa storica e gialli, ma che non aveva
abbandonato il suo nominativo più famoso.
In realtà nelle trame, espresse con lo
pseudonimo di Peter Curtis, la Lofts introdusse dei caratteri
stilisticamente molto vicini alle sue più conosciute opere: per esempio la grande preoccupazione per le condizioni dei più poveri nella società, incapaci a mutarle; e delle storie di amore.
Dead March in Three Keys, del 1940, fu il
primo di quattro romanzi, che ottennero notevoli successi di pubblico
tanto da venir trasposti anche in films: per es. You’re Best Alone fu trasposto nel film Guilt is My Shadow (1950), mentre The Devil’s Own (conosciuto anche come The Little Wax Doll e Catch As Catch Can) fu la base della sceneggiatura di The Witches, film del 1966 con Joan Fontane.
Qual è la trama di “Marcia mortale in tre tempi”?
Eloisa è una bellissima ragazza, vissuta quasi
sempre protetta dalla sua bambinaia, Emilia; è per di più molto ricca,
ed ha una cugina, che le assomiglia come una goccia d’acqua, ed è solo
un po’ più “in carne” di lei. Antonia (questo il nome della cugina) a
differenza di Eloisa ha pochi mezzi, ma molti pretendenti. Tra questi
Riccardo Couwen, un rampollo che ha dissipato la propria fortuna e a cui
dell’antica fortuna, rimane solo una vecchia villa. Tra Riccardo e
Antonia nasce una passione esplosiva, ed i due diventano amanti: poveri
ma belli, avrebbe recitato un famoso film italiano. Ma i due capiscono
che senza i soldi non si va avanti e così, Riccardo progetta un piano
per accalappiare su suggerimento della stessa Antonia, la cugina ricca
di quella, Eloisa, mentre la stessa Antonia accetta la corte di Giosuè
Meekin, un cinquantacinquenne ebreo ricco. I due, tuttavia, riescono, in
barba ai rispettivi coniugi, a liberarsi dei pomeriggi e vivono
infuocate ore di passione.
Un bel giorno, la crisi di Wall Street del 1929
porta alla rovina anche Giosuè che muore di un colpo apoplettico in
quanto scopre di aver perso la sua fortuna, e la povera Antonia si
ritrova con qualche pelliccia e gioiello, ma senza una casa, per cui si
mette a cercare lavoro.
Il buon Riccardo, che nel frattempo è diventato
padre, ma i cui rapporti con Eloisa si sono sempre più incrinati, trova
così modo per portarla a casa sua e la povera Eloisa, non sospettando
nulla della tresca dei due ( ma lo sospetta Emma, la sua tata), è ben
contenta di ospitarla. Un bel giorno, anzi una bella notte, un trambusto
turba la quiete della casa: Diana, la figlia dei due, sta male e Emma
Plumé lo grida nella notte. Il buon Riccardo Curwen, che ha messo su la
scusa dell’insonnia per essere più libero dal controllo della moglie,
dormendo in altra stanza, e quindi recandosi ogni notte in camera di Antonia,
non pensa lì per lì a fingere, ed invece di uscire dalla porta di
servizio, salire in soffitta e ridiscendere dalla parte della sua
stanza, apre la porta della stanza di Atonia, trovandosi faccia a faccia
con Emma e anche la moglie. Insomma, la tresca è scoperta, ed Antonia
deve andare via.
A questo punto Antonia si cerca altra occupazione e
la trova in specie di pensione per aristocratici dove trova parecchi
amanti. La pensione si trova a poca distanza dalla villa di Eloisa e
Riccardo, e perciò i due riescono in stanze d’albergo a rubare dei
pomeriggi, uno nelle braccia dell’altra. Le cose però tra Riccardo e la
moglie peggiorano quando Antonia deve andare via: Eloisa cade in
profonde crisi nervose, Riccardo non resiste alla lontananza di Antonia,
e questa è lontana. A questo punto Riccardo concepisce il piano di
uxoricidio, piuttosto affascinante, che si conclude magnificamente per
lui. Ma quando i due amanti sono sicuri di poter convivere assieme
godendo dei soldi di Eloisa, Emma non ci vede chiaro e decide di
investigare: sarà lei a far condannare Riccardo.
