domenica 24 novembre 2024

Philip MacDonald: "Fine di un sogno” (Dream no more), su Estate Gialla 1968, e Gronda di sangue amore (Love Lies Bleeding), su The Quintessence of Ellery Queen

 

 

Mi ha particolarmente colpito un racconto che ho letto tempo fa.

A casa dei miei ho una ricchissima collezione oltre che di romanzi gialli, anche di stagioni mondadoriane, per cui, quando mi trovo lì e voglio ingannare il tempo, sovente ne prendo una e scelgo a caso un racconto. Il racconto preso in esame è stato uno di Philip MacDonald : “Fine di un sogno”, Dream no more, su Estate Gialla 1968.

Dico subito che eccezionalmente, sviscererò i due racconti dall’inizio alla fine, perché trattasi di una riflessione testuale, e quindi rivelerò la fine. Quindi nel caso ci fosse chi non volesse saperla prima di aver letto i racconti (sempre che avesse le fonti, già cosa alquanto difficile) è pregato di non leggere oltre.

 

Entrambi i racconti trattano il tema dell'omosessualità, ma in modo differente

 

John Garroway e Gavin Rhodes si stanno dirigendo alla villa sul mare di proprietà dei Garroway: nella splendida villa a picco sul mare, con cui comunica per tramite di una scala ripida tagliata anche nella roccia e che ha una piccola spiaggia privata, vive la madre di John. Sola, con una donna mulatta che le fa da governante, dopo la morte del padre di John.

Arrivati lì, ben presto si instaura una tensione palpabile tra la madre di John e Gavin, professore di inglese di John, e laureato in filosofia, che pare avere sull’amico un certo potere: lui sa tutto, è un conversatore brillante e riesce persino in un momento a diventare amicone del cane dei Garroway, un Rottweiler, tanto che quello si dimentica subito dei padroni per stare con lui; la padrona di casa invece inspiegabilmente gli è ostile, tanto da divenire persino villana, cosa che non è da lei. Rimbrottata dal figlio, si scusa con l’ospite, invitato anche da lei ora a rimanere presso di loro.

I giorni trascorrono incantevoli a El Morro Beach, in un luogo di sogno e le vecchie acredini sembrano sorpassate. Un bel giorno qualcosa incrina questo sogno: John ha uno spaventoso incidente con la vecchia auto della madre e per poco non resta ucciso. Sia la madre di John che Gavin rimangono estremamente colpiti dalla dinamica. Comunque sia, pare che il rapporto tra Gavin e la madre di John, più o meno della stessa età, 50 anni lei e 44 lui, sia destinato a calmarsi: lui ha fatto in modo che John uscisse con Betty Lou una ragazza innamoratissima di lui e poi qualche giorno dopo, uscendo e andando in città, ha comprato dei regali per i due. Ha comprato però anche dell’altro: una capsula gialla, e dei cristalli da un emporio di articoli per il giardino e la casa. Un po’ del contenuto lo metterà poi nella capsula sigillandola. La capsula è dello stesso colore e forma di alcune capsule di vitamine che assume la madre di John. Tutto il resto del contenuto viene bruciato da Gavin nell’inceneritore. Il fine è chiaro: avvelenare la madre. Coglie l’occasione qualche tempo dopo quando “casualmente” fa rovesciare il contenuto del flacone delle capsule, sostituendo la capsula venefica con una normale, che poi distrugge. A questo punto è chiaro che anche l’incidente con l’auto è stato da lui premeditato, tramite un sabotaggio dei freni. Cosa può avere Gavin contro John e contro la madre?

Fatto sta che alla morte della signora Garroway Gavin non assiste, perché scendendo senza pensieri la scala che dalla villa conduce al mare, inciampa e si spezza l’osso del collo. Casualità? Nient’affatto! La madre di John, accorsa sul luogo della caduta, prima di chiamare il figlio dopo essersi accertata della morte di Gavin, toglie il fil di ferro che ha lasciato teso a livello del gradino per poi occultarlo nella cesta del giardino assieme alle cesoie.

Poi di notte, dopo che il cadavere è stato rimosso, dopo che Mollie e John sono aletto sotto l’azione di un sedativo prescritto dal medico di famiglia, la madre va in cucina e nel lavabo, acceso il distruttore dei rifiuti, versa il contenuto del flacone e attende fino a quando l’ultima capsula è ridotta in polvere. Poi fa scorrere l’acqua e va via.

Dicevo che il racconto mi ha spiazzato non poco.

Innanzitutto un contrasto fortissimo tra l’idillio di un luogo  da sogno, El Morro Beach (località che compare anche in un romanzo) e il contrasto sotterraneo ma violentissimo tra la Signora Garroway e Gavin Rhodes: oggetto del contendere è il figlio, John. Vari i sentimenti che si oppongono: l’amore e la gelosia. La madre è gelosa del rapporto tra Gavin e John e teme che la influenza psicologica fortissima, una sorta di plagio, che Gavin ha su John, possa avere come contraccolpo la sua eliminazione e quella di Betty Lou, la fidanzata di John. John  rimprovera alla madre l’eccessivo contrasto nei confronti dell’amico, e l’amico ha nei confronti della madre quasi identici motivi, resi più violenti dalla volontà di divenire lui padrone di quel posto, eliminando fisicamente la donna che si oppone al suo rapporto col figlio, ed ereditando il tutto.

Ma alla base di tutto cosa c’è? Perché si comporta così Gavin e perché la madre di John non lo sopporta ? Alla prima lettura non l’ho capito, anzi posso dire che il mio senso di disorientamento è stato fortissimo perché ad un certo punto non si riesce proprio capire perché sia un racconto poliziesco; poi improvvisamente assistiamo ad una spirale di violenze e ad atteggiamenti che apparentemente non avrebbero una spiegazione. Spiegazione che si trova, solo rileggendo il brano, stando attenti non a quello che fanno due galli del pollaio, ma a quello che dice la gallina, cioè John. La sua difesa appassionata di Gavin, i suoi commenti estatici (per esempio…“Che uomo straordinario!”) che noi aspetteremmo da una donna, ci fanno comprendere l’ambivalenza del loro rapporto, che ha connotati ambiguamente omosessuali. Una volta che si capisce questo, si è capito tutto. L’autore però non dice mai espressamente che si tratta di un rapporto omosessuale, semmai attraverso il suo stile letterario interviene qua e là a insinuare con atteggiamenti psicologici l’esistenza di un quid da non sottovalutare. Che a sua volta spiega anche l’atteggiamento protezionistico della madre.

