mercoledì 11 ottobre 2023

Rex Stout : Scacco al re per Nero Wolfe (Gambit, 1962) – trad. Laura Grimaldi – I Classici del Giallo Mondadori N° 999 del 2004


                                           

In Italia il romanzo è noto sotto il titolo di Scacco a Nero Wolfe, ma in realtà quello originale è Gambit, che non significa “stratagemma” ma “Gambetto”. Il  “Gambetto” è uno dei metodi che lo scacchista puo utiizzare per indirizzare una partita: in sostanza, è un’apertura con la quale, sacrificando uno o più pedoni, si consegue un certo risultato, guadagnando tempo oppure dei pezzi più pregiati.

Perchè Gambit?

Innanzitutto diciamo che il titolo americano inquadra perfettamente il romanzo, mentre quello italiano è più vago, meno allusivo e meno diretto.

Nero Wolfe viene assunto dalla figlia di Matthew Blount, Sally, in quanto il padre, che è stato arrestato per la morte di Paul Jerin, rischia la pena capitale, poichè gli indizi in mano alla polizia sembrano schiaccianti. In realtà è Archie Goodwin a perorare la causa della ragazza e ad accettare l’incarico per il suo principale prima ancora che questi lo sappia.

La ragazza è disperata ed offre 22.000 dollari, il frutto della vendita di alcuni suoi gioielli, a Wolfe perchè riesca a dimostrare l’innocenza del padre. In realtà la faccenda sembra disperata: Blount che è lo scacchista più in vista di un club esclusivo, aveva organizzato 12 partite in simultanea con Paul Jerin, un maestro di scacchi molto noto, mettendo in palio dei premi. Jerin, invece però di sostare nella stessa sala, sarebbe stato a disposizione in una saletta privata, senza una scacchiera, ma formulando mosse e contromosse solo con la forza della mente, sorseggiando tazze di cioccolata calda, di cui è ghiotto. A consentire ciò sarebbero stati 4 messaggeri che si sarebbero avvicendati tra la saletta e la sala delle partite: Dan Kalmus, legale di Blount, e a dirla con le parole della figlia, segretamente innamorato della di lei madre, Anne; Charles Yerkes, vicepresidente della banca presso cui opera anche Blount; Morton Farrow, nipote di Anne Blount, moglie di Matthew; e infine Ernst Hausman, grande agente di borsa, amico intimo di Matt e padrino della figlia.

                                                                       

Disgraziatamente qualcuno attenta alla vita di Jerin versandogli nella cioccolata calda tanto arsenico da provocarne la morte. Siccome il solo ad aver portato la tazza era stato Matt, che aveva pure lavato quella che secondo l’accusa avrebbe contenuto la dose mortale, riempiendola poi di altra cioccolata, e secondo alcuni avrebbe avuto come movente la vendetta per certe avances fatte da Jerin nei confronti di Sally, lui stesso era stato accusato di omicidio di primo grado, e arrestato.

Wolfe, essendo le accuse schiaccianti, decide di partire dal presupposto che Matt sia innocente e che quindi qualcun altro debba aver ucciso Jerin per qualche oscura ragione. In altre parole che uno dei quattro messaggeri sia l’assassino.

Tuttavia sa benissimo che la via sarà impervia. Inoltre deve anche combattere contro Kalmus, che non vuole avere Wolfe tra i piedi, nonostante – essendo non un avvocato penale, ma civilista – non sia il miglior legale per un uomo condannabile a morte.

La vicenda diventa meno scontata quando è lo stesso Ispettore Cramer a fornire la prova di un diverso modo di intendere la faccenda: tutti e quattro i messaggeri non avevano mai conosciuto Jerin e quindi non avrebbero avuto alcun motivo per desiderarne la morte. Partendo dal presupposto che Matt, essendo innocente, non l’avesse ucciso neanche lui, Wolfe formula un’altra ipotesi, ancora più cervellotica: che cioè qualcuno abbia sacrificato Jerin conseguendo al tempo stesso un altro risultato: far incriminare Blount e farlo uccidere con sentenza capitale. Cioè, in termini scacchistici, che abbia utilizzato il Gambetto: ha sacrificato un pedone (Jerin) puntando all’eliminazione di un pezzo più grosso (Blount).

Wolfe arriva a questa sensazionale intuizione, analizzando anche le mosse dei vari giocatori, e scoprendo come alcune erano finalizzate a confondere le acque, senza un apparente fine di gioco mentre altre erano più logiche. La confusione mentale e il blando sedativo versato nella cioccolata, avrebbero dovuto offuscare la capacità analitica di Jerin, consentendo ad alcuni giocatori di vincere più facilmente. E quindi al club di guadagnare in notorietà.

