martedì 12 novembre 2019

Horace McCoy : Non si uccidono così anche i cavalli ? (They Shoot Horses, Don't They?, 1935) - trad. Luca Conti - Big Sur , 2019

Di Horace McCoy non ho mai parlato. Colgo l'occasione, e lo faccio oggi, dovendo parlare del suo esordio, pubblicato anni fa da Terre di Mezzo con la traduzione illuminata di Luca Conti.
Non sapevo che Luca Conti avesse firmato anche questa traduzione, come pure che avesse tradotto Il Sudario non ha tasche, per cui, vedendo per caso nella vetrina di una piccola libreria vicino al Politecnico Non si uccidono così anche i cavalli ?, ho deciso di prenderlo al volo: Luca non tradisce mai !
Nato nel 1897 nel Tennessee e morto nel 1955 a Beverly Hills, Horace McCoy ha scritto poco, ma quel poco che ha firmato è stato di eccezionale impatto. Si può dire che a tutt'oggi sia nell'Olimpo degli scrittori hardboiled, assieme a Chase, Cain, MacDonald, Chandler, Crumley.
Dopo aver conquistato una medaglia al valore nei cieli francesi con l'aviazione americana nel Primo Conflitto Mondiale, e aver lavorato come giornalista a Dallas, in coincidenza con la Grande Depressione del 1929, comincia a collaborare con la rivista pulp Black Mask. Si trasferisce ad Hollywood, cercando di sfondare come attore, ma oltre che una parte come comparsa, non riesce a trovare altro. Il disincanto e la disillusione che ne ricava, diverranno lo sfondo per due dei suoi maggiori successi: l'esordio, Non si uccidono così anche i cavalli ? è nel 1935; segue il suo maggior noir Il Sudario non ha tasche nel 1937, poi nel 1938, Sarei dovuto restare a casa, altro noir giocato sulla disillusione riportata da Hollywood. Dopo dieci anni, McCoy ritornò a firmare un altro noir, Kiss Tomorrow Goodbye (Un bacio e addio) nel 1948, seguito da Scalpel (Le stelle negli occhi) nel 1952 e infine da Corruption City che fu pubblicato postumo.

They Shoot Horses, Don't They?, è un romanzo pervaso da un pessimismo cosmico, che ritrae un'epoca, quella della Grande Depressione, seguita al crollo della borsa del 1929, in cui migliaia di persone, milioni, vissero alla giornata, vivendo di illusioni.
Horace, aveva vissuto anche lui queste illusioni: aveva tentato di fare il soggettista e prima ancora l'attore, senza riuscire in ambedue le carriere, inseguendo il sogno americano, ma ricavandone solo frustrazioni e fallimenti. Tuttavia, McCoy è un caso quasi unico, nel panorama hardboiled: è uno scrittore, che guardandosi allo specchio, e analizzando con estremo rigore il suo fallimento, riesce a creare un'opera assoluta sul fallimento, che prima di essere un romanzo crime, è un romanzo sociale. Anzi direi, prima ancora di essere un romanzo sociale, è una commedia nera, ma proprio nera, a cui manca l'ironia e il sarcasmo di quelle di Jonathan Latimer, ma che ha solo rabbia, disincanto, disillusione, battute fulminanti ma nello stesso tempo straziate, e un certo nonsoche di fatalistico, che ricorda a me molto  Don Giovanni.
I due sono due attorucoli, delusi e falliti, che vivono alla giornata, che non sanno che futuro crearsi, perchè non hanno futuro. Robert incontra per caso Gloria dopo che ha perso un autobus. Il tempo per parlare, per capire che sono in fondo molto simili, che sono destinati a morire se non fanno qualcosa, (se non tentano qualcosa per cambiare il trend) e Robert è bell'e servito, incastrato da questa donna fatale, bionda e piccola, ma con una enorme energia (auto) distruttiva. Al terzo capitolo del romanzo, lei dice qualcosa che è alla base di tutto il romanzo:  
La cosa che mi suona strana è quanto siano tutti interessati alla vita e così poco alla morte. Perché quei capoccioni di scienziati diventano matti a cercare di prolungare la vita, invece di trovare qualche maniera piacevole di morire?

