Mystery, Thriller, Hard-Boiled, Avventura, dalla GAD ad oggi. Sotto la lente di ingrandimento romanzi e racconti (anche Camere Chiuse e Delitti Impossibili)e saggi di critica.
sabato 16 novembre 2024
E.L. Withers: Diabolico Intrigo (Diminishing Returns, 1960) – trad. Giuseppe Aloardi – I Romanzi del Corriere, 1961
Chi era E.L. Withers innanzitutto?
Fu lo pseudonimo di George William Potter Jr., nato nel 1930 a St. Louis, Missouri. Laureatosi in Musica, fu amministratore delegato in alcune società, oltre che disegnatore acuto ed esperto d’arte. Dal 1960 al 1964 scrisse sei Mystery, di cui Diabolico Intrigo è la traduzione italiana del terzo Diminishing Returns, 1960. Gli altri furono nell’ordine: The House on the Beach, 1957; The Salazar Grant, 1959;; Heir Apparent, 1961; The Birthday, 1962; Royal Blood, 1964. Potter è morto sei anni fa a Kansas City. Lo pseudonimo che usò utilizzava nome e cognome della moglie.
Il romanzo potrebbe benissimo essere ripubblicato, magari per Mondadori, perché è un romanzo parecchio godibile e per nulla scontato.
Come tanti altri romanzi, basa la propria azione sull’odio che una persona riesce ad attrarre verso di sé da quanti lo attorniano in virtù della sua tirannia, della sua antipatia, del suo desiderio di comandare e disporre della vita degli altri: così John Byers che è il marito di Marie-Hélène e il padre di Janet, esce una sera con la moglie, la figlia, il fidanzato della figlia Larry Graham, e una coppia di amici, Ed e Kitty Stewart, per una serata di allegria, che si trasforma in tragedia quando, dopo la serata, malgrado la moglie di Ed si senta stonata e vorrebbe solo ritornare a casa, John riesce tanto a fare e disfare, che mette nelle condizioni il fidanzato della figlia ad aprire le porte anche agli altri cinque, della casa dei Van Hornes, degli amici di famiglia che sono fuori città per un viaggio. Si vorrebbe bere un drink: cercano il whisky ma non lo trovano. E così, a malincuore, viene usata una bottiglia di gin, per dei cocktail, cui mettono mano praticamente tutti in cucina. Fatto sta che pochi minuti dopo aver ingerito gli intrugli, John viene scosso da conati di vomito e muore poco dopo mentre la moglie viene ricoverata in gravi condizioni e gli altri sono scossi da violenti crampi addominali. In sostanza, John è stato avvelenato con una elevata dose di arsenico, presente anche in altri bicchieri.
La cosa strana è che proprio John ha indotto Larry ad aprire la casa dei Van Hornes, dove è stato ucciso. E questa metodica, puntuale, comparirà anche negli altri omicidi. Ma prima che ciò si verifichi, il Tenente Tom Michaels, trovandosi in un ginepraio, decide di ricorrere all’acume di un grande avvocato ritiratosi dalla professione legale, il Signor Wetherby, che lo ha aiutato altre volte, disimpegnandosi a dovere. Oramai Wetherby, che ha superato la settantina, vive un’esistenza di riposo e proprio i casi che gli propone Michaels gli servono per non arrugginire del tutto.
Michaels non capisce chi possa essere stato dei cinque ad uccidere John: eppure tutti avevano validi motivi per farlo! Ed avrebbe potuto ucciderlo se avesse saputo per esempio della relazione tra John e la moglie prima del matrimonio e come in fondo sua moglie ne fosse innamorata; la moglie Kitty lo odiava perché continuava a farle una corte serrata solo per sedurla ma non perché la volesse sottrarre ad Ed; la figlia Janet era da lui tiranneggiata, come lo era la moglie Marie-Hélène; ed infine il fidanzato di Janet era sempre umiliato da lui. Quindi di motivi ce n’erano a iosa. Purtroppo però, dagli interrogatori non era riuscito a desumere chi potesse essere stato, perché nella cucina dove erano stati preparati i cocktail tutti, chi più chi meno, avevano trafficato coi liquori. E quindi..
