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giovedì 26 luglio 2018

Stefano Di Marino : Mosaico a tessere di sangue. Collana Crimen, Cordero Editore, 2014

Il romanzo non l'ho trovato sewmplicemente in libreria ma ho dovuto prenotarlo. Sto parlando di un romanzo di Stefano Di Marino, pubblicato circa cinque anni fa, che mi ha confermato l'autore ora è fuori dalle stampe, giacchè gli sono tornati indietro i diritti. Pare che quindi io sia stato uno degli ultimo se non l'ultimo a beccare una delle rimanenze di magazzino.
MOSAICO A TESSERE DI SANGUE, è un thriller ad alta tensione, spasmodico talora, francamente uno dei più bei romanzi letti negli ultimi anni. Lontano anni luce dalle pesantezze nordiche per cui tanti impazziscono, è la riprova che quando vuoi trovare una cosa ben fatta non è necessario fare per forza molta strada.
Il protagonista è un poliziotto, Franco Belli, che ha arrestato una serial killer e l'ha consegnata alle patrie galere: solo che Moira Rachelli, la mantide assassina, grazie a dei compiacenti giudizi di persone interpellate, periti ed un criminologo soprattutto, Malter, è stata internata nel manicomio criminale di Aversa. Intanto però qualcuno gambizza Belli. E qualche tempo dopo, la pazza assassina fugge via dal manicomio dopo aver mazzato medico e suora, in tempo però per essere ammazzata a sua volta con un fucile cal.12 scaricato in piena faccia. Tutti sicuri che sia morta? Sì. Ma...la faccia è andata. Il DNA l'hanno confrontato con i rilievi contenuti nelle cartelle cliniche, ma i rilievi possono anche alterarsi. Insomma, permane un dubbio: potrebbe essere lei , come pure il contrario.
Fatto sta che la pratica è archiviata, e tale sarebbe rimasta se tempo dopo qualcuno non avesse cominciato a fare fuori tutta una serie di personaggi legati all'assassina. Infatti, radunati chissà come, tutti quanti in un albergo sul litorale di Latina, in un periodo morto della stagione, quando l'estate volge al termine, Franco ritrova Malter, e prima ancora Corrado Larcher, il solo tra gli uomini ammazzati da Moira che si fosse salvato dalla camera delle torture a cui Moira l'aveva destinato, accompagnato da una tizia in disintossicazione. Ma tra i convenuti ci sono anche Roberta e Michela due lesbiche che sembrerebbero essere capitate là per caso: ed invece poi si sa che Roberta era stata infermiera all'Ospedale Psichiatrico ed era stata intima di Moira. Poi c'è Rossana, la direttrice dell'albergo, anche lei legata a Moira da un quadro esposto, un grande occhio, dipinto guardando Moira. E il personale dell'albergo, Martina (la receptionist), Fabrizio (il barman), e Zelio (Il factotum).
La prima ad essere fatta fuori è l'amica di Corrado, in una notte di burrasca, sgozzata.
L'amica di Franco, Valeria Rinaldi, criminologa, psicoterapeuta e consulente della polizia, gli suggerisce di andarsene. Ma lui vuole scoprire perchè tutti quelli che hanno avuto a che fare con Moira siano lì accanto a lui, capitato per caso.E così non accetta il consiglio e rimane. Anche perchè la bella Rossana, a diferenza di Valeria, ha fatto breccia nel cuore di Franco. In tempo per beccarsi  Larcher, fatto a pezzi con una sega circolare nell'obitorio: E poi una lunga schiera di altri uccisi: prima Zelio, che tenta un ricatto avendo scoperto l'identità dell'omicida, ma gli va male; poi l'amichetta di Roberta salatata in aria nell'auto imbottita di esplosivo, poi ancora Roberta che non si sa se uccisa o suicidatasi cadendo da un palazzo in costruzione, poi ancora Martina, sgozzata (eliminata in quanto conosce l'assassino a cui ha venduto un passe-partout dell'albergo, scomparso), altra tossicomane legata anche a Zelio.
In un albergo isolato dalla tempesta, e da qualcuno che tagliato il cavo telefonico prima, e ha tolto la luce dopo, in un'atmosfera allucinata e allucinante, avviene l'ultimo assassinio orribile (Malter sventrato, colpevole di aver violato l'intimità della Pazza dormiente ma neanche tanto), mentre Fabrizio e la cuoca sono stati rinchiusi nella cella del frigorifero dove è stato riposto il cadavere di Martina.
Il finale al cardiopalmo vede Franco combattere per la vita di Rossana rapita dall'omicida, per scoprire se sia Moira effettivamente o altro (ma chi?).