In fin dei conti i due elementi forti sono Gavin e la madre e in mezzo c’è il figlio ventenne, cresciuto senza padre. Philip MacDonald senza mai esaltare l’atteggiamento della madre, tuttavia da a Gavin una connotazione negativa: è lui che tenta di uccidere la donna riuscendo quasi ad uccidere John e quando capisce tragicamente di aver sbagliato la sua reazione fa capire che a John ci tiene veramente, anche se a lui interessa veramente che il potere che lui manifesta nei confronti di John non venga affievolito dall’intervento di altri. Ora  che si tratti di atteggiamento omosessuale o no (conversando con Mauro Boncompagni lui mi ha confermato che i sottili indizi di cui parlava lui in uno Speciale circa tredici anni fa, andavano in questa direzione), il corruttore, l’istigatore che istiga facendo in modo che ad agire sia sempre l’altro, è sempre lui. La madre agisce negativamente certo, ma pur sempre si potrebbe associare al suo atteggiamento quello di una legittima difesa: legittima difesa dell’identità psicologica del figlio (debole ed incapace di capire) e legittima difesa della sua vita. Anche se un ulteriore aspetto dell’atteggiamento protezionistico della madre si potrebbe spiegare con la reazione a chi ti voglia portare via da te, il tuo unico bene: non a caso in un inciso all’inizio del racconto lei rimprovera al figlio di averle tolto tutte le speranze che lei coltivava da tempo di poter avere il figlio tutto per sé. E del resto non si potrebbe capire, se non si prendesse in esame il rapporto omosessuale, in cui Gavin è parte attiva e John parte passiva, il perché Gavin ambisca, eliminando la madre di John, a El Morro Beach.

Nell’ambito dello scontro tra i due personaggi dominanti (Gavin che non vuole rinunciare alla sudditanza psicologica di John e alla sua vicinanza, la madre che non vuole rinunciare alla sua importanza nella vita affettiva del figlio), in un punto però MacDonald tende ad attribuire all’uomo una sincerità d’intenti quasi provocatoria, sarcastica direi, che la donna non esprime, quando lui afferma che la fatale credenza per cui gli individui che sono simpatici ai bambini (John) e ai cani (Gill) siano individui schietti e fidati, non elimina la possibilità che lui abbia intenzione magari di compiere un reato: qualcosa più su vasta scala, rispetto a rubare l’argenteria.

Un’altra cosa insinua il sospetto che il rapporto a due sia di natura omosessuale: il fatto che non vi siano altri personaggi femminili nella storia, oltre alla madre. Betty Lou fugacemente è ricordata, ma non prende parte agli eventi, e una sera esce con John solo perché Gavin gli ha detto di farlo. E se Gavin non è legato a lui da un rapporto omosessuale, è tuttavia legato da un rapporto dominante-dominato.

A questo punto è chiaro che l’indizio sottilissimo che via via si manifesta, pur restando sempre alquanto impalpabile, vista la scabrosità soprattutto nei tempi in cui viene ambientato, gli anni ’50, è l’omosessualità maschile, di cui in questi due racconti si esplora soprattutto il rapporto di sudditanza psicologica, di dominazione, esistente tra i due soggetti. Gavin domina psicologicamente l’amico più fragile: è lui l’individuo dominante nella coppia mentre l’altro è il soggetto passivo, più fragile. Il trasporto con cui ne parla alla madre, insinua subito in lei (il famoso sesto senso femminile) il sospetto che i due più che essere amici siano amanti. E quindi la donna decide di rompere quel rapporto perché sa che il figlio ama anche la ragazza Betty Lou. Così se  Gavin è probabilmente un omosessuale convinto, John è un bisex, oppure è solo attratto dalla forza mascolina. Gavin vuole evitare che la parte etero abbia il sopravvento in John e perciò deve eliminare la causa, cioè deve eliminare la madre di John: così facendo, unisce ad un desiderio che è quello di possesso del giovane, anche quello del luogo, cioè l’interesse economico. Che non è detto che non sia secondario al primo.

Solo che la madre di John ha capito tutto in occasione dell’incidente dell’auto, e decide di rispondere colpo a colpo a Gavin: capisce cioè di essere stata la vittima predestinata salva per miracolo e quindi passa all’azione, uccidendolo in maniera subdola.

Racconto veramente mirabile nella resa e nella scrittura, colpisce come un pugno nello stomaco, soprattutto per la freddezza della donna, che riesce a simulare più di quanto abbia fatto il suo antagonista, e a mettere in piedi un delitto perfetto, mascherato da incidente.

Tuttavia laddove qui il tutto si riduce ad un confronto scontro tra due entità capaci di annientarsi l’un l’altro, il tutto non alzando mai il volume dello scontro, ma invece cercando di dimostrarsi più amorevole dell’altro, in un abisso di ipocrisia, in un altro racconto di MacDonald, l’omosessualità maschile è quasi gridata, con esiti altamente drammatici.

Sto parlando di Love Lies Bleeding, pubblicato non da Mondadori, ma da Feltrinelli, e presente anche in una antologia curata da Anthony Boucher dal titolo The Quintessence of Ellery Queen.

Qui la storia è ancora una in cui le donne non esistono. O meglio, una donna, Astrid, compare, anzi potrebbe avere una parte predominante, se non uscisse così repentinamente dalla storia.

