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domenica 2 dicembre 2018

Rufus King – Il diamante perduto (Crime of Violence, 1938) – I Capolavori dei Gialli Mondadori N° 18 del 195518


Normalmente nei polizieschi impegnati, i domestici, il personale di servizio non è menzionato se non di straforo, come cornice della trama: servono a fare numero, tutt’al più servono per spettegolare e per fornire indizi che l’investigatore più scaltro, con “le cellule grigie” riuscirà a mettere a frutto. Ma niente di più. Il fatto è che i domestici, nei romanzi polizieschi degli anni ’30, non possono rivestire altro ruolo perchè, a meno che non si tratti di romanzi americani, non possono avere a che fare con delitti eccellenti, con trame che avvengono in ambienti esclusivi, con cui, loro, non c’entrano un fico secco. E’ del resto una delle caratteristiche più inderogabili del romanzo poliesco di marca anglosassone, quella che vieta che l’omicida sia il maggiordomo, anche perchè il giallo, come collocazione politica, come affermava giustamente Ernst Mandel, uno dei grandi teorici della Quarta Internazionale, trotzkista convinto, è un genere narrativo proprio non delle masse popolari ma delle classi di élite: negli anni ’30 , è una delle forme più diffuse attraverso cui la grande borghesia e il mondo della finanza riesce a trovare una visibilità letteraria.
Avevo detto che però questo discorso vale per romanzi polizieschi di marca anglosassone. Infatti in America, dove vale il discorso del “self made man”, se vogliamo un principio democratico per eccellenza (non vale l’origine della famiglia, non vale il ceto e il censo originari, ma solo la voglia di mettersi in gioco e di lavorare), il personale di servizio entra in parecchie trame: come non ricordare il cuoco privato che prepara succulenti manicaretti a Nero Wolfe e che si trova menzionato in tutti i suoi romanzi? Come non ricordare il maggiordomo filippino, che si trova menzionato in molti romanzi di Ellery Queen?
Beh, nel romanzo che mi accingo ad analizzare, di personale di servizio ce n’è ad ufo; anzi, si potrebbe dire che questo è il romanzo in cui i domestici non sono soggetti di cornice, ma hanno una propria valenza nella trama.
Il romanzo comincia quando Josephine Galt, la segretaria della Signora Violetta Pine ( una esponente della ricca borghesia che vive una vita dispendiosa, pur non avendo più cospicue sostanze che la possano legittimare), entrando della residenza di New York, trova seduto ad una panchina di marmo nell’atrio della casa, Horace Worthington, detentore di un grandissimo patrimonio, che è fidanzato della figlia di Violetta, Jane. Horace tuttavia, che sta seduto in una posa ben strana, con una mano infilata nella tasca della giacca ed un altra stretta alla panchina, come se fosse sul punto di alzarsi, è rigido come una statua: morto stecchito. Ai suoi piedi vi è una pistola, ed una ferita, come rivela del sangie raggrumato, è nel mento.
Pur essendo certa della morte del tipo, la segretaria và a cercare aiuto e lo trova in un medico, in quei paraggi, il dottor Selby, il quale dopo aver esaminato il cadavere, prima formula una ipotesi di morte avvenuta almeno sei ore prima, poi ne formulerà un’altra più sorprendente.
Fatto sta che, sulla base dei primi rilievi, lì Horace si è ucciso (ma perchè poi l’avrebbe fatto se non aveva problemi anzi era in procinto di convolare a nozze con uno dei partiti più antichi e blasonati della zona) oppure lo è stato; e questo, pone in rilievo gli alibi di coloro che avrebbero potuto utilizzare quella casa, quindi coloro che liberamente ne potevano disporre: Violetta Pine e i suoi familiari. Il bello è che apparentemente tutti sarebbero a parole esclusi dalle indagini della polizia, ma poi, in realtà, tutti ne sono, in un modo o nell’altro, interessati: il figlio Arthur, nullatenente ed ubriacone, non si sa cosa abbia fatto di mattina, tanto che maggiordomo Plymouth e madre gli intimano di deporre di essere stato sulle colline; Jane, sarebbe in qualche modo coperta dall’amica Selene Lane, di altra famiglia altolocata, perchè avrebbe dormito a casa sua e sarebbe stata sempre con lei: Violetta, sarebbe stata al suo parrucchiere (ma poi perchè sarebbe andata a New York, quando nella sua città vi è una succursale che questo grande centro di coiffure? E perchè per di più vi sarebbe andata da sola e con una macchinetta, quando poi normalmente non guida e lascia l’incombenza all’autista personale?). Tuttavia la signorina Galt, prima di andare a chiamare qualcuno, ha trovato, sulle scale che portano dall’atrio al primo piano, un piccolo diamante, sfuggito a qualcuno, e di cui non fa menzione alla polizia, consegnandolo poi alla sua padrona.
Tuttavia, qualcuno a casa Pine, non è convinto delle deposizioni fatte alla polizia. E’ il cameriere personale di Arthur, Spotwood, che ha trovato nelle tasche del suo padrone, più sbronzo che mai, una spilla d’oro su cui sono incastonati dei diamanti, anche se ne manca uno. Di chi sarà mai tale spilla? Spotwood vuole ricavarne qualcosa, in quanto è furbo e ha compreso che il giovane nasconde dei segreti che non vorrebbe fossero resi noti, e quindi pensa al ricatto. Ma poco tempo dopo, in una sera in cui ulula il vento, il mare si scontra sulla scogliera e piove furiosamente, convocato in un appuntamento sulla scogliera su cui si affaccia la dimora dei Pine, viene ucciso.
La casa piomba nel caos. Metà dei domestici si autolicenziano, e quelli che rimangono, per esempio la cameriera privata della padrona di casa, Ruth, si sentono male: Ruth rimane sotto shock e necessita delle cure mediche, presso la casa del padre, il farmacista di Oldhampton, la città dove avvengono questi luttuosi avvenimenti.
Oramai, il tenente Valcour è sicuro della colpevolezza di qualcuno in quella casa, e sia lui, che il sergente Stirling – che si occupa delle indagini sul posto, in quanto esse sono fuori della competenza territoriale di New York dove opera Valcour – pensano che per forza qualcuno della casa debba essere stato, e in particolar modo chi durante il giorno non lavora, a recarsi a New York e uccidere Horace.
Horace aveva fatto testamento ed aveva nominato la fidanzata sua erede universale, cosa che la rende la prima dei sospettati: potrebbe essere stata lei la proprietaria di quella spilla: Selene quindi la starebbe coprendo.
Anche Arthur è sospetto, perchè non sa o comunque non vuole dire, dove abbia passato la mattinata.
E infine la signora Pine, che è sospetta oltre che per il suo viaggetto segreto a New York: il dottor Selby, sulla base di numerosi libri di medicina presenti nella biblioteca della dimora, sospetta di lei: secondo lui, avrebbe potuto sapere della eventualità che il midollo allungato, leso irreparabilmente con una morte violenta, abbia determinato una rigidità cadaverica pronunciatissima, come quella che si verifica normalmente almeno sei ore dopo la morte, e che si è verificata nel caso di Worthington.
Il dottor Selby, innamorato di Jane e ricambiato, vorrebbe che la fidanza ta si barricasse in casa, tanto più che lei, imbeccata da lui, afferma di voler rifiutare l’eredità di Worthington, causando l’ostilità della madre che quei soldi li agogna eccome, e per essi ha consegnato la figlia al pretendente, solo per assicurare al figlio imbelle una vita di comodi.
