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sabato 28 settembre 2024

Ngaio Marsh : Giochiamo all’assassino (A Man Lay Dead, 1934) – trad. Giulia Betocchi – I Gialli del Secolo N. 211 del 1956.

 

 

 

 

 Quando ero giovane, ho letto (si può dire) tutta l’opera di Agatha Christie.
La scelta fu indotta principalmente da due fattori: il primo fu la sponsorizzazione diretta della mia indimenticata docente (del Ginnasio) di Lettere, Latino e Greco, che non faceva altro che parlare di Agatha Christie, di Poirot sul Nilo, di Corpi al Sole etc.. E già questo sarebbe un tassello non di poco conto, visto che in Italia, la letteratura di genere è ritenuta poco più che niente al confronto di altri generi di letteratura “più nobili”e pochissimi sono i docenti che la difendono. Ma per di più non si deve dimenticare che Agatha Christie ha goduto di un trattamento più che di favore presso la Mondadori, in quanto la sua opera completa di romanzi e racconti polizieschi è stata messa a disposizione dei lettori, in maniera integrale, in libreria. Fenomeno più unico che raro. Per uno come me, che era curioso di leggere cose che non fossero quelle di Nancy Drew, dei Tre Investigatori, e degli Hardy Boys, che già avevo letto, la scelta quindi era più che obbligata.
Devo dire in tutta sincerità che la Christie mi è piaciuta molto, non del tutto però. Col tempo, ho cominciato a leggere dell’altro, e ho scoperto come vi fossero degli scrittori di pari livello forse, ma non pubblicati in Italia, in libreria, come lei.
I miei lettori sapranno che io amo molto Ngaio Marsh e Christianna Brand, al pari di Agatha Chistie. Negli ultimi anni, le prediligo alla più nota scrittrice. Oggi parlerò di un romanzo di Ngaio Marsh, non trovabile in libreria, e neanche pubblicato da Mondadori, ma da..nei Gialli del Secolo. Quindi ad oggi virtualmente introvabile o reperibile solo difficilmente. Perché ne parlo allora? Perché questo blog non è rivolto a cose che si possano trovare, ma anche e soprattutto a cose introvabili, eppure straordinarie, così da costituire l’input a che qualcuno le cerchi (e magari qualcun altro le ripubblichi).
Straordinario romanzo? Sì, proprio così. Purtroppo, per una scrittrice come Ngaio Marsh, famosa anche e soprattutto per le sue meravigliose descrizioni, un testo tradotto all’osso, senza orpelli, ma neanche senza quelle raffinatezze che solo una traduzione integrale e fatta bene, avrebbe saputo valorizzare, un romanzo come questo, presentato nella Collana dei Gialli del Secolo, perde molto del proprio fascino. Eppure è ancora un eccezionale saggio di scrittura e genialità. Non dirò nulla su Ngaio Marsh, perché ne ho parlato altre volte; dirò solo qualcosa su questo romanzo. 

A Man Lied Dead, è la sua opera prima. 

