lunedì 27 maggio 2019

Alexis Gensoul : Un morto al telefono (Gribouille est mort, 1945) – I Gialli del Secolo, N.113 del 16 maggio 1954,Gherardo Casini Editore


Oggi parliamo di un romanzo assolutamente sconosciuto, pubblicato nel 1954 da Gherardo Casini Editore nella grande serie di romanzi polizieschi, “I Gialli del Secolo”, che è bene dirlo subito, passano alla storia anche per essere essere stati stra-tagliati: si tratta di romanzi in fascicolo di poco più di 90 pagine, formato di impaginazione a due colonne, come i vecchi Gialli Mondadori fino agli anni ‘80, caratteri più piccoli, riportanti autori molto spesso dimenticati e romanzi oramai entrati solo nella memoria di chi, come il sottoscritto, è interessato a conoscere anche e soprattutto gli autori sconosciuti, anche a prezzo di leggere romanzi da altri buttati. Erano pubblicazioni non certo da poter essere paragonati alla pari a “I Gialli del Veliero”, o agli ancor più precedenti “I Libri Gialli” della Mondadori o “I Gialli della Sfinge” della Salani, romanzi che ancor oggi, a fronte della preziosità della loro confezione e delle bellissime copertine, possono costare parecchio; invece nei Casini, le copertine non sono mai originali, ma presentano fotogrammi tratti da famosi films dell’epoca che nella situazione possono ricordare il titolo del romanzo: nel nostro caso ad esempio, l’immagine di copertina è tratta da “Neve Rossa”. L’attore con in mano il telefono è il grande Robert Ryan, indimenticabile protagonista del film sopra citato, uno dei più bei Noir degli anni ’50, On Dangerous Ground, “Neve Rossa” (1951), di Nicholas Ray.
In questi romanzi molto spesso l’atmosfera delle descrizioni è stata sacrificata a favore del nudo fatto poliziesco: può essere un vantaggio od uno svantaggio. Discutevamo tempo fa sul Blog Mondadori proprio di questo, riguardo alla traduzione di un Herbert Brean, e Luca Conti si lamentava del fatto che l’ovvietà e la semplicità del romanzo nella traduzione italiana contrastava con la bellezza della versione originale. Ora questa caratteristica è presente molto spesso nei Casini, che sono purtuttavia l’unica chance in nostro possesso per acquisire informazioni su autori dimenticati.
Il romanzo in questione è di Alexis Gensoul, scrittore francese attivo dopo la seconda guerra mondiale e ricordato ancor oggi in taluni ambienti per una splendida Camera Chiusa scritta in collaborazione con Charles Grenier, La Mort vient de nulle part (1945) e per un’altra scritta da lui solo nel medesimo anno, 1945, L’Énigme de Téfaha.
Dev’essere stato un anno molto fecondo il 1945, anno della fine della seconda Guerra mondiale nella produzione di Gesoul, perchè dello stesso anno è anche Gribouille est mort, tradotto da Casini con “Un morto al telefono”.
Alexis Gensoul di cui le notizie biografiche latitano, si sa solo che fu medico e che tra il 1945 e il 1946 pubblicò quattro romanzi presso lo stesso editore S.T.A.E.L, tre nel 1945 ed uno nel 1946: di questi il primo fu L’Enigme de Tefaha, che presenta una Camera Chiusa piuttosto semplice, il secondo fu il lavoro scritto con Grenier che ancor oggi si pone come una delle Camere Chiuse miglori scritte nel dopoguerra, il terzo fu Gribouille est Mort, un grande romanzo con delitto impossibile, il quarto un romanzo più sull’avventuroso, L’Affaire de la maison Faroux (1946).
Sarebbe una Camera Chiusa questo Gribouille est Mort, se non avesse la finestra aperta, ma le altre condizioni ci sono tutte per il delitto impossibile: porta chiusa, arma mancante e soprattutto, dato che contraddistingue questo romanzo, il morto, Gréje, che profetizza prima la propria morte, scrivendo la lettera a un suo conoscente, Godinet, e che telefona e parla con un poliziotto suo amico, Corbellet, poliziotto alquanto sprovveduto, allorchè era già morto, la casa disseminate di false prove ed indizi strani, quando non anche di burle. Inoltre c’è un tale, Ternaud, con gli stivali gialli che tutti cercano perchè è stato visto sul luogo del delitto, fuori della casa e che se l’è data a gambe; fuori dallo staccato di recinzione della casa c’è l’intera scolaresca di una colonia che disegna, e l’istruttore, Tresquat, non è altri che il figlio illegittimo della vittima e unico erede di una fortuna di duecentomila franchi dell’epoca, anche lui ovviamente sospettato, anche se nessuno l’ha visto scavalcare lo staccato, perchè ad un certo punto si è allontanato dalla sua scolaresca con la scusa di andar a cercare funghi nel bosco; c’è anche chi deve aver telefonato alla locale stazione di polizia dalla casa di Greje per denunciare l’omicidio, ma non è l’assassino; c’è un vicino curioso, Gourgeot; poi c’è un’arma trovata da un poliziotto dilettante, Vérannes, alla presenza di Corbellet, una pistola da donna, di calibro piccolo, con attaccato ancora un pezzo di corda; e molti personaggi che fanno da corollario: il commissario Estreval poco fortunato nelle sue mosse, e che per di più deve i suoi pochi successi alla collaborazione sotterranea di uno Sherlock Holmes nell’ombra, che firma i suoi suggerimenti e le sue lettere col nomignolo allusivo di Perspicax; e un giudice che si ritiene furbo, tale Blacy. Tutti inseguono Ternaud, poi cercano di incriminare Tresquat, poi trovano Ternaud e vorrebbero che si proclamasse colpevole per toglierli dall’imbarazzo di un’indagine che non va avanti, tanto più che la finestra aperta, l’unica via possible di fuga dell’assassino sia affaccia su un piccolo giardino davanti al quale c’è il famoso staccato oltre cui vi sono tanti piccolo ragazzi intenti a disegnare, tutti testimoni del fatto che nessuno può averlo saltato. Eppure l’assassino è saltato dalla finestra: vi sono le sue impronte nel terreno. Ad un certo punto c’è una rivelazione: un tale Godinet conoscente della vittima rivelerà qualcosa alla polizia; ma come nei migliori drammi, il prezioso testimone viene ritrovato in fondo ad un burrone nella macchina in fiamme.
A questo punto occorre trovare il colpevole e allora si affrontano ancora una volta, come già menzionato nel romanzo recensito giorni fa, di Wally, più ricostruzioni: quella di Estreval che tende a incolpare Ternaud, quella di Vérannes che inquadra non l’omicidio ma uno spettacolare suicidio con tanto di corvo svolazzante sulla scena del delitto e fondamentale perchè una certa cosa non si trovi; e infine la spiegazione finale di Perspicax che rivela come Ternaud non fosse assassino ma ricattatore, a sua volta del vero assassino che è..il meno sospettabile.
Grande prova di bravura di Gensoul nell’aver creato un romanzo che si avvicina all’impossibile senza mai varcarlo, illustrando con vivacità la provincia francese e sottile psicologia i vari personaggi.
Tuttavia noto in questo romanzo la dipendenza dal romanzo poliziesco britannico: la soluzione di Perspicax è identica a quella di Evil under the Sun, di Agatha Christie, romanzo scritto nel 1941, nel particolare in cui la vittima si è messa d’accordo col suo ignoto collaboratore col quale vuole giocare uno scherzo ad altri, nel far finta di essere morto: solo che l’omicida rientra non atteso dalla vittima e l’uccide.
E la soluzione del delitto impossibile, è quasi una variazione, di The Problem of Thor Bridge, di Conan Doyle.
La soluzione finale, finissima, fa da contr’altare alle altre due soluzioni (non meno efficaci, in particolare quella di Vérannes): l’omicida ha ucciso Gréje spinto da vendetta e Perspicax dice che in pratica avrebbe rinunciato ad indicarlo come il vero assassino (sentiva nei suoi confronti “una simpatia istintiva ed inspiegabile”) se quello non si fosse macchiato della seconda morte, quella di Godinet, per cui non poteva venir assolto. Una scelta che fa di Perspicax più che un investigatore vero e proprio una sorta di giustiziere nell’ombra, molto vicino all’Arsene Lupin di Maurice Leblanc.