Wolfe inizialmente pensa che l’avversione di Kalmus a lui stesso, sia strumentale: ossia, se fosse lui l’assassino, starebbe facendo tutto questo perchè Nero Wolfe non se ne occupasse e così condannerebbe a morte il suo assistito, e potrebbe poi sposarne la moglie.

Kamus rigetta le accuse, anzi dimostra di aver per primo pensato alla soluzione di Wolfe, non trovando però chi avrebbe potuto commetter il delitto.

Wolfe decide allora di sentire gli altri: oltre Ernst Hausman – che si era presentato spontaneamente, suggerendo a Wolfe una soluzione molto arrangiata e sbrigativa, facendo sì che fosse il cuoco a sopportare il massimo fastidio, avendo preparato lui la cioccolata in tazza – Wolfe convoca gli altri tre, li interroga, e conclude poi che nessuno dei tre, sembrava che non c’entrasse nulla.

Eppure uno deve esser stato, se il dottor Avery, anche lui scacchista, ha soccorso Jerin e gli ha dato l’antidoto senza però fargli la lavanda gastrica, non essendoci gli strumenti adatti allo scopo,  anche se poi Jerin è morto lo stesso.

Persuasosi che ad uccidere Jerin sia stato Kamus, ordina ai suoi uomini di setacciar la casa di Kamus, che vive da solo essendo vedovo e coi figli oramai grandi e sposati, e trovarvi l’arsenico mortale. Ma qual’è la sorpresa di Archie e Sally, accompagnati all’appartamento dal portiere dello stabile, quando ritrovano Kamus morto stecchito e strangolato!

Tutto da rifare? NO. Perchè partendo dal presupposto che  nessuno avesse potuto avvelenare il bricco, e venendo a sapere che Matt qualcosa l’aveva messa nella tazza, anche se non arsenico, cioè un sedativo in grado di obnubilare le facoltà mentali di Jerin e permettergli quindi di avere la meglio scacchisticamente nei suoi confronti (ed è cosa che sapevano almeno altre due persone), capisce (è preceduto da Archie però) chi possa essere il duplice assassino e gli tende una trappola. Wolfe, in una riunione improvvisata a casa sua, finge di essere sconfitto (e restiuisce all’uopo i 22.000 dollari) e nella stessa sede, davanti a tutti gli attori del dramma (i 4 messaggeri, Avery, Sally e la moglie di Matt, Anne) dichiara di avere anche licenziato Archie per negligenza sul lavoro. Il fine della messinscena è che Archie, svincolato dal lavoro di investigatore presso Wolfe, si finga ricattatore, e faccia una telefonata ad uno degli attori del dramma, convocandolo presso un noto ristorante della città, promettendogli di non rivelare certe cose, dietro compenso di 100.000 dollari. Messo alle strette ed ingannato abilmente, all’assassino non apparirà altro da fare se non uccidersi, visto che Wolfe ha fatto in modo pure che i discorsi tra Archie e l’assassino nel ristorante fossero registrati grazie a dei microfoni abilmente dissimulati in vari punti del ristorante.

Romanzo del 1962, Gambit è per certi versi una delle migliori opere di Wolfe e può essere messo alla pari con romanzi famosi scritti prima del secondo conflitto mondiale. E’ un mystery! E che mystery! Mischia abile e cervellotica analisi psicologica ad un’analisi dettagliata degli indizi. Per certi versi è una delle opere di Rex Stout che più si avvicina ai modelli queeniani: l’aver concepito un movente così sottile, è di per se stessto un’opera d’arte.

Io credo che Wolfe pensi al Gambetto e quindi alla possibilità che qualcuno abbia ucciso Paul Jerin per conseguire un fine indiretto, cioè  l’eliminazione di Blount attraverso la morte del primo,innanzitutto pensando al Club in cui è avvenuto il delitto: se infatti il Club è dedicato al Gambetto è lecito supporre che gli iscritti lo conoscano e lo pratichino. E che quindi anche lo stesso assassino, poichè il cuoco ed il maggiordomo sono stati fin dal principio esclusi dal novero dei sospettati, sappia cosa sia. E che siccome l’assassino, senza pensare alle sue parole, in una sorta di autodifesa delle proprie capacità scacchistiche,  rivela in due distinte occasioni, a lui prima, e ad Archie dopo, di aver giocato il contro gambitto di Albin, che Houghtelin aveva usato nella partita con Dodge nel 1905, vincendo alla sedicesima mossa, come sua risposta alla mossa di Jerin che Yerkes gli aveva comunicato ( pagg. 106 e 164), quando ancora Wolfe non sospetta che lui sia l’assassino, fà sì a mente lucida, dopo aver eliminato tutte le altre possibilità, i sospetti si indirizzino nei suoi confronti. Del resto, la stessa risposta dell’assassino sull’ipotesi che lui praticasse il contro Gambetto nei confronti di Jerin, potrebbe anche significare a livello inconscio, una ammissione di responsabilità: come a dire, “scemo che non sei altro, io sono l’assassino e tu non te ne sei neanche accorto!“.