Larry convince gli altri quattro ad andare a fare una nuotata, in un pomeriggio afoso: e mentre stanno là, Janet e Marie-Hélène sulla barca e Ed e Larry sono in acqua, si scatena un temporale e dei fulmini arrivano a poco distanza dalla barca. E in quel mente accade l’impossibile: un fulmine centra un albero su una delle rive, che cade sull’acqua travolgendo Larry, che scompare tra i flutti dopo che aveva poco tempo prima rivelato a Janet che pensava di capire chi potesse essere stato ad uccidere John. Che ha lasciato soldi alla moglie, alla figlia e al socio.
I tre sono terrorizzati e bagnati fradici per cui si riparano nella villa di Ed e Kitty.
Scocciato dal fatto che nessuno si scopra, Michaels decide di portare tutti al posto di Polizia: Kitty non vuole andarvi nelle macchine della polizia, quasi fossero dei criminali, e in una notte di pioggia, propone al tenente di andarvi in auto: loro davanti ed il tenente in altra auto dietro. Ma qual è il colpo di scena, quando davanti ai suoi occhi, la macchina dei sospettabili slitta sull’asfalto andando a urtare una colonna dell’ingresso nel parco della loro villa, e quando Michaels li soccorre, si accorge che Kitty è morta per la frattura delle vertebre del collo.
Ora ci sono tre morti. E anche se, come nel caso di Larry, ci potrebbe essere l’ombra dell’incidente, Tom sa che è stato un altro omicidio: vicino a Kitty, Ed guidava, ma proprio Ed è sotto shock, mentre i due passeggeri seduti sui sedili posteriori cioè Marie-Hélène e Janet, sono rotolate per terra, dicono. Anche qui non riesce a capire chi possa essere stato anche se Ed è il più sospettabile.
Tom a questo punto decide di far stare i sospettabili insieme anche se Wetherby lo ha supplicato di tenerli lontani, e così Marie-Hélène chiede che possano andare a casa sua. E qui, mentre Ed è al piano di sotto insieme al tenente e a Janet, al piano di sopra si sviluppa un incendio, laddove si trova Marie-Hélène. E proprio lei non riesce a venirne fuori nonostante Ed e Janet si siano prodigati per spegnere le fiamme: uno scheletro carbonizzato viene trovato in quello che era il bagno quando i presenti riescono ad avere ragione delle fiamme assieme ai pompieri.
Anche qui il sospetto dell’omicidio è presente, ma potrebbe ancora essersi trattato di un incidente.
Mancano due all’appello, e quindi Tom sa che deve trattarsi o di Ed o di Janet. E Wetherby gli chiede di poterli alloggiare a casa sua, dove ha la situazione dei luoghi sotto controllo. Ma ancora una volta la morte arriva: mentre Wetherby è nell’altra stanza, e nella sala che da sul balcone sono soli Janet ed Ed, mentre Janet ha in mano il vassoio dei cocktails, Ed si butta dal balcone al diciassettesimo piano, venendo trovato diciassette piani sotto ridotto ad una frittata.
Verrebbe da dire che sia stata Janet, ma il fatto che sul vassoio non si trovi neanche una goccia di liquore sta a significare che Janet è rimasta col vassoio in mano senza far cadere nulla, e quindi non può averlo posato, aver spinto Ed fuori dal balcone ed esser ritornata a prendere il vassoio in un tempo brevissimo senza aver fatto cadere neanche una goccia dei cocktails.
Insomma parrebbe che Ed si sia suicidato, sempre che Janet non sia l’assassina e non sia riuscita a gabbare Wetherby.
Ma a questo punto accade l’impossibile. Mentre Janet è affacciata a vedere, vede qualcuno su un balcone vicino e gli pare di vedere Larry. Ma non era morto? Lui scompare e lei a quel punto gli corre dietro.
Wetherby e Tom riescono a capire dove sia andata lei inseguendo Larry, sempre che sia lui.
Finale scoppiettante per nulla scontato, in cui Wetherby riuscirà a fermare l’assassino prima che uccida ancora, anche se non voleva uccidere più.