Sarebbe stato meglio se si fosse uccisa, almeno non avrebbe portato con sè Robert. Se quel benedetto autobus non fosse partito troppo presto lasciandolo appiedato...
Fatto sta che Robert si lascia convincere dalla ragazza a farle da accompagnatore: si iscriveranno ad una delle tante Maratone di ballo, che si tiene in California: il premio per la coppia che vincerà sarà di 1000 dollari (500 dollari a persona), abbastanza per tirare avanti per qualche mese, forse per un anno. E intanto potrebbero conoscere gente degli Studios che si affacciano a queste manifestazioni, e avranno vitto e alloggio gratis: dovranno solo ballare, continuamente, avendo ogni due ore delle pause di 10 minuti, in cui dormire o lavarsi o mangiare o curarsi.
Così i due cominciano questa massacrante gara, contentendo il premio ad un altro centinaio di coppie, tutte in lizza in un girone infernale.
Durante la sua durata ci sono baruffe, odi, scazzottamenti, mancamenti; ci sarà l'arresto un criminale assassino, iscritto anche lui a questa maratona, sotto mentite spoglie; ci sarà anche un momento in cui Robert si farà una scopata con un'altra concorrente, mai vista prima, al buio, sotto una pedana, tra la polvere; ci sarà un regolamento anche tra due avversari d'amore.
Man mano che passano i giorni, Robert giocoforza si lega a Gloria, ne condivide i momenti, le paure, l'abbattimento, la depressione. Almeno lui pensa che sia tale. 
All'inizio del cap. 10, Gloria pronuncia un'altra massima, che riassume in sè tutto (anche il finale): Sono stanca di vivere, e ho paura di morire .
Stanca di vivere è anche in questo momento la stanchezza per la maratona: vorrebbe farla finita, sa che tutto andrà male, ma non può abbandonare ora, perchè una minima possibilità esiste.
La frase viene pronunciata un attimo prima che venga presentata al pubblico la signora Layden, una ricca anziana signora, amante di queste maratone. La signora Layden, in questo circo di sfruttatori, venditori di fumo, piccoli delinquenti, gangsters, puttane, è l'unico soggetto positivo, l'unica brava persona. Dopo che la Lega Madri Virtuose avrà cercato di far cessare la maratona, per cavilli di immoralità e per la presenza nel bar di tipi poco raccomandabili, e si sarà tirata dietro la filippica di Gloria che parlerà di queste donne votate  alla virtù come di "È tempo che qualcuno lo dica, alla gente come voi», fece Gloria, spostandosi e mettendosi con le spalle alla porta, come a impedirgli di andarsene, «e quel qualcuno sono proprio io. Voi siete proprio quella razza di zoccole che si chiudono al cesso a leggere libri porno e raccontare storielle sconce, e poi vanno a rompere le scatole a chi si vuole divertire…", la Signora Layden, cercherà di far rinsavire Robert: 
Robert, Gloria non è la ragazza giusta per te..Non sarà mai buona a nulla..E' una persona cattiva, e ti rovinerà la vita...Non è depressa..E' astiosa. Odia tutto e tutti. E' cattiva d'animo, e anche pericolosa.
Il fatto è che il Fato gioca con la vita di Robert: la signora Layden gli aveva prospettato la possibilità di rifarsi una vita, accettando il suo aiuto. Ma una sparatoria, nel locale dove si evolge la maratona di ballo, provoca la sua morte fortuita: una pallottola vagante la centra in mezzo alla fronte. Lei che era innamorata della vita, muore; Gloria che vorrebbe morire, è lì vicino che esclama: Magari fosse toccato a me.
La Lega delle Madri virtuose, dopo la sparatoria, riesce a far sospendere la manifestazione, l'unica possibilità che Gloria e Robert potessero cambiare vita. Così, le poche coppie rimaste sono informate che saranno pagate in ragione del loro piazzamento, e dovrebebro rimanere lì fino al mattino successivo. Robert e Gloria vanno a fare un giro sul molo, in sostanza rivedono l'aria pura dopo esser stati rinchiusi per 36 giorni: è il momento in cui lei gli dice che ha schifo del mondo, in primis di Rocky, uno degli organizzatori, a cui l'ha data ; che avrebbe di nuovo tentato di uccidersi dopo la prima volta in cui l'hanno salvata e così chiede a Robert di ammazzarla lui, con la pistola che lei gli da. Lui pensa a quando da ragazzo, il nonno aveva ammazzato Nellie, una cavalla che s'era azzoppata ad una gamba: E' stato un atto di carità. Era l'unico modo di liberarla dalle sue sofferenze. Così pensa che anche per Gloria, sarebbe liberarla dalle sue sofferenze. E così l'ammazza come avevano ammazzato al cavalla: con un colpo alla tempia. L'aveva uccisa per farle un piacere, per amicizia.
Ma ora rischia la pena di morte.