 

 

 

Il “contro gambetto Albin”, è una difesa inusuale contro un tentativo di “Gambetto di donna”: se il pedone bianco davanti  al re muove in d4 quello nero del re risponde in d5, causando un avanzamento del pedone bianco davanti all’alfiere in c4 e come risposta quello del pedone nero davanti alla regina in e5. In questo modo il pedone nero si trova ad avere maggiore forza d’urto e campo d’azione davanti alla difesa dei bianchi.
Da varie fonti si viene a sapere che questa difesa scacchistica venne utilizzata per la prima volta in un torneo italiano nel 1881, ma divenne famosa quando un campione della scuola scacchistica viennese, Albin, la usò per la prima volta in America, durante il Torneo di New York, nel 1893, contro Lasker. Fu poi usata da Lasker contro Hodge nel 1905, da Alekhine, e da altri. Recentemente da Nakamura in America.

Nel testo si fa riferimento ad una partita che sembra non si sia mai svolta: non esisterebbe infatti da mie ricerche un Houghtelin contro Dodge, ma un Lasker contro Hodge nel 1905.

Inoltre si fanno altri riferimenti scacchistici.

Nel capitolo 3, quando Archie si reca al club scacchistico nella Sesta Avenue, all’interno vede una scacchiera con i pezzi in avorio e lapislazzuli che pare fosse stata usata nientemeno che da Luigi XIV, e su cui era stata svolta una celeberrima partita rimasta agli annali, nel 1858 a Parigi ,”The Opera Game”, tra il maestro di scacchi americano Paul Morphy da una parte e altri due celebri giocatori dall’altra in coppia: il Duca Karl II di Brunswick e l’aristocratico francese, il Conte Isouard (pag. 42).

 

 

Sempre nel terzo capitolo, Archie assiste casualmente ad una partita nel Gambit Club e confessando di non capirci un’acca, dice “conceded that I would never be a Botvinnikk” (espressione che manca del tutto nella traduzione approntata al tempo da Laura Grimaldi): Mikhail Botvinnik fu un grandissimo campione di scacchi sovietico, Gran Maestro e Campione mondiale di scacchi per ben tre volte. Poi nel cap. 7 a pag. 92, Morton Farrow, nipote di Anne Blount, uno dei quattro messaggeri, in merito alle sue qualità scacchistiche, ammette davanti a Wolfe che in sostanza non è che gliene freghi molto degli scacchi e che se li pratica (conosce tutte le aperture ma poi non sa come procedere) è perchè il suo zio acquisito dice che sviluppino le capacità cerebrali. Lui obietta che se ciò fosse vero anche Bobby Fischer dovrebbe essere intelligente,cosa che lui non crede (“I’m all right the first three or four moves, any opening from the Ruy Lopez to the Caro-Kann, but I soon get lost. My uncle got me started at it because he thinks it develops the brain. I’m not so sure. Look at Bobby Fischer, the American Campion. Has he got a brain?“).

Il romanzo è molto interessante anche per altre cose, perchè condivide particolari del plot con 3 racconti scritti da Stout precedentemente.

Innanzitutto, la collocazione del ristorante “Piotti”: in Poison à la carte, racconto del 1960 (tradotto in Italia col titolo “Colpo di genio“) il ristorante è collocato nella 14^ Strada ad Ovest della Seconda Avenue, mentre nel romanzo è posto nella 13^ Strada ad Est della Seconda Avenue (pare che Stout non fosse molto preciso su determinati particolari nei suoi romanzi). E poi… la registrazione tramite magnetofono e microfoni, che avviene dentro il ristorante, condivisa proprio col racconto Poison à la carte; l’assassinio che avviene con la somministrazione del veleno tramite un alimento, che era già stato collocato nel racconto “Cordially invited to Meet Death” del 1942, tradotto in Italia come  “Cordialmente invitati ad incontrare la morte” (contenuto nel volume Orchidee nere); ed infine, il modo di eliminare un avversario attraverso la morte di un innocente, che era già stato usato nel racconto “Method tree for murder” del 1960, tradotto in Italia col titolo “Assassinio indiretto”.