Fu pubblicata nel 1934. E’ un coacervo di idee, ognuna di per sé interessante: armi antiche e maledette, società segrete, tre russi che complottano, e un delitto inspiegabile. Idee che non è detto che in altre mani avrebbero, tutte insieme, prodotto un risultato soddisfacente. Il fatto è però che in questo caso ci troviamo dinanzi ad una delle scrittrici maggiori del ‘900, famosa non solo per i suoi romanzi polizieschi ma anche per i suoi lavori teatrali. Anzi, posso dire, senza timore di essere contraddetto, che questo primo suo romanzo è assieme un’opera teatrale ed un romanzo poliziesco: ha un così alto livello di spettacolarizzazione, di orchestrazione e di cura dei particolari, da lasciare interdetti.
Sir Hubert Handesley è famoso per le sue feste, indimenticabili. Ha invitato questa volta sua nipote Angela North, Charles Rankin un uomo di 46-47 anni, inveterato playboy, Nigel Bathgate, cugino di Rankin e giornalista di cronaca, Rosamund Grant, una gran bella donna, e infine i signori Wilde, Arthur archeologo, e sua moglie Marjorie. Scopo della festa è organizzare un Cluedo Party: il gioco dell’assassino. Bisognerà prima scegliere un assassino, che dovrà scegliersi la vittima. Una volta comunicata la sua decisione, la vittima dovrà fare il morto e gli altri dovranno – entro un tempo limite – scoprirne l’assassino. Il fatto è che non tutto va dove dovrebbe andare: in altre parole, dopo che l’assassino ha colpito, il morto..rimane morto sul serio: Charles Rankin, che aveva avuto il torto di cercare a tutti i costi di rendersi antipatico ( deridendo in pubblico Arthur Wilde, mettendolo letteralmente in mutande; prendendo in giro le due donne Marjorie e Rosamund, entrambe di lui innamorate, ed una delle due, Marjorie fedifraga, avendo con lui una relazione extramatrimoniale; inimicandosi il dottor Tokareff, medico russo, facente parte di una società segreta, a causa di un antico pugnale mongolo, che Rankin ora possiede ma che prima apparteneva alla società segreta di cui Tokareff è uno degli affiliati; e per di più aveva promesso, in caso di morte, 3000 sterline ad Arthur Wilde e il pugnale al padrone di casa , Sir Hubert Handesley, noto collezionista di armi antiche), giace ora per terra, col pugnale mongolo infisso nella schiena, secondo un’angolazione per cui lo stesso cuore sia rimasto trafitto.
Ben presto, l’Ispettore Roderick Alleyn, rampollo di famiglia aristocratica, che lavora in polizia più per appagare una sua passione che non per altro, entra in scena, trovandosi di fronte ad un problema apparentemente insolubile: tutti i soggetti sono al riparo da accuse, in quanto ognuno di essi è protetto dalle dichiarazioni almeno di uno degli altri invitati, se non del personale di servitù. Qualcuno deve pur avere ucciso Charles Rankin! Eppure dalle testimonianze, tutti gli autori del dramma sarebbero nell’impossibilità di aver commesso l’omicidio: c’è chi stava nella vasca da bagno, chi cantava squarciagola dall’altra parte della casa, chi era stata vista altrove dalla servitù. L’unica persona che sembrerebbe essere più a rischio è Rosamund, il cui alibi è stato contraddetto da una cameriera.
Intanto però si muovono, assieme al subplot centrale, altri secondari: la società segreta, il pugnale antico e maledetto, la fuga del maggiordomo, Vassily, anche lui russo; la morte apparentemente sconnessa di un polacco a Soho. Poi vengono trovati degli indizi: un guanto bruciato nel camino, la lanugine di una pelliccia nera attaccata ad un cancello del cortile, una lettera misteriosa. E alla vicenda centrale si lega quella di una macchinazione di una società segreta, di torture, delle indagini più che di Alleyn, cui è riservato il ruolo di “deus ex-machina”, dello stesso Nigel innamorato (amore ricambiato) della bella Angela North. E’ come se la Marsh, qui facesse le prove generali per le sue storie indimenticate, che intrecceranno vicende poliziesche a elementi sentimentali (la storia di Agatha Troy, pittrice, con Roderick Alleyn, Ispettore di polizia ma soprattutto Lord: non a caso, in uno sceneggiato che venne costruito su questa storia, ad Angela North di cui si innamora ricambiato Nigel Bathgate, venne sostituita Agatha Troy, presente in gran parte delle altre storie della Marsh).