Sarà Arthur il perno della vicenda e su di lui Valcour giocherà la sua partita, scoprendo i suoi segreti, e inchiodando alle sue responsabilità, in un drammatico finale, l’omicida , che il giovane inconsciamente ha coperto sino a quel momento. Dopo aver tentato di uccidere Valcour propinandogli del latte avvelenato, l’omicida per non finire sulla sedia elettrica, a sua volta si avvelenerà mortalmente .
Penultimo romanzo della serie incentrata sul tenente Valcour, cominciatata nel 1929 con Murder by the Clock, Crime of Violence (1938) rinuncia a quelle atmosfere rarefatte e marine cui alcuni suoi romanzi ci hanno abituato. E’ come se King seguisse due strade ben distinte: la prima è quella dei delitti in ambienti definiti, chiusi, che si svolgono in ambienti in cui si muovono esponenti della jet-society o della ricca borghesia; la seconda, quella delle sue ambientazioni marine, a bordo di velieri, yacht e quant’altro. Tuttavia non deve credersi che i filoni si approssimino a obiettivi diversi: il delitto è proprio sempre delle classi medio alte, e gli spazi in cui avvengono sono sempre estremamente delimitati. Anzi, nel caso dei casi a bordo di navi, qualcuno ha parlato persino di una comunanza di situazioni afferenti al sottogenere delle Camere Chiuse (anche se in termini stretti non lo sono) perchè la nave è circondata in ogni direzione dal mare: è come una casa circondata dalla neve: nessuno può scappare in mare senza che non lo si veda.
Tuttavia, se proprio vogliamo essere sinceri, non è che questo romanzo sia proprio lontano dal tema del mare: infatti la casa sorge sulla spiaggia e il mare è spesso citato della trama. Alcuni hanno posto in rilievo come questo romanzo anticipi i racconti scritti nell’estrema stagione creativa di King, ambientati sulle spiagge della Florida.
Caratterizzato dalla presenza, tra i personaggi di rilievo, di camerieri, maggiordomi, cameriere, ex governanti, il romanzo non tradisce le aspettative e presenta, come nella migliore tradizione del romanzo poliziesco (Rufus King segue pedissequamente le Regole di Van Dine), un assassino assolutamente fuori della norma e assolutamente inaspettato, che però è lì ed è presente fin dalle prime pagine: King non imbroglia mai il lettore e l’assassino è sempre presente, è uno dei personaggi della storia.
Mike Grost eccepisce sulla scelta dell’assassino da parte di Rufus King: per lui si tratta di “an implausible and poorly clued choice of killer”. Il giudizio di Mike, che è assolutamente legittimo, è tuttavia da mettere in relazione con l’ambientazione di solito utilizzata nei romanzi del tempo: egli non tiene conto di molti aspetti, tra cui soprattutto che questo è un romanzo limite, un romanzo unico, in cui tutti, ma proprio tutti, le persone che operano all’interno della casa sono sospettabili.
Anche qui, la tensione viene sviluppata, come in altri romanzi, con i vecchi procedimenti ed escamotages degli scrittori degli anni ’20, ossia gli eventi naturali: la bufera di pioggia, la notte, il vento che ulula; la differenza tra il il buio presente all’esterno della casa di sera, ed il buio procurato dal fatto che chissà perchè qualcuno ha manipolato le lampadine, etc. etc. E anche qui c’è il ricorso a quelle motivazioni, a quei moventi segreti di cui Agatha Christie ha fatto ampio ricorso nei suoi romanzi: matrimoni segreti, segreti inconfessabili, gravidanze nascoste, che nella società degli anni ’20 e ’30 costituivano uno scandalo, in quella odierna farebbero ridere (o quasi).
Devo dire in tutta sincerità che il romanzo mi è molto piaciuto, proprio per come Rufus King riesce con i tratti più evidenti della sua arte narrativa, ad instaurare il sospetto (questo il suo marchio di fabbrica più originale) tra tutti i personaggi o quasi, perchè scoprire il colpevole costituisce sempre uno shock, e qui lo è più degli altri: si può senz’altro attribuirgli la paternità del secondo omicidio, ma il perchè abbia ucciso Horace è spiegato solo nelle ultime pagine. E prima che l’ipotesi finale sia stata sciorinata, altre ipotesi altrettanto plausbili sono state concepite e rese evidenti, così da disorientare il lettore, anche il più attento. I sospetti sono tanti. Si arriva persino ad inserirvi il dottor Selby: per quale motivo si accanisce con pervicacia nei confronti di Violetta Pine, attribuendole la possibilità dell’omicidio di Horace, sulla base dell’esistenza in casa di testi di medicina che descrivono proprio quello che si è verificato nella realtà? Potrebbe farlo anche per togliersi lui dal novero dei sospetti: e se infatti si trovasse lì fuori dalla casa non per caso ma perchè ne era uscito poco prima? E se l’assassina è la governante che ha simulato di trovare la vittima ed invece l’ha assassinata (ma per quale motivo?) ? E se invece è stato Arthur ? E’ il solo di cui non si sappia cosa abbia fatto durante la mattinata. E se invece sono state Jane o Selene? Si sarebbero coperte a vicenda! E se invece è stato il maggiordomo Plymouth, erede delle tradizioni della casa? E se invece è stata Violette, di cui non ci si spiega la vacatio segreta a New York?
Fatto sta che i sospetti sono tutti, e questa volta riguardano anche il personale di servizio: si arriva persino a sospettare di Ruth (la cameriera personale di Violetta), di Belting (il cameriere di Casa Pine), di Plymouth, l’irreprensibile maggiordomo.
Ma il dubbio principale è uno solo.
Emerso inaspettatamente nelle prime pagine, rimarrà per tutta la durata del romanzo, e quando sarà stato risolto, si riuscirà a scorgere meglio l’uscita del tunnel: di chi è il brillante trovato sulle scale della casa?
La soluzione è totalmente spiazzante e risolve tutti gli interrogativi, e ci consegna un assassino assolutamente inaspettato, scaltro, che ha ucciso non premiditando l’azione, ma come extrema ratio, e comunque sia ha saputo raggirare i presenti e soprattutto Arthur, con abilità consumata.
Il romanzo possiede delle affinità con altri romanzi dello stesso autore. Pur non esistendo qui qualsiasi riferimento slavato a personaggi gay (più di uno, tra cui il sottoscritto, ipotizza che King fosse gay), tuttavia alcuni tratti possono farci intravedere tale caratteristica:
il modo come King descriva la decadenza di Arthur (attribuita anche a diversi altri personaggi in altri romanzi) anche attraverso la descrizione del suo abbigliamento e di come esso si discosti, da quello del periodo, usato prevalentemente dai rampolli delle famiglie della media borghesia americana;
il modo come egli descriva i personaggi maschili (per esempio il dottor Selby) palestrati e muscolosi, quasi fossero i perfetti esemplari maschili dei college americani.
Anche il subplot incentrato sulla causa di morte, pur essenso assolutamente originale, ha delle affinità con i subplots delle storie che King scriverà basandole sui casi medici del dottor Colin Star.
Infine un’altra affinità con altri romanzi è data dall’esistenza di hidden relationship (abbiamo detto caratteristica anche di altri romanzieri come Agatha Christie).
Un affascinante romanzo, in ultima analisi.