Il romanzo è una "inverted story", comincia dopo che l'omicidio di Gloria si è consumato: il delitto non serve a far decollare il romanzo, serve a dare un senso alla narrazione. Ora, dopo che Robert ha ucciso Gloria su sua richiesta (..Mi alzai. Per un istante vidi di nuovo Gloria, seduta su quella panchina giù al molo. La pallottola l’aveva appena colpita alla tempia; il sangue non aveva ancora iniziato a scorrere. Il bagliore della pistola le illuminava ancora il volto. Tutto era chiaro come il sole. Lei era rilassata, completamente a suo agio. L’impatto del proiettile le aveva fatto appena voltare la testa; non vedevo bene il profilo, ma riuscivo a scorgere a sufficienza il viso e le labbra per capire che sorrideva...), ripensiamo a quella frase detta da Gloria prima: Sono stanca di vivere, e ho paura di morire . Se Gloria non avesse avuto paura di morire, avrebbe già risolto da sola il suo desiderio autodistruttivo, invece di servirsi di Robert e distruggerlo: Robert non è l'assassino, è il mezzo. L'assassino è Gloria: è Gloria che gli da la sua pistola, è lei che gli fornisce il motivo, è lei che lo fa sentire in fondo un amico che fa un gesto di gentilezza. 
All'inizio del romanzo il suo avvocato d'ufficio chiede clemenza alla corte: ..il ragazzo ammette di avere ucciso la ragazza, ma le stava solo facendo un piacere..
Nell' Incipit del romanzo, il pubblico ministero dice alla giuria che la vittima era morta soffrendo, unica persona al mondo, senza amici, abbandonata da tutti fuorchè dal suo brutale assassino. Ma non era vero. Non era morta soffrendo, ma era rilassata e sorrideva. E prima lui non l'aveva mai vista sorridere.Aveva sorriso mentre lui la stava uccidendo. E non era sola al mondo. Lui, Robert, era il suo miglior amico: allora come poteva essere sola al mondo?
Romanzo disperato, romanzo pieno di rimandi e parallelismi.
Fu scritto da McCoy, basandosi su proprie esperienze lavorative: infatti, dopo aver tentato di fare l'attore senza grandi successi, dopo aver fatto mille altri mestieri, aveva fatto anche il buttafuori ad una Maratona di ballo a Santa Monica. Nel romanzo, aveva trasfuso quello che aveva visto: la maratona di ballo così non è una invenzione, ma una esperienza reale. Nata dalla depressione, era  un modo come un altro per guadagnare qualcosa, e nello stesso tempo era un prodotto della società:  premiava coloro che riuscivano ad imporsi sugli altri, a vincere.
Perchè rimandi?
Cosa era una maratona? Un inferno sulla terra, una possibilità data ad un gruppo di disperati di vincere qualcosa, facendo divertire la folla, dando la possibilità a qualche sponsor di farsi pubblicità. Ma..non era così anche al tempo dei antichi Romani? Lo spettacolo nelle arene cosa era? Cosa erano i gladiatori? Combattevano, finchè restava solo uno, per vincere una ricompensa, anche solo la loro vita. Mentre la folla applaudiva e si sollazzava, e i mercanti vendevano la loro mercanzia.
Robert e Gloria all'inizio non si conoscono, stanno inzieme solo perchè spinti dal medesimo interesse; poi, nel corso dei successivi trentasei giorni, il loro rapporto, vivendo sempre uno accanto all'altro, trascinandosi vicendevolmente nell'arena, si evolve e diventa comune, i due diventano simbiotici, si reggono a vicenda: in realtà, dei due, Gloria è l'elemento forte psicologicamente. E' lei che plagia Robert, che alla fine si serve di lui per morire, non curandosi minimamente di quello che gli accadrà. Ecco perchè non era un rapporto amoroso: l'amore si da, nulla aspirando di ricevere in cambio. Invece qui si da, perchè si riceva.
Chi poteva cambiare la situazione, muore accidentalmente: la signora Layden. Per il tempo in cui gli propone "una via di fuga", lei è come il Grillo parlante nei confronti di Pinocchio, è come il Convitato di Pietra nei confronti di Don Giovanni:
ad un certo punto della  parabola di distruzione di se stesso, Don Giovanni potrebbe redimersi, potrebbe non dare la mano al Convitato, eppure lui la da, per essere in fondo coerente con se stesso. Robert Sylverten, il protagonista, non è coerente come Don Giovanni, non  ha la forza (a)morale, è un solo balordo senza futuro, che sa che Gloria Beatty lo porterà alla rovina; eppure, non si sottrae al cerchio infernale, vi si presta, soggiace, fa quello che gli si chiede senza pensare neanche un istante a quello a cui si espone. Ma del resto, non gliene frega nulla, perchè non ha un futuro. Mrs Layden l'avrebbe forse salvato, ma in fondo al sua morte è la prova estrema: riuscirà Robert anche senza di lei a sottrarsi alle lusinghe della mantide, oppure vi soggiacerà? Per amicizia, non penserà nemmeno per un istante alla balordaggine che sta per compiere: uccidere la sola persona che potrebbe salvarlo. Perchè non si fornisce nessuna via di fuga, nesuna pezza giustificativa che possa essere opposta alla condanna a morte del Pubblico Ministero.