Bellissimo romanzo, ha una struttura interessantissima: innanzitutto, come anticipato, quasi tutte le morti si verificano allorchè la vittima decide il luogo dove poi morirà; inoltre la storia ha una struttura fatta di continui flashback e di una tensione palpabile: infatti le morti si rincorrono a poca distanza di tempo le une dalle altre. E proprio per alzare la tensione, Potter fa seguire all’una l’altra, come un rosario di morte. E poi quando essa capita ad uno dei rimanenti, ecco che il successivo capitolo riprende il discorso da prima che accadesse il delitto o la morte accidentale, spiegando i passi e le ipotesi di Wetherby e Michaels, creando un raro romanzo che è sia thriller che mystery, che ha movenze accelerate quando la morte arriva, e lente quando il detective vero e quello improvvisato tentano di decriptare il piano dell’omicida.
La chiave ancora una volta è chiedersi la formula latina. Cui Prodest? Quando si è capito o almeno ipotizzato, tutto dovrebbe diventare più semplice, a meno di non essere imbrogliati come in un gioco di prestigio.
Il ritorno di un soggetto ritenuto morto, è una prassi da tanti altri applicata (da Agatha Christie a Josephine Tey, a tanti altri), ma qui non è solo applicata, ma variata genialmente.
L’unico difetto del romanzo è una pecca dovuta alla poca familiarità dello scrittore con l’arsenico: sarebbe bastato che avesse fatto usare altro veleno e la cosa sarebbe sembrata maggiormente plausibile. Perché l’arsenico non può uccidere in un colpo come il cianuro: con la dose più massiccia, uccide almeno in tre giorni.
Evidentemente non aveva mai letto Agatha Christie o Anthony Berkeley.
Pietro De Palma
martedì 5 novembre 2024
Edward D. Hoch : L’assurdo sospetto del Capitano Leopold (Captain Leopold Plays a Hunch, 1973) – trad. Marcella Della Torre – Ellery Queen presenta “Estate Gialla 1980”, Mondadori, 198
Edward D. Hoch quando scrisse L’assurdo sospetto del Capitano Leopold (Captain Leopold Plays a Hunch, 1973) era già un autore sufficientemente famoso, per i tanti racconti che aveva già scritto, sotto diversi pseudonimi, nelle varie tipologie, soprattutto di Delitti Impossibili e Camere Chiuse, sia per i pochi romanzi fantascientifici e polizieschi, tutti però legati dalla medesima voglia di stupire il lettore.
La serie con Capitano Leopold, ha connotazioni diverse rispetto a quella di Sam Hawthorne, tutta votata alla risoluzione di Camere Chiuse: infatti le storie in cui compare Leopold sono niente di più che dei Procedurals, che hanno la particolarità di esaminare casi se non impossibili, almeno però non del tutto chiari.
Un esempio di questo tipo di scrittura, è dato proprio dal racconto che presento, pubblicato in Italia, in una Estate Gialla mondadoriana, “Ellery Queen presenta”, del 1980.
Il Capitano Leopold investiga su un caso in cui però egli non compare in quanto poliziotto ma amico del padre del supposto assassino: Mike Fletcher è un ragazzo di quattordici anni che stava sparando, in compagnia di amici, a delle lattine di birra, poste su un tronco, con un fucile Long Rifle cal.22 che gli ha regalato il padre, il Tenente Fletcher della Polizia, sottoposto di Leopold. Senonchè poco dopo che la madre lo richiama immediatamente perché non spari lì, dietro le case, in una boscaglia dove non c’è anima viva, ma comunque a circa trecento metri dalla prima abitazione, si ode un urlo proveniente proprio da quelle case: un professore di liceo, Chester Vogel, è stato ritrovato morto dalla moglie, ucciso da un proiettile vagante. Il proiettile estratto è un calibro 22.
L’autopsia rivela come il proiettile si sia fermato contro l’osso frantumandolo e determinando la morte di Vogel, ma pur essendo chiaro come esso sia un calibro 22. come quelli sparati dal quattordicenne, è troppo contorto e malridotto per essere apprezzato e valutato appieno. Il caso sembra chiaro, ma Leopold informato dall’affranto padre del presunto omicida, non è persuaso dell’accaduto, dopo aver visionato il luogo della tragedia, dove è andato a titolo personale, essendo troppo coinvolto (Fletcher e Connie Trent lo hanno invitato a casa loro in passato).