                                                              

Pietro De Palma

sabato 7 ottobre 2023

Agatha Christie : Poirot e la strage degli innocenti (Hallowe'en Party, 1969) - trad. Tina Honsel. Oscar Gialli Mondadori, 2021



Halloween Party è un'opera di narrativa poliziesca di Agatha Christie, pubblicata per la prima volta nel Regno Unito  e negli Stati Uniti nel 1969. E’ uno dei romanzi tardi in cui compare, affiancando Poirot, Ariadne Oliver, la scrittrice di Gialli (alter ego di Agatha Christie)

In Italia è stata tradotta tre volte: la prima volta da Arnaldo Sole, la seconda da Tina Honsel, la terza, recentissima, è di Chiara Libero. Diciamo subito che se la prima è improponibile, tra la seconda e la terza le differenze sono davvero minime: innanzitutto il numero di pagine in entrambe è lo stesso, 240. E poi le dividono sottigliezze lessicali: es. all’inizio si parla di zucche, e se Tina Honsel cita i termini latini per indicarne le specie, la Libero le indica come estive o autunnali. Insomma, poca cosa. E la prosa è un po’ più fresca, ma nulla più.

Trentaduesimo romanzo con Poirot, lo vede in campo solo perché vi ricorre la sua amica la scrittrice Ariadne Oliver, che è la protagonista dell’inizio del romanzo, dove viene raccontata una festa organizzata presso la dimora di Rowena Drake, in occasione di Halloween: una moltitudine di bambini e ragazzi, coadiuvata dalle madri e da volontari, partecipa ad una serie di giochi. E tutto sembrerebbe filare liscio, e concludersi con gioia, sennonchè quando la festa è finita e tutti i ragazzi e ragazze, vanno via, Joyce Reynolds, una ragazzina di tredici anni viene trovata uccisa in maniera orrenda: qualcuno l’ha invitata ad inginocchiarsi e cercare di afferrare con la bocca una mela posta dentro un secchio di zinco, e poi ne ha tenuto la testa sott’acqua fino ad affogarla. E così la bambina è stata trovata: inginocchiata, davanti ad un secchio, con la testa dentro, e un mare d’acqua attorno, nella biblioteca di casa.

Perché mai uccidere una bambina in questo modo subdolo e feroce? Ci sono molti che parlano di pazzia, altri di un gioco finito male, ma su tutti si impone quello che aveva sentito Ariadne e di cui era stata testimone: Joyce, quando gli altri avevano parlato di Ariadne, scrittrice di libri polizieschi, lei si era vantata di aver assistito tempo prima ad un omicidio. Ed è di questo che Ariadne sente di dover relazionare a Poirot dopo averne chiesto l’aiuto. Ma nessuno vi ha creduto, perché Joyce era ritenuta da tutti una bugiarda: nessuno, tranne l’omicida.

E’ da quei che parte l’indagine di Poirot, e per individuare l’assassino/a, dovrà innanzitutto capire a quale omicidio ha assistito. Il posto del luogo dove è avvenuta la tragedia, Woodleigh Common, gli richiama alla memoria qualcosa e da qui partirà. Ad aiutarlo il Sovrintendente Spence, conosciuto in un famoso caso del suo passato e sua sorella. Indaga, a seconda del tragitto che avrebbe dovuto fare per assistere ad un omicidio, e quindi tra una serie di fatti delittuosi o meno, accaduti tempo prima (soprattutto la morte della ricchissima signora Llewellyn-Smythe, e la scomparsa della sua ragazza alla pari Olga Seminoff; l’accoltellamento del segretario notarile Leslie Ferrier, e lo strangolamento dell’insegnante Janet White), fissando l’attenzione sull’ultimo, salvo poi abbandonare questa pista e rivolgersi alle altre, riuscendo a ricostruire un folle piano, a scoprire un altro assassinio, mentre un altro viene compiuto tra i ragazzi di Woodleigh Common (il fratello di Joyce, Leopold) e alla fine verrà tentato addirittura l’omicidio di Miranda Butler, la figlia di Judith, amica di Ariadne, che sarà sventato proprio per intervento di Poirot, coadiuvato da due ragazzi.

Michael Green, sceneggiatore di An Haunting in Venice , dice che in sostanza è stato conquistato da questo romanzo, un trionfo di Poirot. Che sia un trionfo, può anche essere, ma non lo è in quanto romanzo, perché l’opera ha numerosi bug non risolti. Vediamo quali siano.

Il codicillo falso: la signora Llewellyn-Smythe, ad un certo punto della sua vita, ha l’idea di nominare sua erede universale la ragazza che la sta assistendo, Olga Seminoff, e per questo crea un codicillo al testamento, e dopo aver fatto firmare due delle persone di servizio, lo nasconde in un libro di economia domestica, senza dirlo a chicchessia, neanche al suo legale: perché? Non ha senso

Nel finale del romanzo ecco una cosa a sorpresa che nessuno si aspettava: Miranda è la figlia di Michael. E per spiegare una certa cosa, viene evocato il mito di Ifigenia. Ora questa trovata della supposta paternità, sembra qualcosa di assurdamente astruso, inserito lì a bella posta e slegato dal resto, tanto che poi Agatha Christie deve far ammettere a Judith di esserne stata l’amante. Mah..