Pietro De Palma

domenica 19 maggio 2019

Eric Heath : La casa degli orrori (Murder of a Mystery Writer, 1955) – trad. Antonio Bullotta – I Gialli del Secolo N° 197 del 1955


Eric Heath è uno di quegli autori sconosciuti che ha almeno due meriti per esser maggiormente noti: i suoi libri in prima edizione raggiungono cifre da capogiro (834 dollari la copia), e possiede la fama di uno degli autori più kitsch in assoluto.

Scarsissime le sue fonti autobiografiche (non ne accenna neanche il Maspléde): alcune fonti parlano di una sua nascita nel 1897 e della sua morte nel 1979, ma non c’è alcuna sicurezza. Nient’altro. Solo le sue opere, 4 romanzi: Death Takes a Dive (Hillman-Curl, 1938, hc) [Cornelius Clift, Jr.; Los Angeles, CA]; Murder in the Museum (Hillman-Curl, 1939, hc) [Cornelius Clift, Jr.; California]; Murder of a Mystery Writer (Arcadia, 1955, hc) [Wade Anthony; California]; The Murder Pool (Arcadia, 1954, hc) [Wade Anthony; Los Angeles, CA]. Il che autorizza a pensare che si tratti di pseudonimo.
A togliergli il velo dell’oblio, ci pensò anni fa lo scrittore e critico americano Bill Pronzini, che ne parlò diffusamente, a riguardo del romanzo che tratteremo oggi, Murder of a Mystery Writer (1955), nel suo saggio interessantissimo, Gun in Cheek: An Affectionate Guide to the Worst in Mystery Fiction (Una guida affezionata al peggio nella Mystery Fiction). Pronzini ne parlò come “a writer with talents that can only be described as awesome.”
Murder of a Mystery Writer, potrebbe essere visto come una sorta di auto-plagio se non cambiasse i luoghi e la tipizzazione dei personaggi, lasciando pressochè immutato il plot: infatti sarebbe una versione riscritta di Death Takes a Dive del 1938. In questo primo romanzo, Heath pone l’azione in un party a Beverly Hills (dove i personaggi sono dei tipi hollywoodiani, ma manca il nano), in cui l’azione è narrata da una bella detective femminile, Winnie Preston, mentre la soluzione è affidata al criminologo Copey che ricava l’eterno amore di Winnie. Tutto il resto del plot è lo stesso.
Il Dottor Anthony Wade criminologo, psicologo e detective dilettante sta girando per gli Stati Uniti alla ricerca di un posto calmo e bello dove trovare l’ispirazione per un suo libro, e in questo è accompagnato dalla sua fedele segretaria Penny Lake. Girando per la  Sierra Nevada, s’imbatte in un paesaggio fiabesco: una serie di pini che si stagliano nel cielo, coperti di neve e che fanno da corollario ad lago ovale color zaffiro incastonato tra i monti. Lì vicino si staglia una magione alquanto tetra, la Pensione del Mistero, un albergo che il suo proprietario, tale Antrim Zarzour, ha voluto dotare di un’atmosfera tetra e dedicata al Mistero.  Per di più lui si qualifica come un avido collezionista e lettore di polizieschi, avendo la collezione più grande al mondo di libri gialli.
L’albergo subito si manifesta talmente orrido che Wade e la sua accompagnatrice, deciderebbero di andare via se non fossero trattenuti dalla neve che comincia a cadere: nell’immenso atrio un enorme quadro ad olio raffigura Satana intento a godere dello spettacolo dei dannati che gli si rivolgono da un lago di lava bollente; nel salotto, da un immenso camino in cui brucia un enorme ciocco, un coccodrillo impagliato con le fauci aperte guarda i visitatori, mentre in un angolo troneggia un sarcofago egiziano, il pavimento è ricoperto da tappeti coi simboli dello zodiaco, con un pentacolo e un ariete con la testa umana e dal soffitto pende un enorme candelabro formato da lunghi tentacoli argentei che tengono fermo un cerchio di ottone da cui pendono dei serpenti quasi acciambellati, nelle cui fauci sono presenti le lampadine; le scale che menano alle camere del primo piano sono illuminate da nicchie ad intervalli regolari in cui dei teschi contengono al loro interno delle lampadine; al primo piano un orrido animale a quattro zampe, con la pelle formata da scaglie, una testa in parte umana e bestiale da cui escono delle zanne e in cui si aprono degli occhi di colore del fosforo, corre loro incontro. Penny emette un grido di terrore, ma anch’esso è un trucco: si tratta del gatto di Zarzour opportunamente truccato, dal nome che è tutto un programma, Balzac. Perché un tale nome? Perché “più lo si studia e meno lo si capisce”. Ma le sorprese spaventevoli, per la segretaria non finiscono qui. Entrata nella sua camera da letto enorme, con al centro un mastodontico letto a due piazze, di fronte al quale un quadro raffigura un busto d’uomo con un braccio levato che brandisce un lungo pugnale dalla lama sporca di sangue, nel cui volto sconvolto dalla pazzia due occhi folli sono rivolti ai guanciali (e quindi a chi vi poggi il capo), vede un cantarano che possiede raffigurati, proprio sotto il buco della serratura, due grandi occhi ipnotici dipinti con senso della realtà. Quando apre l’armadio in cui uno specchio è incorniciato da serpenti intagliati, fa un balzo indietro per il terrore: c’è un uomo che punta contro di lei una rivoltella. Anche questo è uno scherzo: si tratta di un fantoccio a dimensione umana, vestito in abito da sera e con una espressione talmente malefica da potersi identificare in un demone. Poco dopo entra Wade e subito dopo, ecco che bussa alla porta un nano con delle spalle ed una testa enormi, dal nome che è tutto un programma “Mascherone” (ma nell’originaria versione inglese si chiama “Gargoyle”), che porta le loro valigie.