 

Cyprian Morse è un commediografo di successo, i cui unici e veri amici sono Astrid, la scenografa, e Charles, il costumista. Tra di loro non c’è solo però solo amicizia. Lo capisce una sera Cyprian quando Astrid gli si avvicina e gli dichiara il suo amore. Cyprian non dichiara il suo ad Astrid, anzi ne è riupugnato, non tollera che lei gli si avvicini né tantomeno che lo abbracci e lo baci. L’aveva guardata come la sua più vera amica, travisando la natura dell’amicizia della donna, pensando che come il suo atteggiamento, quello della donna fosse di sola amicizia. Cyprian invece non la ama. Ma non è che ami invece un’altra donna: Cyprian ama Charles. MacDonald qui è chiaro ad attribuire a Cyprian la patente di omosessuale: infatti mai per un attimo Cyprian prova pietà per la donna, semmai vorrebbe che Charles fosse lì. Desidera Charles prima, desidera Charles dopo, ancora di più dopo..che ha ucciso Astrid. Astrid le si è avvicinato troppo, lui ha cercado fuggire al suo abbraccio, ma si è trovato le spalle al muro, schiacciato al camino. Non trovando altra fuga, ha cercato di sottrarsi all’abbraccio, scivolando ma ha perso l’equilibrio: una mano ha trovato la cornice del caminetto, l’altra l’attizzatoio. E in quel momento, la sua identità si è divisa in due: una timorosa, l’altra impavida, che ha preso il sopravvento. E’ quella che ha armato la mano, che ha impresso violenza all’attizzatoio, che l’ha lasciato ricadere innumerevoli volte sul capo di Astrid, che ne ha persino lacerato il corpo. E’ come se una forza estranea si fosse impadronita di lui, sicchè i colpi cadevano senza che lui li concepisse e li attuasse. E’ come se una nebbia fosse calata su di lui, davanti ai suoi occhi: quando si dirada e capisce cosa ha fatto, scappa via, in tempo per esser tuttavia riconosciuto. Lui sa di aver ucciso, ma sa anche che non voleva uccidere: ha agito come in stato di legittima difesa. Per la società è purtuttavia un mostro. Lui non sa che fare: se ci fosse stato Charles, però lui sì che avrebbe saputo cosa fare!

Così abbiamo un altro individuo debole, ed uno forte. Nel primo racconto il debole era John e il forte Gavigan (ma anche la madre di John); nel secondo il debole è Cyprian (da notare come il nome rimandi ad Afrodite, la dea dell’amore) presentato fisicamente come individuo effemminato : affettato, vestito impeccabilmente, con lineamenti ambigui (le ciglia lunghe, la bocca cesellata, il pallore della pelle delicata del viso), con un anello d’oro con lapislazzuli al dito, regalatogli da Charles (quando mai un uomo regala ad un altro uomo, suo amico, un anello d’oro?), il forte è Charles. E forte è anche il suo difensore Magnussen, che il suo impresario gli ha cercato. E lui che confeziona la sua difesa, è lui che si sostituisce a Charles nella sua assenza. L’alibi: è stato un altro, che lui ha visto fuggire dalla finestra, ma che nessun altro ha visto. Lui non c’entra, non può esser stato lui. Il fatto è che lui sa di essere stato, ma comunque nega. Nonostante dall’istante del suo arresto, gli interrogatori siano pressanti, sempre più pressanti, in un vortice senza fine. L’unica cosa che lui teme è che la sua forza venga meno, che la stanchezza lo vinca e con essa la tanto sospirata dagli altri sua confessione. Cyprian teme però non solo se stesso, ma anche gli altri: facce volgari, brutali, volpine, astute. Che gli fanno domande, sempre le stesse. Il tempo che non passa. La luce in faccia. Ah, se ci fosse Charles! Nei momenti critici, Cyprian pensa a Charles: lui sì saprebbe come cavarlo d’impaccio, come avere la meglio su quei bruti. Anche se lui ha ucciso.

John Friar gli mette accanto un difensore di razza, ma le certezze di Cyprian che Magnussen riesca a salvarlo dalla bara, sono distrutte da un altro elemento forte della storia: la pubblica accusa, che distrugge le sue speranze e lo condanna a morte certa. Quando però oramai non ha alcuna speranza di salvarsi, arriva una notizia bomba: lui è libero: mentre era in carcere altre due donne sono state massacrate, colpite con identica ferocia. Persone non a lui riconducibili. Sicuramente un serial killer.

Cyprian è disorientato: ha ucciso o no? E se ha ucciso Astrid, chi ha ucciso quelle due donne l’ha fatto sicuramente per emulare lui.

Quando lo capirà, nasconderà il viso tra le mani: Dio mio ! Dio mio!

La presenza di Dio mai affiorata in una storia che è di pura violenza, di sadismo e di follia, si rende manifesta quando un soggetto che è espressione stessa del male, si affaccia: qui non c’è la volontà di eliminare un nemico (Gavin contro la madre di John, la madre di John contro Gavin), non c’è una lotta di pari intensità, qui c’è un assassino e delle vittime innocenti. C’è un assassino che uccide per stornare i sospetti, solo per quello: e per quello massacra di due donne prese a caso, due bestie da macello. Tanto più che per lui le donne non hanno alcun peso: perché lui è Charles, quello che avrebbe saputo sì cosa fare per salvare Cyprian.

Cyprian l’ha invocato, e lui – il deus ex-machina – si è rivelato. Ma prima di apparire, dal buio dell’appartamento di Cyprian, lui Charles ottiene che il suo amante, ammetta di avere ucciso Astrid, pronunci la sua confessione. Perché? Perché è così tagliente, così diversa da come lui la ricordi? Il perché Cyprian  lo capisce subito dopo. Capisce che lui ha ucciso per salvarlo, sulla base della presupposizione che lui, Cyprian, avesse in effetti ucciso. Ma se ciò non fosse accaduto?

Tuttavia è accaduto.

E ora Cyprian e Charles saranno vicini e vivranno felici. Ma su Cyprian piomba come un macigno la verità e anche una consapevolezza altrettanto terribile: che come Charles sa che lui ha ucciso, anche lui sa che Charles ha ucciso. Sono uniti per sempre dai loro omicidi. E se lui un giorno non amasse più Charles, dovrebbe però tenerlo con sé perché sa che Charles non gliela perdonerebbe.

I due racconti raffrontati hanno tanti punti sovrapponibili: i soggetti forti sono, in entrambi, personaggi negativi; vi sono due unioni omosessuali, una sfumata ed una reale; Gavigan e Charles affermano la propria superiorità psicologica su elementi deboli come John e Cyprian che li idolatrano. Tuttavia nel secondo racconto, che ha un’atmosfera più ossessiva, da incubo woolrichiano, entrambi i soggetti della coppia uccidono, anche se con valenza diversa: il primo uccide sotto impulso di follia (una nebbia gli cala davanti agli occhi e perde la coscienza di quel che compie), il secondo uccide per calcolo. Entrambi i soggetti forti, uccidono tuttavia per rinsaldare un legame che essi giudicano inscindibile. Per certi versi il secondo racconto, reso da una prosa più tagliente, più secca, anche più visionaria, deve sancire il disprezzo di una unione sacrilega e il rifiuto di una normale: il prezzo dell’omicidio sarà la morte, anche del legame di stima che avvinceva i due amanti. Del resto, l’atmosfera opprimente, fa da contraltare alla vicenda mostruosa, laddove nel primo racconto era invece sfumata: lì lo scontro non era tanto fisico e verbale quanto puramente psicologico, era uno scontro tra menti superiori, mentre qui l’omicidio non è il risultato di una tenzone ma di un atto di violenza verso un essere più debole che non può opporsi, e perciò tra i due il secondo è molto più riprovevole e terribile.