Poi c’è il bug più grosso: dopo aver per qualche capitolo inseguita l’ipotesi che l’assassinio cui Joyce avrebbe dovuto assistere era quello di Janet White, alla fine del Cap.10 Poirot dice che avrebbe voluto saperne di più, anche sul conto di Norma Ambrose, un’altra docente, compagna di stanza di Janet, che aveva riferito alla polizia al tempo, il fatto che Janet frequentasse un tizio, alla cui identità nessuno della polizia era però riuscito a risalire. Da come Poirot parla, si capisce che lui pensi ad un rapporto strano tra le due: o che Norma avesse ucciso la compagna perché gelosa di questo tipo, oppure che l’avesse uccisa perché gelosa della compagna, facendo ipotizzare assai sottilmente (ma non lo dice), che le due donne potessero essere amanti e che Norma fosse lesbica; e che fosse scappata lontano non per lo shock provocatole dalla morte dell’amica ma per non rispondere ad ulteriori domande. Detto questo, il capitolo 11 ci si aspetterebbe che continuasse la vicenda, e invece..si parla d’altro, si parla di Quarry House e della proprietà della Signora Llewellyn-Smythe, del meraviglioso giardino commissionato a Michael, e di tutto il resto.  E’ come cioè se ci fossero state due diverse versioni della storia, e tra di esse vi sia una cesura netta, drammatica: sembrerebbe che la Christie, dopo aver trattato del primo supposto omicidio, abbia voltato pagina, e trattato il resto, visto che col primo non avrebbe potuto tirare la corda ulteriormente. Solo che non lo dice. E Poirot neanche nella soluzione ne accennerà.

La Christie ne parlerà in un solo accenno, nel cap.XV, quando, parlando dei due gemelli, due ragazzi di diciassette anni che alla fine aiuteranno Poirot a fermare l’assassino prima che uccida ancora, uno di questi dice come Norma Ambrose pare che fosse una bella ragazza, che i pretendenti non le mancassero, e che da un permesso avuto e goduto di alcuni giorni, si fosse ipotizzata una sua gravidanza. Da questo discorso, la Christie in altre parole ribalta quanto affermato cinque capitoli prima, perché dicendo che Norma era normale, afferma senza parole che la lesbica dovesse essere Janet. Ma allora, se questo è vero, Perché sarebbe dovuta essere uccisa Janet? La vittima più ovvia sarebbe dovuta essere secondo questa rivelazione Norma, e Janet essere l’assassina. Invece è il contrario. Altra cosa che non si capisce. Altro bug senza risposta.

Un altro bug è quello di Leopold: Leopold è il fratello di Joyce. Viene ucciso perché ha ricattato l’assassino per avere soldi. Si badi bene: Leopold ha dieci anni. E’ mai possibile una cosa del genere? E’ mai possibile che Leopold, avendo visto uccidere la sorella, sia rimasto impassibile, non abbia detto nulla ai genitori e abbia invece ricattato l’omicida, neanche fosse un consumato ricattatore adulto? Sembra veramente inverosimilie.

Se in definitiva sono del tutto d’accordo con l’opinione che ne ha Robert Barnard nel suo saggio su Agatha Christie, A Talent to Deceive an Appreciation of Agatha Christie: “Bobbing for apples turns serious when ghastly child is extinguished in the bucket. The plot of this late one is not too bad, but the telling is very poor: it is littered with loose ends, unrealized characters, and maintains only a marginal hold on the reader's interest. Much of it reads as if spoken into a tape-recorder and never read through afterward.”, bisogna anche riconoscere che qualche merito questo romanzo ce l’ha, ed è nell’atmosfera altamente drammatica, anche perchè ricorre all’omicidio di una tredicenne e di un bambino di dieci anni, e nei due indizi, che Poirot nomina: una volta per il primo, molte volte per l’altro: il fatto che un’esecuzione del primo omicidio avrebbe dovuto comportare il fatto certo che l’omicida si sarebbe dovuto bagnare, e che Joyce essendo una bugiarda, non avrebbe dovuto vedere nulla. Ma se non aveva visto nulla, come è possibile che si era vantata di sapere di un omicidio? Questi due indizi sono lampanti, epperò la scrittrice li confonde in mezzo ad una quantità incredibile di pettegolezzi e di cose banali, che alla fine se ne è distolti.