Ma lui del resto avrebbe dovuto capire il gioco: quella maratona che offriva vitto e alloggio in cambio della reclusione per trentasei giorni in un inferno di disperazione con la promessa di raggiungere qualcosa di superiore, non era forse la metafora della prigione? Anche la prigione offre vitto e alloggio, e alla fine dell'incarceramento ti da la libertà: a lei, la libertà è quella da una vita inutile; a lui, la libertà è da una vita disperata, disincantata, in cui non vede speranza. E del resto, nel capitolo 6, quando Freddy, uno dei concorrenti è costretto a scappare, perchè era stato denunciato per un presunto tentativo di violenza carnale, Robert nel momento in cui quello esce, vede il sole attraverso il rettangolo di una porta, lui che per tanto tempo non l'aveva visto: non è questo un parallelismo, quello di un carcerato che vede il sole finalmente attraverso un'inferriata, lui che non l'ha potuto vedere da quando è stato recluso? Quando uscirà per la prima volta, respirerà a pieni polmoni l'aria del mare, sarà la sera in cui sparerà a Gloria: il sole, la libertà si confonderanno nella morte, saranno la morte: per lei direttamente, per lui indirettamente. 
E così quell'arena infernale, quella maratona ballerina, in cui si combatte e si soccombe, cosa è se non la vita, la cui liberazione è la morte?
Non a caso Simone de Beauvoir definì  questo "il primo romanzo esistenzialista pubblicato in America". 
Traduzione fulminante di Luca Conti.

