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domenica 19 luglio 2020

Yokomizo Seishi : La locanda del gatto nero (Kuronekotei jiken, 1972) - trad. Francesco Vitucci. Sellerio, La Memoria, 2020

Grazie a Dio non era una uscita episodica, la prima di Yokomizo Seishi per Sellerio, e del resto mi confermò l'ufficio stampa della casa editrice l'anno scorso che c'era un piano di traduzioni dei suoi romanzi. E che Sellerio stia attentamente ponderando le uscite, lo dimostra questo "La Locanda del Gatto Nero" (Kuronekotei jiken, che poi significa Gatto nero): un trafiletto sembrerebbe accreditare la possibilità che sia un romanzo tardivo della serie di Kindaichi, apposta ambientato nel dopoguerra nipponico (infatti fu pubblicato nel 1972 assieme al primo pubblicato da Sellerio); invece, il mio conoscente Susumu Kobayashi, mi ha detto che il romanzo è del 1946: fu serializzato prima nel magazine Horeki, e poi pubblicato in libro nello stesso anno o al più tardi l'anno dopo, ed è perciò uno dei primi suoi romanzi: secondo i miei calcoli, tutti da verificare, potrebbe essere o il terzo o il quarto nella serie di Kindaichi Kosuke, dopo il primo 本陣殺人事件 Honjin satsujin jiken, "Il caso dell'omicidio dell'honjin"(pubblicato l'anno scorso da Sellerio), Chōchō satsujin jinken , 蝶々殺人事件 "Il caso dell'omicidio della farfalla", entrambi del 1946, a seconda che Gokumon Island (獄門島, Gokumontō), pur menzionato nel romanzo, sia stato effettivamente il terzo (ma andrebbe contro l'affermazione di Susumu) oppure quando fu pubblicato questo romanzo, era in fase di scrittura.

Kuronekotei jiken non è una Camera Chiusa, ma è un classicissimo whodunnit, molto accattivante, in quanto esemplifica, fino alle estreme conseguenze, il caso del cadavere senza volto, e strutturato come un romanzo preceduto da una introduzione dell'autore e poi seguito da una sorta di postfazione.
Un agente di ronda, Nagatanigawa, mentre sta pattugliando la zona a lui affidata, sente uno strano rumore provenire da un terreno dove sorge La locanda del gatto nero, una locanda da poco abbandonata, e attraverso lo spiraglio nello steccato, vede un giovane bonzo, Nikko, che scava con una pala, nel giardino dietro alla locanda; si risolve ad entrare quando capisce che c'è qualcosa che non va. Infatti, raggiunto il bonzo, vede che dalla fossa emerge un cadavere sepolto: lo smuovono, e ne puliscono il volto, almeno per capire chi possa essere, ma al di là del capire che si tratta di una donna nuda, dal seno scoperto, non si riesce a fare di più perchè il corpo è in decomposizione avanzata, e nel viso già occhi e naso sono scomparsi lasciando delle cavità e la bocca e ritratta mostrando i denti; l'unica cosa viva, sono i vermi bianchi che si muovono sul corpo. Poco dopo viene trovata anche la carogna di un gatto nero, con la testa quasi decapitata, sepolto vicino al cadavere.
Chiamata la Centrale, arrivano il Coordinatore delle indagini, il Questore e l'Ispettore Murai e cominciano le indagini.
Pur essendo andati via quasi precipitosamente i  precedenti proprietari Oshige e Itojima Daigo, ed essendo stati riconosciuti proprio da Nagatanigawa qualche giorno prima del ritrovamento (anche se Oshige si teneva il volto nascosto da uno scialle), le frequentazioni dei due, cioè il fatto che avessero ambedue due amanti, lui una certa Kuwano Ayuko ballerina, e lei Kazama Shunroku, un imprenditore di Yokohama, portano a ipotizzare che il cadavere possa essere quello di Oshige (anche se il rilevamento autoptico porterebbe ad attribuire l'età di quel cadavere putrefatto ad una donna di max 25 anni) e quindi si diramano le direttive di ricerca per il marito presumbilmente uxoricida Itojima Daigo e per l'amante Kuwano Ayuko.