Comunque sia, nel romanzo vi sono accenni a situazioni estranee al romanzo stesso, e invece riferibili ad altri romanzi:

innanzitutto Ariadne Oliver, apparsa in altri romanzi tardi di Poirot, qui ha la stessa funzione catalizzante, anche se non voluta, che ha in un precedente romanzo: infatti sia qui che ne La Sagra del Delitto, durante una festa avviene un delitto;

anche qui, come in tante altri romanzi, la Christie ricorre ad una filastrocca: accade quando la signora che impersona la strega, Mrs Goodbody, sibillinamente pronuncia, nel cap. XVI, davanti a Poirot: Ding dong bell, Pussy’s in the well. E’ una rima detta in modo del tutto innocente, tanto per dire che nel giardino c’era un pozzo, oppure la Signora Goodbody aveva visto qualcosa, e vuol suggerire a Poirot che trovando il pozzo troverà che in esso c’è’ qualcosa, come nella filastrocca nel pozzo c’è’ un micio: c’è però anche un altro accenno di filastrocca, questa volta però mascherato: è quando Miranda esclama, sempre cap. XI, La mamma non vuole che giochi nel bosco con dei bambini che non conosco. Si riferisce ad una filastrocca composta nel XIX secolo : My mother said that I never should / Play with the gypsies in the wood; / If I did, she would say, / Naughty girl to disobey ( rilievo letto nel sito: https://ilrifugiodiagathachristie.wordpress.com/2016/01/30/poirot-e-la-strage-degli-innocenti-halloween-party/ ) leggendo il romanzo, mi è balzata agli occhi la somiglianza tra Rowena Drake e la protagonista di A Murder is Announced: due donne forti, ed è nella loro dimora che avvengono gli omicidi;

Poirot ricorre al Sovrintendente Spence, che trascorre la sua vecchiaia dopo la pensione proprio nei paraggi del posto dove è stato commesso il delitto: è lo stesso poliziotto che compare in Mrs McGinty's Dead, “Fermate il boia”;

quando Poirot parla con la direttrice della scuola, ella gli dice che lo conosce per interposta persona: infatti glie ne aveva parlato Miss Bulstrode, che compare in Cat Among the Pigeons, “Macabro Quiz”;

quando Joyce nel cap.1 afferma parlando con Ariadne che sarebbe stato appropriato farle fare qualcosa collegato alla sua fama di scrittrice di gialli, cioè mettere in scena un delitto e provare a risolverlo, oltre che sembrare una sinistra premonizione, perché poi proprio lei Joyce morirà. Ariadne Oliver rifiuta, dicendo che una volta l’ha fatto e il risultato non è stato quello voluto: si riferisce alla sua partecipazione a “La sagra del delitto”, Dead Man's Folly.

L’amore di Agatha Christie per Shakespeare, si apprezza anche in questo romanzo, oltre che in : The pale Horse, Nemesis, Sad Cypress, Hercule Poirot's Christmas, The ABC Murders, Five Little Pigs. Infatti, Miranda, la figlia di Judith, è un ricordo di The Tempest, essendo in essa la figlia di Prospero, Duca di Milano. Nel cap. XI, un capitolo centrale nel romanzo, in quanto in esso viene abbandonato il cursus che voleva al centro dell’indagine, lo strangolamento di Janet White, e invece l’aprirsi ad una nuova fase dell’indagine, un cui il giardino della cava è al centro dell’attenzione, così come la morte della ricca zia, l’assassinio del segretario notarile, e la scomparsa della ragazza au pair, Poirot conversa con Ariadne, con Judith e Miranda:

 Come ti chiami?”.“Miranda”.
“Un nome che ti si addice”, osservò Poirot.
“State pensando a Shakespeare?”.
“Sì. Lo studi a scuola?”.
“La signorina Emlyn ce ne ha letto qualcosa. Io ho chiesto alla mamma di darmi qualche altra sua opera. Mi piace molto. Ha un ritmo meraviglioso. “Un mirabile mondo nuovo…”.
La citazione è riferita all’atto quinto, scena prima, in cui Miranda esclama: “..O brave new world, That has such people in ’t!”.

Nel romanzo infine vi sono vari accenni a miti e leggende.

A parte il ricordo dell’antologia della Christie, Le fatiche di Hercule Poirot, ricordata mentre Poirot cammina nel giardino, compaiono varie citazioni di miti:

quello di Ariadne e Teseo, quando Ariadne scherza sul suo nome, cap. XI : "Yes, I suppose it is a Greek name," said Mrs Oliver. "It's my own, you know. I didn't just make it up for literary purposes. But nothing Ariadne-like has ever happened to me. I've never been deserted on a Greek island by my own true love or anything like that."

quello di Agamennone ed Ifigenia: "Yes," said Poirot, "Iphigenia. Agamemnon sacrificed his daughter, so that he should get a wind to take his ships to Troy”; e quello di Narciso, innamorato di se stesso: He was Narcissus. There is an old French song I heardmany years ago -" He hummed softly.