Pietro De Palma







sabato 9 novembre 2019

Agatha Christie : Aiuto, Poirot! (The Murder On The Links, 1923) – trad. Lia Volpatti – Oscar Gialli, Mondadori, 2003

In Italiano il titolo è “Aiuto, Poirot !”, ma in inglese è altro, più diretto The Murder On The Links  (cioè, “L’Assassinio sul campo da golf”). Perché mai in Italia di solito stravolgono il titolo originale di un romanzo poliziesco, è sempre stato un mistero. Fatto sta che Agatha Christie scrisse tale romanzo nel 1923: è il secondo romanzo della serie Poirot, dopo The Mysterious Affair at Styles, l’esordio del 1920 in cui comparve Poirot, ed il terzo in generale, perchè un anno prima, nel 1922, era uscito The Secret Adversary, L’Avversario Segreto, in cui appariva la coppia Tommy & Tuppence. 

E’ uno dei romanzi che più mi sono piaciuti, dei tanti scritti da Agatha Christie. Una ragione c’è: è un testo fresco, frizzante, pieno di trabocchetti, di false piste, di indizi veri e indizi falsi, e con un finale pirotecnico. Inoltre è il romanzo in cui il tenero Capitano Hasting si innamora della bella Cerentola, e quindi alla vicenda “gialla “ si mischia anche una rosa: in questo modo, la Christie pose le premesse perché qualche romanzo più in là, l’amico di Poirot emigrasse in Argentina, assieme alla sua dolce metà, lasciando Hercule tutto solo ad affrontare di volta in volta i cattivoni che il caso gli mette di fronte. Che volete: più passano gli anni, più divento romantico!

Poirot ha ricevuto una lettera da parte di un certo Signor Renaud, abitante in Francia, che lo scongiura di andare in suo aiuto perché lo minaccia un pericolo imminente: per questo lo assolda, promettendogli un cachet che Poirot stesso dovrà fissare: quindi un soggetto che ha grandi possibilità economiche. Si imbarcano lui e Hastings, ma quando arrivano a casa di costui, vengono a sapere che nella notte è stato assassinato.