Noto ancora come mentre nel secondo racconto l’ambientazione è Broadway, un ambiente di spettacolo dove le forme di unione omosessuali sono da sempre tollerate, ma per ciò stesso è ambiente di spettacolo dove la volgarità la fa da padrone, nel primo racconto l’ambientazione è una località da sogno, in una villa della classe medio-alta; laddove il secondo racconto presenta omicidi brutali, il primo inquadra delle vere e proprie opere d’arte (delitti perfetti); laddove nel secondo c’è un compiacersi della violenza, nel primo quasi non c’è; laddove nel secondo non c’è scontro tra menti, nel primo c’è. Laddove nel secondo l’ambiente è quello dello spettacolo, nel primo è quello letterario. Nel secondo sono colti gli aspetti volgarmente raffinati: il lusso, i cibi ricercati, gli abiti firmati; nel primo, la sobrietà della cultura, la poesia. Gavin è un Oscar Wilde, se vogliamo. In certo qual modo Gavigan, per quel suo non perseguire una violenza cieca, ma calcolata eppure anche capace di mettere a dura prova i propri nervi, non è proprio inquadrabile come un soggetto del tutto negativo, se è vero che riesce a farsi amici i bambini e gli animali (Il dubbio che insinua MacDonald è reale: la cattiveria si può esprimere anche in soggetti apparentemente buoni e simpatici).

Ancor di più, se lui premedita di uccidere per calcolo, ma comunque l’assassinio mette a dura prova il suo Io (a significare che la sua natura vera non è quella), l’altro, Charles, è una persona del tutto amorale: è fredda, spietata, cinica. Del resto la riprovevole unione tra due individui dello stesso sesso, in un’epoca in cui l’omofilia era tanto tangibile da aver perseguitato molti artisti (anche scrittori di romanzi gialli), si esprime per nulla in atto di commiserazione, quanto di condanna degli stessi. L’unico a salvarsi è John, perché non è un vero e proprio soggetto omosessuale ma piuttosto colui il quale è stato plagiato, e pur uscito con le ossa rotta perché il suo punto di riferimento è scomparso, ora avrà la possibilità di rifarsi una vita con Betty Lou. Cosa che non esisterà per Cyprian condannato per tutta la vita ad una unione che sarà per lui, per ogni attimo di vita, una perenne condanna.

 

Pietro De Palma

sabato 16 novembre 2024

E.L. Withers: Diabolico Intrigo (Diminishing Returns, 1960) – trad. Giuseppe Aloardi – I Romanzi del Corriere, 1961

Nel 1961, ultimo anno di pubblicazione de I Romanzi del Corriere (evoluzione de Il Romanzo Mensile prima e de Il Romanzo per tutti dopo), venne pubblicato come terzultima uscita, Diabolico Intrigo, di E.L.Withers.
Chi era E.L. Withers innanzitutto?
Fu lo pseudonimo di George William Potter Jr., nato nel 1930 a St. Louis, Missouri. Laureatosi in Musica, fu amministratore delegato in alcune società, oltre che disegnatore acuto ed esperto d’arte. Dal 1960 al 1964 scrisse sei Mystery, di cui Diabolico Intrigo è la traduzione italiana del terzo Diminishing Returns, 1960. Gli altri furono nell’ordine: The House on the Beach, 1957; The Salazar Grant, 1959;; Heir Apparent, 1961; The Birthday, 1962; Royal Blood, 1964. Potter è morto sei anni fa a Kansas City. Lo pseudonimo che usò utilizzava nome e cognome della moglie.