Ecco che però fa l'ingresso uno strano tipo, di nome  Kindaichi Kosuke, un tipo talmente trasandato da suscitare più di un sospetto, fugato quando si capisce che è lui che ha risolto dei grandi casi aiutando la polizia, tra i quali innanzitutto la Camera Chiusa del caso dell'omicidio dell'honjin. La sua entrata fa cambiare le strategie di ricerca: le donne presenti alla locanda (inservienti) affermano che più o meno nei giorni in cui deve essere stato compiuto l'omicidio (si è certi in base a delle pagine di giornale appiccicate alle porte imbrattate di sangue), Oshige Daigo era rinchiusa nella sua camera e da lì non era mai uscita, e per una supposta allergia della pelle dovuta ad un cerone di pessima qualità, non si era fatta vedere in viso dalle donne. Sulla base di questa e di altre stranezze, viene invertito l'ordine di ricerca: infatti ora si ricercano i due coniugi Oshige e Itojima Dajgo, mentre si suppne che il cadavere in avanzato stato di decomposizione sia quello di Kuwano Ayuko.
Kosuke però ha delle informazioni di prima mano, fornitegli dal suo amico Kazama Shunroku, che è guarda caso l'amante di Oshige. E sulla base di quello che gli dice e di sue congetture, Kosuke scopre, prima ancora che lo sappia la polizia, che anche Itojima Daigo è morto, assassinato. Era intanto entrata in gioco precedentemente anche un'altra donna, una tale Ono Chiyoko, con cui Daigo era ritornato dalla Cina tempo prima, prima di ritrovare Oshige.
In questo guazzabuglio di donne, deboli ome Ono, costretta da Daigo a prostituirsi, forti come Oshige, e conturbanti come Ayuko, e di uomini potenti e affermati come Kazama, membro di una banda yazuka,  di Daigo, vili e forti con le donne, e pervertiti come Nikko, Kosuke saprà trovare il bandolo della matassa di un mistero intrecciato e complicatissimo, pieno di sorprese, l'ultima delle quali riguarderà proprio Nikko, riuscire a individuare l'omicida e dare finalmente un nome certo al cadavere femminile dissepolto.
Il romanzo, che è uno breve (anche in origine) diciamo subito che si legge benissimo: il traduttore, sa il fatto suo, e le pagine scorrono una dopo l'altra che è un piacere.
E' strutturato, come dicevamo all'ìinizio, secondo una struttura tripartita: c'è una introduzione, che è una sorta di conferenza (come quelle delle Camere chiuse) in cui l'autore sdoppia se stesso in un dialogo che si sviluppa tra Yokomizo e il suo personaggio,  in cui tratta il tema dei romanzi polizieschi con il cadavere senza volto che si presta ad una serie di varianti; poi c'è il romanzo vero e proprio; e infine un epilogo. Lo sdoppiamentro tra romanziere e autore, secondo me, è un tributo alle letteratura occidentale, Ellery Queen per  esempio. E del resto non è il solo autore giapponese ad adottarlo, giacchè dopo di lui Rintaro Norizuki, sdoppia il suo autore nel detective, initando la soluzione di Ellery Queen a cui chiaramente si rifa, mentre in Yokomizo lo sdoppiamento è sulla base di due personaggi diversi: autore e suo personaggio, il primo che mette in prosa le avventure del secondo (una sorta di capovolgimento di quella che è la situazione normale si ogni storia, in cui il personaggio si identifica col suo autore di cui svolege le idee).
L'introduzione, con la sua mini conferenza sui tre filoni ( a suo dirte , del romanzo mystery: sdoppiamento della personalità dell'assassino, camera chiusa, cadaveri senza volto), esemplifica però una ulteriore valenza di questo piccolo romanzo, che si pone come una sorta di "studio", alla maniera di altri romanzi della GAD: mi viene da pensare per esempio a The Maze di Philip MacDonald, in cui viene analizzata in forma di studio applicato al mystery l'idea di base del suo autore, da un punto di vista disascalico-parodistico. In questo caso, il romanzo è una specie di applicazione esemplificativa di quello che è il tema del "cadavere senza volto e delle sue variazioni": in questo il romanzo, partendo da una identificazione assolutamente impossibile dato l'avanzato stadio di decomposizione (evidentemente in Giappone non si chiedeva la formula dentaria), si sviluppano una serie di tesi e controtesi, nell'attribuire ad una identità oppure ad un'altra o ad un'altra ancora il cadavere senza volto.  Invero, questa tematica coinvolge anche un'altra veriazione, che è quella di chi si copre il volto rendendo impossibile l'identificazione (la donna che è assieme a Daigo, vista da  Nagatanigawa, è Oshige oppure Ayuko? ): X non rende visibile il suo volto perchè è Y ? Oppure X si copre il volto perchè si pensi a Y mentre è X? Come si vede le ipotesi fioccano. Anche la donna all'interno della locanda, la padrona, che è chiusa nella sua stanza per una cosiddetta allergia della pelle è effettivamente Oshige o Ayuko? Oppure è Ono Chiyoko che ha preso il posto di Oshige? Oppure è Oshige che non rende mai visibile il suo volto, perchè si pensi che non è lei, mentre lo è?