Romanzo con altissima tensione, MOSAICO A TESSERE DI SANGUE, riprende evidentemente, per chi abbia visto qualche film di Dario Argento, le sue visioni grandguignolesche; e dico evidentemente, perchè l'occhio dipinto da Rossana, a me ha fatto venire in mente subito i dipinti della casa di Profondo Rosso, tra i quali c'è lo specchio con il volto dell'assassina. Con quel film, e con altri beninteso, il romanzo di Stefano condivide il tema della pazzia: Moira la Pazza uccide per follia omicida, ma c'è forse qualcuno che uccide spinto da identici folli propositi? Oppure lei si è salvata ed è stato sacrificato qualcun altro? Certo è che emerge subito chiaro il disegno di un piano condiviso con altre persone, per cui è altrettanto chiaro che se Moira è morta qualcun altro, che l'aveva messa nelle condizioni di fuggire ed uccidere, deve averla uccisa, e quindi chi uccide in seguito non è lei. Se invece è lei, allora la cosa cambia. Comunque sia, nel caso l'omicida non sia Moira (io ovviamente so chi è), perchè ha ucciso? Per emulazione? o per una vendetta condivisa? Perchè chi uccide, lo fa in maniera atroce, come se gli affronti fatti da quelle persone uccise fossero stati fatti all'omicida oltre che a Moira. Paradossale è la colpa di Archer, che è quella di esser fuggito alla morte, e per quello degno di morire.
Al di là di questo, il movente è flebilissimo ed è la cosa che si coglie con minor facilità, mentre l'assassino (che sia Moira , una volta assunta l'altrui personalità, oppure un altro omicida) è quello che si individua più facilmente (almeno io l'ho individuato) perchè con tanti morti ammazzati in un gruppo ristretto, è chiaro che poi l'omicida, per quanto impossibile che possa parere (Stefano ha chiara la lezione di Conan Doyle) deve per forza essere quello. E del resto non si sottrae neanche ad una delle venti regole base di Van Dine, che è quella che l'assassino deve essere presente nella trama e non deve cadere dall'alto: qui l'omcida è presente addirittura nelle prime pagine, anche se la prova del coinvolgimento è scoperta solo per intervento di Germano, un poliziotto amico di Belli, che scartabella le cartelle cliniche del manicomio criminale di Aversa individuando delle cose non riportate sui database informatici.
Come ha ammesso più volte Stefano, tuttavia, la sua base non è nel giallo classico e nei grandi autori di thriller, quanto nel cinema nostrano: Dario Argento, Mario Bava, Pupi Avati sono tutti riferimenti che il lettore coglie seppure modificati nel tessuto dell'opera. Tra tutti soprattutto, La casa dalle finestre che ridono, con il suo sostrato di follia omicida, e Profondo Rosso o Suspiria, possono aver lasciato qualche traccia nel plot di Di Marino. Ma è evidente che verso altrove, i rimandi sono più evidenti: Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie, è il modello evidente ( o L'Ospite invisibile di Bristow e Manning), per il gruppo che si assottiglia sempre più in uno spazio ristretto in cui opera l'assassino; ma io direi - anche, per l'atmosfera ossessiva, dei convitati braccati, che non possono neanche tentare di scappare salvo saltare in aria con l'auto, e riuniti in un hotel - che un rimando più sottile può essere quello rivolto a Paragon Hotel, un romanzo claustrofobico del 2005, un thriller di altissima tensione, di David Morrell, se non allo Shining di Stanley Kubrick.
L'omicida è folle, ma si nasconde sotto la personalità di una persona normale. Ma per cosa uccide? Semplice emulazione, se non è Moira? Ma poi perchè tale accanimento? Il plagio non spiegherebbe l'efferatezza, e soprattutto gli atteggiamenti protettivi verso Belli che non è stato ucciso ma gambizzato al tempo, e che figura come possibile vittima solo nel finale, nel duello catartico. Adombro quindi la possibilità di una personalità doppia, con due identità che convivono nella stessa persona e che fatalmente vengono a scontrarsi con il prevalere di quella più forte e malvagia.
Un romanzo adrenalico che tiene incollati sono all'ultima pagina, del maestro italiano della letteratura di genere.
Chi non sopporta le scene truculente, non legga questo libro: è il mio personalissimo consiglio.