Può essere stato Tokareff ad assassinare Rankin, per rientrare in possesso del pugnale, detenuto impropriamente da Rankin? Oppure il padrone di casa per accaparrarsi un oggetto preziosissimo? O lo stesso Wilde per entrare in possesso delle 3000 sterline (ma non ne avrebbe bisogno)? Oppure sono state le due donne, Rosamund o Marjorie ad assassinarlo per vendicarsi di essere state usate? Oppure la stessa Angela o Nigel, per oscuri motivi? Qualcuno ha suonato il gong, quando è stato commesso l’omicidio: per quale motivo richiamare l’attenzione dei presenti? Perché è andata via la luce? Chi ha potuto colpire alle spalle Rankin, abbastanza alto da raggiungere la panoplia nella quale è stato riposto il pugnale, afferrarlo e colpire alle spalle Rankin, che stava preparandosi un cocktail, senza che lui se ne accorgesse? E soprattutto come ha fatto tenendo conto che tutti (tranne Rosamund, ma non è lei l’assassina) hanno alibi inattaccabili, cioè sono messi al riparo dalle indagini dalle testimonianze si altri soggetti del dramma? Ci riuscirà in ultima battuta Alleyn, con un exploit ed una soluzione da lasciare a bocca aperta.
Già con questo primo suo romanzo, con la pubblicazione del quale Ngaio Marsh entrò a pieno titolo nell’ambito del gruppo delle Crime Queen (formato anche da Christie, Sayers e Allingham), Ngaio Marsh delineò la sua tecnica narrativa che avrebbe fatto scuola: c’è una prima parte in cui viene presentato il luogo e gli autori del dramma, avvengono le schermaglie tra gli stessi, e viene presentata di solito ed inquadrata l’ipotetica vittima, quasi sempre abbastanza antipatica da poter accentrare su di sé le ire dei presenti. Poi avviene il delitto ed entra in scena l’ispettore Alleyn che comincia a raccogliere indizi, per costruire delle prove. Infine Alleyn inchioda, nel corso di spettacolari finali, l’insospettabile assassino alle sue responsabilità.
Questo romanzo potrebbe essere ascritto a quelli con delitto impossibile se non con Locked Room celata. Perché? Nel corso del romanzo, a un certo punto, si precisa che nessuna altra persona, dal di fuori, avrebbe potuto commettere l’omicidio di Rankin, perché la casa era stata isolata da una nevicata che aveva avvolto la campagna circostante, per più di congelata. Quindi, se Ten Little Niggers di Agatha Christie fosse una Locked Room, come alcuni dicono, perché i crimini avvengono su un’isola, anche questo romanzo di Ngaio Marsh potrebbe essere ascritta alla lista delle Camere Chiuse.
Tutti i romanzi presentano questa successione di momenti sempre ben cadenzati, già presenti in questo primo romanzo, in cui, è bene dirlo, il grosso dell’indagine non è svolto tanto dall’ispettore, quanto dal giornalista. Avviene cioè, quello che leggiamo nella prima avventura del Merrivale, di Carter Dickson: l’entrata in scena, attentamente studiata, del personaggio presente in tutti i romanzi della scrittrice, che ha una funzione di vero e proprio deus ex-machina, colui che risolverà l’enigma, partendo da indizi di per sé senza sostanza. Ngaio Marsh delinea qui quello che sarà il carattere tipico della scuola britannica, differenziandola da quella americana, nell’ambito del Mystery: prima del delitto c’è sempre (o quasi) una specie di introduzione in cui vengono descritti i personaggi e si delineano le azioni del dramma; dopo il delitto, invece, entra in scena il detective, che risolve il tutto. Parecchi sono gli autori che si attengono a questo tipico modo di presentare la storia: per esempio un’altra classicissima scrittrice, come Georgette Heyer. John Dickson Carr invece pur facendo parte e operando nell’ambiente inglese degli anni trenta, se ne discosta radicalmente, anche perché è americano: tutti o quasi gli americani cominciano la storia col delitto, e semmai, dopo, spiegano gli antefatti.