Zarzour invita Wade a visitare i locali nella cantina dove lui costruisce dispositivi elettronici all’avanguardia. Nell’albergo, Wade e Lake trovano ben presto oltre che un’atmosfera in cui inizialmente faticano a trovare l’ispirazione, nonostante sia stata realizzata proprio allo scopo di suscitarla, anche un’ assortita riunione di scrittori che lì hanno deciso di riunirsi, l’Associazione Scrittori di Libri Gialli, un cenacolo importantissimo a detta di Zarzour che riunisce i maggiori scrittori di romanzi polizieschi e che si riunisce una volta all’anno, e che proprio nella Pensione del Mistero questa volta hanno pensato di riunirsi: di questi, solo sei sono arrivati all’albergo da qualche giorno. Essi sono:  Ferdinand Lang, Otto Oswald, Charles Martenson, Merril Atwell, Arnold Fox, Cora Courtwright. Fin dal loro arrive, cominciano le schermaglie e le punzecchiature: ognuno è inviso agli altri e viceversa gli altri sono odiati da ciascuno, invidiosi e gelosi del proprio successo; di essi però, il più offensivo e il meno diplomatico è Ferdinad Lang. Wade avverte subito una tensione che serpeggia nel gruppo, che detesta Lang; inoltre lo stesso scrittore si è attirato le ire del nano da lui deriso e offeso, e quelle del padrone di casa, giacchè in sua presenza ha fatto ripetutamente la corte alla bellissima moglie Sonia, dal fascino glaciale. Sonia Zarzour e suo marito Antrim, formano una coppia davvero singolare. Tanto lei è di una bellezza superlativa, tanto lui è superlativamente brutto, alto due metri, spaventosamente magro, con un testa grossa e aguzza, con dei sopraccigli che si congiungono e delle labbra inesistenti, e degli zigomi molto sporgenti, sempre vestito di nero, e che si soffia il naso e si deterge il sudore con fazzoletti di seta nera su cui sono disegnati teschi e tibie.
Il pranzo si svolge in una sala dagli arredi macabri: il soffitto è di colore blu-cielo, da cui pende un enorme lampadario, i cui bracci hanno forma di braccia umane le cui mani hanno le dita allargate ad artiglio quasi ad afferrare i capelli dei commensali; il tavolo è rivestito da una tovaglia nera su cui sono ricamati teschi, serpenti, mostri,e in una parte della sala un’ enorme statua di gatto nero fissa le spalle dei commensali. Gli scrittori subito entrano in tema, discutendo del delitto perfetto: c’è chi è a favore (alcuni commensali e il padrone di casa), e chi invece non ritiene che esista. Fatto sta che mentre discutono, ecco che c’è un fatto nuovo: un tale Jorgenson è stato sorpreso dalla bufera di neve che si sta abbattendo sulla magione e sul territorio circostante. Le sue condizioni sono gravi e pertanto Zarzour fa mettere a disposizione uno dei suoi chalets perché possa essere curato: si tratta di un noto disegnatore, diventato celebre perché esegue ritratti di assassini e imputati durante i processi. Subito anche questo accadimento produce sensazione tra i presenti: Oswald e  Martenson lo  odiano, in particolar modo il primo, giacchè anni prima il disegnatore, di cui si era invaghita la sorella di Oswald, l’ha condotta con la sua condotta ad uccidersi. La serata si conclude con Lang che per l’ennesima volta, oltre ad aver sfottuto parecchi dei suoi compagni di riunione, si concede persino di baciare la padrona di casa il che provoca le ire di Zarzour. La notte passa ed un altro giorno arriva, nel cui corso si approfondiscono lo scontro e le rivalità tra gli scrittori, e arrivano le notizie che parlano di uno Jorgenson che sta riprendendosi e che forse si riavrà dall’amnesia nella quale è caduto, finchè nel corso della successiva cena, mentre un improvviso blackout fa piombare la casa nell’oscurità e Zarzour dà immediato ordine ai suoi domestici cinesi di illuminare la sala con enormi candelabri, uno strepito prodotto da grandi pappagalli tenuti in gabbia e posti dietro una tenda, un  rumore soffocato, un tintinnio come di vetro infranto ed un fracasso si odono: un minuto dopo, alla luce dei candelabri, si vede Lang con i suoi lunghi capelli biondi sporcati di vino rovesciatosi sulla tovaglia, accasciato con lo sguardo vitro: qualcuno gli ha sparato alle spalle. Com’è possibile che sia accaduto quando i commensali non si sono mai alzati e nessuno, neppure Zarzour aveva la minima possibilità di farlo? Sia Oswald che Sonia Zarzour gli stavano vicino, ma non hanno visto nulla ( o dicono di non aver visto). Wade, che oltre che criminologo, psicologo e detective è anche vice-sceriffo onorario, nell’assenza dello sceriffo, bloccato dalla neve, deve condurre le indagini, che subito si dimostrano impervie e ardue per la scarsa collaborazione degli scrittori, e anche per i moventi che quasi tutti avevano nei confronti di Lang. La pistola, di cui non si è sentito lo sparo, dotata quindi di silenziatore, viene scoperta poco tempo dopo nella camera di Gargoyle e sequestratagli , mentre lui viene formalmente accusato prima da Zarzour e poi dallo stesso Wade di essere l’assassino. Ben preso Wade concepisce un originale modo per costringere i presenti a dire la verità o a tradirsi: filmerà con una serie di macchine da presa che egli ha nel proprio rimorchio, i presenti, allo scopo di metterli in difficoltà o di studiare le loro reazioni alle sue domande. Tuttavia, la mattina dopo l’assassinio di Lang, il servo cinese Wong che Zarzour aveva messo di guardia allo Chalet dove riposava Jorgenson, arriva trafelato alla magione informando i presenti che anche il ritrattista è morto, pugnalato: nel sopralluogo, Wade trova sotto la scrivania della camera un misterioso foglietto con degli schizzi raffiguranti delle penne, una tenda e un’aquila, dei simboli indiani. Chi nell’albergo aveva paura che Jorgenson lo riconoscesse come uno degli assassini dche aveva ritratto durante processi celebri? E’ chiaro che uno o più assassini si muovono tra i presenti.
Wade scoprirà la verità dopo aver costretto tutti quanti a rispondere alle domande, inquadrati dalle cineprese, e a simulare un accoltellamento nei riguardi del manichino, per scoprire chi avesse vibrato il colpo dal basso verso l’alto, qual era quello che aveva ucciso Jorgenson; e aver scoperto nella cantina dell’albergo una botola dissimulata nel soffitto, al cui aprire una scala discende, che  permette a Wade di entrare dentro la cavità del gatto nero,  e di guardare, davanti a sé il posto che occupava Lang; mentre Penny scoprirà nella stessa cantina un fischietto ad ultrasuoni.