Pietro De Palma

mercoledì 27 settembre 2017

STEFANO DI MARINO: LA TORRE DEGLI SCARLATTI - Il G.M. 3159 del Settembre 2017




Seconda puntata delle avventure di Bas Salieri, targate Stefano Di Marino.
Questa volta Bas opera in Toscana, nelle campagne di Volterra. E’ stato invitato ad operare nella villa degli Scarlatti, nella veste di bibliotecario, da tale Cocci, maggiordomo e depositario dell’unica chiave che possa consentire di accedere alla biblioteca, posto che racchiude segreti secolari, misteri e ombre, con i suoi trattati di magia, occultismo, demonologia.
La sua amica Zaira, cartomante, lo ha sconsigliato dall’accettare la proposta, perché nei tarocchi ha visto che il viaggio di Bas potrebbe avere risvolti pericolosi. Bas però accetta e arriva in Toscana, a san Girolamo.
Appena arrivato, conosce Priscilla, uno dei misteri di casa Scarlatti: una figlia illegittima di Giacomo, erede diretto di Cosimo, negromante, mago, studioso. Una leggenda vuole che avesse trovato il segreto della cosiddetta Torre degli Scarlatti, il viatico che conduceva ad una misteriosa necropoli etrusca, dedicata al culto del demone blu, una divinità minore di Tuchulcha, dio degli inferi etruschi ma anche una specie di attendente della Grande Dea Mater, la nera Cibele, la dea sanguinaria. Questa necropoli nasconderebbe un tesoro ma anche innominati misteri e la possibilità di accedere ad informazioni e segreti del mondo dell’occulto.
Si accorge ben presto il nostro eroe che quella parte della Toscana in cui opera, di segreti deve averne e ben nascosti, e soprattutto non vuole che siano rivelati. A pagarne le spese è Danilo, un suo amico che gestisce una galleria di arte e di curiosità archeologiche. Tra le sue meraviglie, anche una rara raffigurazione del Demone blu. Fanno in tempo a vedersi una sera, ma Danilo è spaventatissimo: crede di vedere qualcuno, e non vuole dire più di quel che ha detto all’amico mettendolo in guardia. Gli ha suggerito di rivolgersi a Gigi Montero, un giornalista caduto in disgrazia e che campa per un oscuro giornale cittadino, che arrotonda vendendo notizia di prima mano. Danilo è il primo a cadere, tra i vicoli in penombra.
Alla galleria di Danilo, Bas ha conosciuto Priscilla. La rivede a casa Scarlatti. Qui fa la conoscenza di Mirella e Luca, i fratellastri di Priscilla; e di sbieco, di Livio, un amico di casa Scarlatti. Priscilla è molto vicina a Mirella, ma diffida fortemente di Luca, credendolo un impostore: è riapparso dopo molti anni che lo si credeva morto in uno spaventoso incidente. Il suo corpo però non era mai stato ritrovato. Luca è stato portato a casa da Livio, che lo ha convinto a ritornare, sempre a patto che egli sia davvero il figlio di Giacomo Scarlatti e Cecilia Augenti - entrambi di nobili casate e entrambi appassionati di occultismo – come Mirella; Priscilla è invece il prodotto di un’avventura extraconiugale di Giacomo, che aveva sancito la fine del rapporto con Cecilia. Era lei che si era accaparrata il segreto della Torre, e di cui aveva eretto custode un notaio, che un giorno leggerà il testamento, e anche ciò che riguarda la cosiddetta Torre.
Sullo sfondo si muovono però altri personaggi: Livio è ricattato da Gisella, una cameriera a servizio di casa Scarlatti, per conto di una persona, una donna che abita a San Girolamo. Uno degli avventori presenti in una locanda, in cui Bas incontra il suo amico, il vicequestore Panitta, prima di sorprendere l’uditorio coi suoi discorsi sugli Scarlatti, lo segue a distanza, lo pedina: dapprima in un cimitero di campagna, presso il quale Bas scopre degli oscuri simboli esoterici che rimandano al Demone, e poi in un antico cimitero di epoca settecentesca in cui Priscilla è inginocchiata presso una tomba senza nome.
Segreti inconfessabili, e misteri: Bas sospetta che qualcuno disponga della biblioteca senza esser stato invitato a farlo, in virtù probabilmente di qualche entrata segreta, visto che la biblioteca è posta nella parte più antica della villa.
Ma ci sono anche altri personaggi pericolosi che si muovo nell’ombra: i tombaroli comandati da Nino Zenobia, fratello di quel potente Zenobia che era morto anni prima in circostanze sospette. E poi ci sarebbe anche un illusionista, il Mago Zarolfo, che era stato costretto ad abbandonare la professione per opera di Giacomo Scarlatti, illusionista anch’egli, che pare potesse aver concepito un forte desiderio di vendetta, nei confronti degli Scarlatti. Poi c’è Camozzi, il proprietario di un frantoio. E ancora Perti, un vecchio che sta sempre dovunque. E infine Angela, la proprietaria del ristorante Lo Scavatore, che sembra un personaggio ambiguo.