Pietro De Palma

giovedì 3 agosto 2017

Rufus King : Anatomia di un Delitto (Anatomy of a Crime, 1966) – trad. Tina Honsel – Autunno Giallo 1976 (Ellery Queen presenta) – Mondadori



Quando lo scrisse, Rufus King stava percorrendo il suo viale del tramonto.
Il romanzo breve Anatomy of a Crime, che fu pubblicato postumo, come “short novel”, sull’Ellery Queen Mystery Magazine N.277 del Dicembre 1966, dovrebbe esser stato l’ultimo lavoro: infatti Rufus King morì nel 1966.
Il racconto fu pubblicato nella raccolta mondadoriana “ELLERY QUEEN PRESENTA” – Autunno Giallo 1976”, assieme ad altri racconti di Rex Stout, Christianna Brand, Anthony Gilbert, Ellery Queen, John Lutz, etc.., col titolo abbastanza fedele “Anatomia di un delitto”.
E’ l’ultima avventura scritta di uno dei personaggi fissi di Rufus King: Stuff Driscoll.
Non è un Mystery e nella fattispecie non è “Whodunnit”; piuttosto è un thriller, serrato, che è costruito su un delitto perfetto, il cui responsabile è noto al lettore fin dall’inizio.
Clifford Helber, ricco magnate del petrolio, è morto. Ha avuto due figli da due matrimoni: il primo dei due fratellastri, Edmund, è una perla di uomo: elemento in vista della comunità cittadina, benefattore, senza donne, né vizi di sorta, ha solo un vezzo: scoprire e mettere in luce le giovani promesse della Pittura; l’altro, Saltus, è un fior di canaglia, imbroglione, dilapidatore di patrimoni, donnaiolo impenitente, non fa differenze di sorta, e come Don Giovanni le preferisce sia sante che puttane. Per non dare nell’occhio, si è procurato una garçonniere dove s’incontra con le sue fiamme.
Siccome la diversa natura morale e materiale era già nota al padre prima che morisse, questi ha fatto redigere un testamento, capestro per il secondo, non capendo che il fatto stesso di esistere metterà nei guai il primo figlio, quello virtuoso: diviso il patrimonio esattamente in due parti eguali, il testamento esige che il figlio scapestrato dimostri entro i trent’anni di aver cambiato vita, cosicché il padre, laddove la sua anima è andata a cacciarsi, possa dormire sogni tranquilli sapendo  che il suo patrimonio non verrà dilapidato.
Edmund potrà disporre tranquillamente della sua parte come meglio crede, e nel tempo stesso sorveglierà che il fratello adempia alle volontà testamentarie del padre. Qualora ciò dovesse o non dovesse avvenire, esso si baserebbe sulle esclusive facoltà di giudizio del fratello maggiore: nel primo caso, il fratello minore si troverebbe a disporre liberamente del suo patrimonio; nel secondo caso, la parte di Saltus verrebbe liquidata in beneficenza. Purtroppo, però, il padre ha aggiunto un terzo caso, che provoca lo scatenarsi degli eventi: nel caso in cui Edmund morisse, tutto il patrimonio andrebbe comunque a Saltus.
E’ evidente che un soggetto come Saltus,  in cui il germe del male ha già preso piede, “faccia di necessità virtù”; e così egli comincia a meditare la maniera più idonea per togliere di mezzo, dalla faccia della terra, il fratello maggiore.
Esaminata tutta una serie di possibilità, decide di eliminare il fratello, simulando un suicidio; tuttavia è basilare che il mezzo sia il più idoneo. Si decide quindi a documentarsi sui vari suicidi, e si convince che se deve uccidere il fratello e scamparla, deve eseguire perfettamente il suicidio di Edmund. Come? Praticando una incisione.
La maggior parte dei suicidi si tagliava la gola. E facendolo, lasciava sempre dei “segni di esitazione” cioè delle ferite non mortali che tradivano la titubanza, ultima parvenza dell’autoconservazione, di non uccidersi. Quindi, Saltus, decide che “il suicidio” del fratello, dovrà avvenire proprio così:. L’ha letto su un testo di “Medicina Legale: Patologia e Tossicologia” che ha letto nella Biblioteca Comunale. E pianifica il piano omicida.
Ma, se il fratello, che è irreprensibile,  “deve uccidersi” è necessario che lo faccia per un motivo: donne? Vizi? Gioco? Tutti motivo inesistenti. Poi gli viene in mente l’unica cosa che potrebbe in una persona ritenuta da tutti altamente morigerata, scatenare un raptus suicida: il fatto di essere gay. Ma perché ciò sia possibile è necessario costruire una storia; e così pensa all’ultimo protetto di suo fratello, un pugile che ha smesso di dare cazzotti sul ring e ha invece cominciato a dare pennellate sulle tele: imbastirà una storia tra i due. Il germe della calunnia e del sospetto farà il resto.