"Regarde, Narcisse

Regarde, dans l'eau...

Regarde, Narcisse,

que tu es beau

Il n'y au monde

Que la Beauté

Et la Jeunesse,

Helas! Et la Jeunesse...

Regarde, Narcisse

Regarde dans l'eau..."

entrambi nel capitolo finale, XXVII.

Anche vi sono dei ricordi biblici: quello di Giuditta e Oloferne, riferita a Judith Butler; e quello di Giaele e Sisara. Entrambi i riferimenti sono in realtà un ricordo di un passo contenuto in altro romanzo della Christie, Il Natale di Poirot.

Il fatto che vi siano tutte queste citazioni in un romanzo come questo, può significare tante cose. Sicuramente però Agatha Christie, nelle sue opere tarde, tende a sviluppare storie basandosi su ricordi, interviene su avvenimenti già accaduti, e questo accade anche nelle ultime opere di Poirot, tranne Sipario che è come tutti sanno un’opera scritta già negli anni ’40. Le citazioni possono essere volute, o inconscie. Nel caso della Christie a me pare di poter dire che siano volute, anzi che sia un tipico escamotage di quando si invecchia: riutilizzare all’uopo le cose già scritte in altri tempi, anche “per allungare il brodo”. Se infatti il passo di Giuditta e Oloferne, può avere una sua giustificazione nel fatto che l’amica di Ariadne si chiami Judith ( “Non si può essere sempre all’altezza del proprio nome”, disse la signora Butler.
“No, hai ragione. Non riesco a immaginarti mentre tagli la testa al tuo amante, Judith. Come ha fatto la tua omonima della Bibbia con Oloferne, se non sbaglio”,Cap. XI.), quello riferito a Jael e Sisara non ne ha proprio perché nel romanzo non c’è nessun personaggio che la richiami (“Chi è stato quello che ha conficcato dei chiodi nella testa di qualcun altro? Jael o Sisera. Non ricordo mai chi dei due è l’uomo e chi la donna. Jael è la donna, credo. Ma come si fa a chiamare Jael una bambina?”,Cap. XI), né c’è alcun riferimento qui, mentre la citazione in un romanzo molto più indietro nel tempo come Hercule Poirot's Christmas, dove Judith e Jael sono nominati in quanto Giudici, è più stringente: “Many Old Testament characters are of this type. Jael and Judith, for example”.

 

Pietro De Palma

giovedì 5 ottobre 2023

Giulio Leoni : La tempesta di luce, Editrice Nord, 2023



Giulio Leoni, classe 1951, è l'autore italiano più conosciuto all'estero, anche mercè una serie di pubblicazioni che hanno visto le sue opere, soprattutto del ciclo di Dante Alighieri - ma anche quelle senza personaggio fisso - di genere poliziesco, e quelle di stampo fanta-politico e fantastico, affermarsi all'estero.

In Italia la sua fama è principalmente affidata al ciclo di Dante Alighieri, investigatore, il cui esordio, Dante Alighieri e i delitti della medusa, vinse ventitre anni fa il Premio Tedeschi. Due anni dopo, scrisse La donna sulla luna, un giallo fanta-politico, con delitto impossibile, ambientato nella Germania Nazista, mentre del 2003 è ..E trentuno con la morte, altro giallo con delitto impossibile, ambientato all'epoca dell'Impresa di Fiume. Da allora tutta una serie di romanzi, di varia estrazione, che ne hanno confermato la fama.

Dal 2006 ha anche varato una serie di libri fantasy, Il Ciclo di Anharra, con lo pseudonimo  di  J.P. Rylan.

L'ultima sua fatica, approdata in libreria da poco tempo, è La tempesta di luce, un romanzo thriller di genere fanta-politico, che vede come personaggio principale un alter ego di Leoni, un professore universitario, scrittore di gialli, scontrarsi con una poliziotta italiana, cosa che si era già vista del 2011, con la prima delle loro vicende, La porta di Atlantide.

Il primo dei 41 capitoli in cui è diviso il romanzo di 303 pagine, funge potremmo dire da Prologo: è in sostanza la vicenda romanzata, ma poi neanche tanto, de La strage di Gorla, il bombardamento errato di un gruppo di abitazioni alla periferia di Milano nel 1944, con lo scopo mal riuscito di centrare le fabbriche della Breda, che causò soprattutto lo sventramento di una scuola elementare e la morte di 185 bambini, maestre e vario personale scolastico. La strage di Gorla avrà un peso determinante nella vicenda del romanzo, che si comprenderà solo nei capitoli finali.