I veri attori di questa tragedia sono proprio loro, quelli che si muovono dietro le quinte, quelli che si  muovono di notte, col favore delle tenebre e delle ombre. Così come qualcuno aveva ucciso Danilo, l’amico di Bas, così qualcuno uccide Gisella, spezzandole il collo. Bas, capisce che deve fare qualcosa: non sa cosa di preciso, ma si mette in moto. E riesce, presso l’ordine di suore nel cui ospedale era nata Priscilla, a sapere che la vendetta di Cecilia, madre e amante tradita si era appuntata anche contro di loro, magari praticando arti oscure; e che la madre segreta di Priscilla era stata tale Virginia Landi.
Il prosieguo della storia vedrà scoprire che Landi era stata l’assistente del Mago Zarolfo, e che Giacomo Scarlatti gliel’aveva portata via, provocando l’odio di Zarolfo. E’ lui che si scoprirà aver attentato alla vita di Luca, come più tardi farà con altri. Ma non è il solo responsabile. Di assassini ce ne sono almeno quattro, ognuno dei quali agisce per sé. Il risultato è una strage finale, in cui si troveranno tutti contro tutti: colei che aveva usato Gisella per i ricatti, morirà accoltellata, da chi in passato era stato complice di Scarlatti e ora di altri, in un traffico di reperti antichi; questi a sua volta sarà ucciso dal capo dell’organizzazione dei tombaroli per un vecchio fatto di sangue; e verranno uccisi anche Gigi Montero, per aver tentato di vendere compromettenti segreti a Salieri, e anche nel finale convulso, si saprà che Cecilia Augenti non era morta naturalmente ma era stata avvelenata, poi si troveranno in un sarcofago i resti del vero Luca, mentre l’impostore sarà ferito da Perti (che è il….), poi saranno uccisi in successione Cocci, poi Livio Bermani, poi infine Priscilla. Insomma questo romanzo non si sarebbe dovuto chiamare La torre degli Scarlatti, ma La mattanza degli Scarlatti. Altro che La fine dei Greene ! lì morivano due –tre persone, come anche in The Tragedy of Y, qui una decina tra passato e presente.
La Torre verrà rivelata essere una stele con scritto un codice da Apollonio Tarquinio, che rivelerà come la sua villa da lui era stata fatta costruire al tempo dei Romani per chiudere la necropoli maledetta: l’ingresso? Una panca di pietra con un intarsio da girare.
Ma dopo le peripezie che seguiranno e che riveleranno il vero volto di due persone nell’ombra, mentre Salieri & Co. Staranno per essere uccisi, interverrà chi aveva ucciso Camozzi per vendetta e salverà i malcapitati, uccidendo l’assassino folle e facendo crollare le volte della necropoli.
Il romanzo è un thriller esoterico, che poi diventa nel finale quasi un Hard Boiled, tanto vi è azione!
Di Marino non è uno scrittore specializzato in thriller di tipo esoterico-religioso, ma pur sempre è il miglior scrittore italiano di letteratura di genere: di saper scrivere, sa scrivere. E quindi imbastisce un romanzo, dalle tinte fosche, neanche tanto sforzandosi. Prende qua e là delle notizie attinte sulla civiltà etrusca, soprattutto sulle credenze sull’Oltretomba, e le unisce ad altre tipiche della civiltà greca, ottenendo un minestrone saporito, anche se bizzarro: Tuchulca, demone infernale etrusco, diviene uno scudiero della divinità infernale per eccellenza, la Cibele Nera, la Magna Mater Dea. Ora, che Cibele fosse una dea pagana adorata, una delle più importanti da quando i romani convinsero Attalo a consegnare la Pietra Nera (Lapis Niger), un meteorite, su cui era scolpita l’immagine della dea, e a fondare il tempio sul Palatino, è un fatto; e anche che fosse una dea sanguinaria, legata al mito di Attis, il suo grande amore, che per averla tradita si era evirato e ucciso. Ma che poi fosse diventata una dea etrusca, beh è un’invenzione. Alcuni ancora ipotizzano che gli Etruschi fossero un popolo che proveniva dall’Asia Minore, dove dal monte Ida, vicino Troia, si era diffuso il culto della dea, ma oggi è sempre più forte l’ipotesi che gli Etruschi fosse un popolo nato dalla fusione di più ceppi e che deriva in gran parte dalla civiltà villanoviana. Che Persefone fosse legata a Cibele (alias Rea o Demetra) è cosa risaputa, perché nella mitologia ne è figlia; ma da qui a farne una dea infernale succuba della grande divinità infernale, è altro. Cibele non era una dea infernale: era una dea solo gelosissima, che aveva donato se stessa ad Attis, che quando la tradì con una ninfa, lo fece impazzire e suicidarsi evirandosi. I genitali del dio, sepolti, fecero sì che egli diventasse il dio della vegetazione, che ogni anno muore e si rinnova.
Queste credenze le mischia con altre: il Demone Blu ed una misteriosa necropoli.