Inizialmente i sospetti si rifocalizzeranno sul nano in quanto accusato da Zarzour (Gargoyle ammetterà che entrava spesso nel gatto nero per giocare scherzi agli astanti) poi si posteranno su altri personaggi. Del resto Wade dovrà capire se l’assassino sia uno solo o due e in questo caso se abbiano agito in concorso oppure ognuno per fini propri
Romanzo che è un trionfo dell’eccesso, pieno di atmosfera densa e cupa e al tempo stesso ridicola e grottesca (si pensi ai teschi, all’arredamento kitsch, al gatto dal nome Balzac), ha tutta una serie di orpelli e di riferimenti che lo inquadrano come un super romanzo giallo, in cui vengono incanalati mille riferimenti non solo a romanzieri dell’epoca o precedenti, ma anche a fatti e a riferimenti tecnologici e musicali: come non riconoscere in Sonia Zarzour, moglie del cupo Antrim, la Morticia della famiglia Addams che in quegli anni echeggiava nelle TV americane? O in Antrim Zarzour, Lurch, il maggiordomo allampanato con una faccia che rassomiglia a quella della Creatura di Frankenstein, oppure un incrocio come dice Pronzini, tra John Carradine (il Bill di Quentin Tarantino) e Don Rickles? E nella stessa tetra casa degli Addams, la Pensione del Mistero? La casa è piena di apparecchi tecnologici: ci sono dei citofoni che permettono ai presenti di sentire tutto ciò che accade nelle singole stanze del complesso (con un sentore voyeuristico), fischietti ultrasonici che regolano il funzionamento di valvole elettriche o di pistola con silenziatore appositamente predisposta. E vi sono grotteschi arredamenti che rimandano a certi films di Gianni e Pinotto degli anni ’40 o a certe comiche di Stan Laurel e Oliver Hardy (per esempio Oliver the eighth). E come non riconoscere nel dottor Wade un Dr. Fell, un Americano Lord Wimsey, una Miss Marple al maschile, come afferma giustamente Pronzini nel suo saggio : He is a lean Dr. Fell, an American Peter Wimsey, a male Miss Marple—truly, an AD [1]among ADs…Murder of a Mystery Writer (1955) is his finest performance. It is one of those rare books that must be read two or three times to be fully savored and appreciated. On each rereading, new subtleties and nuances reveal themselves, much as is the case with Chandler, Hammett, and other masters” ?
A Gargoyle è collegato anche un giudizio vecchio stampo che voleva i nani, degli esseri oltre che deformi anche con tare cerebrali. Questo giudizio Heath lo fà esprimere a Cora, che attribuisce la responsabilità dell’assassinio di Lang al nano in quanto affetto da cretinismo e domanda agli altri se sappiano qualcosa in merito alla possibilità che un individuo affetto da cretinismo possa veder  meglio degli altri al buio. “Cora is particularly pithy in her condemnation: “Does anybody know whether cretinism causes people to see better in the dark than normally built people?”. Di questo tuttavia il Dottor Anthony non è sicuro, in quanto pensa che l’origine del delitto risiede in altro: “Dr. Anthony isn’t so sure of Gargoyle’s guilt, though. As he confides to Penny later, “I’m inclined to think that there is a much deeper psychological basis for this crime than a dwarf committing murder to avenge a personal insult.”
Come non ricordare che vi è un Pappagallo brasiliano, un nano dal nome Gargoyle, dei servitori cinesi, 6 scrittori di Mystery (6 è un numero che ricorre in parecchi romanzi di quegli anni: non sarà mica perché 6 è il numero del male, e 666 è il numero della Bestia dell’Apocalisse di San Giovanni?). E ancora, come non ricordare che Heath allude persino al meccanismo queeniano del messaggio del morente, il Dying Message, nella rappresentazione di simboli pellerossa nel foglietto trovato per terra sotto la scrivania nello chalet? I possibili assassini si sprecano: Martenson e Otwald possibili assassini di Jorgenson, Sonia che avrebbe ucciso Lang per far ricadere la colpa su Antrim o Antrim che avrebbe ucciso Lang per dimostrare la possibilità di un delitto perfetto o anche per vendicare il suo onore facendo cadere la colpa sul nano, o il nano stesso desideroso di vendicarsi per lo sgarbo subito, o Atwell e Fox offesi da Lang che meditano vendetta, e uno di loro qualunque che è un assassino in incognito e che deve uccidere Jorgenson per evitare di essere da lui riconosciuto; e la stessa Copra Courtwright, che prima che venga ucciso Lang, con le sue frecciate velenose indirizzate agli astanti è indicata come la più probabile vittima o anche assassina: “I don’t know whether that is a compliment or an intimation that I am a murderess at heart,” chortled Cora. “And yet you may have something there, Zarzour. I will give my friend, Lang . . . a thought to mull over. Could it be true, Lang, that every good mystery writer is giving vent to a repressed desire to Commit murder—or to put it more plainly, is every mystery writer a killer at heart? If he had not turned to writing mystery fiction, would he have developed into a gangster?”
C’è persino un ricordo della bomba atomica, di sopraffino cattivo gusto, quando l’omicida scoperto, sfida il Dottor Wade a scoprire quale veleno abbia assunto, tale da provocare un pallore cadaverico, la perdita dei capelli, ed una tosse convulsa fino alla morte e Wade dopo l’autopsia rivela che l’omicida si è ucciso assumendo fosforo irradiato, bombardato con uranio, morendo allo stesso modo dei giapponesi di Hiroshima.
E c’è a completare il tutto, il fatto che l’omicida di Lang, si fosse sottoposto ad una plastica facciale, per cambiare i connotati, essendo fuggito da un manicomio criminale, in quanto ossessionato dall’idea fissa di concepire e mettere in pratica un delitto perfetto. Anche di questo, nei films degli anni ’40, c’è ampia traccia (Dark Passage di Delmer Daves con H. Bogart, per esempio).
Insomma il kitsch del kitsch, in un romanzo che è rimasto unico a ricordare un autore sconosciuto o quasi, dall’immaginazione molto fervida e nel tempo stesso molto allusiva.

