“I fratelli Povey si guardavano negli occhi. Lo sguardo di Charles Povey
era più fisso di quello di Arthur Povey, il che era nell’ordine naturale delle
cose, poiché Charles era morto.”
Così comincia lo straordinario romanzo che è in
edicola questo mese, nella collana I Classici del Giallo Mondadori: The Gay
Phoenix, di Michael Innes. Al lettore distratto od occasionale Innes dirà molto
poco. Ma a quello più attento e frequentatore assiduo delle librerie, lo stesso
nominativo avrà ricordato la straordinaria opera prima, dal titolo “Morte nello
studio del rettore”, Death at the President’s Lodging (1936), pubblicata anni
fa nella collana “I Bassotti”, da Polillo.
In realtà di Innes, vero nome John Innes Mackintosh
Stewart, nato nel 1906 e scomparso nel 1994, in Italia son stati pubblicati in
tutto oltre ai romanzi citati, anche altri tre: uno pubblicato da Rizzoli,
nella serie I Gialli di Qualità; un altro da Feltrinelli, e l’ultimo dalle
Edizioni Paoline. Si tratta comunque, eccetto quello pubblicato da
Polillo, di opere tarde, in cui il protagonista delle storie di Innes, Sir John
Appleby, risulta esser stato messo a riposo, dopo una vita passata nella
Polizia, dalla funzione iniziale di Ispettore, a quella finale di Capo della
Polizia.
Appleby, forse, è l’investigatore più colto in
letteratura in assoluto, tanto quanto Philo Vance lo è nelle arti figurative e
scultoree. Del resto, mentre Philo Vance fu la creatura di Willard Huntington
Wright, grande critico d’arte newyorkese e profondo conoscitore dell’opera di
Nietsche, Appleby lo è stata di John Innes Mackintosh Stewart, che solo per
divertimento, come diceva lui, scrisse gli oltre cinquanta titoli, con lo
pseudonimo di Michael Innes. In realtà John Innes Mackintosh Stewart era un
cattedratico, imprestato al romanzo poliziesco, come Cecil Day-Lewis (alias
Nicholas Blake), o come Alfred Bennett Harbage (alias Thomas Kyd): insegnò, a
Oxford, Letteratura Inglese. Della sua professione universitaria, nei suoi
romanzi vi sono molte testimonianze dotte: citazioni di Shakespeare, di altri
poeti inglesi, citazioni di poeti e letterati latini, oltre che una prosa
estremamente forbita e raffinata. Tuttavia, se nei primi romanzi, queste
caratteristiche sono amplificate, esse tendono progressivamente, con il fluire
del tempo, ad attenuarsi, pur comparendo qua e là. Il romanzo che analizziamo
oggi, The Gay Phoenix, è del 1976, anche se in Italia fu pubblicato nel 1979:
allude al nome della barca, su cui accade un avvenimento che ha ripercussioni
sull’intera trama.
Arthur e Charles Povey sono due fratelli, minore e
maggiore. Essi si sono imbarcati su una barca a vela e stanno attraversando
l’Oceano. Non ci sono altre persone su quella barca, solo loro due: due
personalità a confronto. Nell’infanzia non si son mai voluti tanto bene, se
Arthur in una legnaia ha mozzato il dito indice della mano sinistra di Charles.