Un giorno Saltus si presenta molto mattiniero, verso le 5-6 di mattina a casa del fratello e mentre quello sta facendo colazione sul patio a base di focaccine imburrate, gli taglia la gola e poi, come da manuale, esegue “i tagli da esitazione”. Poi riflette sulla situazione del momento, e decide di simulare una decisione improvvisa, per un evento accaduto poco prima, perché non sarebbe credibile che uno che sta facendo colazione decidesse di uccidersi: così, scrive un biglietto, lo lega ad un sasso e quindi fa in modo che i due atterrino proprio sul tavolo della colazione, dopo aver rotto il vetro: dovrà sembrare che qualcuno dal di fuori lo abbia lanciato. Poi pulisce tutto: i suoi guanti, le mani e ovviamente il rasoio, lasciandolo cadere sul pavimento.
Un delitto perfetto. Quasi. Perché? Perché il delitto perfetto non esiste: più l’assassino pensa a come togliere tracce più i sospetti degli investigatori si attorcigliano intorno. Va da sé che gli investigatori devono essere instradati perché pensino a comportarsi come vorrebbe l’omicida: il fatto è che le indagini vengono affidate a Stuff Driscoll, che conosce la vittima; anzi, anche sua moglie giura che la vittima non può essersi uccisa per il motivo di cui tutti parlano, cioè una tresca col suo protetto, perché ella, frequentatrice del Club fondato dalla vittima che protegge le nuove leve della Pittura, ha saputo da una sua amica che Saltus, con il caldo infernale che c’era in quei giorni, ha frequentato indefessamente la Biblioteca Comunale, richiedendo sempre un grosso libro, con la copertina verde.
Stuff si mette a caccia e capisce quale possa essere il libro: egli sa già che di suicidio non si è trattato ma di omicidio, e una sua idea su chi possa essere stato, ce l’ha. Solo che gli mancano le prove. Come fare? L’aver letto il libro è un indizio, non una prova. Va a trovare Saltus. E gioca al gatto col topo. Gli fa sapere che Oscar non poteva avere una tresca con Edmund, perché si era sposato segretamente. Poi gli fa balenare la possibilità che la moglie di Oscar, Stella, possa averlo visto, la mattina del “suicidio”. E con Saltus oramai non più tanto sicuro di sé, pensa a come stanarlo: metterà a punto una trappola. Che verrà organizzata avvalendosi dell’aiuto di tutti coloro apprezzavano e stimavano Edmund Helber: in primis l’avv. Wilksby, che è il legale del vecchio padre Clifford Helber e che non “ha mai potuto vedere” Saltus, poi Oscar e sua moglie Stella.
In pratica Stella dovrà impersonare una ricattatrice e per farlo Stuff le chiede di imparare a memoria le fattezze della veste da camera di Saltus, con cui presumibilmente è andato ad uccidere il fratello e poi..di far capire che lei sa.
Non dico come va a finire. Dico solo che il finale è sorprendente,
Ancora una volta, direi per l’ultima volta, il grande Rufus dimostrò quanto fosse grande: con una trovata da grande Maestro, riuscì negli ultimi righi del romanzo breve, a sovvertire la situazione e a inchiodare l’assassino. Una trovata che mi ha lasciato a bocca aperta.
Stile fluido, ritmo molto alto e incredibile facilità nel costruire la trama, King creò un piccolo ultimo capolavoro, puntando l’apice della tensione non sulla scoperta del colpevole, quanto dell’unica prova atta ad incriminarlo. Una “inverted story” assai ben costruita, di cui si sa tutto all’inizio, proprio tutto, e tuttavia non si riesce a capire fino all’ultimo su cosa Stuff possa basare la propria convinzione che Edmund non si sia suicidato ma sia stato ucciso: convinzione sì, ma che egli purtuttavia non ritiene essere bastevole ad incriminare Saltus, tanto da fargli creare le condizioni perché Saltus si crocifigga da solo, e fornisca le prove, incontrovertibili davanti ad una giuria, che egli abbia ucciso il fratello.
Ma alla base c’è quella cosa scoperta da Stuff. La prova è già definita in quel che ho detto, ma solo dopo aver letto la fine, ho capito la sua portata: eppure è tutto così ovvio! Sì, ma solo dopo che Rufus mi abbia fatto riflettere. Già.
Mi è capitato già alcune volte, di dire che solo i grandi maestri riescono ad infinocchiarmi, talvolta. Lui ci è riuscito.
Onore al grande Rufus!
Un lavoro straordinario direi, nella sua semplicità.
Peccato che la raccolta che lo contiene sia difficile a trovarsi.
Un tempo esistevano antologie che riprendevano i racconti pubblicati su E.Q.M.M.
Un tempo.
Ora invece..