Il romanzo potrebbe benissimo essere ripubblicato, magari per Mondadori, perché è un romanzo parecchio godibile e per nulla scontato.
Come tanti altri romanzi, basa la propria azione sull’odio che una persona riesce ad attrarre verso di sé da quanti lo attorniano in virtù della sua tirannia, della sua antipatia, del suo desiderio di comandare e disporre della vita degli altri: così John Byers che è il marito di Marie-Hélène e il padre di Janet, esce una sera con la moglie, la figlia, il fidanzato della figlia Larry Graham, e una coppia di amici, Ed e Kitty Stewart, per una serata di allegria, che si trasforma in tragedia quando, dopo la serata, malgrado la moglie di Ed si senta stonata e vorrebbe solo ritornare a casa, John  riesce tanto a fare e disfare, che mette nelle condizioni il fidanzato della figlia ad aprire le porte anche agli altri cinque, della casa dei Van Hornes, degli amici di famiglia che sono fuori città per un viaggio. Si vorrebbe bere un drink: cercano il whisky ma non lo trovano. E così, a malincuore, viene usata una bottiglia di gin, per dei cocktail, cui mettono mano praticamente tutti in cucina. Fatto sta che pochi minuti dopo aver ingerito gli intrugli, John viene scosso da conati di vomito e muore poco dopo mentre la moglie viene ricoverata in gravi condizioni e gli altri sono scossi da violenti crampi addominali. In sostanza, John è stato avvelenato con una elevata dose di arsenico, presente anche in altri bicchieri.
La cosa strana è che proprio John ha indotto Larry ad aprire la casa dei Van Hornes, dove è stato ucciso. E questa metodica, puntuale, comparirà anche negli altri omicidi. Ma prima che ciò si verifichi, il Tenente Tom Michaels, trovandosi in un ginepraio, decide di ricorrere all’acume di un grande avvocato ritiratosi dalla professione legale, il Signor Wetherby, che lo ha aiutato altre volte, disimpegnandosi a dovere. Oramai Wetherby, che ha superato la settantina, vive un’esistenza di riposo e proprio i casi che gli propone Michaels gli servono per non arrugginire del tutto.
Michaels non capisce chi possa essere stato dei cinque ad uccidere John: eppure tutti avevano validi motivi per farlo! Ed avrebbe potuto ucciderlo se avesse saputo per esempio della relazione tra John e la moglie prima del matrimonio e come in fondo sua moglie ne fosse innamorata; la moglie Kitty lo odiava perché continuava a farle una corte serrata solo per sedurla ma non perché la volesse sottrarre ad Ed; la figlia Janet era da lui tiranneggiata, come lo era la moglie Marie-Hélène; ed infine il fidanzato di Janet era sempre umiliato da lui. Quindi di motivi ce n’erano a iosa. Purtroppo però, dagli interrogatori non era riuscito a desumere chi potesse essere stato, perché nella cucina dove erano stati preparati i cocktail tutti, chi più chi meno, avevano trafficato coi liquori. E quindi..
Larry convince gli altri quattro ad andare a fare una nuotata, in un pomeriggio afoso: e mentre stanno là, Janet e Marie-Hélène sulla barca e Ed e Larry sono in acqua, si scatena un temporale e dei fulmini arrivano a poco distanza dalla barca. E in quel mente accade l’impossibile: un fulmine centra un albero su una delle rive, che cade sull’acqua travolgendo Larry, che scompare tra i flutti dopo che aveva poco tempo prima rivelato a Janet che pensava di capire chi potesse essere stato ad uccidere John. Che ha lasciato soldi alla moglie, alla figlia e al socio.
I tre sono terrorizzati e bagnati fradici per cui si riparano nella villa di Ed e Kitty.
Scocciato dal fatto che nessuno si scopra, Michaels decide di portare tutti al posto di Polizia: Kitty non vuole andarvi nelle macchine della polizia, quasi fossero dei criminali, e in una notte di pioggia, propone al tenente di andarvi in auto: loro davanti ed il tenente in altra auto dietro. Ma qual è il colpo di scena, quando davanti ai suoi occhi, la macchina dei sospettabili slitta sull’asfalto andando a urtare una colonna dell’ingresso nel parco della loro villa, e quando Michaels li soccorre, si accorge che Kitty è morta per la frattura delle vertebre del collo.
Ora ci sono tre morti. E anche se, come nel caso di Larry, ci potrebbe essere l’ombra dell’incidente, Tom sa che è stato un altro omicidio: vicino a Kitty, Ed guidava, ma proprio Ed è sotto shock, mentre i due passeggeri seduti sui sedili posteriori cioè Marie-Hélène e Janet, sono rotolate per terra, dicono. Anche qui non riesce a capire chi possa essere stato anche se Ed è il più sospettabile.
Tom a questo punto decide di far stare i sospettabili insieme anche se Wetherby lo ha supplicato di tenerli lontani, e così Marie-Hélène chiede che possano andare a casa sua. E qui, mentre Ed è al piano di sotto insieme al tenente e a Janet, al piano di sopra si sviluppa un incendio, laddove si trova Marie-Hélène. E proprio lei non riesce a venirne fuori nonostante Ed e Janet si siano prodigati per spegnere le fiamme: uno scheletro carbonizzato viene trovato in quello che era il bagno quando i presenti riescono ad avere ragione delle fiamme assieme ai pompieri.
Anche qui il sospetto dell’omicidio è presente, ma potrebbe ancora essersi trattato di un incidente.
Mancano due all’appello, e quindi Tom sa che deve trattarsi o di Ed o di Janet. E Wetherby gli chiede di poterli alloggiare a casa sua, dove ha la situazione dei luoghi sotto controllo. Ma ancora una volta la morte arriva: mentre Wetherby è nell’altra stanza, e nella sala che da sul balcone sono soli Janet ed Ed, mentre Janet ha in mano il vassoio dei cocktails, Ed si butta dal balcone al diciassettesimo piano, venendo trovato diciassette piani sotto ridotto ad una frittata.
Verrebbe da dire che sia stata Janet, ma il fatto che sul vassoio non si trovi neanche una goccia di liquore sta a significare che Janet è rimasta col vassoio in mano senza far cadere nulla, e quindi non può averlo posato, aver spinto Ed fuori dal balcone ed esser ritornata a prendere il vassoio in un tempo brevissimo senza aver fatto cadere neanche una goccia dei cocktails.
Insomma parrebbe che Ed si sia suicidato, sempre che Janet non sia l’assassina e non sia riuscita a gabbare Wetherby.
Ma a questo punto accade l’impossibile. Mentre Janet è affacciata a vedere, vede qualcuno su un balcone vicino e gli pare di vedere Larry. Ma non era morto? Lui scompare e lei a quel punto gli corre dietro.
Wetherby e Tom riescono a capire dove sia andata lei inseguendo Larry, sempre che sia lui.
Finale scoppiettante per nulla scontato, in cui Wetherby riuscirà a fermare l’assassino prima che uccida ancora, anche se non voleva uccidere più.
Bellissimo romanzo, ha una struttura interessantissima: innanzitutto, come anticipato, quasi tutte le morti si verificano allorchè la vittima decide il luogo dove poi morirà; inoltre la storia ha una struttura fatta di continui flashback e di una tensione palpabile: infatti le morti si rincorrono a poca distanza di tempo le une dalle altre. E proprio per alzare la tensione, Potter fa seguire all’una l’altra, come un rosario di morte. E poi quando essa capita ad uno dei rimanenti, ecco che il successivo capitolo riprende il discorso da prima che accadesse il delitto o la morte accidentale, spiegando i passi e le ipotesi di Wetherby e Michaels, creando un raro romanzo che è sia thriller che mystery, che ha movenze accelerate quando la morte arriva, e lente quando il detective vero e quello improvvisato tentano di decriptare il piano dell’omicida.
La chiave ancora una volta è chiedersi la formula latina. Cui Prodest? Quando si è capito o almeno ipotizzato, tutto dovrebbe diventare più semplice, a meno di non essere imbrogliati come in un gioco di prestigio.
Il ritorno di un soggetto ritenuto morto, è una prassi da tanti altri applicata (da Agatha Christie a Josephine Tey, a tanti altri), ma qui non è solo applicata, ma variata genialmente.
L’unico difetto del romanzo è una pecca dovuta alla poca familiarità dello scrittore con l’arsenico: sarebbe bastato che avesse fatto usare altro veleno e la cosa sarebbe sembrata maggiormente plausibile. Perché l’arsenico non può uccidere in un colpo come il cianuro: con la dose più massiccia, uccide almeno in tre giorni.
Evidentemente non aveva mai letto Agatha Christie o Anthony Berkeley.