Notiamo inoltre un’altra caratteristica che invece accomuna stranamente la Marsh alla narrativa di ambiente americano (ma accadrà anche per Christianna Brand per altre ragioni), soprattutto all’ambiente vandiniano, a testimonianza che non è detto che Van Dine non abbia avuto proselite o sviluppatori anche nella scuola britannica: Alleyn è un aristocratico come Vance; le storie contengono quasi sempre dei particolari bizzarri; i delitti se non sono impossibili, poco ci manca!; gli ambienti sono formalmente circoscritti; vi sono sempre riferimenti all’arte, al teatro, al collezionismo; ed è poliziotto, come Michael Lord di Daly King o Tatcher Colt di Abbott.
Ancora un’altra cosa: la presenza di più subplot, che di per sé anche non collegabili direttamente al delitto, comunque hanno il pregio di incasinare la situazione, distogliendo gli spettatori dal vero obiettivo dell’azione scenica: inquadrare l’assassino. Spesso inoltre Marsh, afferma delle cose, che poi vengono contraddette da altre, e spiegate in diversa maniera, prima insinuando il possibile colpevole, poi liberandolo dalle accuse ed infine ritornando su di esso ed inchiodandolo alle sue responsabilità. Con una storia che ha i tratti a volte della spy-story (la congiura filo-bolscevica), a metà anche nelle ultime sezioni del thriller e dell’hardboiled, con un poliziotto e Nigel prigionieri dei russi, picchiati e torturati con gli spilli sotto le unghie, ma soprattutto del mystery puro, Ngaio Marsh affascina, regalandoci un romanzo straordinario per intensità, ma delizioso al contempo per la leggerezza dell’impianto e per la poliedricità delle voci in capitolo: come un consumato direttore d’orchestra – ma qui è al suo esordio! – Ngaio Marsh riesce a dare corpo a diversi movimenti, a dare voci a diverse sezioni strumentali, pur senza perdere mai la visione dell’assieme e del particolare. E nello stesso tempo, imbastisce una vicenda nella vicenda: un Cluedo ad uso del lettore, che utilizza il Cluedo come base per la messinscena narrativa, applicando idee anche di altri scrittori: alcuni hanno messo in chiaro come le torture e i malviventi rimandino a storie di Wallace, mentre a me il delitto spiegato in termini di secondi, mi fa pensare a certi romanzi di Crofts, basati su alibi inattaccabili che poi vengono smascherati (come qui).
Rimarco infine come in tutte le sue storie, Ngaio Marsh, ripetendo all’infinito, in tutte le varianti, la sua costruzione teatrale della vicenda, basata su tre sezioni scandite regolarmente e continuamente, faccia suo e applichi in un ambito narrativo, una tecnica che, ai primi dell’Ottocento, era espressione della musica strumentale più classica: tre sezioni, concatenate tra loro, variate innumerevoli volte, secondo i temi musicali (spesso opere liriche ed arie) da innumerevoli autori : una Introduzione, in cui viene inquadrato il tema dell’azione; un Tema e delle Variazioni in cui l’azione si sviluppa in vari modi; un Finale, spesso virtuosistico, in cui l’azione finisce in una catarsi liberatoria.
Possibile che Ngaio Marsh abbia elaborato la costruzione delle sue storie partendo da una tecnica compositiva tipica del Biedermeier musicale di primo Ottocento? Secondo me è possibilissimo, tanto più che il Biedermeier, che altrimenti e altrove si evolve nel romanticismo, in Inghilterra rimane, per più tempo, connesso alla forma della Monarchia, che altrove finisce, mentre qui rimane intatta. E non a caso la società che la Marsh rappresenta, il più delle volte, è quella aristocratica, vista nella sua visione più conservativa, proprio perché non vissuta, ma assunta come propria pur non essendolo: non a caso Ngaio Marsh, neozelandese, diventa più britannica di scrittori britannici come per esempio Edmund Crispin o Nicholas Blake, che invece tendono a staccarsi dall’ambiente più tipicamente conservatore della narrativa inglese, proponendo storie che li avvicinano invece ad esponenti non britannici.
Un po’ un moto al contrario rispetto a quello di Ngaio Marsh. 