Pietro De Palma

sabato 4 marzo 2017

Rufus King : Omicidio a Capodanno (Holiday Homicide, 1940) – I Classici del Giallo Mondadori N. 754 del 1995




Rufus King (1893-1966) fu un romanziere molto attivo dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’50 inizio ’60, pur facendo tutto sommato vita ritirata: in vita, nulla di lui si sapeva molto, all’infuori del fatto che vivesse “nella parte rurale dello Stato di New York, che fosse single, e che ogni anno avesse problemi a causa della neve”, tant’è vero che si “fece una villa” a Miami; del resto proprio a Miami ambientò alcune delle sue storie.
Altra cosa che si sa è che avesse studiato a Yale, che nel 1916 si laureò e che si arruolò proprio in quell’anno per la Grande  Guerra e che dopo di essa lavorò per del tempo come operatore radio sulle navi
Oggi è molto poco conosciuto e i suoi romanzi vengono di rado pubblicati, ma al tempo fu molto noto: era un fine esponente di quella scuola di scrittori americani (anche J.D.Carr, Mignon Eberhart) che non volevano rinunciare alla scuola di giallo all’inglese, in favore invece della “scuola dei duri”, nata in ambiente americano.
In Italia è stato un autore, pubblicato parecchio negli anni ’30 – ’40 e ’50, e meno dopo: infatti, parecchi dei romanzi pubblicati soprattutto da Mondadori, risalgono a questi anni. Solo in pochissimi casi, altre case editrici si son cimentate in romanzi di Rufus King : tra queste, la Casa Editrice Martello con I Gialli del Veliero : “Il colombo della morte” (The Deadly Dove, 1945); la Italedit di Cremona che pubblicò “Intervallo Tragico”: questa pubblicazione, ricavabile tramite ricerca OPAC, è disponibile solo presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, ma non si ricava da alcun indizio, il suo titolo d’origine; e i Gialli del Secolo, fino ad un certo punto di proprietà della Gherardo Casini Editore.
Mike Grost ritiene che abbia influenzato pesantemente il primo romanzo della coppia di cugini Dannay & Lee, noti per la firma che diventò un marchio internazionalmente riconosciuto e apprezzato: Ellery Queen:
“Rufus King’s first Lt. Valcour novel, Murder by the Clock,had a simple plot idea involving men’s hats…It is possible that EQ used King’s work as a jumping off point and subsequent works. One wonders if the name “Rufus King” affected EQ’s choice of the pseudonym Ellery Queen”.
In altre parole secondo lui, il nominativo Ellery Queen (Queen = Regina) sarebbe stato influenzato dal successo di Rufus King (King = Re)con Murder by the Clock (pubblicato in Mondadori col titolo “Notte d’orgasmo”: CGM 296 e ripubblicato qualche anno fa da Polillo con il titolo “Il corpo nell’armadio” ne I Bassotti), un romanzo in cui il plot del cappello, viene ripreso in “The Roman Hat Mystery” di Ellery Queen e trasformato in idea base per un immaginifico romanzo; il rapporto REGINA-RE potrebbe significare oltre che una filiazione, anche il riconoscimento del fatto che King, nel tempo in cui uscì “La poltrona n.30”, fosse più importante di Queen o comunque i due cugini lo ritenessero tale.
E’ bene dire tuttavia che Rufus King ottenne un notevole successo all’epoca più per altri motivi che per il fatto di essere un seguace, diremmo un po’ atipico, di Van Dine: Rufus King infatti, avendo per del tempo lavorato come operatore radio su bastimenti, riportò questa ambientazione marinara in molti dei suoi romanzi: Murder By Latitude (1930) tradotto ne I libri Gialli n.131 con  “Il Dramma del Florida” o The Lesser-Antiller Case (1934) tradotto anche lui ne I Libri Gialli n.177 con  “La prova in fondo al mare”, o ancora  Murder On The Yacht (1931) tradotto nel 2001 in CGM 899 con il titolo “Crociera tragica”, son tutti romanzi che propongono quasta falsa riga. E’ da menzionare il fatto che qualche tempo prima che avesse cominciato la sua attività di romanziere, Rufus King avesse scritto la storia originale di “The Silent Command”, un film del 1923 diretto da J.Gordon Edwards ed interpretato da Bela Lugosi: la scena finale avveniva su una nave durante una tempesta
La ragione tuttavia è anche di tipo psicologico-descrittivo: Rufus King teneva molto alla descrizione dei personaggi e alle atmosfere; e concentrare l’azione in uno spazio chiuso (le navi per così dire sono degli ampliamenti di una Camera Chiusa), gli dava la possibilità di enfatizzare il dramma e l’angoscia mutevole delle situazioni e dei personaggi, dinanzi alla immobilità del mare, con un effetto di contrasto assai efficace.
Anche in Holiday Homicide, la vicenda si svolge sul mare.