Quindi si capisce che romanzo sia: un classico romanzo spacca-cervelli, super deduttivo, che si basa su un ragionamento e sulle sue infinite variazioni. Mi ha ricordato La Double Mort de Frédéric Belot, di Claude Aveline, che presenta il tema dello sdoppiamento di una identità nel suo sosia, per i continui ribaltamenti e ipotesi che individuano la verità e la ribaltano sulla base di indizi via via acquisiti,
Come ha detto Gabriele Crescenzi, il limite di questo romanzo è la sua brevità e pertanto al lettore è lasciato poco per entrare in competizione col lettore: l'azione è molto risicata, e se  le varie congetture fossero state avanzate nel corso del romanzo invece che nella spiegazione finale, il romanzo ne avrebbe guadagnato, pur essendo estremamente appagante. Solo una cosa non viene spiegata dall'autore, e forse è da ricercare nella personalità doppia del bonzo Nikko, nella sua natura disturbata..forse: il fatto che sia lui a richiamare l'attenzione di Nagatanigawa con i suoi strepiti e con il disseppellimento del cadavere, mentre Kosuke nella spiegazione lo ha indicato come il complice dell'omicida, come colui che ha seppellito il cadavere: quindi in sostanza si può sapere perchè Nikko strepita tanto se l'ha seppellito lui il cadavere sconosciuto femminile? O lui è estraneo al seppellimento, e allora dovrebbe dare una spiegazione migliore di quella che da, cioè che dal tempio che è alle spalle della locanda lui avrebbe visto affiorare una gamba dal terreno e per quello è andato armato di pala e lanterna, quando un falegname che abita da quelle parti spontaneamente fornisce una testimonianza in base alla quale non c'era nessuna gamba cadaverica che affiorava dal terreno smosso. Oppure vi è coinvolto, e allora non si capisce perchè dopo averlo sepolto, faccia tutto quel casino davanti alla sepoltura, richiamando l'attenzione del poliziotto di ronda che altrimenti non si sarebbe mai avvicinato. A meno che non soffra di una personalità doppia oppure non abbia inscenato quella parte per vendicarsi  di chi, dopo averlo usato come complice, non gli ha concesso ciò che aveva promesso. 
Tutto ciò tuttavia non viene spiegato da Yokomizo, ed è l'unico neo di un bellissimo romanzo.

Pietro De Palma

domenica 5 maggio 2019

Yokomizo Seishi : Il detective Kindaichi (Honjin Satsujin Jiken (本陣殺人事件), 1946) - trad.Francesco Vitucci - La memoria, 1133 - Sellerio Editore Palermo


Yokomizo Seishi, il primo grande romanziere giapponese, quello che con Edogawa Ranpo è considerato il fondatore del romanzo giallo giapponese all’occidentale, nacque nel 1902.
Per molti anni la sua famiglia coltivò la speranza che lui, laureandosi in farmacia, potesse portare avanti la farmacia di famiglia, mentre invece lui era maggiormente attratto dalla scrittura creativa, e in particolare da quella poliziesca.
Conosciuto Edogawa Ranpo, il maggiore scrittore degli anni ’20 e ’30, venne spronato da questo a scrivere, ma all’inizio il successo non arrivò. Quando si pensava che il primo vero successo, Ningyo Sashichi torimonocho, l’avesse lanciato, il Giappone entrò in Guerra e quindi le sue ambizioni subirono un arresto. Per di più malato di tubercolosi, dovette rifugiarsi con la famiglia in una zona impervia vievendo in condizioni misere. Con la fine della guerra, e il ritorno a casa, Seishi ritornò ascrivere e trovò il successo nel 1946, con i due romanzi Honjin Satsujin Jiken (本陣殺人事件) e Chōchō Satsujin Jinken (蝶々殺人事件).