Pietro De Palma

martedì 5 novembre 2024

Edward D. Hoch : L’assurdo sospetto del Capitano Leopold (Captain Leopold Plays a Hunch, 1973) – trad. Marcella Della Torre – Ellery Queen presenta “Estate Gialla 1980”, Mondadori, 198

 


 

Edward D. Hoch quando scrisse L’assurdo sospetto del Capitano Leopold (Captain Leopold Plays a Hunch, 1973) era già un autore sufficientemente famoso, per i tanti racconti che aveva già scritto, sotto diversi pseudonimi, nelle varie tipologie, soprattutto di Delitti Impossibili e Camere Chiuse, sia per i pochi romanzi fantascientifici e polizieschi, tutti però legati dalla medesima voglia di stupire il lettore.

La serie con Capitano Leopold, ha connotazioni diverse rispetto a quella di Sam Hawthorne, tutta votata alla risoluzione di Camere Chiuse: infatti le storie in cui compare Leopold sono niente di più che dei Procedurals, che hanno la particolarità di esaminare casi se non impossibili, almeno però non del tutto chiari.

Un esempio di questo tipo di scrittura, è dato proprio dal racconto che presento, pubblicato in Italia, in una Estate Gialla mondadoriana, “Ellery Queen presenta”, del 1980.

Il Capitano Leopold investiga su un caso in cui però egli non compare in quanto poliziotto ma amico del padre del supposto assassino: Mike Fletcher è un ragazzo di quattordici anni che stava sparando, in compagnia di amici, a delle lattine di birra, poste su un tronco, con un fucile Long Rifle cal.22 che gli ha regalato il padre, il Tenente Fletcher della Polizia, sottoposto di Leopold. Senonchè poco dopo che la madre lo richiama immediatamente perché non spari lì, dietro le case, in una boscaglia dove non c’è anima viva, ma comunque a circa trecento metri dalla prima abitazione, si ode un urlo proveniente proprio da quelle case: un professore di liceo, Chester Vogel, è stato ritrovato morto dalla moglie, ucciso da un proiettile vagante. Il proiettile estratto è un calibro 22.

L’autopsia rivela come il proiettile si sia fermato contro l’osso frantumandolo e determinando la morte di Vogel, ma pur essendo chiaro come esso sia un calibro 22. come quelli sparati dal quattordicenne, è troppo contorto e malridotto per essere apprezzato e valutato appieno. Il caso sembra chiaro, ma Leopold informato dall’affranto padre del presunto omicida, non è persuaso dell’accaduto, dopo aver visionato il luogo della tragedia, dove è andato a titolo personale, essendo troppo coinvolto (Fletcher e Connie Trent lo hanno invitato a casa loro in passato).  

La moglie della vittima, Katherine Vogel, è dura e spietata contro il ragazzo, attribuendogli la paternità della morte del marito: una pallottola ha forato il vetro della finestra, proprio vicino al suo telaio, e per un caso sfortunato pare abbia ucciso il professore. Tuttavia, la posizione della poltrona, che appare spostata rispetto a come sarebbe dovuta essere e l’attenzione della donna al suo orologio da polso, nonostante sia provata tanto da essere condotta in camera da una sua vicina Linda Pearson, come un tarlo, cominciano a rodere il Capitano Leopold, che pur non avendo indizi, si capacita, in virtù di non meglio precisate sensazioni, che la verità sbandierata non lo sia in effetti. E così comincia ad investigare.

E viene a sapere da dicerie che la stessa Sig.ra Pearson, una bella bionda vicina di casa, era stata più volte accusata di avere una relazione con la vittima, e che la Vogel aveva minacciato di morte il marito se non avesse smesso di trattarla; e che lo stesso docente possedeva nello scantinato di casa sua una pistola da tiro a segno, che tuttavia nessuno sa, neanche la moglie della vittima, che fine abbia fatto. Lo stesso Harry Pearson, attribuisce la morte di Vogel al figlio del Tenente Fletcher e pare non nutrire alcun sospetto nei confronti della moglie, che tuttavia giura al capitano di non aver mai avuto alcun contatto amoroso o addirittura carnale con la vittima. Del resto la pistola avrebbe lo stesso calibro di quello usato dal fucile.

Tuttavia, al sospetto che possa essere stata la moglie, si oppone una semplice considerazione della sig.ra Pearson: come avrebbe potuto ucciderlo senza essere vista dai vicini, giacchè la casa dei Pearson è praticamente attaccata all’altra, se ad uccidere Vogel non fosse stata la pallottola del Long Rifle ma della pistola cal.22? Questa considerazione, del resto è quella fondamentale, che Leopold riconosce essere azzeccata, e a cui non riesce a dare risposta, finchè parlando col padre di Mike, e interrogandosi sulla stranezza del comportamento della signora Vogel quando aveva fissato il proprio orologio da polso (“perchè le interessava tanto sapere che ora era, con il marito appena morto?”, pag. 295), da quegli esce un’affermazione che lo sorprende: si fissa un orologio non solo per sapere che ora sia, ma anche talora per accertarsi che sia funzionante.

Questa considerazione, unita ad una poltrona spostata, e alla rivelazione dell’operaio della Empire Glass Company che ha provveduto su richiesta della sig.ra Vogel, alla rimozione del vetro forato e alla sua sostituzione con uno nuovo, daranno modo a Leopold di scagionare il ragazzo ed inchiodare alle sue responsabilità un’omicida scaltro.

Racconto inusuale, ci si aspetterebbe un delitto impossibile o quantomeno una Camera Chiusa da Hoch, L’assurdo sospetto del Capitano Leopold sorprende per l’acutezza degli indizi raccolti e tuttavia per la loro assoluta vacuità, che però, concatenati in un discorso logico, finiscono per essere le tappe obbligate di una brillantissima soluzione, che mette ancora in luce come dietro un apparente e semplice caso di omicidio colposo (che in questo caso avremmo detto preterintenzionale, giacchè il presunto omicida sapeva che in aree abitate, seppure a ragionevole distanza, è vietato sparare) vi sia invece un’accurata messinscena, e che la stessa posizione della poltrona, ha un significato ben profondo. Quando non l’abbia la differenza tra un calibro 22 Long ed uno Long Rifle (o l’assenza di differenza), che al lettore italiano può sfuggire: dico solo il Long Rifle è un proiettile un po' più alto del 22 Long e molto più pesante, ed è un proiettile pensato non solo per pistola ma anche per fucile.