Il romanzo si impone per l’entrata di un nuovo protagonista, Cotton Moon, un ricco investigatore che spende tutti i suoi soldi alla ricerca di noci rare, e del suo assistente-segretario Bert Stanley e che è seguito da un cuoco espertissimo, “Walter..il cuoco del Conchiglia e, insieme ad altre cose, Moon se lo prese nel Madagascar” (Holiday Homicide, “Omicidio a Capodanno”, I Classici del Giallo Mondadori, N° 754, pag. 6): è chiaro che in questo caso Rufus King ha creato un personaggio rifacendosi a Nero Wolfe, al suo segretario-assistente Archie Goodwin, e al cuoco svizzero Fritz Brenner. Ne consegue che questo è uno di quei romanzi in cui Rufus King comincia a denunciare l’influsso di altri giallisti: in sostanza comincia a perdere di originalità. Tuttavia il procedimento di King è sempre di classe.
Nella fattispecie Rufus King sdrammatizza l’azione con trovate umoristiche: per es. Cotton Moon, l’investigatore che vien qui fatto esordire, vien fatto oggetto di attenzioni, lanciandogli una noce di sapucaia che lo colpisce in mezzo alla fronte: a lanciarla è stato un tale, Bruce Jettwick, che, a bordo dell’ “Aliseo”, un lussuoso panfilo ancorato vicino a “La conchiglia”, lo yacht di Cotton Moon, vuole richiamare la sua attenzione. Infatti c’è stato  un omicidio a bordo e teme che ad essere accusato della morte sia lui. Ad essere stato ucciso è lo zio di Bruce, il ricco impresario edile Myron Jettwick. A bordo del panfilo, vi sono anche la madre di Bruce, Helen Jettwick ex moglie di Myron (Bruce è figlio di primo letto di Helen); la sorella di Myron, Emma; Jepson McRoss, segretario di Myron; una donna d’affari, Harriet Schuyler assieme alla figlia Elisabeth. Insomma una strana e variegata fauna di personaggi, tutti ambigui, reticenti e..interessati.
Dalla cabina dove è stato rinvenuto cadavere Myron è scomparsa una cassetta metallica con documenti compromettenti. Dove mai può esser stata “riposta”, se a bordo non si trova?
Ecco allora che a Cotton Moon viene l’idea di impiegare un palombaro. Si badi bene: un palombaro. In questo Rufus King, nonostante risenta dell’influsso di giallisti “più quadrati” come Stout, può aver costituito un valido modello per altri romanzieri: per es. Jonathan Latimer.
E il trait-d’-union con Latimer può essere proprio il palombaro. Ma..a questo punto bisognerebbe introdurre quale opera di Latimer verrebbe influenzata: il romanzo in questione è Headed for a Hearse, “Destinazione: Sedia elettrica”, del 1935.
Ohibò, deve esserci un errore: come mai King avrebbe  influenzato un romanzo di Latimer del 1935, se il suo era del 1940? Il fatto è che Rufus King aveva pubblicato The Lesser-Antilles Case, romanzo noto in Italia col titolo “La prova in fondo al mare”, un anno prima del romanzo di Latimer,  nel 1934. In tutti e tre i romanzi, il precedente ed il successivo di King e quello di Latimer che si pone in mezzo ai due, temporalmente, troviamo un…palombaro. E’ infatti questa figura singolare che è incaricata di ritrovare prove compromettenti in fondo al mare. Tuttavia accanto al “palombaro”, troviamo altri elementi che ci consentono di dire che King avrebbe potuto influenzare Latimer: per es. la scena iniziale del romanzo di Latimer (l’uomo che sta aspettando nella cella della morte la sua ultima ora) è molto simile a quella di un racconto di Rufus King, The Weapon That Didn’t Exist (1926), in cui una ragazza irlandese attende la propria sorte nel carcere di New York.
Ritornando a Holiday Homicide (H.H.) che è stranamente simile nella sigla sempre al romanzo di Latimer cui abbiamo accennato Headed for a Hearse (H.H.), vediamo come in sostanza proprio le noci di sapucaia vengano utilizzate per costruire le prove della colpevolezza di Bruce. Seguiranno altre due morti, l’ultima delle quali sarà quella del segretario di Myron, Jepson McRoss, opportunamente tolto di mezzo mediante un rasoio affilato, perché si pensasse che lui si fosse tolta la vita per rimorso, dopo aver ucciso lui, gli altri due. Il vero omicida, sarà invece il meno sospettabile, solo che questa volta, e questo è il vero lato debole del romanzo, il colpevole non verrà individuato sulla base di indizi precisi, ma in base all’intuito del protagonista senza che il lettore possa averne avuto, durante il corso della vicenda, la benché minima coscienza.
Al di là di questo.. è un gran bel romanzo, con un discreto plot, un umorismo all’inglese e, pur essendo in sostanza, un pastiche stoutiano, è assai ben scritto, con delle descrizioni notevoli, ed una trama accattivante.