La moglie della vittima, Katherine Vogel, è dura e spietata contro il ragazzo, attribuendogli la paternità della morte del marito: una pallottola ha forato il vetro della finestra, proprio vicino al suo telaio, e per un caso sfortunato pare abbia ucciso il professore. Tuttavia, la posizione della poltrona, che appare spostata rispetto a come sarebbe dovuta essere e l’attenzione della donna al suo orologio da polso, nonostante sia provata tanto da essere condotta in camera da una sua vicina Linda Pearson, come un tarlo, cominciano a rodere il Capitano Leopold, che pur non avendo indizi, si capacita, in virtù di non meglio precisate sensazioni, che la verità sbandierata non lo sia in effetti. E così comincia ad investigare.
E viene a sapere da dicerie che la stessa Sig.ra Pearson, una bella bionda vicina di casa, era stata più volte accusata di avere una relazione con la vittima, e che la Vogel aveva minacciato di morte il marito se non avesse smesso di trattarla; e che lo stesso docente possedeva nello scantinato di casa sua una pistola da tiro a segno, che tuttavia nessuno sa, neanche la moglie della vittima, che fine abbia fatto. Lo stesso Harry Pearson, attribuisce la morte di Vogel al figlio del Tenente Fletcher e pare non nutrire alcun sospetto nei confronti della moglie, che tuttavia giura al capitano di non aver mai avuto alcun contatto amoroso o addirittura carnale con la vittima. Del resto la pistola avrebbe lo stesso calibro di quello usato dal fucile.
Tuttavia, al sospetto che possa essere stata la moglie, si oppone una semplice considerazione della sig.ra Pearson: come avrebbe potuto ucciderlo senza essere vista dai vicini, giacchè la casa dei Pearson è praticamente attaccata all’altra, se ad uccidere Vogel non fosse stata la pallottola del Long Rifle ma della pistola cal.22? Questa considerazione, del resto è quella fondamentale, che Leopold riconosce essere azzeccata, e a cui non riesce a dare risposta, finchè parlando col padre di Mike, e interrogandosi sulla stranezza del comportamento della signora Vogel quando aveva fissato il proprio orologio da polso (“perchè le interessava tanto sapere che ora era, con il marito appena morto?”, pag. 295), da quegli esce un’affermazione che lo sorprende: si fissa un orologio non solo per sapere che ora sia, ma anche talora per accertarsi che sia funzionante.
Questa considerazione, unita ad una poltrona spostata, e alla rivelazione dell’operaio della Empire Glass Company che ha provveduto su richiesta della sig.ra Vogel, alla rimozione del vetro forato e alla sua sostituzione con uno nuovo, daranno modo a Leopold di scagionare il ragazzo ed inchiodare alle sue responsabilità un’omicida scaltro.
Racconto inusuale, ci si aspetterebbe un delitto impossibile o quantomeno una Camera Chiusa da Hoch, L’assurdo sospetto del Capitano Leopold sorprende
per l’acutezza degli indizi raccolti e tuttavia per la loro assoluta
vacuità, che però, concatenati in un discorso logico, finiscono per
essere le tappe obbligate di una brillantissima soluzione, che mette
ancora in luce come dietro un apparente e semplice caso di omicidio
colposo (che in questo caso avremmo detto preterintenzionale, giacchè il
presunto omicida sapeva che in aree abitate, seppure a ragionevole
distanza, è vietato sparare) vi sia invece un’accurata messinscena, e
che la stessa posizione della poltrona, ha un significato ben profondo.
Quando non l’abbia la differenza tra un calibro 22 Long ed uno Long
Rifle (o l’assenza di differenza), che al lettore italiano può sfuggire: dico solo il Long Rifle è un proiettile un po' più alto del 22 Long e molto più pesante, ed è un proiettile pensato non solo per pistola ma anche per fucile.