Il Demone Blu sarebbe un’estensione dei cosiddetti Demoni azzurri, la tomba dei quali si trova a Tarquinia (io l’ho vista). Di Marino, crea sulla base di tali credenze, un canovaccio formato da credenze magiche, da riti occulti, e ci mette pure “I Custodi”, persone deputate ad impedire la scoperta di questa necropoli misteriosa, e i tombaroli. Aggrega il tutto, parlando di una famiglia antica di negromanti. Mischia sapientemente, aggiungendo al tutto il profumo della campagna di Volterra, le ombre ed una biblioteca avvolta nel mistero, la sparizione di certi volumi di Apollonio Tarquinio (personaggio inventato) trovati dietro un quadro, certe fiale di un allucinogeno. E ottiene un bel romanzo.

Un romanzo che è un thriller d’avventura. Del tipo di quelli di Glenn Cooper o Eliette Abecassis o Dan Brown, ma meno forte. Diciamo…”all’italiana”. Come i film polizieschi anni ’70. La ragione è che secondo me, per ottenere un prodotto potente, devi necessariamente perseguire quel sottobosco dall’inizio alla fine: se parli di mondo magico, di credenze demonologiche ed esoteriche, devi sempre andare in quella direzione (come non so..Il marchio del diavolo di Glenn Cooper o come la prima avventura di Bas Salieri, Il palazzo dalle cinque porte). Il rischio è scocciare, ma a tener viva l’attenzione e la tensione deve pensarci lo scrittore con la sua arte. Nei tempi contemporanei, la tensione si attua con metodi artificiali: frammentando cioè il fiume principale in più torrenti, ognuno col proprio cammino, con le proprie asperità e le proprie amenità, che possono congiungersi  e separarsi anche al fiume principale, fino a convergere in esso e riformare quello originario prima della fine. Non si allontana da questa tendenza Di Marino, anzi in lui la frammentazione è accentuata: paragrafi che sono lunghi massimo dieci pagine e minimo..una pagina: un po’ poco! Questa tendenza a frammentare, a mio parere sfilaccia troppo il discorso, quando invece accade che quando il paragrafo è poco più lungo e le cose vengono sciorinate, la tensione aumenta. Il fatto è che d’altronde, il romanzo è molto più lungo del primo, più denso di vicende collaterali e quindi per contemplare le diverse anime del romanzo, deve anche frazionare il discorso.
Il plot è ottenuto, oltre che con l’inventiva e mischiando notizie qua e là prese dal mondo dell’oltretomba etrusco, anche attingendo a sceneggiati e film italiani. Si sa che Di Marino è un fissato di film. Il bello è che lo sono anch’io. L’etrusco uccide ancora, di Armando Crispino, è uno di questi (chi l’ha visto si ricorderà il leit-motiv che annunciava una nuova morte: il motivo del Dies Irae della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi). A questo possiamo aggiungere sicuramente “Ritratto di donna velata”, famosissimo sceneggiato televisivo, da cui Di Marino ha tratto molto: innanzitutto l’ambientazione (tra Firenze e Volterra); poi una famiglia antica, il cui avo era un famoso negromante (qui sono gli Scarlatti, lì i Certaldo); la passione dell’avo per il mondo dell’oltretomba degli etruschi; la scoperta di una necropoli segreta; l’accesso a questa necropoli direttamente dalla Villa;