Seguito da molti lettori e ritenuto uno dei massimi scrittori gialli di sempre nipponici, definito il Carr giapponese per le molte situazioni impossibili e soprannaturali o confinanti con l’orrore, raggiunse il massimo della fama dopo una ventina d’anni, quando pubblicò i romanzi sulla famiglia Inugami.
Morì nel 1981.
Il primo romanzo di Kindaichi Kosuke, Honjin Satsujin Jiken (本陣殺人事件) , tradotto nell’italiano Il detective Kindaichi, è stato pubblicato alla fine di marzo dalla Casa Editrice Sellerio di Palermo. In realtà il suo titolo, è L’omicidio Honjin.
La vicenda si svolge alla fine di novembre del 1937.
Un uomo si presenta nel villaggio di Yamanodani ad Okayama e chiede della residenza degli Ichiyanagi. Ben preso la notizia si sparge, perché quell’uomo, abbastanza trasandato ha la mano destra di sole tre dita. IL tempo di chiedere informazioni ed un bicchiere d’acqua e subito riparte: ha un aspetto inquietante per di più perché dalla bocca parte una ferita che corre per tutta la guancia, quasi che la bocca fosse stata aperta in due.
La visita strana fa il paio con la festa nuziale di Kenzo Ichiyanagi, figlio primogenito, con una ragazza di ben più modesti natali Katsuko, proveniente da una famiglia che si è arricchita col tempo, senza però avere la nobiltà degli Ichiyanagi.
La ragazza non è stata proprio molto accolta bene, ma Kenzo si è imposto. La madre di Kenzo che è quella che ha criticato di più la scelta del figlio, vorrebbe che la ragazza suonasse il Koto, lo strumento tradizionale giapponese, che la sposa suona durante la cerimonia di nozze come è nella tradizione degli Ichiyanagi. C’è un attimo di empasse, poi a prendersi l’onere è la sorellina di Kenzo, Sukuko.
Intanto è morto il gatto di Sukuko, che è stato seppellito il 25 novembre, per evitare la credenza che i gatti morti non seppelliti si trasformino in fantasmi. Seppellito il giorno delle nozze! C’è chi è inorridito per questo.
In quest’atmosfera strana, in cui una parte dei familiari sono schierati contro, soprattutto la madre di Kenzo, Itoko e Ryosuke, un cugino, con sua moglie Akiko, e altri sono indifferenti, come Saburo e Sukuko, i due gemelli e Takaji, il fratello medico, Kenzo si sposa con Katsuko. Alle nozze a rappresentare la sposa è lo zio paterno di lei, Ginzo. Ma la notte del matrimonio si sente suonare , ad una certa ora si sentono delle urla provenire dalla casa degli sposi, separata dal resto del complesso. E poi il suono del koto.
Ginzo si veste e con l’aiuto di Genshiki, un contadino, si recano alla casa, le cui persiane sono tutte chiuse, dal di dentro. Fuori nella neve, una spada sanguinante è conficcata nella neve, ma intorno non vi sono impronte.
I due battono nel silenzio sulle persiane, poi con un’ascia riescono ad entrare e trovano Katsuko morta e sopra di lei accasciato Kenzo, pure lui, morto. Nessun altro in casa.
In una casa serrata dall’interno, finestre comprese, eccetto una soprafinestra, ma troppo stretta perché un uomo o anche un bambino potesse passarvici.
Chiamano la polizia. L’ispettore Isokawa, incaricato del caso, sospetta di tutti ma non sa che pesci prendere. Il fatto che Takaji, l’unico a non partecipare alla  cerimonia di nozze perché in missione, sia appena arrivato, ma vi sia qualcosa che faccia ritenere a Ginzo la sua testimonianza sull’ora dell’arrivo falsa, fa sì che egli mandi un telegramma in cui si richieda la presenza alla casa degli Ichnayagi di Kindaichi Kosuke, un giovane che lui ha adottato, e che diventato un famoso investigatore privato, nonostante la giovanissima età ed una, è verso di lui riconoscente.
Vengono trovate una serie di impronte, impresse nella neve dalla parte della casa opposta a quella in cui si è consumata la tragedia. Come se l’assassino fosse entrato, avesse chiuso dietro di sé la porta, magari si fosse nascosto nel ripostiglio dover sono state trovate tracce di sangue fino al momento in cui i due sposi fossero rientrati per la prima notte di nozze e allora fosse uscito per ucciderli. Ma..da dove sarebbe passato se tutto risultava chiuso dall’interno?