La moglie che è l’unica erede della fortuna di Renaud – perché lui, in seguito ad un furioso litigio col figlio Jack, lo ha diseredato – è stata ritrovata legata così strettamente che le corde hanno piagato le carni. Inoltre, alla vista del cadavere di Renaud, accoltellato alla schiena con un pugnale, ricordo di guerra, fatto apprestare dal figlio Jack, la moglie sviene. Poirot si convince che non può esser stata lei ad uccidere il marito, che è stato trovato a faccia in giù, indossante un soprabito troppo lungo per lui, in cui trovano una lettera compromettente con una certa Belle, con al di sotto la biancheria intima, steso per terra, in una fossa scavata per lui, su un campo da golf. La moglie ha spiegato che di notte è stato prelevato con la forza da due uomini barbuti, di carnagione olivastra, provenienti dall’America Meridionale (Santiago del Cile, perché lì Renaud era stato in passato), che parlavano di un segreto che lui avrebbe dovuto rivelare, pena la vita; che tutto si è verificato alle due di notte, e che il marito è stato costretto, dopo aver indossato un pastrano, ad allontanarsi con loro per una meta non troppo lontana. Infatti viene trovato un orologio col vetro rotto, ma funzionante (se ne accorge Poirot) che indica le due di notte. Giraud, un poliziotto francese, opposto a Poirot per idee (l’immanenza contrapposta alla trascendenza, il mero indizio materiale contrapposto all’analisi psicologica) trova anche un fiammifero e un mozzicone di sigaretta, un lungo capello (che potrebbe essere di donna o di uomo). I due si trovano opposti sia da convinzioni diverse che da antipatia reciproca.

Intanto, il Cap. Hastings ha fatto la conoscenza di Cenerentola, un’attricetta di varietà che si esibisce con la sorella. Su sua richiesta la porta a vedere il cadavere (gli dice di essere una giornalista free lance) e il pugnale che ne è stato estratto, lei sviene, lui la trasporta fuori, lasciando socchiusa la porta del capannone dove è conservato ancora il corpo, e qualcun altro sottrae il pugnale. Conseguenza? Viene trovato un altro morto ammazzato, in un altro capannone lì vicino.

Veste bene ma le mani testimoniano che era qualcuno che aveva fatto lavori manuali. Nessuno lo riconosce. Sembrerebbe che fosse stato ucciso con lo stesso pugnale, o con altro uguale, ma poi si scopre che addirittura era morto prima che venisse ucciso Renaud, e che è stato pugnalato solo dopo che era già morto, per una crisi epilettica. Perché ?

A tutto il macello delle false prove, vere, cadaveri a iosa, si viene ad aggiungere una storia tra Renaud e la Signora Daubreuil che vive assieme alla figlia Martha, innamorata di Jack Renaud, in una villa vicina: la moglie di Renaud aggiunge che essi avevano una storia assieme, ma non dice che invece, si trattava di ricatto. Lo si viene a sapere dal Segretario di Renaud, Stonor, che parla di ingenti somme versate da Renaud alla Daubreuil. Perché? E chi è George Conneau, legato alla Signora Daubreuil, da un precedente famoso caso di assassinio, latitante da parecchio tempo?

Poirot arriverà alla soluzione, non prima che ben due presunti assassini, innocenti, siano stati dichiarati e si siano dichiarati colpevoli (senza esserlo), soprattutto il secondo, per permettere a Poirot di incastrare il vero assassino che dopo aver ucciso Renaud ha tentato di uccidere anche la moglie.

E il secondo cadavere? Da chi è stato pugnalato? No comment. Non lo dico, Altrimenti toglierei suspence alla lettura del romanzo (veramente ho taciuto molte altre cose).


Romanzo veramente magnifico, con un Poirot giovane, ed in piena salute soprattutto mentale (da godere, le sue elucubrazioni sulle sue famosissime “cellule grigie”), è un continuo tourbillon di situazioni alcune quasi al limite del paradossale, se non del grottesco, pur essendo drammatiche. Non ci si capacita come la Christie abbia dato così sfogo alla sua fantasia, inventando un intreccio, così ingarbugliato eppure così lineare: vi sono due false soluzioni, ovviamente indicanti due falsi assassini, prima di quella vera, in cui entra anche Cenerentola, oppure no, non Cenerentola, ma quasi; veri indizi (quelli che trova Poirot: un pezzo di tubo, dei cenci sporchi); comportamenti strani: perché Poirot misura la lunghezza del soprabito che Renaud indossava quando è stato accoltellato?; falsi indizi (quelli che trova Giraud) e l’orologio rotto, oltre al pugnale: ce n’è uno davvero? Oppure più di uno? E perché Jack ha detto il falso giurando che la notte dell’assassinio del padre, lui era lontano da casa, mentre non era vero?