Al di là di questo, e al di là del fatto che Arthur sia il minore, i due
fratelli da giovani se la son spassata. Rampolli di una famiglia molto
conosciuta, non stati mai degli stinchi di santi: furtarelli, violenze,
sopraffazioni, espressioni più di una vita annoiata che non di personalità
inclini al delitto. Tuttavia, qualcosa di non onesto deve essersi insinuato, se
è vero che le loro attività son state inclini sempre alle situazioni legali non
chiare. Ed è per questo motivo, che si comprende come Charles abbia ad un certo
punto deciso di prendere il largo, di fuggire cioè, di far perdere le proprie
tracce, a bordo di una barca. Ma, non essendone pratico, ha chiesto
ripetutamente ed ottenuto dal fratello minore Arthur, che lo accompagnasse,
giacchè più esperto di lui nel guidare una barca a vela. Fatto sta che non
viene spiegato, per quale motivo Arthur si sia imbarcato anche lui, e perché
nessun altro stia a bordo: si potrebbe anche ipotizzare che, fuggendo da una
situazione economica non chiara, non volessero avere dei testimoni. Durante una
tempesta, un albero della nave si rompe e precipita sul povero Charles,
fracassandogli il cranio. Arthur, povero ed indifeso, e anche succube della
propria situazione finanziaria non rosea rispetto a quella del fratello, erede
delle sostanze di famiglia ed abile e spregiudicato affarista, diventa
improvvisamente erede dell’intero patrimonio fraterno. Tuttavia, mentre
cambiano le sue prospettive economiche di base, si rende conto che la sua
situazione personale diventa più delicata: come farà a convincere di non aver
deliberatamente ucciso il fratello per carpire primogenitura e proprietà di
famiglia, oltre che le sostanze di Charles di cui è diventato erede ? Innanzitutto
deve disfarsi del cadavere prima che cominci a decomporsi. E così butta a mare
il corpo. Poi mette a punto il suo capolavoro: si comporterà in maniera che le
persone con cui possa aver a che fare, al suo rientro (apparirà come un
naufrago che ne ha passate tante), lo convincano di essere quel Charles, che
lui ha deciso di impersonare dal momento dell’incidente: per far ciò si mozza
deliberatamente (e che atto di coraggio! o di disperazione!) l’indice della
mano sinistra. Curioso (e geniale da parte di Innes) che uno possa diventare
un’altra persona, solo mozzandosi un dito! Ma è così perché i due fratelli,
grosso modo si assomigliavano parecchio. Dirà di essere Arthur che è rimasto
solo senza Charles, perché un albero della nave gli è caduto addosso fracassandogli
il cranio (che poi è la verità), solo che gli mancherà un dito, quello che
mancava prima della partenza a Charles, non ad Arthur. E dirà di soffrire di
forti dolori di testa e di amnesie (ma anche questa è la verità). E gli
psichiatri si affanneranno a convincerlo che lui non è Arthur ma Charles.
Quando si sarà convinto di esserlo, lo lasceranno andare. Che capolavoro!
Arthur raggiunge la vetta e l’agognata felicità economica con un sotterfugio
degno di una mente brillantissima. Ma lui non sa che uno degli psichiatri,
essendogli rimasto il dubbio che quello in fondo fosse Arthur e non Charles, ne
parla ad una riunione di conoscenti ed amici, e tra loro almeno due sono più
dubbiosi degli altri: un giudice, ed il Capo della Polizia. Che poi è Appleby.
La storia in pratica intreccia vari piani di finzione: quella in prima persona,
e quella che viene narrata da altri, alternativamente. Nella stessa maniera in
cui, nella povera mente distrutta da quell’incidente, si alternano le due
personalità dei due fratelli. Il povero Arthur soffre, cioè, di uno
sdoppiamento di identità, una questione attinente alla schizofrenia: quando è
in sé, è Arthur che deve però comportarsi come se fosse Charles; quando la sua
personalità soggiace a Charles, egli sa di essere lui, ma non capisce il resto.
Insomma è una situazione disarmante. Il povero (o ricco, a seconda dei punti di
vista) Arthur, comincia a fare la vita del nababbo. La sua sfortuna tuttavia
sta nell’incontrare un giorno, l’unica persona che non avrebbe mai dovuto
incontrare: un suo servitore, che nella casa paterna svolgeva funzioni anomale,
recandosi in giardino o in casa a seconda delle necessità, lo aveva aiutato in
più occasioni quando era giovane, come quando lui, Arthur, aveva sottratto un
portasigari dalla casa di un ricco possidente della sua zona. Il servitore, che
nell’albergo in cui sta Arthur, svolge il compito di svuotare i portaceneri, lo
riconosce da un particolare a cui nessuno fino a quel momento aveva fatto caso:
i capelli che, diversamente dal fratello, crescevano in un modo tutto loro.