Kindaichi dovrà subito scremare quelle che sono prove certe da quelle che lo sembrano e da quelle palesemente false: il suono famoso del koto, innanzitutto, attribuito al koto ma non del koto; un caratteristico rumore come quello di un mulino, sentito pressappoco all’ora della morte dei due sposi; i diari di Kenzo, da cui mancano delle pagine strappate; un misterioso nemico implacabile di Kenzo; l’uomo dalle tre dita: il fatto che impronte di tre dita insanguinate siano state ritrovate dappertutto nella dépendance degli sposi, ma dell’uomo non sia stata trovata traccia; la mancanza del ponticello del koto; un falcetto, infisso in un tronco intorno alla casa; la presenza nella camera di Saburo di una fornitissima biblioteca di romanzi polizieschi ad enigma, con numerosi esempi di Camere Chiuse, e la somiglianza del caso in questione con quello descritto ne La camera gialla di Gaston Leroux; la presenza di Sukuko, di notte, nei pressi della tomba del gatto, che verrà confermato essere stato seppellito in effetti, dopo una prima ricognizione, e che ad una successiva di Kosuke, verrà ritrovato nella “bara”  del gatto anche qualcos’altro, nascosto dopo la prima; delle impronte presenti nel lato della casa opposta a quella che ha ospitato il dramma.
Kosuke e Ginzo scopriranno in una carbonaia, i vestiti e le scarpe che qualcuno ha tentato di bruciare, e il cadavere dell’uomo con tre dita, anche lui ucciso da qualcosa di estremamente tagliente, seppellito sotto il pavimento di terra battuta.
Poi ci sarà anche il ferimento di Saburo, avvenuto con condizioni simili.
Alla luce di tutti questi indizi, e delle prove trovate, Kindaichi Kosuke, dimostrerà la veridicità della sua ipotesi accusatoria, risolvendo nel contempo la Camera Chiusa, e mettendo nei guai un membro della famiglia.
Il romanzo è un piccolo capolavoro.
Di stile armonioso e fluido, rapisce non solo per la ricchezza di indizi veri e fuorvianti, ma anche per l’atmosfera assurdamente bizzarra che inventa: un uomo sfregiato dalle tre dita, e le impronte insanguinate delle tre dita presenti in tutta la dépendance; un’uccisione terribile, doppia, nella notte delle nozze; una casa del tutto sbarrata; un gatto morto; una ragazza che soffre di sonnambulismo.
La Camera chiusa è del genere di trappola mortale, e il metodo per uccidere abbisogna di ciascuno degli indizi indicati: il mulino, il koto, il falcetto, persino delle canne di bambù, la presenza di una soprafinestra aperta. Ovviamente in una Camera chiusa spettacolare come questa, per l’estrema complessità dell’azione c’è bisogno di due persone che abbiano agito per la realizzazione del piano: uno è complice, e non partecipa in nessun modo all’azione vera e propria, ma crea un depistaggio di grande effetto, utilizzando il luogo e alcuni indizi per creare delle false piste, che disturbino l’individuazione del vero assassino e nel contempo la sua stessa azione disturbatrice; l’altro è l’assassino.
Nel romanzo ci sono i riferimenti ad alcune camere Chiuse celebri (La casa stregata di Carter Dickson e Il mistero della Camera Gialla di Gaston Leroux o anche Il Problema del Thor Bridge di Conan Doyle) perché il romanzo è in un certo senso un tributo a quel sottogenere di narrativa occidentale, attraverso le atmosfere e gli stilemi tipici giapponesi. E quindi deve pure fare riferimento a qualcosa.
Secondo me un certo punto di contatto c’è per es. con Ellery Queen: il fatto che il complice dell’assassino nasconda nella cassetta di mandarini, diventata la bara del gatto, un macabro pacchetto sotto il gatto, mi fa pensare immediatamente a The Greek Coffin Mystery, in cui l’assenza del testamento di Khalkis dopo il funerale, fa scattare l’esumazione del cadavere e nella bara trovano un altro cadavere, quello di Grimshaw, un falsario.