Magnificamente scritto, opera del 1940, Dead March in Three Keys
è un thriller, con una alta tensione, narrato in prima persona, con
soggetti che cambiano la prospettiva della narrazione, a seconda dei
capitoli, che qui sono delle vere e proprie parti. L’autrice le chiama
però “movimenti”. Ce ne sono 5. E’ come se fosse, quindi, una suite: una
suite dell’omicidio, in 5 movimenti, di cui i primi tre formano “una
marcia mortale in tre tempi”: il primo tempo è affidato alla narrazione
in prima persona di Emma, che viene licenziata alla fine dell’estate, e
la sua figura assunta da una istitutrice Myra Daffield, assunta per
occuparsi di Diana; il secondo è affidato alla narrazione di Riccardo
che narra gli antefatti del dramma e di come si sia arrivati a
premeditare un uxoricidio; il terzo ad Antonia, che si presta ad
assecondare Riccardo ma che è all’oscuro del progetto di assassinio di
sua cugina, che si realizza durante la sua narrazione, senza che lei
sappia mai come si sia svolto: apparentemente infatti Eloisa è morta per
un colpo apoplettico. Causato però da cosa? Lei non lo saprà, ma
intanto godrà assieme a lui dei soldi della vittima, ingannandosi che
essa sia morta senza che Riccardo ne sia stata cagione.
Gli altri due movimenti sono successivi alla morte:
il quarto è di nuovo affidato alla voce di Emma, che non ci vede chiaro
ed è intenzionata a vendicare la morte di Eloisa; mentre il quinto, il
movimento finale, si conclude, con la voce del condannato, nell’attesa
della prossima impiccagione, nella confessione di quello che è accaduto e
che lo ha condannato.
Riccardo è presentato come una vittima del destino:
infatti, nonostante il suo piano sia perfetto, egli non viene accusato
sulla base del ritrovamento dell’arma e dello svelamento di tutto il suo
piano (ingegnoso e veramente sottile anche per acutezza psicologica),
ma sulla base di una falsa accusa che lo accusa di aver avvelenato
progressivamente la moglie con la morfalina, un derivato della morfina,
usato come narcotico, di cui paradossalmente lui non sa nulla: la moglie
cioè si era imbottita di questo tranquillante per poter continuare a
dormire, lei che non vi riusciva più, immaginando che il marito, che
l’aveva sposata per i soldi, la continuasse a tradire con la cugina.
Come si vede, la trama del romanzo si basa sulla
storia di un uxoricidio premeditato, dentro una grande storia d’amore:
la storia dell’amore passionale di Riccardo e Antonia, stravolge le vite
di altre coppie: Riccardo ed Eloisa, Antonia e i suoi occasionali
amanti. Quello che rimane, fino alla fine, è un grande amore passionale:
una storia di passione e di morte.
Scrivendo così, mi si potrebbe dire che io riveli
già chi sia l’omicida: è vero, ma del resto è la storia che propone solo
una direttrice di marcia. Infatti non ci troviamo dinanzi ad un giallo
classico, in cui bisogna scoprire l’assassino in una rosa di sospettati,
ma dinanzi ad un thriller, in cui se il piano di assassinio è noto e
anche il futuro omicida, l’unica incognita è rappresentata dalla sua
individuazione e condanna.
Intelligentemente scritto, con uno stile assai
fluido e sottilmente psicologico, il romanzo della Lofts intrappola il
lettore in una tensione crescente; stupiscono, inoltre, certe
espressioni assai esplicite: Antonia si rivolge a Riccardo e dicendo che
non è un miracolo di intelligenza, ammette tuttavia che è “un superbo
amante”. Questo negli anni ’40. E per di più in un romanzo scritto da
una donna, che evidentemente non aveva paura di esprimersi così
direttamente, in quanto scriveva generalmente romanzi che parlavano di
amori e di passioni, e si rivolgevano quindi ad un ben preciso pubblico:
Norah Lofts, nata Robinson, era già nota al grande pubblico britannico
per una moltitudine di romanzi storici, divenuti parecchi dei
best-seller.
In un certo senso si potrebbe parlare anche di una inverted story
a metà : infatti il primo movimento si riallaccia, completandosi, al
quarto, ambedue narrati in prima persona da Emma Plumè, ad assassinio
compiuto. In questo, potrebbe trattarsi di una inverted story. Che non
lo è però del tutto: infatti, perché potessimo parlare “in toto” di inverted story,
sarebbe necessario che il colpevole, per quanto il romanzo tenda ad una
sola conclusione, fosse già acquisito e condannato, mentre qui non lo è
ancora. In altre parole, l’inverted story che si può dire sia
stata resa con un flashback della trama, nella narrazione in prima
persona di Riccardo e Antonia, cioè dei due protagonisti negativi,
termina laddove comincia la vendetta di Emma, che vuole fare giustizia e
si conclude nel racconto di Riccardo, che riprende l’inverted story finendola con l’ineluttabilità di un destino annunciato.
Chissà se un giorno qualcuno non riprenderà questo romanzo e lo ritradurrà in italiano : lo meriterebbe senza dubbio.
Pietro De Palma
Nessun commento:
Posta un commento