Un meraviglioso racconto, di diciassette pagine (da pag.281 a 298 della raccolta Mondadori), che lascia attoniti, tanto più per la capacità di Hoch di sorprendere il lettore, con una rivelazione, quella dell’operaio, che sovverte tutta la logica fino a quel momento utilizzata, con una dichiarazione spiazzante, che nel momento in cui viene resa, pur non entrando minimamente nella dimensione del delitto, ma pur essendo legata esclusivamente alla sostituzione del vetro della finestra (e cosa c’entrerà mai?, pensa il mio lettore), scagiona il presunto omicida e dà modo al resto degli indizi di divenire invece che aleatori, probanti al massimo grado.

Un racconto di genio.

 

Pietro De Palma

sabato 2 novembre 2024

Frederic Brown : La belva nella città (The Lenient Beast, 1956). I Gialli del Secolo n. 308, Casini Editore, 1958

 

 

 

Torniamo a Fredric Brown dopo qualche tempo, questa volta per parlare non di un Mystery seppure asciutto, come era il suo stile, ma un romanzo nero, con grande tensione narrativa e uno stile inconfondibile.

La storia non nasce come i Mystery classici della Golden Age con un Prologo in cui vengono presentati i personaggi e con un certo climax in cui maturano le vicende che inevitabilmente portano alla catarsi liberatoria e al delitto, ma comincia subito col delitto: preparazione non ve n’è proprio.

La storia si svolge a Tucson, dove lo stesso Brown visse nei suoi ultimi anni di vita.

John Medley, che vive di compravendita, trova una bella mattina un cadavere al centro del suo giardino. Si accerta che sia morto, quindi va dalla signora Armstrong, sua vicina, e le chiede di poter usare il suo telefono (giacchè lui non dispone della linea telefonica) per chiamare la polizia: sa bene che non bisogna spostare il corpo del reato prima che arrivi la polizia e quindi non lo fa. Ma per quel che ha visto – il cadavere è disteso supino,  il capo è girato in una posa innaturale a guardare l’orizzonte, gli occhi sono fissi e vitrei, battito non ve n’è e il corpo gli appare già freddo – quel tale è proprio stecchito.

La polizia arriva e ben presto conosce i due poliziotti che dirigono le operazioni : Frank e Ramos detto Il Rosso. I due lo interrogano sul più e sul meno. John si dimostra il più collaborativo possibile e offre persino da bere ai due, e si mette a disposizione per il prosieguo delle indagini. L’uomo è stato ucciso con un colpo di pistola alla nuca, con un’arma di piccolo calibro, una ventidue probabilmente. I due poliziotti gli chiedono se possieda una pistola, e John ammette di avere una Smith & Wesson calibro 32 ma che non ha sparato da cinque anni, cosa che i due verificano guardando nella canna della pistola: da quando ha ucciso il suo cane che era stato avvelenato: a ricordarlo c’è una pietra bianca sulla sua tomba, nel suo giardino.

I due se ne vanno, ma per quanto John si sia dimostrato e abbia tentato di essere compiacente, i due ne riportano un’impressione non proprio rassicurante.

Potremmo dire fine primo atto.

Il secondo inizia con John che rientra a casa, sfinito dalla tensione di aver sostenuto l’interrogatorio e di non essersi tradito: infatti è lui che ha ucciso quel tale trovato al centro del suo giardino. Ripercorre tutte le tappe, mentalmente fa un’analisi degli avvenimenti, ripensa a ciò che ha fatto per depistare le indagini, e conclude con il fatto che non riusciranno mai ad incastrarlo. Tuttavia è ossessionato dal fatto che sia stato Dio a volere ciò che ha fatto e prega perché non sia di nuovo costretto a fare quello che ha compiuto, e nello stesso tempo non capisce perché abbia messo il cadavere al centro del suo giardino invece che disfarsene in altro modo: il suo piano iniziale prevedeva infatti di lasciarlo nei pressi dei binari, ben lontano da casa sua. Perché lo ha messo così vicino a casa sua?

In Medley agiscono due identità: una ritiene di stare solo compiendo al volontà di Dio, l’altra – che agisce ne suo subcosciente – vorrebbe che venisse preso e confessando finisse la sua sofferenza.

Frank è convinto sempre più, man mano che il tempo passa, della sua colpevolezza; il suo compagno, l’altro poliziotto Ramos, no. E anche il loro capitano, ritiene Medley una brava persona. John non ha vizi. Beve solo sherry, legge e sente musica con un vecchio grammofono. In quello è uguale a Frank Amos, il poliziotto che ha capito la sua colpevolezza.

Ma perché John ha ucciso Kurt Stiffler ? E chi era Kurt Stiffler

Più gli inquirenti cercano legami fra i due, carnefice e vittima, più non trovano nulla: è vero che l’assassinio di Kurt è stato compiuto con grande freddezza ed accortezza e per di più è stato premeditato, e non ha lasciato prove,  ma  è anche vero, che, in fondo, Kurt era un uomo distrutto, sia nel fisico (non aveva molto tempo da vivere) sia nell’animo (era stato il responsabile della morte della sua famiglia e di un altro guidatore, per una sua disattenzione nella guida e le spese sopportate dalla giustizia civile per risarcire la famiglia dell’altro guidatore, come lui alticcio, pur ritenuto innocente dalla giustizia penale, lo avevano ridotto quasi in miseria. Per cui non sarebbe stato neanche tanto impossibile il suicidio, se la ferita mortale fosse stata inferta con un’angolazione meno strana. Ma qual’è il motivo dell’uccisione di Kurtt?

Più si scaverà, più non si troverà nulla. Anche perchè John ha curato di non parlare mai del suo passato: figura come scapolo, ma nessuno sa che è stato sposato e che ha perso la moglie in un tremendo incidente automobilistico. E nessuno conosce, tranne lui, il vero epilogo di quell’incidente: nessuno sa che dopo il tremendo impatto contro un albero, lui non si era fatto nulla, sbalzato fuori, ma la moglie giovane e bellissima era rtimasta sfigurata con la faccia ridotta ad una poltiglia sanguinolenta, un occhio sbalzato via dall’orbita, un braccio quasi completamente maciullato; e soprattutto nessuno sa che per far tacere la moglie che urlava, per far tacere quell’orrore, l’aveva uccisa  colpendola alla testa con un grosso sasso.