una serie di morti e di eventi che fanno da corollario; la presenza di tombaroli; e ancor di più un certo evento che accade quando si penetra nella necropoli: nel romanzo di Stefano, un pozzo che si apre nel pavimento e che comunica con un torrente sotterraneo; nello sceneggiato degli anni ’70, una frana che si apre nel pavimento e porta ad un’altra serie di gallerie. L’indizio che mi permette di collegare queste due sceneggiature (quella televisiva con quella di Di Marino) è una scultura etrusca, “L’ombra della sera” che si trova nella sigla di apertura dello sceneggiato, mentre il riferimento ad una che le assomiglia, si trova nel romanzo.


Altra fonte di questo romanzo è sicuramente “Chimaira” di Valerio Massimo Manfredi, che si ambienta nella zona di Volterra e tratta, prima di Di Marino, di una storia di morti e credenze soprannaturali relative alle divinità infernali del mondo dell’oltretomba etrusco. In realtà i gialli con Bas Salieri, se hanno un modello da cui traggono ispirazione, al di là di quelli americani di Glenn Cooper, proprio per l’ambientazione e per il modo di approcciarsi alla realtà e al mondo della finzione, mi pare che questo sia proprio Valerio Massimo Manfredi e i suoi romanzi gialli di ispirazione archeologica( Palladion, l’Oracolo, La torre della solitudine, Il faraone delle sabbie, L’isola dei morti, Chimaira), anche per effetto dell’unione di modelli fantastici con altri reali, grazie all’interazione di archeologi, con religiosi, e poliziotti.


Se proprio vogliamo, il thriller fanta-archeologico di Manfredi è molto più forte in termini di tensione, perché Manfredi oltre che essere un eccellente scrittore è anche un eccellente archeologo e storico, la materia la sa approfonditamente e quindi può spingersi laddove Di Marino non si approssima se non con l’arma del mestiere di scrittore.

C’è anche un riferimento ad un altro sceneggiato. “Il segno del comando”, sceneggiato in cui i temi esoterici, occulti, spiritisti la fanno da padrone: il potente talismano che il protagonista ha per tutta la durata del romanzo, che lo metterà al riparo da una serie di eventi nefasti che avrebbero potuto interessarlo. Nello sceneggiato gli era stato donato da Lucia (spirito o donna?), nel romanzo da Zaira.
I Custodi…anche quella è una reminiscenza per me, cinematografica: in Indiana Jones e l’ultima crociata, c’è un ordine che mira a proteggere il luogo del Santo Graal e ad impedire che vi accedano malvagi: la “Fratellanza della Spada Cruciforme”; nel nostro caso, lo stesso fine per evitare che dei malintenzionati accedano alla necropoli maledetta, la svolgono “I Custodi”.
Ci sarebbe anche una reminiscenza Mystery. Il romanzo comincia con un prologo: un giovane si schianta con la sua auto nella notte. Questa morte è importante per uno dei filoni del romanzo. Ora c’è un giallo classico di una grande scrittrice neozelandese, Christianna Brand, per di più uno dei suoi capolavori, Death of Jezebel , che comincia con un prologo, in cui un giovane si schianta con la sua auto nella notte, a causa di una strega, una donna perfida. Anche nel nostro caso è a causa di una strega. Una coincidenza? Non credo.
Tutto sommato abbiamo un ottimo romanzo, con una buona tensione ricco di suggestioni e di elementi caratterizzanti che si snoda tra cimiteri, tombe, vie di Volterra e San Girolamo (cittadina inventata), casolari, taverne: le prime pagine non sono granchè, ma quando si comincia a leggere il ritmo aumenta fino alla conclusione.
Attendiamo la terza avventura, che Stefano avrà già scritto probabilmente: in una mappatura dell’Italia, giacchè è passato da Venezia a Firenze e Volterra, la prossima meta saranno le catacombe romane?

Pietro De Palma