Pietro De Palma

P.S.
Chi fosse interessato a conoscere Rufus King meglio, può leggere il mio breve saggio a lui dedicato e pubblicato tempo fa sul Blog del Giallo Mondadori. Il link è il seguente:
http://blog.librimondadori.it/blogs/ilgiallomondadori/2010/05/26/un-%E2%80%9Cborn-writer%E2%80%9D-rufus-king-invenzioni-stile-e-rapporti-con-la-letteratura-di-genere-coeva/#more-6051

giovedì 15 dicembre 2016

Rufus King: Il Dramma del Florida (Murder By Latitude, 1930) – traduz. Enrico Piceni – I Classici del Giallo Mondadori N.1297 del 10 maggio 2012.


Immagino che parecchi abbiano capito che Rufus King è uno di quegli scrittori che mi piacciono molto. E non solo perché sapeva scrivere molto bene (era uno scrittore nato), ma anche perché è uno di quegli autori, che al suo tempo furono osannati, e poi altrettanto rapidamente, dimenticati. Ma se per altri autori, la cosa si può anche comprendere, nel caso suo, diventa un enigma: perché fu dimenticato?
Rufus King probabilmente io penso ( e l’ho anche scritto nel mio saggio pubblicato  anni fa sul Blog Mondadori) nei primi quindici anni della sua produzione, fu un autore altamente originale, tanto da essere copiato o almeno preso a modello, ma poi pagò il dazio ad altri autori nel frattempo saliti agli onori delle cronache librarie, mutando il tenore delle sue storie e conformando i suoi personaggi a caratteristiche altrui.
Siccome però sono tendenzialmente un romantico, amo ricordare chi è stato dimenticato, secondo me non a ragione: e quindi mi piace ricordare anche Rufus King.
Murder By Latitude, è ricordato da molti, come uno sei suoi romanzi più caratteristici ed emblematici: alcuni vi hanno ravvisato alcune caratteristiche, tipiche di un’opera gay. Su Rufus King, non si sa nulla perché era talmente riservato che, al suo confronto, Derek Smith, altro scrittore le cui notizie biografiche sono frammentarie, “era conosciutissimo”. Anche le sue foto sono poche.
La riservatezza che permea le sue informazioni biografiche probabilmente era una conseguenza della sua volontà di non lasciar trapelare nulla che potesse in qualche modo ammaccare la sua vita. Col tempo, degli articoli di critica in USA hanno contribuito a squarciare il velo che circondava la sua vita e la sua opera, rivelando come Rufus King dovesse essere gay. Infatti di indizi in tal senso ve ne sono a iosa e non  starò ad elencarli. Fatto sta che caratteristiche del genere (amicizie virili, ma non tanto) sono citate nel romanzo a più riprese per diversi personaggi maschili, anche se la più riconoscibile è quella tra Gans e Swithers (ma vi è quella accennata anche tra un personaggio e un marinaio di sala macchine).
Al di là di questo il romanzo ha quella caratteristica che è peculare di Rufus King: l’uso sapiente della tensione, che si insinua dapprima, poi diventa palpabile ed infine spasmodica, con finali sorprendenti e mai scontati. Anche qui, la suspence la fa da padrona.
Gans, il radiotelegrafista (il marconista del tempo avremmo detto) è trovato ucciso, a bordo del Piroscafo “Florida”: perché mai so dovrebbe uccidere un marconista? Per evitare che possa passare un dispaccio della massima importanza, al Tenente Valcour, della Polizia metropolitana di New York, a bordo anche lui, assieme ad altri passeggeri. Si è imbarcato perché, anche se non ne ha i connotati fisici, lui e altre autorità di polizia sanno che tra i passeggeri c’è l’assassino di Larry Lane, un riccone, ammazzato nella toilette di un locale notturno di New York e derubato. Il killer ha anche ferito gravemente l’amico di Lane, che però è sopravvissuto e ha contribuito a fare l’identikit e sottolineare i dati fisici del suo assalitore. Ora il killer è a bordo del Florida, perché vuole arrivare a Cassie Poole, ricca signora del bel mondo, precedentemente sposata in prime nozze proprio a Lane: Cassie dopo aver divorziato da Lane ( e da altri), si è risposata con Ted, un uomo molto più giovane di lei, conosciuto in spiaggia. Il killer vuole ucciderla? La ucciderà davvero? Ma perché?
Si scoprirà che Cassie ai tempi del suo primo marito, aveva adottato per breve tempo una bambina, Toody, che poi aveva, all’età di nove anni, ripudiato, assieme alla zia, pur versando un assegno annuale.
C’è un testamento che Cassie non avrebbe dovuto fare, a favore del suo nuovo marito, che impone al killer di renderla vedova, per rendere nullo l’ultimo testamento, ed invece re-invalidare il precedente. A Valcour spetta una delle indagini più difficili della sua carriera: scoprire l’assassino, in mezzo a falsi sospetti, a sparizioni strane di oggetti (un ditale d’argento, un lungo ago e delle forbicine da ricamo calamitate, della pece), a reticenze, tra contrabbandieri di gioielli e falsi personaggi identificati, mentre il piroscafo è abbandonato a se stesso, in mezzo al mare.