Medley sfuggirà alla giustizia terrena. Ma non a se stesso in un finale molto melanconico, che coinvolgerà non solo Medley, punito e finalmente felice di aver pagato il suo fio, ma anche Frank, per vicende sue famigliari, mentre l’altro compagno, Ramos (la vicenda si svolge a Tucson, Nuovo Messico), si sposerà con la figlia della vicina di casa di Medley.

Il romanzo è un romanzo nero atipico. A metà tra il Thriller e il Procedural, il romanzo viene svolto secondo un originalissimo iter narrativo, affidato a ciascun personaggio del dramma : John, Frank, Ramos, la moglie di Frank, il capitano Walter Pettijohn, Alice Ramos moglie di Frank. In sostanza, a ciascuno di essi, viene conformato un intero capitolo della storia: in ciascuno, il personaggio prescelto, parla in prima persona. Questo procedimento narrativo è diverso dalla narrazione in terza persona che pone il narratore fuori dal contesto narrativo: qui ciascun personaggio è narratore per la parte di storia a lui affidata perchè da lui vista secondo il suo occhio. Ne consegue che il lettore è maggiormente preso dalla tensione narrativa in quanto il procedimento della narrazione in prima persona non solo favorisce l’identificazione tra lettore e narratore, ma al tempo stesso fà sì che il racconto diventi una confessione continua.

Il merito di Brown non è solo quello di aver scandagliato la vicenda, ma anche di aver esaminato con crudezza la vita privata degli altri partecipanti al dramma, cioè i due poliziotti e le loro famiglie. Ne esce un quado tristissimo, in cui ad avere la peggio sono i due antagonisti, John e Frank: il primo contrapposto non solo a Frank ma anche a se stesso, alla propria coscienza; il secondo a John e a sua moglie, alcoolista, sposata solo due anni prima: matrimonio finito prima di incominciare, per l’ambizione della moglie di Frank, Alice, e i sostanza per un eccesso di precipitazione dei due, che si sono sposati basandosi solo sul colpo di fulmine, senza essersi conosciuti prima.

Se il romanzo pare avere un’atmosfera tutt'altro che lieta, sembra sfuggirgli il destino del secondo poliziotto, Fern Cahan, detto Ramos. Perchè a lui è riservato un finale lieto con il matrimonio: ma non è detto, sembra dire Brown, perchè anche a lui potrebbe andare male il matrimonio, basato solo su un colpo di fulmine.

Frank e John sono accomunati dallo stesso destino: aver troppo amato, ed esser rimasti prigionieri del loro stesso amore. Il personaggio di Alice, che sembrerebbe fuori luogo, in realtà ha la sua importanza perchè un suo giudizio “..forse quel John Medley lo ha ucciso per toglierlo dalla sua infelicità” fornirà la base per interpretare l’origine del delitto, che accomuna Kurt, il cane di John, la moglie di John e non si sa se altre persone.

John  in sostanza è un serial killer che uccide per dare pace a chi non l’ha: un alleviatore di sofferenze, che uccide con l’eutanasia, che per mettere a tacere la propria coscienza (la consapevolezza di aver ucciso la moglie non tanto per darle pace quanto per appagare il suo egoismo di trovarsi a gestire una situazione irreparabilmente compromessa non sapenso come uscirne) si è convinto che sia Dio a chiedergli di intervenire donando pace a chi non la possiede.

Per quanto non si veda a prima vista, il personaggio più positivo di questa storia è proprio Alice, che è alcoolista per disperazione, perchè ha perso un figlio che avrebbe portuto cambiare il menage familiare con il suo marito messicano Frank, che diversamente dal cliché del messicano tipo (crudo e violento) in realtà è una persona dolce e buona, che però è troppo chiuso in se stesso, e che ha fatto l’unico errore di sposare la moglie senza averla prima conosciuta: la vera mancata conoscenza, che è incomunicabilità tra i due sposi, si tramuta nel progressivo allontanamento dei due: i due potrebbero dormire in letti giacchè non hanno più rapporti intimi, Alice affoga le proprie disillusioni nell’alcool, Frank nel proprio lavoro, non facendo null’altro se non quello e non preoccupandosi di cercare di capire la vera causa della dipendenza dall’alcool della moglie , perchè in sostanza non l’ha mai capita. Lei sa di essere amata, ma si accorge di non riuscire mai più ad amarlo (è la cosa più triste) e quindi beve: è il vecchio dilemma di Costant. Tuttavia diversamente da John e Frank (prigionieri del proprio egoismo e che a modo loro reagiscono in maniera sbagliata alla realtà che li circonda, non avendo analizzato a fondo se stessi), Alice, dopo un’attenta analisi, decide di rompere: il suo amore per Clyde (seppure anche lui si manifesti un personaggio egoista, preso solo dal timore che Frank, che è un poliziotto, possa risalire alla sua identità e quindi prendersela con lui) la porterà a decidere di abbandonare per sempre Frank, dandogli una seconda possibilità di scelta.

Se vogliamo intender bene, il romanzo nero di Brown diventa quindi un romanzo sui sentimenti, un Hard boiled cupo, che in fondo però rivela una luce in fondo al tunnel, là dove, secondo la morale comune, non dovrebbe esserci: infatti la fedifraga, “la puttana”, in realtà è il personaggio più vero della storia, l’unico positivo che decide di romper l’infernale ingranaggio, assumendosi le proprie responsabilità.

Brown in un certo istante si manifesta anche colto riutilizzatore di escamotages: quando, contemplando la possibilità che Kurt stranamente sia sia potuto uccidere, sparandosi alla nuca, Brown cita il suicidio di chi per far sembrare invece il suicidio un omicidio, aveva legato la pistola alle zampe di un corvo, affinchè dopo essersi sparato, il corvo avrebbe portato la pistola altrove: in sostanza cita il romanzo di Alexis Gensoul “Gribouille est mort”, già in questo blog analizzato anni fa.

Brown lettore di romanzi francesi? Un’altra domanda a cui bisognerà rispondere: come e dove aveva conosciuto il romanzo di Gensoul, mai pubblicato in America?

Bellissimo e intenso romanzo di Fredric Brown, che mantiene inalterata tutta la sua forza (e la sua tristezza di fondo) anche nella traduzione tagliata, pubblicata ne I Gialli del Secolo.

Pietro De Palma