Pietro De Palma

giovedì 16 maggio 2019

Rintaro Norizuki : Midori no Tobira wa Kiken ("The Lure of The Green Door", in The Realm of Impossible, by John Pugmire and Brian Skupin) - trad. Ho-Ling Wong


Norizuki-san è il presidente dell’ Honkaku Mystery Writers Club of
Japan, la controparte del Detection Club inglese.
E’ nato il 15 ottobre 1964 a Matsue.
Ha debuttato nel 1988 con il romanzo Mippei Kyoshitsu (The
Locked Classroom) and ha scritto 8 romanzi con il suo personaggio omonimo Rintaro Norizuki. Ha ricevuto nel 2005 l’Honkaku Mystery Award (categoria: fiction) per il suo romanzo Namakubi
ni Kiite Miro (The Gorgon‘s Look).
The Lure of the Green Door (1991) fu pubblicato in EQMM nel Novembre 2014 e fu il secondo racconto ad essere stato pubblicato in Occidente. Infatti  An Urban Legend Puzzle del 2001 fu il primo (e vinse il Mystery Writers of Japan Award for the best short story nel 2002) e pubblicato sull’ Ellery Queen‘s Mystery Magazine nel gennaio 2004.

Norizuki Rintaro dovrebbe incontrare un editore che gli vuole commissionare un racconto, ma la bibliotecaria della Biblioteca Comunale presso cui stanno parlando, Sawada Honami, una bella ragazza a cui Rintaro è interessato, gli propone un appuntamento.
Rintaro vorrebbe pensarci su, ma la ragazza passa all’attacco, si fa dare il numero telefonico dell’editore dal quale Norizuki dovrebbe recarsi e spacciandosi per la sua segretaria, annulla l’appuntamento dell’indomani,  a causa di una caso urgente, con una Camera Chiusa, a riguardo della quale cui gli è stato chiesto un parere.
Prontamente Rintaro Norizuki recupera il controllo della situazione, rassicura l’editore di Shoetsu Nova in merito alla sua volontà di scrivere un racconto per lui, e poi deve anche scusarsi per le parole dette da Honami che lo metterebbero in una situazione poco piacevole perché non c’ è nessuna Camera Chiusa a riguardo della quale gli è stato chiesto un parere. E’ solo un gioco. Ma ora l’editore vuole da lui proprio un racconto con una sensazionale Camera Chiusa.
E invece no. Una camera Chiusa ci sarà davvero!
Infatti il giorno dopo i due s’incontrano, ma la ragazza è incavolata perché ha visto per quale rivista sia stato contattato Norizuki: è una rivista che espone nudi di attrici in copertina, una rivista per soli adulti o quasi. Con lei che attacca e lui che si difende, insomma quasi una baruffa amorosa, vengono definiti i termini della questione e tutto nasce perché Rintaro a sua volta contesta alla ragazza di portare le lenti a contatto durante il suo giorno libero, lei che ha detto di portarle solo quando lavora. Il fatto è invece che quel giorno, che sarebbe dovuto essere riposante per la ragazza, assume i contorni di una giornata lavorativa, perché lei deve andare presso un tale che ha donato la sua biblioteca alla biblioteca comunale e lei deve occuparsi della cosa. Ovviamente Rintaro dovrà farle anche da chaffeur.
Questo tale si chiama, anzi si chiamava Sugata Kuniaki,  “il figlio più giovane di una famiglia benestante. Lui era come un maniaco della letteratura fantasy, diventato adulto. Stava collezionando rari
e libri di valore, per lo più legati all'occultismo e al misticismo..dopo l'università ha lavorato in banca per un po ', ma il suo interesse si era ulteriormente sviluppato - aveva persino partecipato a una fanzine
- e improvvisamente si era dimesso dal suo lavoro. ..Da allora, lui ha lavorato come presidente della sua fanzine, traducendo alcuni lavori minori sotto il nome di Kurouri Arashita”
Rinataro si ricorda di aver visto un lavoro di questo Kuniaki sotto lo pseudonimo Kurouri Arashita: aveva scritto qualcosa su Aleister Crowley, il più grande esoterista del ‘900.
Beh, insomma, questo Sugata Kuniaki è morto nel suo studio della sua casa. Invitato più volte dalal Biblioteca a tenere dei corsi, aveva stabilito così eccellenti rapporti da promettere che nel caso fosse morto, tutta la sua collezione di libri, che è enorme, sarebbe passata alla biblioteca nella quale lavora Sawada. Eha fatto mettere poi questa promessa in esteso nel suo testamento. Per cui, ora che è morto, la sua collezione dovrebbe passare intera alla Biblioteca. A questo si oppone la moglie del defunto.
Tutto ciò è strano. Perché mai dovrebbe opporsi la moglie? Interessi privati, con collezionisti? Forse. A Rintaro tuttavia suona un certo campanellino nel cervello e chiede come sia morto il collezionista. Impiccato è la risposta. Impiccato in una stanza la cui porta è stata trovata sprangata dall’interno e che è stata del tutto fracassata per accedere, in una stanza in cui altre uscite non ce ne sono. Quindi, in sostanza, un delitto in una Camera Chiusa.
Rintaro ha trovato un caso di cui parlare nel suo racconto.
A Rintaro comunque sembra strano che uno come la vittima, che si era vantato in vita esser quasi come Crowley, e quindi avesse un’autostima molto forte, si fosse impiccato.
A quel punto l’amica gli confessa che se è quella una cosa strana, nella stanza in cui si è uccisa, ce n’era una ancor maggiore, e glielo dice facendogli una domanda:
Conosci “The Door in the Wall” ?
-Sì, una storia di Wells con una porta verde che porta a un altro mondo. Perché?