Un meraviglioso racconto, di diciassette pagine (da pag.281 a 298 della raccolta Mondadori), che lascia attoniti, tanto più per la capacità di Hoch di sorprendere il lettore, con una rivelazione, quella dell’operaio, che sovverte tutta la logica fino a quel momento utilizzata, con una dichiarazione spiazzante, che nel momento in cui viene resa, pur non entrando minimamente nella dimensione del delitto, ma pur essendo legata esclusivamente alla sostituzione del vetro della finestra (e cosa c’entrerà mai?, pensa il mio lettore), scagiona il presunto omicida e dà modo al resto degli indizi di divenire invece che aleatori, probanti al massimo grado.
Un racconto di genio.
Pietro De Palma
sabato 2 novembre 2024
Frederic Brown : La belva nella città (The Lenient Beast, 1956). I Gialli del Secolo n. 308, Casini Editore, 1958
Torniamo a Fredric Brown dopo qualche tempo, questa volta per parlare non di un Mystery seppure asciutto, come era il suo stile, ma un romanzo nero, con grande tensione narrativa e uno stile inconfondibile.
La storia non nasce come i Mystery classici della Golden Age con un Prologo in cui vengono presentati i personaggi e con un certo climax in cui maturano le vicende che inevitabilmente portano alla catarsi liberatoria e al delitto, ma comincia subito col delitto: preparazione non ve n’è proprio.
La storia si svolge a Tucson, dove lo stesso Brown visse nei suoi ultimi anni di vita.
John Medley, che vive di compravendita, trova una bella mattina un cadavere al centro del suo giardino. Si accerta che sia morto, quindi va dalla signora Armstrong, sua vicina, e le chiede di poter usare il suo telefono (giacchè lui non dispone della linea telefonica) per chiamare la polizia: sa bene che non bisogna spostare il corpo del reato prima che arrivi la polizia e quindi non lo fa. Ma per quel che ha visto – il cadavere è disteso supino, il capo è girato in una posa innaturale a guardare l’orizzonte, gli occhi sono fissi e vitrei, battito non ve n’è e il corpo gli appare già freddo – quel tale è proprio stecchito.
La polizia arriva e ben presto conosce i due poliziotti che dirigono le operazioni : Frank e Ramos detto Il Rosso. I due lo interrogano sul più e sul meno. John si dimostra il più collaborativo possibile e offre persino da bere ai due, e si mette a disposizione per il prosieguo delle indagini. L’uomo è stato ucciso con un colpo di pistola alla nuca, con un’arma di piccolo calibro, una ventidue probabilmente. I due poliziotti gli chiedono se possieda una pistola, e John ammette di avere una Smith & Wesson calibro 32 ma che non ha sparato da cinque anni, cosa che i due verificano guardando nella canna della pistola: da quando ha ucciso il suo cane che era stato avvelenato: a ricordarlo c’è una pietra bianca sulla sua tomba, nel suo giardino.
I due se ne vanno, ma per quanto John si sia dimostrato e abbia tentato di essere compiacente, i due ne riportano un’impressione non proprio rassicurante.
Potremmo dire fine primo atto.
Il secondo inizia con John che rientra a casa, sfinito dalla tensione di aver sostenuto l’interrogatorio e di non essersi tradito: infatti è lui che ha ucciso quel tale trovato al centro del suo giardino. Ripercorre tutte le tappe, mentalmente fa un’analisi degli avvenimenti, ripensa a ciò che ha fatto per depistare le indagini, e conclude con il fatto che non riusciranno mai ad incastrarlo. Tuttavia è ossessionato dal fatto che sia stato Dio a volere ciò che ha fatto e prega perché non sia di nuovo costretto a fare quello che ha compiuto, e nello stesso tempo non capisce perché abbia messo il cadavere al centro del suo giardino invece che disfarsene in altro modo: il suo piano iniziale prevedeva infatti di lasciarlo nei pressi dei binari, ben lontano da casa sua. Perché lo ha messo così vicino a casa sua?
In Medley agiscono due identità: una ritiene di stare solo compiendo al volontà di Dio, l’altra – che agisce ne suo subcosciente – vorrebbe che venisse preso e confessando finisse la sua sofferenza.
Frank è convinto sempre più, man mano che il tempo passa, della sua colpevolezza; il suo compagno, l’altro poliziotto Ramos, no. E anche il loro capitano, ritiene Medley una brava persona. John non ha vizi. Beve solo sherry, legge e sente musica con un vecchio grammofono. In quello è uguale a Frank Amos, il poliziotto che ha capito la sua colpevolezza.