E ce ne sarebbero altri, indiretti, con altri romanzi, anche posteriori:
le impronte lasciate dall’assassino sulla neve che partono dalla parte della casa dove si è consumato il doppio delitto, non vengono trovate perché ha nevicato: ma perché vengono trovate le altre, se ha nevicato alla stessa maniera? Perché vi sono degli alberi e le chiome hanno protetto il terreno. Laddove invece esse vengono lasciate allo scoperto, finiscono per essere coperte dalla neve. Ora il piano dell’assassino prevedeva che non nevicasse, che le impronte partenti dalla casa fossero trovate e fosse trovata anche una persiana aperta, così che si pensasse che l’assassino era scappato. Ma la nevicata aveva reso impossibile chela persiana potesse aprirsi e quindi la Camera Chiusa era divenuta una necessità. In questo, cioè in un evento esterno che modifica lo stato delle cose rendendo possibile il crearsi delle condizioni per una Camera Chiusa, possiamo vedere un riferimento ad altri romanzi, per es. al posteriore La Mort vous invite di Halter in cui qualcosa accaduto alla finestra fa sì che si verifichino le condizioni per una Camera Chiusa. E la stessa spada conficcata nella neve e come essa vi sia finita, mi ricorda in qualcosa il metodo utilizzato in Killed on the Rocks di William De Andrea.

Comunque, al di là dei meri riferimenti, o dei punti di contatto, l’importanza di Honjin Satsujin Jiken è indiscussa, soprattutto in seno alla narrativa poliziesca giapponese di cui il romanzo di Yokomizoi Seishi è un caposaldo.
Infatti se Yokomizo prima della guerra scrisse storie poliziesche che attingevano al grottesco e all’horror e che in qualche modo recuperavano la tradizione americana ma in un’ottica fortemente e nazionalisticamente giapponese, dopo la guerra proprio col romanzo in oggetto si lascia alle spalle la narrativa grottesca e fonda la detective fiction giapponese che si riallaccia alla grande tradizione della Golden Age americana, da Van Dine a Ellery Queen, a Carr.
L’importanza del romanzo di Yokomizo è in relazione alla rifondazione del romanzo poliziesco giapponese. Nella tesi di Satomi Saito  sulla Japanese Detective Fiction -CULTURE AND AUTHENTICITY: THE DISCURSIVE SPACE OF JAPANESE DETECTIVE FICTION AND THE FORMATION OF THE NATIONAL IMAGINARY , leggiamo che : All of the postwar debates about authenticities in detective fiction eventually led to the postulation of Yokomizo Seishi’s Honjin satsujin jiken (1946) as the first authentic detective fiction written by a Japanese writer… In the devastation after World War II, however, Japanese writers returned to the general trend of the genre and produced puzzle stories of the Golden Age constituting what many critics call the first Golden Age of Japanese “authentic” detective fiction. Although the movement helped draw new talent to the genre, it soon reached a dead end and was substituted for the realistic crime novels of Matsumoto Seichō that were latercalled the “social school” (shakaiha) of detective fiction (pag. 167-168)… Yokomizo  first started his career, like Edogawa Ranpo, as a writer of modern “healthy” detective stories in his award winning “Osoroshiki shigatsu baka” (Dreadful April Fool, 1921) in Shinseinen. During his years as an editor of the publishing house Hakubunkan (1926-32), he introduced to Shinseinen what he called the “Shinseinen tastes”—multifaceted interests in things modern—as well as writing sophisticated stories of modern urban life such as “Kazarimado no naka no koibito” (His Lover in the Window, 1926), “Yamana Kōsaku no fushigina seikatsu” (The Strange Life of Yamana Kōsaku, 1927), and “Nekutai kidan” (A Strange Tale about A Necktie, 1927). When he became an independent writer in 1932, however, the bright urban style of his early writings was gradually overshadowed by the dark dreadful imagery full of grotesque tastes of kusazōshi pulp publication of the late Edo period. “Omokage zōshi” (The Story of Likeness, 1933) marks the transition with his effective use of the glamorous design of kusazōshi. The story recounts in the Osaka dialect the suspicion of
the protagonist about the secret of his birth in the settings of a rich merchant family, which is also Yokomizo’s “return” to his own childhood memory of growing up in Kōbe as the son of a pharmacist. “Onibi” is perhaps Yokomizo’s most famous piece before the war. It is a story of the lifelong hatred between two men, which is reminiscent of Tanizaki’s “Kin to gin” (Gold and Silver). A murder and an exchange of identity are decorated by the “grotesque horror” of an eerie mask one of the two wears after a fatal train accident. In “Kura no naka,” the masochistic relationships between a boy and his blind sister in the secluded cellar even outshines its surprise ending as a detective story. As Edogawa Ranpo indicates, it is not difficult to see in those stories the strong influence of crime stories by Tanizaki Jun’ichirō. After the war, however, Yokomizo went through an even more drastic transformation by enthusiastically writing so-called “authentic detective fiction” (honkaku tantei shōsetsu) and becoming the central figure in leading the authentic detective fiction movement. .Yokomizo’s conversion was even taken as a symbol of Japan’s postwar departure from an inward aestheticism conditioned by fascist ideology toward an outward modernization suitable for postwar democracy. (Pagg. 169 e seguenti).