-La porta verde, è nello studio del signor Sugata
"The Door in the Wall" è una storia fantasy dello scrittore di fantascienza inglese H.G. Wells, famoso per opere come The Time Machine e The War of the Worlds. Il protagonista della storia è il giovane Wallace che da piccolo aveva trovato nella città di Londra in un muro bianco una porta verde varcato la quale si era trovato in un altro mondo.
Ora una porta verde come quella di Wallace si trovava nella stanza del suicidio e in origine metteva in collegamento la stanza con il giardino all’esterno. Proprio sulla falsa riga del racconto che adorava, Sugata Kuniaki si era fatto costruire una vera porta. Sia questa che quella dall’altra parte della stanza erano di quercia, ma solo l’altra era utilizzabile, ed era quella che avevano trovato chiusa dall’interno e che avevano dovuto sfondare; l’altra aveva i cardini arrugginiti o il legno della porta era così enfiato ed ingrossato che non si spostava di un millimetro. La polizia aveva fatto tutti gli accertamenti per vedere se si fosse potuta aprire, ma era come se avesse volontà propria a non aprirsi. La vittima pare che ancora in vita aveva detto ai suoi amici che la sua porta si sarebbe aperta quando lui fosse morto, ma questa profezia non si era avverata perché la porta verse era saldamente ancorata alla parete.
La villa si trovava a nord della stazione di Kichijōji, nel mezzo di una zona residenziale vicino al confine con il quartiere di Suginami. Era un edificio stile occidentale a due piani, decrepito, con problemi di staticità, di legno. Sembrava proprio per il suo aspetto, ideale dimora di un occultista.
Norizuki e Honami, il tempo di ammirare la casa e sono affrontati da una bellissima donna, Sugita, la moglie della vittima, che indirizza uno sguardo lascivo a Norizuki, cosa che non passa inosservata alla sua compagna. Norizuki approfitta della chance offertagli e chiede in virtù di una bugia, cioè della sua conoscenza del marito precedente a quest’incontro, di essere ammesso alla biblioteca di quella dimora, sede della sua fantastica collezione. Da parte sua Honami chiede nella sua veste di bibliotecaria, il perché la vedova si rifiuti di donare la collezione di libri. La risposta è quantomai inaspettata: alla donna più volte è comparso il fantasma del marito, che le ha ingiunto di non separare quella casa dai libri da lui tanto amati, così che muoiano assieme alla casa.
Lo scopo di Honami dev’essere quello di tenere impegnata in conversazione la moglie, affinchè Norizuki possa visitare la biblioteca e trovare elementi che possano risolvere il dubbio, se cioè Sugata Kuniaki si sia ucciso o sia stato ucciso con un trucco.
La biblioteca sita al secondo piano, si sviluppa nell’ala orientale della casa ed occupa un terzo della larghezza della casa: è occupata da una mole impressionante di libri, circa 8000,ripartiti in scaffali raggiungibili da scale montate su binari.
Quando scende nello studio, esso è esattamente sotto la bilioteca. La porta che era stata rotta per permettere di entrarvi, aveva i cardini nuovi. Era una porta come tante, pesante di quercia. Era stata serrata dietro e si era appurato che non potesse essere aperta dal di fuori in nessun modo. Dall’altra parte c’era la famosa porta verde. Sugita dice che era stata fatta per essere aperta. Norizuki tenta di spingere, ma per quanta forza metta, sudato dopo un pò deve smettere perché non ottiene nulla.
5 uomini della polizia l’avevano spinta senza ottenere nulla: figurarsi se lui ci sarebbe potuto riuscire!
Norizuki sa che dall’altra parte c’era un giardino.
Interrogata la donna, sa che lei un bel giorno, trovata la porta dello studio chiuso dal di dentro, pensando a qualcosa che di brutto fosse accaduto, lei aveva chiamato subito il pronto intervento ed erano stati loro a distruggere la porta, saldamente sbarrata dal di dentro, per entrare nella stanza do9ve avevano trovato il povero Sugata Kuniaki impiccato: pare che soffrisse di turbe maniache depressive.
Norizuki, sempre più convinto che la donna celi qualcosa, si rivolge al padre Ispettore di polizia e gli confida i suoi timori. Hanno bisogno di sapere però di più sul conto della donna. Pertanto il padre si reca dalla polizia della località in questione, che  è Musashino, per avere ragguagli dalla polizia locale. E qui viene a sapere dalla gente del posto, alquanto reticente sulle prime, che la donna pare abbia un amante, il direttore di un’agenzia di trasporti, da almeno tre anni. Ma poi sa anche dell’altro. Se ai più è stato taciuto, in realtà i due non è vero che non avessero figli. Poiché ne avevano una, però pesantemente handicappata. Di cui la madre non voleva sapere nulla tant’è vero che l’avevano messa in una clinica e lasciata lì. La vittima aveva scoperto la tresca tra la moglie e l’amante e aveva deciso di divorziare.
Fine della faccenda? No, perché pare che il padre della vittima fosse straricco. Nel caso in cui fosse morto, alla sua morte il figlio avrebbe ereditato una considerevole fortuna, e lei avrebbe partecipato della fortuna in quanto moglie e avrebbe continuato a divertirsi con l’amante. Ma la scoperta del marito aveva cambiato le carte in tavola: se lui avesse divorziato da lei prima della morte del padre, alla donna non sarebbe toccato nulla, tanto più che la colpa del divorzio sarebbe ricaduto sui di lei. Quindi andava eliminata la causa del contendere, cioè il marito: in quel caso, anche supposto che il marito avesse deciso di eliminare dal testamento la moglie, ella comunque in quanto madre della figlia erede della fortuna e non capace di intendere e di volere, avrebbe comunque amministrato l’ingente patrimonio.
Quindi è chiaro che la vittima sia stata uccisa, probabilmente strangolata e poi appesa a simulare l’impiccagione (il medico incaricato dell’autopsia dichiara che forse è stata fatta troppo superficialmente) dai due amanti.
Tuttavia il quid è tutto sul modo come si sia chiuso il cadavere in una stanza praticamente inespugnabile, chiusa dall’interno, le cui uniche finestre sono state inchiodate.
Tutto si basa sui libri.
L’indomani Norizuki accompagnato da suo padre e da molti uomini svelano il mistero della camera Chiusa.
Innanzitutto è da dire – lo dico anche con un po’ di orgoglio personale – che il racconto di Rintaro Norizuki e il mio, contenuti entrambi nella stessa antologia di John Pugmire, sono alcuni dei racconti più originali della raccolta.
Esaminando il racconto giapponese, vediamo innanzitutto come eredita pesantemente, ma anche sotto una luce propria, l’influenza della narrativa occidentale, e nella fattispecie statunitense, di Ellery Queen: non a caso Rintaro Norizuki è detto l’Ellery Queen giapponese. Infatti come nella produzione dei due cugini ebrei Dannay &Lee, anche Rintaro crea un personaggio che sia autore delle storie e insieme loro protagonista: ma mentre per i due cugini, Ellery Queen è uno pseudonimo (che permise loro anche di giocare sulla querelle che oppose Ellery Queen a Barnaby Ross, altro loro pseudonimo), nel suo caso non lo è: laddove nei miei racconti, Piero Alteri è l’unione tra me stesso (il mio nome) e Paul Halter (Alteri è una  italianizzazione del suo cognome), nel caso Rintaro, si realizza l’identificazione tra l’autore e il protagonista, quasi un universo parallelo, immaginario in cui Rintaro si ritrova detective a sbrogliare le più intricate matasse.  E anche lui guarda caso ha un padre ispettore di polizia, il parallelo di Richard Queen.
Per di più, nel nostro caso, le simpatiche baruffe amorose tra Honami e Norizuki, sembrano quelle tra Ellery e Nikki Porter. E non a caso è lei ad avvicinarsi di più alla verità, prima che l’indovini Norizuki.
E c’è anche la firma di Ellery Queen, nel romanzo: il messaggio del morente. Infatti è riportato come la vittima avesse confidato ai suoi amici che dopo la sua morte, la porta verde si sarebbe aperta, mentre in vita era saldamente chiusa, sigillata.
Il tutto in relazione ad una camera chiusa la cui soluzione è perfettamente logica oltre ad essere un miracolo di semplicità, e di originalità: legata, come dice ad un certo punto Honami, a qualcosa di gravitazionale: “You mentioned a dimensional gap because of some gravitational force. And that‘s when you happened to hit at the secret of the green door”.
Honami parla della porta, come apertura gravitazionale, come lo è nel romanzo di Wells, verso un universo parallelo, mentre Norizuki lo intende in rapporto ad altro significato.
Tempo fa lo criticai, ma rileggendolo ho potuto vagliare la sua assoluta freschezza: del resto la soluzione è assolutamente originale, come lo è quella del mio racconto, non derivando da alcun altro ma diventando l’archetipo per altre soluzioni basate sullo stesso principio.
Per capirla bisogna leggere attentamente il racconto, basandosi sulla descrizione che egli fa della casa, e la posizione sia della biblioteca che dello studio. Tenendo bene a mente che nella stanza ideata da Rintaro Norizuki, non vi sono passaggi segreti o finestre nascoste; e che i cardini delle due porte presenti nello studio sono nuovi in quella di accesso, che viene distrutta perché bloccata dall’interno, mentre nell’altra, nella porta verde, sono arrugginiti. Ma la loro natura non è connessa direttamente alla spiegazione, semmai ne spiega gli effetti.
Tutto è assolutamente come viene descritto.