Pietro De Palma

sabato 27 giugno 2020

Ngaio Marsh . Quel giorno a Roma (When in Rome, 1970) - trad. Manola Stanchi. I Gialli di Qualità Rizzoli, del 25 dicembre 1975

When in Rome, è un romanzo di Ngaio Marsh del 1970. E' il 26° romanzo con Roderick Alleyn, e propone una trama intricata, ma non troppo, e soprattutto in linea coi tempi.
Roderick Alleyn è stato inviato a Roma, sulle tracce di una organizzazione criminale internazionale che spaccia eroina, hashisc e cocaina in Europa, che si è allargata aggiungendo alle consuete rotte dello spaccio che vede Nizza, piazzaforte principale, un'altra italiana: Napoli. Roma è importante, perchè in essa opera uno dei "pesci" più importanti, un tale Sebastian Mailer, di nazionalità britannica, che potrebbe essere la chiave per arrivare a Ziegfield che è il capo dell'organizzazione, con sede in Libano. Così viene inviato Alleyn, che prende contatti con la polizia italiana, nella persona del Questore Valdarno. Sebastian Mailer oltre che spacciatore, ha anche un'altra attività, rispettabile: fa il Cicerone, di gruppi di turisti, che vogliano conoscere di Roma le attrattive storiche, artistiche e folkloristiche più nascoste ma allo stesso tempo, interessanti. E pertanto Alleyn fa in modo di essere aggiunto ad un gruppo, quantomai bizzarro: c'è Lady Braceley con suo nipote Timothy Dorne, una delle donne più ricche del jet set internazionale; ci sono i Baroni Van Der Veghe, marito e moglie, olandesi; c'è il Maggiore Swift, dell'Artiglieria Reale inglese; c'è una giovane scrittrice inglese, Sophy Jason; e infine c'è  Barnaby Grant, scrittore famosissimo. E' lui la vera attrazione del gruppo, anche se Alleyn sulle prime non riesce proprio a capire come Grant si sia prestato a fare da "ruffiano" nell'iniziativa di Mailer, a sponsorizzarlo, tanto più che non è questa la prima volta che si è prestato con Mailer.
Il tour dispone di un'organizzazione di tutto rispetto: delle lussuosissime Lancia bianche sono a disposizione dei componenti la comitiva per gli spostamenti, il gruppo cena e pranza in lussuosissimi ristoranti di chiara fama, e questo è spiegato dalle quote che i partecipanti hanno dovuto pagare, veramente esorbitanti. E visita punti della Roma antica fuori dalle consuete rotte: uno di questi è San Tommaso in Pallaria, una basilica su vari livelli, che la comitiva visita ammirata. Alla chiesa a piano stradale, segue una raggiungibile con una scalinata, risalente ad un periodo molto più antico, e da questa tramite altri passaggi, si arriva ad un livello ancora più antico, quello della Roma imperiale, con un Mitero. C'è anche un pozzo molto antico, con dei punti di luce, che mette in contatto il piano superiore con quello inferiore e con un fiume sotterraneo che ha acque assolutamente pure. 
Proprio mentre la comitiva sta per vicitare la struttura, ha luogo lo scontro tra Mailer e una venditrice di souvenirs e cartoline, che poi si rivela essere la sua ex moglie, tra cui non scorre affatto buon sangue: Violetta.
La visita ha luogo, i partecipanti fanno foto alle statue, sarcofaghi, affreschi, strutture architettoniche e finalmente alcuni di essi raggiungono il Mitreo dove vogliono immortalarsi davanti alla statua del dio Mitra: Alleyn, i coniugi olandesi, Jason e Grant. Lady Braceley, il nipote, e Swift invece sono altrove, impegnati a cercare Mailey che è sparito.
La visita finisce e tutti cercano Mailey. Intanto il tour prosiegue seguendo le tappe fissate nell'organizzazione: c'è Giovanni Vecchi, l'autista di Mailey, che fa da tramite in sua assenza, portando la comitiva anche in costosissimo ristorante e poi in un equivoco night.
Alleyn allerta la polizia, ma di Mailey nessuna traccia: così inquivocabilmente, dopo aver perquisito il suo appartamento e averlo aspettato nei posti dove si reca a mangiare, invano, Alleyn e il Questore Valdarno, ritornano nella Basilica inferiore e qui scoprono in un sarcofago, il cadavere di Violetta, strangolata. Attribuendo l'omiocidio a Mailey, e rivalutando certe voci sentite, e un rumore come di porta sbattutra, che perà sarebbe potuta essere la lastra tombale del sarcofago, le ricerche si estendono in tutta Roma, senza risultati.
Si ritorna alla basilica inferiore su richiesta dei monaci irlandesi che operano nella chiesa, perchè sentono un forte fetore di topi morti, sepmpre che non possa esseci qualcun altro, morto: così Alley seguendo l'odore arriva al pozzo, si fa calare e a sprezzo di pericolo, trova a pelo d'acqua il corpo di Mailey incastrato in antica grata di ferro che metteva il pozzo in comunicazione col fiume sotterraneo. anche lui strangolato.
Attraverso i movimenti degli appartenenti alla comitiva nella chiesa inferiore, riuscirà non solo a scoprire come alla base del tour ci fosse un'attività di spaccio di droga, ma anche di ricatto nei confronti di alcune persone, e ovviamente si arriverà all'individuazione dell'assassino, che però Alleyn una volta tanto lascerà andare in pace, perchè un altro colpevole era stato accusato dell'assassinio di Mailey, che poi è morto, colpevole anche di essere un'altra pedina dello spaccio di droga.
Il romanzo è atipico, per certi versi, perchè mischia elementi di Giallo classico (un delitto duplice in cui sono implicati soggetti appartenenti alla Buona Società), con elementi di crimine più comune e non certamente classico (il traffico di droga). In questo, Ngaio Marsh è raffrontabile ad Agatha Christie, fino ad un certo punto: Ngaio Marsh fu una donna sempre molto anticonformista, mentre Agatha Christie era una tradizionalista, quindi in sostanza due tipi non proprio simili; però entrambe parlano dei cambiamenti della società. Anche Agatha Christie lo fa in Third Girl ( Sono un'assassina?), solo che la prospettiva è diversa: mentre infatti nel romanzo della Christie, vi è una critica al mondo degli anni sessanta, nel romanzo della Marsh, non vi è alcuna critica: Alleyn assiste alle rivolte e devastazioni, senza commentare, come farebbe un giornalista cronachista, come se non lo riguardasse.