L’insieme delle situazioni e dei comportamenti ci precipita indietro con gli anni: ci sono i malfattori presunti, con barbe finte, che vengono da un Paese lontano, dove la vittima aveva lavorato e dove aveva conosciuto un “segreto”; un famoso processo che emerge dal passato; un doppio strano assassinio; un romanticismo ed una galanteria d’altri tempi. C’è ancora una freschezza ed una ingenuità che gli anni ’30 spazzeranno via, con le loro trame ipercomplesse.

E’ evidente, che il lettore attento, troverà strani rimandi, in questa Agatha Christie ancora acerba: la vittima che richiama un paese lontano, un segreto, un presunto assassinio legato a ciò, dei malfattori con barbe finte, sono tutti fattori che richiamano immediatamente alla mente The Valley of Fear, “La Valle della paura” (1916) di Conan Doyle, uno dei quattro romanzi con Sherlock Holmes. Ma non v’è solo questo, del resto da tanti già intravisto. No, vi è anche dell’altro. Chi o cosa, richiama il doppio investigatore, la sfida tra uno serio (Poirot) ed uno ridicolo (Giraud), impegnati ciascuno a prendere in castagna l’altro? A me ha richiamato immediatamente Maurice Leblanc, e per situazioni da feuelliton e per richiamo specifico ad una silloge di due racconti, dello scrittore francese: Arsène Lupin contre Herlock Sholmes “Arsene Lupin contro Herlock Sholmes”, in cui il campione francese, ladro-gentiluomo imprestato alla detection (Arsene Lupin) è contrapposto ad un farsesco e ridicolo detective inglese, Herlock Sholmes, brutta copia del più conosciuto Sherlock Holmes.. La sfida tra i cugini d’Oltre Manica, che era stata  improntata da Leblanc, ad affermare l’intelligenza francese sulla stolidità inglese, qui viene rivoltata con una sfida non tra cugini inglese e francese, ma tra francese e belga, in cui il belga è al tempo stesso personificazione dello spirito inglese.

Che la Christie potesse conoscere l’opera mi sembra plausibile, visto che i due scritti di Leblanc si ascrivono agli anni 1906-1907 e il volume uscì nel 1908. Per il resto, anche qui, come nell’originale francese, abbiamo situazioni di ilarità diffuse: il poliziotto francese, che cerca gli indizi come un segugio, con tanto di lente d’ingrandimento, carponi per terra, è contrapposto all’ex poliziotto belga Hercule Poirot (ma trapiantato in Inghilterra), che scopre l’indizio del frammento di assegno, solo perché ossessionato dal mettere ordine, laddove non c’è: e così sotto un tappeto mal messo, trova l’indizio, sfuggito ai più. Questo ritrovamento non è una casualità, ma è il prodotto del metodo di Poirot, secondo cui “l’ordine sorge dalla confusione”: così come è necessario che nello studio di Renaud il tappeto sia allisciato e il suo lembo sia rimesso a posto, perché è inconcepibile per Poirot che qualcosa sia in disordine, così è necessario che nel quadro del problema tutte le tessere vadano a posto naturalmente, senza forzatura. E quindi, quando c’è qualcosa che nell’ordine delle sue cellule grigie non trova spiegazione, non può essere azzeccato anche se apparisse essere tale a prima vista.

Poirot oppone ai meri indizi materiali, l’acuta psicologia delle sue cellule grigie. Il falso indizio dell’orologio rotto è un capolavoro, ma lo è ancor di più l’indizio del soprabito: la sua spiegazione è pura classe. Per non parlare del pugnale, anzi dei due pugnali: sì, questa è la ciliegina sulla torta. Il secondo cadavere, che si trova pugnalato dallo stesso pugnale trovato sulla prima vittima, si viene a scoprire che era già morto quando lo è stato quello che è stato trovato come primo, cioè Renaud: e allora come ha fatto lo stesso pugnale a trovarsi nel corpo di un uomo pugnalato prima? E’ evidente che di pugnali ce ne debbano essere due! Ma poi accadrà ancora dell’altro e si scoprirà che i pugnali erano in realtà…

Per il resto, donne cattive opposte a donne buone ed indifese, ed uno chaperon come Hastings, pronto a buttare tutto alle ortiche per la bella Cenerentola, in uno dei più accattivanti romanzi del primo periodo di Agatha Christie.