Dal secondo capitolo in poi prende il via invece una girandola di vicende, che vede l'alter ego di Leoni, un professore universitario, agire assieme ad una sua ex studentessa, Alessia Rovello, con lo scopo precipuo di dare notizie ad una signora in tarda età, circa la sorte del fratello, Mario Romano, un incursore della Marina, della Decima Mas, scomparso a partire dal marzo 1945 in una missione segreta. Unici indizi su cui basarsi, una breve lettera emendata dalla censura tedesca, e una piccola foto che lo ritrae assieme ad un altro incusore della decima, Luigi Scarpa, e un Capitano di vascello tedesco, vicino ad un U-Boot in una base navale germanica.

Da questi scarni indizi, parte una caccia al tesoro, il cui fine sarà impossessarsi del Licht-Sturme, La Tempesta di Luce, un'arma devastante messa a punto dalla scienza tedesca, che avrebbe dovuto colpire il porto di New York, laddove allo sbocco del fiume Hudson, erano attraccate parecchie navi della marina da guerra americana, e che sarebbe dovuta essere portata a destinazione, con una impresa congiunta italo-tedesca, partorita dalla mente del 4° Reichsfuhrer delle SS, utilizzando un ordigno nucleare, messo a punto dal gruppo di fisici cui faceva capo Kurt Diebner. In questa appassionante caccia al tesoro, i due italiani, cui si aggiungerà Krimi, un'amica di Alessia, che in seguito rivelerà la sua vera identità, contatteranno vari figuri tra cui esponenti di un'organizzazione nostalgica nazi tedesca, scaveranno nel passato di Luigi Scarpa, andranno alla ricerca di ricordi di un comandante di nobiltà tedesca dell' U-Boot 884, e soprattutto del suo diario di bordo, intrecciandosi queste vicende ( controspionaggio italiano e tedesco e gente disposta a tutto per vendere un'arma nucleare a terroristi internazionali)  nel presente, a quelle nel passato, delle cosiddette Vergeltungswaffen, e risolvendosi in un finale al cardiopalmo, in cui tutto andrà a posto, in uno spettacolare gioco ad incastro, in cui anche la Strage di Gorla avrà la sua importanza.

Gran bel romanzo di Leoni, La Tempesta di Luce, come più famosi romanzi di Glenn Cooper o Steve Berry, ha il merito di riuscire ad appassionare il lettore, non solo con la consumata bravura dell'autore, che rende fluidi e scorrevoli i dialoghi e credibili le vicende inventate, ma incastrandole con reali vicende del passato, dando luce a vari personaggi storici, da Junio Valerio Borghese, comandante degli incursori della regia marina, a Heirich Himmler, Capo delle SS e del RSHA; da Kurt Diebner,eminente fisico a capo del gruppo deputato alla realizzazione di armi nucleari, a esponenti dei Wehrwolf, e a vere vicende della Seconda Guerra Mondiale, dalla Strage di Gorla, a l'attacco delle Navi Inglesi a Malta, dal varo dell' U-Boot 884 a quello della Classe CA dei minisommergibili italiani della Caproni, agli esperimenti nucleari tedeschi nell'isola di Rugen (con bomba sporca) e Ohrdruf in Turingia, con una bomba nucleare al plutonio.

Da queste precisazioni si desume quale sia  l'asso nella manica di Giulio Leoni: legare vicende inventate a vicende vere, personaggi di fantasia a personaggi realmente esisititi così da creare una storia che seppur falsa, sarebbe potuta però essere vera. Non a caso, non si può proprio dire che un tentativo di bombardamento del porto di New York affidato ad incusori della Marina italiana, sia stato del tutto inventato da Leoni, perchè ci fu davvero un piano siffatto voluto da Mussolini e preparato nella Base Betasom, che sarebbe dovuto diventare operativo nel dicembre del 1943, se non fosse stato dichiarato l'armistizio nel settembre del 1943, e la cessazione delle ostilità tra il Regno d'Italia e le potenze vincitrici del conflitto.  E nel tempo stesso crea dei rapporti tra personaggi, che alternano alla drammaticità di taluni avvenimenti, l'evasione di altri, con una storia, quella tra il vicecommissario di polizia ex ispettrice Peppi, e il professore universitario, prima diffidenti tra di loro (soprattutto la poliziotta), poi sempre più complici, fino a diventare amici.

Un Leoni così scoppiettante era da molto tempo che non lo si godeva così. C'è solo da augurarsi, che ritorni ancora a riempire le pagine di un libro, con una terza puntata delle gesta di questa coppia di personaggi, che appassioni nuovamente. In verità eravamo sicuri che prima o poi; Leoni sarebbe ritornato alla grande ad entusiasmare il pubblico italiano, dopo aver letto i racconti approntati da lui, assieme agli amici e coautori Luceri e Pietroselli, per la serie degli M-files, racconti ambientati durante il Ventennio, periodo che evidentemente esalta la vena narrativa del Nostro.

Pietro De Palma