Il finale è veramente a sorpresa: per certi versi, è molto simile al finale catartico di Il Caso dei Fratelli Siamesi, di Ellery Queen, altro autore (due cugini) vandiniano, come Rufus King. Alcuni critici sostengono (io penso che possano aver ragione) che il nome Queen potrebbe essere la risposta a King (Rufus. Daly sarebbe venuto più in là). Del resto Rufus King non si sa nemmeno poi del tutto se abbia seguito di poco, con il suo primo personaggio, Reginald De Puyster, il Philo Vance di Van Dine, o se da questi sia stato copiato, tanto contemporaneamente i due uscirono nel 1926.
Nel romanzo dei Queen, Ellery ed il padre sono in una villa, dove si consuma un’oscura tragedia, che si trova in cima ad una sporgenza montuosa, mentre al di sotto le fiamme divorano i boschi e sono lì quasi per aggredire la casa; qui i personaggi sono su un piroscafo che si trova in mare, che è isolato in mare (perché il marconista è morto), e il cui timone è stato danneggiato e la cui strumentazione (la bussola) è stata volutamente alterata, in modo che vada alla deriva, sino a che non si infrangerà sugli scogli: qui il finale catartico è lo schianto sugli scogli (che consente al piroscafo di incagliarsi), mentre fino a quel momento ci si è interrogati (Valcour, il capitano Sohme e..il lettore) sul perchè il cielo che dovrebbe mostrare la rotta, non è quello solito: le stelle non sono quelle che il capitano ha visto tante altre volte; lì era la pioggia che salvava la villa dal fuoco, che per tutto il romanzo aveva fatto da sfondo sempre più presente, al dramma della villa. In entrambi i casi, i personaggi dei drammi si salvano; in entrambi i casi, gli assassini si suicidano.images?q=tbn:ANd9GcQFSNduXnj04ZvZocoorleAPMn6-yqYttjaw2HF7_pPFs2Jbj3lyg
Non si capisce chi possa essere l’assassino o l’assassina (è la grandezza dello scrittore), sino a pochi righi dalla fine, perché Rufus King, nasconde e dissimula a suo piacimento gli indizi, generando tensione, modificandola e accrescendola, attraverso svariati interventi: per esempio quando fa notare ad uno dei personaggi, come Dumarque insolitamente per la sua altezza, porti i tacchi alti. I capitoli sono volutamente assai brevi, così da fratturare a più riprese il discorso; vengono presentati volutamente dei falsi sospettati, così marchianamente da far più volte riflettere: ma perché lo fa? Se davvero lo sono, perché li fa già scoprire? E se non lo sono, perchè li evidenzia?
L’omicida è un grande attore, ha una volontà forte, generata dall’odio, dal risentimento e dall’avidità. E quindi il finale sarà tragico.
E vengono presentati degli oggetti trafugati, alcuni dei quali vediamo che hanno attinenza con uno degli assassini, ma altri no:  a cosa servono? Servono a generare tensione, perchè porteranno a degli imprevisti della trama, che agiranno da sfondo all’azione vera e propria.
Prima l’assassino è uomo, poi si sa che è donna, poi che potrebbe essere una donna travestita da uomo, poi altro; prima si dice che l’asssino quando era bambino era bambina e stava con una nutrice, poi che la nutrice era sua zia, poi che questa somiglia stranamente ad un certo personaggio della rosa dei sospettabili, poi.. insomma una serie di falsi sospettabili che generano scompiglio.
Mani affusolate maschili, mani e torsi villosi virili, amicizie etero e gay, uomini dal viso femmineo, donne dalle espressioni dure maschili, uomini che usano tacchi alti, come le donne: si potrebbe dire che questo romanzo, sia un classico dell’ambiguità.
Per certi versi, la nave isolata in mezzo al mare, su cui sono perpetrati due omicidi (il secondo, quello con l’ago, richiama di nuovo un Ellery Queen della serie di Drury Lane, solo che lì l’ago è intinto nel curaro mentre qui è inserito a forza nella nuca e spezzato dentro), prefigura una specie di Camera chiusa allargata; e gli elementi che si scatenano sul mare, se accelerano la tensione, servono anche a isolare l’azione a bordo della nave, e a impedire che l’assassino possa mettersi in salvo (assieme agli altri, s’intende). E la presenza di latitudini diverse, ognuna a intitolare un diverso capitolo, sta a significare che la nave pur muovendosi, è indiduabile solo a mezzo del calcolo della latitudine e non già attraverso altri mezzi, per cui propriamente è isolata in mezzo al mare. Il ricorso alle varie latitudini, serve anche a concentrare ancor più l’attenzione del lettore sugli eventi a bordo del piroscafo. Del resto il tiolo originale del romanzo è Murder By Latitude. Questa simbologia tuttavia, che nell’edizione delle Palmine , esisteva, successivamente è stata abbandonata, come spesso accaduto nel passaggio da I Libri Gialli a ristampe Mondadori posteriori; e anche nel romanzo in edicola in questi giorni (maggio 2012), manca, secondo me, in maniera inappropriata.
Per il resto…un capolavoro.

Pietro De Palma