Pietro De Palma

venerdì 1 novembre 2019

Edward D. Hoch : La Fabbrica di Frankenstein (The Frankenstein Factory, 1975) – Trad. Vittorio Curtoni – URANIA, I Romanzi, Mondadori, 2 novembre 1980


Lo so che è alquanto infrequente leggere l’analisi di un romanzo di fantascienza in un blog dedicato esclusivamente alla letteratura e al cinema polizieschi, ma in questo caso la ragione è facilmente comprensibile: il romanzo in questione, pur essendo apparso su un volume Urania, è nient’altro che un romanzo poliziesco mascherato da romanzo fantascientifico.
L’autore è stato un autore esclusivamente poliziesco, e quindi mal si adatta una collocazione in pubblicazione fantascientifica del suo romanzo. Ma comunque il tutto lo rende particolarmente individuabile, magari di più che non fosse stato pubblicato su una collana più propria.
Edward Dentiger Hoch (scrittore molto versato nel racconto giallo classico e con all’attivo quasi mille racconti, tra cui moltissime camere chiuse), che aveva scritto precedentemente altri quattro romanzi, due mystery (The Shattered Raven, 1969; The Blue Movie Murders, 1972, a nome di Ellery Queen) e due di fantascienza mascherati (The Transvection Machine, 1971; The Fellowship of the hand, 1972), scrive The Frankenstein Factory, 1975,  che sembrerebbe derivare direttamente dal capolavoro di Mary Shelley, Frankenstein.
Il romanzo tratta di un’isola in cui sono conservate capsule di ibernazione, dove molti personaggi hanno disposto che vengano conservati i propri corpi in attesa che scoperte nel campo della medicina rendano possibile trattarli con tecniche operatorie e con farmaci ancora sconosciuti. Il dottor Frankenstein della situazione, che qui si chiama Lawrence Hobbes, tenta un’operazione senza precedenti: in una creatura, un soggetto di circa trent’anni morto per un tumore al cervello, si tenta di impiantare il cervello, il cuore, i reni e il fegato di altri essere umani. L’operazione è per certi versi segreta, anche perché lo scienziato “usa” alcuni corpi solo per prelevarvi organi, corpi che quindi saranno inutilizzabili o quasi..dopo.
Il romanzo per certi versi è parecchio simile ad uno di Steeman che è stato pure analizzato in questo spazio blog: anche lì c’è un dottore che tenta un’impresa mai tentata prima, cioè rianimare un corpo non più in vita attraverso l’elettricità, dopo avergli inserito nel cranio altro cervello. In entrambi i casi si tratta di criminali: criminale per amore, quello del romanzo di Hoch (prima di uccidersi buttandosi sotto un treno, ha ucciso la moglie, che aveva un cancro) ma in questo caso il cervello di un assassino è messo in un corpo di un ragazzo morto per un tumore al cervello; criminale invece allo stato puro, quello di Steeman, in cui il cervello di una persona normale dovrebbe essere trapiantato nel cranio di un assassino.
 Entrambi hanno evidenti punti di contatto col romanzo della Shelley, ma più ancora Hoch inserisce una citazione che sgombra ogni dubbio, nel suo romanzo:
“Cos’è questa storia del­la Fabbrica di Frankenstein?- Sentite, non è stato lui ad avere per primo l’idea. Louis Washkansky, un droghiere del Sudafrica, il primo uomo a cui sia stato trapiantato il cuore, ha detto in televisione: “Adesso sono come Frankenstein. Ho il cuore di qualcun altro”. Certo, si sbagliava. Il mostro non si chiamava Frankenstein, e poi lui è vissuto solo diciotto gior­ni, molto meno del mostro.- Però…
– Oh, ammettiamolo. Noi siamo l’equivalente moderno del dottor Frankenstein. Se questa operazione riesce, avre­mo creato un individuo nuovo. Nel suo corpo metteremo un cervello e altri organi prove­nienti da più persone diverse. Esattamente come faceva il dot­tor Frankenstein nel romanzo di Mary Shelley”( Edward D. Hoch, The Frankenstein Factory, “La fabbrica di Frankenstein”, traduz. Vittorio Curtoni, Mondadori, Urania, pag.15).
Se è storia poliziesca, deve esserci un investigatore. E infatti c’è : Earl Jazine, lo stesso detective di The Transvection Machine, “La Macchina Televettrice” e The Fellowship of the Hand, “Golpe Cibernetico”. E’ un agente del Computer Investigation Bureau, una sezione segreta che risponde direttamente al Presidente degli Stati Uniti.
Che ci fa qui Earl? Agisce sotto copertura: apparentemente è un tecnico video incaricato di riprendere in audio e video le fasi di un’operazione rivoluzionaria da tenersi in un’isola segreta; in realtà deve investigare su ricerche di criogenia e sui relativi finanziamenti, non tutti alla luce del sole. Esce dalla copertura quando Vera Morgan, una ricercatrice chimica, ne rivela l’identità. E questo accade quando scompare Emily Watson, una filantropa che vive nel centro e che lo sovvenziona coi suoi soldi; e soprattutto dopo che il Dottor MacKenzie, uno degli scienziati dell’equipe viene ritrovato strangolato. Scompare anche “la Creatura”, e quindi si pensa che possa c’entrare con gli omicidi. Poi vengono uccisi tutti tranne Vera Morgan e il dottor Armstrong un’ecatombe: Tony Cooper (amante di vera), Freddy O’Connor, Hobbes, Whalen, Emily Watson.
C’è un duello nelle sale delle capsule tra Earl e la Creatura  chiamata Freddy, poi ancora in agguato sulla spiaggia: l’intervento non è riuscito alla perfezione e così il cervello ha subito dei traumi: la Creatura non parla, ha il braccio sinistro non funzionante ma l’altro, come tutto l’essere, è dotato di una forza sovrumana. Eppure soccombe opposto ai tre superstiti: Jazine, Armstrong e Vera.
E’ stato lui ad uccidere gli scienziati? Oppure anche lui non  c’entra nulla, e la scelta è tra Armstrong e Morgan? Sarà Jazine a scegliere e a fornire la soluzione, dopo aver bevuto un caffè, che avrebbe potuto essere avvelenato se il suo preparatore fosse stato in effetti l’assassino.
Nel fatto che la location scelta per l’operazione e poi..per gli omicidi il romanzo sia un’isola, e che le varie persone convenute lì per il compimento dell’operazione chirurgica muoiano tutte, dopo che una sia scomparsa, fa richiamare alla mente il romanzo di Agatha Christie, And Then There Were None, “E poi non rimase nessuno”: un’isola trasformata in una trappola senza uscita. Una somiglianza sfacciata, tanto sfacciata, da avere anche qui la persona creduta morta, che non lo è; e per di più un personaggio, presente tra quelli del romanzo christiano, che è pure presente qui tra gli scienziati sull’isola. C’è anche una persona dalla doppia identità, ed una tensione non indifferente, che Hoch instaura con sapienza, travisando i lettori con false piste: la prima, quella della persona scomparsa; la seconda, quella della Creatura; la terza, quella del vero omicida.
 “Questa situazione mi ha ricordato un romanzo della scrittrice inglese Agatha Christie, un’opera di settant’anni fa. Parlava di dieci persone costrette a restare su un’isola che vengono uccise una per una, esattamente come qui…Alla fine si scopre che una delle presunte vittime è ancora viva”(Edward D. Hoch, op. cit., pag.122)
Inutile dire che anche qui il colpevole, come nel romanzo della Christie, è uno dei presenti, ma, se nell’opera originale della Christie era uno ritenuto precedentemente morto, qui non è così: il romanzo di Hoch ha cioè una identità ed una variazione interessanti. Vi è chi viene ritenuto morto in virtù di sangue trovato nel suo letto ma non lo è, ma che muore davvero, poi.  
Anche nella soluzione Agatha Christie entra di prepotenza, perché si viene a sapere che proprio al suo romanzo l’assassino si era ispirato.
Tuttavia le somiglianze finiscono qui: infatti il finale non è catartico, non muoiono tutti con l’isola deserta e poi mentre ci si domanda: “Ma chi è l’assassino?”, ecco spuntare uno di quelli che si riteneva essere morti, che morto non era e che ha ucciso gli altri.
No.
Il finale del romanzo di Hoch, ricorda il finale di René Clair “Dieci piccoli indiani”: due dei convenuti (ma uno è qui l’investigatore) riescono a salvarsi  e a mettere fuori gioco l’omicida.

Pietro De Palma