Fatto sta che da quel momento, Butter diventa una palla da piede, se non il
vero padrone di Arthur. Arthur gli prospetta il prezzo del silenzio in cambio
di diecimila sterline, ma Butter non è dello stesso avviso: ha capito di aver
acciuffato la gallina dalle uova d’oro e non vuole lasciarsela sfuggire. Per un
momento Arthur pensa anche a sbarazzarsene. E’ quando per un caso fortuito, in
un pub sul molo, viene scambiato per un altro, e viene a sapere che Butter è in
una brutta situazione: dei suoi compari, credendo che lui voglia tradirli,
hanno deciso di ucciderlo. Pensa in un primo tempo di stare al gioco, e di
fornire loro il modo per ucciderlo: i suoi problemi così saranno risolti. Ma,
all’ultimo momento…decide di aiutare Butter: non è un assassino, nonostante
Butter crede che egli abbia ammazzato il fratello, e così facendo Arthur firma
la sua condanna a vita. Qui sono a confronto due perone: il furfante, che
riesce a farla franca (Butter) e la mezza tacca (Arthur) che non riesce proprio
a diventare quel furfante che è Butter. Butter lo convince a costruirsi la
personalità del ricco magnate, che non vuole avere rapporti col mondo e a
ritornare nella sua casa natale. E’ un grosso sbaglio. Perché se prima cercava
solo di districarsi nella rete di società e di affari non puliti di Charles, e
di una possibile bancarotta, fuggendo dai creditori, rifugiandosi in un posto
come Brockholes, con la personalità di Charles, viene a confrontarsi con una
realtà non ipotizzata: quella delle tante avventure sessuali di Charles. Come
Arthur potrebbe non conoscere “le signorine” amiche di Charles, ma come Charles
dovrebbe saperle riconoscere. Charles non solo aveva impalmato serve e
servette, non solo aveva fatto sesso con “innocenti fanciulle” di campagna
desiderose di compiacere il possidente della zona, ma anche, in virtù dei tanti
soldi che possedeva, aveva collezionato una serie di avventure pagate con
squillo e prostitute d’altro bordo, con mantenute, che avevano rimpinguato il
suo carnet di playboy ma di cui egli non ricordava più nulla. Figurarsi come
dovesse sentirsi Arthur, che le aveva sentite menzionare nelle confessioni del
fratello, ma che non le aveva mai incontrate! Fatto sta che un giorno ne
incontra una, che a sua volta, lo riconosce non essere il fratello, nonostante
il dito mozzato, dal modo come lui faccia sesso: un’altra palla al piede.
Intanto le voci si rincorrono nel paese, e giungono anche all’orecchio di
Appleby e di sua moglie. Sulla base di quel che ricorda del conciliabolo con lo
psichiatra di Adelaide (Australia), e di quello che gli arriva alle orecchie
ora, decide di investigare. Si ritroverà dinanzi un uomo che cerca in tutti i
modi di sembrare un altro: ma lo è veramente? E fino alla fine non saprà se
Arthur sia vittima di amnesie (come egli dice) o se sia un abile truffatore.
Fatto sta che Arthur…
Non è un Innes primna maniera, ma un romanzo di
indubbio fascino, The Gay Phoenix, con una forte tensione psicologica,
scaturente dalla maestria di Innes, che gioca con le infinite possibilità che
la fantasia gli propone. Inoltre anche qui inserisce il tema della sostituzione
di persona, che è una delle sue caratteristiche. Questa volta la associa ad uno
sdoppiamento di personalità, che lascia interdetti sino alla fine. E’ un
contorcimento, un arrampicarsi sugli specchi che mi ha ricordato, per certi
versi, Cat and Mouse di Christianna Brand, in cui una situazione è nota fin dal
principio, ma poi c’è per tutta la durata del libro un rincorrersi estenuante,
ed un ribaltamento continuo delle situazioni, come in questo caso. Il romanzo
di Innes, però, non ha un omicidio: c’è un incidente, che da tutti vien
ritenuto omicidio, ma che non lo è. Alla fine del romanzo viene paventata la
possibilità che la scomparsa di una persona possa esser inquadrata in un
omicidio (quello che noi diremmo “una morte bianca”), ma è una possibilità che
svanisce così come appare. In bilico tra situazioni da feuelliton e romanzo