Interessante è la struttura del romanzo.
C’è prima un Prologo in cui lo scrittore parla del caso in generale e perché lui l’abbia scelto come materia del suo romanzo, e le relazioni tra i romanzi della camera Chiusa già da lui letti; poi c’è la storia di investigazione divisa in due parti: la prima è la storia vera e propria, la seconda è la spiegazione di Kindaichi; poi infine vi è l’epilogo. E’ interessante perché anche in questo si vede come lo scrittore abbia davanti agli occhi i più eclatanti esempi di Mistery della Golden-Age. Infatti egli presenta il narratore come un elemento neutro, imparziale, che narra la storia adattando il resoconto del Dottor F che partecipò come osservatore alla vicenda. Un po’ come in Ellery Queen o in Van Dine. E ci tiene a esporre in fatti esattamente come vennero esaminati così da non cadere nel presupposto base del narratore direttamente coinvolto nel caso come “Injū” di Ranpo, o addirittura di quello che ha imbrogliato il lettore come in The Murder of Roger Ackroyd  di Agatha Christie.
Non è un caso che nel romanzo vengano ricordati vari esempi di Camere Chiuse, e addirittura il cap. 10 Tantei shōsetsu mondō” (The Dialogue about Detective Fiction) “Dialogo sui romanzi di investigazione” è un riferimento palese alla Locked Room Lecture di Carr in The Three Coffins.
Addirittura nel corso del romanzo, Kindaichi, afferma che è arrivato a capire la modalità di esecuzione dell’omicidio dopo aver visto su uno scaffale di Saburo, un famoso racconto di Conan Doyle (lui lo cita ma io no, altrimenti faccio capire come sia potuto accadere).
Nel Prologo, Yokomizo cita tutta una serie di scrittori, alcuni addirittura ancora non pubblicati in Italia, ma in Giappone noti: In the beginning, the narrator who the reader would be likely to associate with the author himself introduces the classic case of a “locked room mystery” he heard about during his stay in a country village. Referring to foreign locked room mysteries such as Le Mystère de la Chambre Jaune (1907) by Gaston Leroux (1868-1927), Les dents du tigre (1920) by Maurice Leblanc, The Canary Murder Case (1927) and The Kennel Murder Case (1931) by S. S. Van Dine (1888-1939), The Plague Court Murders (1934) by John Dickson Carr (1906-77), and Murder Among the Angells (1932) by Roger Scarlett, the narrator recounts that the “real” murder case is different from any of those “fictional” (and understandably “foreign”) cases.” Infatti se di Roger Scarlett è annunciato un titolo che sarebbe dovuto essere stato già pubblicato da Polillo e che comunque è in corso di pubblicazione, e quindi l’autore ancora da noi è inedito, in Giappone non era sconosciuto in quanto:  Roger Scarlett is a pen name of Evelyn Page(1902-1977) and Dorothy Blair(1903-1976?). This somehow forgotten piece in America is comparatively well-known in Japan thanks to Edogawa Ranpo’s famous top ten lists in Gen’eijo. Ranpo even adopted it later as Sankakukan
no kyōfu (The Horror of the Triangle Mansion, 1951)” (nota 362 a pag 173).
E conclude che proprio una tale abbondanza di testi di Camere Chiuse in una casa in cui era avvenuto proprio un delitto di camera Chiuse lo convinse che forse si trattava di un sofisticato piano architettato da una mente diabolica il cui canovaccio era stato ispirato proprio da quei romanzi (pag 107, ed. Sellerio).
Insomma, come si vede, un romanzo cardine della prima detective fiction della narrativa giapponese.

Pietro De Palma