Pietro De Palma

martedì 7 maggio 2019

Agatha Christie : E' un problema (The Crooked House, 1949) - trad. R.Buccianti - Oscar Mondadori, 2013


Sulla base di quello che lei disse durante la sua vita, due furono i soli romanzi suoi cui Agatha Christie fu veramente attaccata, non con Poirot o Miss Marple: E’ un problema e Le due verità. Oggi prenderemo in esame il primo.
Mai titolo italiano fu così sballato, in confronto a quello originale, che era anche fortemente allusivo: Crooked House, casa storta.
E diversamente da altri romanzi, fin da subito quasi, non solo la lavorazione del romanzo fu abbastanza veloce, compiendosi a quanto dice Curran nel suo Agatha Christie’s Complete Secret Notebooks in poco meno di due anni (fu serializzato alla fine del 1948 in USA mentre comparve per la prima volta in forma di libro in UK nel 1949), ma anche l’invenzione del titolo fu abbastanza veloce.
Anche per quanto riguarda invece l’assassino, la sua definizione fu quasi definitiva: una volta stabilito che dovesse essere quello che aveva pensato, quello fu. E siccome parve alquanto scioccante la scelta, nonostante Harper & Collins, la casa editrice britannica delle opere di Agatha Christie, le avesse chiesto di cambiarlo, Agatha rifiutò e fu irremovibile: evidentemente, fin da subito aveva pensato all’effetto finale del romanzo che altrimenti sarebbe venuto meno.
Verso la fine della seconda guerra mondiale, Charles Hayward  e Sophia Leonides, si innamorano al Cairo, dove lei lavora per il Foreign Office. Finita la guerra possono finalmente pensare a concretizzare la loro storia d’amore: lui è figlio del Vice-Commissario di Scotland Yard Sir Arthur Hayward, lei nipote di Aristide Leonides, un ricchissimo imprenditore greco nel settore della ristorazione. Ma purtroppo qualcuno pensa bene di rendere più arduo il loro sposalizio, uccidendo il nonno di 85 anni: infatti Sophia confessa al suo innamorato che non potrà sposarlo finchè la situazione non sarà chiarita, e anche lei sarà libera da sospetti. A Charles non rimane altro che improvvisarsi detective, per risolvere la faccenda e liberare dai sospetti l’amata, e nel tempo stesso aiutare Scotland Yard e il padre, diventando la longa manus dell’ispettore di S.Y. assegnato al caso, John  Taverner.
Leonides è stato ucciso da un infarto, ma le modalità hanno fatto pensare che fosse stato avvelenato: dopo l’inchiesta del coroner, è stato appurato che è stato avvelenato iniettandogli della eserina o fisostigmina, un alcaloide altamente tossico, usato per curare delle affezioni oftalmiche.
Charles appura subito dall’interrogatorio dei vari personaggi che abitano nella casa ( i due figli e fratelli Roger e Philip Leonides, le loro mogli, i due nipoti, loro figli, il loro precettore, e soprattutto la seconda moglie di Leonidas, la giovane e trentaquattrenne Brenda, e la tata Janet Rowe) che a praticargli l’iniezione fatale è stata Brenda, solo che lei l’ha fatto su insistenza del marito.
Il testamento , una volta morto il patriarca, darebbe a ciascuno dei figli un lascito più che sostanzioso e salutare per le reciproche necessità, mentre i domestici perderebbero il loro stipendio: quindi sono i soli a  non essere sospettati, mentre gli altri abitanti nella casa avrebbero avuto tutti validi moventi per ucciderlo, compresa Brenda.
Il fatto che sia stata lei a praticargli l’iniezione fa sì che gli altri suoi familiari acquisiti, non perdano tempo ad accusarla apertamente di aver ucciso il marito, per ereditare anche lei, tanto più che gira la voce che abbia una tresca con Laurence Brown, il tutore di Eustace e Josephine, i fratelli di Sophia. In realtà tutti gli altri familiari sono dei serpenti, pronti a sbranarsi e che avrebbero avuto più che validi motivi per far fuori il loro genitore. Innanzitutto il primogenito Roger, erede della società paterna che ha portato con una dissennata gestione quasi al fallimento, sposato con la scienziata Clemenza; poi il secondogenito Philip, marito di Magda, un’attrice teatrale, e padre di Sophia, Eustace e Judith, un fallito che si è ritirato nell’amore dei libri per fuggire alla rabbia di essergli stato preferito il fratello, con sua moglie Magda, attrice modesta che vorrebbe avere chances per emergere; Eustace è un adolescente bello e intelligente, minato dalla poliomelite, che l’ha reso sprezzante e caustico; la sorella Judith una dodicenne brutta, molto intelligente e maligna, ossessionata dalle trame poliziesche, che spia i suoi parenti, scrivendo le osservazioni su un taccuino segreto. E’ lei ad aver rivelato alla sua famiglia che il farmaco del nonno sarebbe stato tossico se impropriamente usato. Poi c’è Edith de Havilland, la zia dei figli di Leonides in quanto sua cognata, sorella della sua prima moglie Marcia de Haviland, una donna volitiva che risplende con la sua forza in un ambiente decadente.
Tuttavia le brame della famiglia si infrangono contro la volontà del vecchio Aristide tenute gelosamente nascoste e custodite dal suo legale di fiducia Gaitskill sotto forma di un altro testamento che annulla e sostituisce il precedente: in questo è Sophie a ereditare tutto.
A questo punto accadono  due eventi che sembrerebbero porre la parola fine alla vicenda:
uno, il tentativo di assassinare Judith, che si era vantata di conoscere l’identità dell’assassino;
due, l’arresto di Brenda e del suo amante, visto che Charles scopre una serie di lettere compromettenti che sembrano indicare la responsabilità diretta dei due nell’omicidio del vecchio patriarca e poi nelle vicende successive.
Tuttavia quando parrebbe esser giunti al capolinea, ecco che un nuovo evento riporta la tensione in casa:
la Tata, viene uccisa da una cioccolata cui è stato addizionato del digitale in quantità generosa (la cioccolata veniva sempre preparata per Judith, ma alla fine era la tata che la beveva, visto che la ragazzina la rifiutava quasi sempre). E’ evidente che l’assassino è ancora presente in casa, e che i due amanti sono innocenti.
Chi sarà mai ad aver cospirato?
Con una lettera inviata all’ispettore Taverner, la vecchia Edith, che aveva curato l’educazione dei due figli di Leonides, si accusa dell’omicidio del cognato e degli eventi successivi. E sceglie di uccidersi, lanciandosi con la sua auto nel vuoto: purtroppo aveva con lei la piccola Judith, che aspirava ad un gelato, e che muore assieme alla prozia. In realtà, neanche Edith si saprà essere l’assassino: infatti il suo estremo atto, sarà solo il tentativo di coprire qualcuno della famiglia, che non sarebbe dovuto essere scoperto e che invece lo viene.