Ma perché John ha ucciso Kurt Stiffler ? E chi era Kurt Stiffler
Più gli inquirenti cercano legami fra i due, carnefice e vittima, più non trovano nulla: è vero che l’assassinio di Kurt è stato compiuto con grande freddezza ed accortezza e per di più è stato premeditato, e non ha lasciato prove, ma è anche vero, che, in fondo, Kurt era un uomo distrutto, sia nel fisico (non aveva molto tempo da vivere) sia nell’animo (era stato il responsabile della morte della sua famiglia e di un altro guidatore, per una sua disattenzione nella guida e le spese sopportate dalla giustizia civile per risarcire la famiglia dell’altro guidatore, come lui alticcio, pur ritenuto innocente dalla giustizia penale, lo avevano ridotto quasi in miseria. Per cui non sarebbe stato neanche tanto impossibile il suicidio, se la ferita mortale fosse stata inferta con un’angolazione meno strana. Ma qual’è il motivo dell’uccisione di Kurtt?
Più si scaverà, più non si troverà nulla. Anche perchè John ha curato di non parlare mai del suo passato: figura come scapolo, ma nessuno sa che è stato sposato e che ha perso la moglie in un tremendo incidente automobilistico. E nessuno conosce, tranne lui, il vero epilogo di quell’incidente: nessuno sa che dopo il tremendo impatto contro un albero, lui non si era fatto nulla, sbalzato fuori, ma la moglie giovane e bellissima era rtimasta sfigurata con la faccia ridotta ad una poltiglia sanguinolenta, un occhio sbalzato via dall’orbita, un braccio quasi completamente maciullato; e soprattutto nessuno sa che per far tacere la moglie che urlava, per far tacere quell’orrore, l’aveva uccisa colpendola alla testa con un grosso sasso.
Medley sfuggirà alla giustizia terrena. Ma non a se stesso in un finale molto melanconico, che coinvolgerà non solo Medley, punito e finalmente felice di aver pagato il suo fio, ma anche Frank, per vicende sue famigliari, mentre l’altro compagno, Ramos (la vicenda si svolge a Tucson, Nuovo Messico), si sposerà con la figlia della vicina di casa di Medley.
Il romanzo è un romanzo nero atipico. A metà tra il Thriller e il Procedural, il romanzo viene svolto secondo un originalissimo iter narrativo, affidato a ciascun personaggio del dramma : John, Frank, Ramos, la moglie di Frank, il capitano Walter Pettijohn, Alice Ramos moglie di Frank. In sostanza, a ciascuno di essi, viene conformato un intero capitolo della storia: in ciascuno, il personaggio prescelto, parla in prima persona. Questo procedimento narrativo è diverso dalla narrazione in terza persona che pone il narratore fuori dal contesto narrativo: qui ciascun personaggio è narratore per la parte di storia a lui affidata perchè da lui vista secondo il suo occhio. Ne consegue che il lettore è maggiormente preso dalla tensione narrativa in quanto il procedimento della narrazione in prima persona non solo favorisce l’identificazione tra lettore e narratore, ma al tempo stesso fà sì che il racconto diventi una confessione continua.
Il merito di Brown non è solo quello di aver scandagliato la vicenda, ma anche di aver esaminato con crudezza la vita privata degli altri partecipanti al dramma, cioè i due poliziotti e le loro famiglie. Ne esce un quado tristissimo, in cui ad avere la peggio sono i due antagonisti, John e Frank: il primo contrapposto non solo a Frank ma anche a se stesso, alla propria coscienza; il secondo a John e a sua moglie, alcoolista, sposata solo due anni prima: matrimonio finito prima di incominciare, per l’ambizione della moglie di Frank, Alice, e i sostanza per un eccesso di precipitazione dei due, che si sono sposati basandosi solo sul colpo di fulmine, senza essersi conosciuti prima.