d’avventura, The Gay Phoenix, sembra quasi ripercorrere le atmosfere dei
romanzi di Henry Holt o Sax Rohmer, con il corollario di personaggi e il
tourbillon di avventure che attornia l’azione principale. In questo romanzo c’è
tutto: la banda internazionale, la truffa, la sostituzione di persona, lo
sdoppiamento di personalità, un omicidio-incidente, un doppio ricatto, l’appropriazione
indebita, l’indagine e la soluzione sul filo di lana, il bluff. Insomma,
situazioni che tengono sempre alta la tensione. Marcate sono le connotazioni
sessuali delle situazioni che la trama propone, e mai come in questo mystery,
il sesso acquista una sua valenza: se Charles non avesse collezionato incontri
occasionali e rapporti con prostitute d’alto bordo e mantenute, e non avesse
ossessionato Arthur con il racconto delle sua gesta amatorie, questo non
avrebbe gettato la prudenza al vento e proposto ad una di quelle “sgualdrine”,
Perpetua Porter detta “Pops”, che “..ci sono momenti in cui i fatti sono più
urgenti delle parole”; e se non ci fosse stato questo rapporto sessuale,
sull’erba del parco, Pops non si sarebbe mai accorta che Arthur non era Charles,
come gli rinfaccia : “ Però, credo che dovresti essere molto prudente quando
vai a letto con una qualunque delle gentili signore che sono state amiche di
Charles. In pratica, e per essere franchi, io ti consiglierei fortemente di
andarle a fare altrove certe cose”. E prima gli aveva detto : “ E’ stato
abbastanza carino, buon uomo, ma non bello com’era con Charles Povey”. Insomma
è come se l’avesse pugnalato con uno stiletto, tanto le sue parole erano
taglienti, dice Innes “.. studiate con malizia”. A dirla breve, Charles l’aveva
fatta godere, Arthur no. E quindi, se Pops non si fosse mai accorta che Arthur
non era Charles, non ci sarebbe stato il successivo ricatto di Pops nei
confronti di Arthur. E ancor di più, se Charles non avesse collezionato rapporti
sessuali con le ragazze del villaggio, nessuno avrebbe mai rinfacciato presunte
paternità ad Arthur. Per di più c’è anche una certa connotazione gay: la barca
a vela sulla quale si consuma la vicenda si chiama The Gay Phoenix. In Italiano
possiamo tradurlo in due modi sostanzialmente: “La Fenice Allegra” o “La Fenice
Omosessuale”.
A me sembra che la seconda traduzione sia la più pertinente,
perchè il titolo potrebbe indurre a pensare ad una certa valenza omosessuale di
Arthur, che quando ci prova con le donne, non ottiene grandi risultati ed è
come se il sesso per lui fosse una cosa obbligatoriamente da fare, per
dimostrare qualcosa (magari a se stesso o agli altri), piuttosto che qualcosa
da scegliere di fare. In questo caso, “La Fenice Gay” sarebbe non altro che un
modo elegante (raffinato nella scelta dei termini) con cui Innes marca
l’omosessualità latente di Arthur: la Fenice è il mitico uccello che risorge
dalle sue ceneri, ed in questo caso Charles risorge dalle sue ceneri, nella
persona di Arthur. Arthur quindi è la Fenice. La sua omosessualità richiamata
in più parti della storia, con la sua sfortuna con le donne, si potrebbe
ricavare anche dai rapporti che si dice intrattenesse quando era giovane con il
suo servitore Butter, che poi lo riconosce, e diventa, come Pops, il suo
padrone. Peraltro, il fatto che Arthur diventi lo schiavo di entrambi,
volontariamente (lui potrebbe agevolare l’assassinio di Butter da parte dei
suoi ex complici, ma non lo fa, pur sapendo che così firmerà la sua condanna; lui
si butta tra le braccia, ancor meglio si dovrebbe dire, tra le gambe, di Pops.
E così facendo si consegna inconsciamente alla sua dominazione), potrebbe far
insorgere il dubbio che egli masochisticamente in fondo desideri essere
dominato. Ma, il fatto che poi cerchi in tutti i modi di liberarsi dal loro
pesante giogo, e ci riesca alla fine, potrebbe star a significare che solo una,
delle due personalità che in lui agiscono, è passiva, mentre l’altra non lo è.
Pietro De Palma
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