Diciamo subito che il romanzo è quanto di più classico si possa trovare nel genere mistery: infatti il motivo di una personalità ingombrante e tirannica, ricorre in moltissimi esempi della detection deduttiva della Golden Age, da Van Dine , il primo in assoluto, quello che inventò la casistica con The Greene Murder Case a Christie, da Marsh a Heyer, da Van Dine a Ellery Queen o a Palmer per citare alcuni grandi autori. Ed è semplice nella sua struttura: una famiglia corrotta, e nessun altro estraneo. Una vicenda semplice, ma di grande presa: una famiglia i cui membri potrebbero dare una svolta alle proprie abitudini di vita solo se ereditassero. E se l’eredità arrivasse troppo tardi, quale miglior espediente che non affrettarla?
In questa atmosfera gravida di presagi e di cattiverie ammorbanti, tutti ma proprio tutti hanno la loro parte.
Del resto la casa storta, Crooked House, non è solo una casa concepita male architettonicamente: nella sua accezione nasconde un significato nascosto: storto in senso morale, corrotto. Così la casa corrotta, diventa la dimora di una famiglia corrotta. E crooked in inglese ne assume un altro ancora più incisivo, che ben si sposa agli eventi delittuosi: criminale.
Anche questo romanzo, come molti altri de “La regina del delitto”, si basa su una filastrocca infantile. Sappiamo benissimo quale importanza avessero per lei le filastrocche: collegarle a delitti, era come dire che anche nell’innocenza ci possa essere la corruzione del male. E del resto in almeno 8 altri romanzi sono presenti filastrocche (la filastrocca sarà presente anche in romanzi di Ellery Queen):
1) Dieci piccoli indiani: And Then There Were None anche nota come Ten Little Niggers
2) Poirot non sbaglia: One, Two, Buckle My Shoe.
3) Il ritratto di Elsa Greer: This Little Piggy.
4) Alla deriva: Little Boy Blue.
5) Polvere negli occhi: Sing a Song of Sixpence.
6) Poirot si annoia: Hickory Dickory Dock.
7) Sfida a Poirot: For Want of a Nail.
8) Sono un’assassina? : Rub-a-dub-dub e Pat-a-cake, pat-a-cake, baker’s man.
La filastrocca recita:
There was a crooked man, and he walked a crooked mile.
He found a crooked sixpence upon a crooked stile.
He bought a crooked cat, which caught a crooked mouse,
And they all lived together in a little crooked house.
Qui però la filastrocca, del 1842, che allude alla forzata convivenza nella stessa nazione di inglesi e scozzesi,  ha un significato molto più sottile da quello che si potrebbe evincere: the crooked house è in stretta relazione con the crooked man, ma non nel senso che la casa è disonesta perché disonesto è l’uomo (seppure Aristides non fosse uno stinco di santo) quanto per il fatto che l’uomo contorto costringendo i suoi familiari a vivere tutti insieme sotto la sua autorità, li ha privati della libertà e quindi della possibilità di crescere, di crearsi delle proprie alternative, in opposizione a quella che lui ha dato e ne ha fatti degli essere contorti, corrotti, e anche criminali.
Al di là di questo, il romanzo è molto originale: basti pensare al fatto che normalmente in una indagine, chi è legato ad un sospettato, non può indagare, perché sarebbe limitato dal non evidenziare piste che potessero portare all’incriminazione del soggetto a cui si è legati; qui invece, chi trova in questa prospettiva, è legittimato ad operare non solo dalla propria fidanzata ma anche dalla polizia, che per fare ogni passo dovrebbe seguire rigorosamente le procedure. E non finiscono qui le originalità del romanzo.
Infatti non è propriamente un romanzo deduttivo: l’individuazione dell’assassino, qui non è capibile attraverso una serie di indizi o di bugie o di cose non dette, ma sulla base puramente di una sensazione se vogliamo. Ma anche se riuscissimo ad indovinare chi fosse, poi rimarrebbe da spiegare il movente. E quello lo si conosce solo alla fine, senza che si fosse mai accennato ad essi.
Infine il terzo elemento, forse il più originale di tutti, è l’identità dell’assassino: un assassino come questo si è visto forse in almeno due romanzi (ce ne saranno sicuramente molti altri, ma nel 1949 esistevano solo questi due) famosi, uno di Ellery Queen, The Tragedy of Y, l'altro di Margery Allingham,The White Cottage Mystery. Dei due, quello della Allingham è il più vecchio risalendo al 1928, mentre  The Tragedy of Y è del 1932. Fra i due sicuramente il più scioccante è il primo, quello della Allingham, per il tema trattato, oggi molto in voga, ma allora assai poco : solo per aver alzato il velo, si può dire certamente che la Allingham fu molto coraggiosa. Ma quel tema non ricorre nel nostro caso. Perché qui il killer non ha una vita segnata già: è una persona che uccide anche per fuggire alla noia.
John Curran ne accenna nel suo Agatha Christie’s Complete Secret Notebooks. Ma non dice se è dato sapere che la Christie conoscesse i due romanzi. Questa sarebbe la cosa veramente interessante. In questi due altri romanzi, comunque solo il killer del romanzo queeniano condivide con questo di E’ un problema, la cattiveria pura: infatti l’assassino del romanzo di Allingham si può invece capire perché non uccide in base ad un piano delittuoso, ma sulla base della reazione ad una condotta disdicevole ed aberrante della vittima. Nel nostro caso l’omicida colpisce il vecchio Leonides perché non condivideva la sua passione e anche per creare qualcosa di diverso, e lo uccide sostituendo l’eserina all’insulina e preparando una siringa letale, sapendo che l’eserina inettata può provocare un attacco di cuore fatale; il tentato omicidio è pensato per distogliere l’attenzione; mentre il secondo omicidio è una vendetta nei confronti della tata per aver parlato male dell’omicida (avvelenando la cioccolata), essendo sicura del fatto che Judith non l’avrebbe bevuta: avvelenare la cioccolata, a vedere bene, è sintomo di una perfidia senza pari.
Anche l’omicida del romanzo queeniano usa il veleno. Di quelli usati qui, solo l’eserina o fitostigmina viene citato per la prima volta (sostituito all’insulina, nella siringa), mentre il digitale è un veleno usato altre volte in romanzi della Christie : per es. in Miss Marple ed i tredici problemi.
L’unico personaggio positivo, per certi versi è la vecchia Edith, la prozia, colei che ci è sostituita alla madre dei suoi nipoti allorchè sua sorella è morta: è positivo perché anche nell’assurdità del suo atto, cerca di salvare il buon nome della famiglia, preferendo uccidersi.

SPOILER

Assieme all’assassina.
Nel Notebook 14 Curran rivela come la Christie all’inizia fosse stata indecisa se ricamare il ruolo dell’assassino su Sophia, o Clemency o Judith, ma che una volta scelta la terza, fu estremamente decisa perché appunto riteneva che lo shock della rivelazione avrebbe reso memorabile il finale. Ma perché e come Edith aveva capito che l’assassina era Judith?
Aveva trovato e letto il famoso diario di Judith dove lei riportava tutto ciò che vedeva e sentiva nella casa, e aveva letto una frase scioccante:
"Today I killed grandfather".
La morte della tata è una vendetta: per averla definita "una stupida ragazzina". 
Quella che poi si dimostra essere alla fin fine.

Pietro De Palma