Se il romanzo pare avere un’atmosfera tutt'altro che lieta, sembra sfuggirgli il destino del secondo poliziotto, Fern Cahan, detto Ramos. Perchè a lui è riservato un finale lieto con il matrimonio: ma non è detto, sembra dire Brown, perchè anche a lui potrebbe andare male il matrimonio, basato solo su un colpo di fulmine.
Frank e John sono accomunati dallo stesso destino: aver troppo amato, ed esser rimasti prigionieri del loro stesso amore. Il personaggio di Alice, che sembrerebbe fuori luogo, in realtà ha la sua importanza perchè un suo giudizio “..forse quel John Medley lo ha ucciso per toglierlo dalla sua infelicità” fornirà la base per interpretare l’origine del delitto, che accomuna Kurt, il cane di John, la moglie di John e non si sa se altre persone.
John in sostanza è un serial killer che uccide per dare pace a chi non l’ha: un alleviatore di sofferenze, che uccide con l’eutanasia, che per mettere a tacere la propria coscienza (la consapevolezza di aver ucciso la moglie non tanto per darle pace quanto per appagare il suo egoismo di trovarsi a gestire una situazione irreparabilmente compromessa non sapenso come uscirne) si è convinto che sia Dio a chiedergli di intervenire donando pace a chi non la possiede.
Per quanto non si veda a prima vista, il personaggio più positivo di questa storia è proprio Alice, che è alcoolista per disperazione, perchè ha perso un figlio che avrebbe portuto cambiare il menage familiare con il suo marito messicano Frank, che diversamente dal cliché del messicano tipo (crudo e violento) in realtà è una persona dolce e buona, che però è troppo chiuso in se stesso, e che ha fatto l’unico errore di sposare la moglie senza averla prima conosciuta: la vera mancata conoscenza, che è incomunicabilità tra i due sposi, si tramuta nel progressivo allontanamento dei due: i due potrebbero dormire in letti giacchè non hanno più rapporti intimi, Alice affoga le proprie disillusioni nell’alcool, Frank nel proprio lavoro, non facendo null’altro se non quello e non preoccupandosi di cercare di capire la vera causa della dipendenza dall’alcool della moglie , perchè in sostanza non l’ha mai capita. Lei sa di essere amata, ma si accorge di non riuscire mai più ad amarlo (è la cosa più triste) e quindi beve: è il vecchio dilemma di Costant. Tuttavia diversamente da John e Frank (prigionieri del proprio egoismo e che a modo loro reagiscono in maniera sbagliata alla realtà che li circonda, non avendo analizzato a fondo se stessi), Alice, dopo un’attenta analisi, decide di rompere: il suo amore per Clyde (seppure anche lui si manifesti un personaggio egoista, preso solo dal timore che Frank, che è un poliziotto, possa risalire alla sua identità e quindi prendersela con lui) la porterà a decidere di abbandonare per sempre Frank, dandogli una seconda possibilità di scelta.
Se vogliamo intender bene, il romanzo nero di Brown diventa quindi un romanzo sui sentimenti, un Hard boiled cupo, che in fondo però rivela una luce in fondo al tunnel, là dove, secondo la morale comune, non dovrebbe esserci: infatti la fedifraga, “la puttana”, in realtà è il personaggio più vero della storia, l’unico positivo che decide di romper l’infernale ingranaggio, assumendosi le proprie responsabilità.
Brown in un certo istante si manifesta anche colto riutilizzatore di escamotages: quando, contemplando la possibilità che Kurt stranamente sia sia potuto uccidere, sparandosi alla nuca, Brown cita il suicidio di chi per far sembrare invece il suicidio un omicidio, aveva legato la pistola alle zampe di un corvo, affinchè dopo essersi sparato, il corvo avrebbe portato la pistola altrove: in sostanza cita il romanzo di Alexis Gensoul “Gribouille est mort”, già in questo blog analizzato anni fa.
Brown lettore di romanzi francesi? Un’altra domanda a cui bisognerà rispondere: come e dove aveva conosciuto il romanzo di Gensoul, mai pubblicato in America?
Bellissimo e intenso romanzo di Fredric
Brown, che mantiene inalterata tutta la sua forza (e la sua tristezza di
fondo) anche nella traduzione tagliata, pubblicata ne I Gialli del
Secolo.
Pietro De Palma