In più c'è anche l'attività del ricatto cui Mailer si dedica, e non a caso del gruppo di turisti abbienti di cui egli è il Cicerone, fanno parte persone ricattate da lui, che sono lì proprio perchè egli le sta taglieggiando: abbiamo quindi come struttura narrativa, un'introduzione, che spiega come Mailer attragga nella sua rete il famoso Barnaby Grant, il plot principale che porta in sostanza all'assassinio duplice di Sebastian e Violetta, e due subplots che hanno però la loro importanza nella storia: il traffico di droga e il ricatto, e questo perchè, alcuni appartenenti del gruppo sono o drogati o ricattati, anche quelli che parrebbe non siano implicati negli omicidi, avvenuti quando vi era stata la separazione del gruppo in due sottogruppi, nel momento delle foto nel mitreo.
Vari sono i richiami interessanti di questo romanzo, sia di natura artistica che sociale. E anche è interessante il confronto tra il metodo di indagine anglosassone e quello italiano: la Marsh fu seriamente interessata a ciò e si documentò prima di scrivere il suo romanzo, perchè anche se non ne ho parlato, vari sono gli accenni alla componente della polizia italiana, cui noi tutti siamo abituati ma che non si trovano nel romanzo anglosassone tipico:da noi l'inchiesta viene svolta dal magistrato che si avvale delle forze di polizia, lì c'è il Coroner che svolge unùa specie di processo indiziario per stabilire se una morte sia accidentale o un omidicio, e solo dopo parte l'inchiesta che è svolta dalle forze di polizia e non dal magistrato.
Il romanzo si apre con la visita a Villa Giulia. Poi c'è la Basilica di San Tommaso in Pellaria (che non esiste) richiama direttamente una che esiste, ed è una delle 7 Basiliche di Roma: San Clemente, che ha sia una chiesa di epoca medievale, circa trenta centimetri sotto il piano stradale, sia una  altomedievale con affreschi mutili di epoca carolingia, al piano sottostante (cui vi si accede con una scalinata che parte dalla sala dedicata ai souvenirs, come nella chiesa inventata dalla Marsh); sia infine un livello di epoca imperiale, come una cisterna e forse il mitreo più importante di Roma (ve ne sono circa sette intorno, tra cui uno a Sutri); e infine ultimamente sono state ritrovate abitazioni ad un livello ancora più antico di epoca repubblicana. Anche in San Clemente vi è una sorgente di acqua (l'antico Rio Labicano) anche se non un pozzo (che ricordi io) ma vi è una porta di ferro, vicino al Mitreo che comunica con un ramo abbandonato della Cloaca Massima, .
All'inizio, del romanzo, quando Brand sta visitando Villa Giulia, Ngaio Marsh inserisce un indizio nascosto che si rivelerà molto più tardi, quando parla delle statue e delle terracotte etrusche: in sostanza parla del sorriso enigmatico di alcune statue etrusche e le mette a confronto con alcuni personaggi più avanti, ne prosieguo del romanzo: How fulfilled they were and how enigmatically alike, scrive la Marsh all'inizio del romanzo, quando Brand si aggira in Villa Giulia. E alla fine  dirà: che  alcuni personaggi  " they had become the Bride and Bridegroom of the Villa Giulia sarcophagus". Anche il sorriso etrusco assume una sinistra connotazione, e la Marsh chiamerà dei personaggi  "the Etruscans".
I richiami di natura sociale, sono quelli delle manifestazioni studentesche, con assalti e devastazioni: si trova il richiamo, sia nel capitolo nono del romanzo originale sia in quello sesto del Giallo Rizzoli (tagliato, sia bene dirlo: a fronte delle 200 pagine originali, la versione italiana consta  di 140 pagine, e invece dei 10 capitoli iniziali, quelli della versione nostra sono 7: vengono tagliate descrizioni, e qualcos'altro, tipo il flirt tra Barnaby Grant e Sophy Jason, che nell'edizione italiana si intuisce mentre in quella originale è descritta. Però a ben vedere, anche se tagliato, il romanzo ha una sua fludità, nella traduzione italiana, il cui montaggio di solito è fatto bene). 
La Marsh, richiama nel romanzo quello cui lei assistè nel 1968, quando si recò a Roma in viaggio e trasse dai suoi appunti, le basi della trama del romanzo.
Se lo scrittore Barnaby Grant a me fa venire in mente Barnaby Ross (secondo pseudonimo dei Queen), vi è anche qualche altro richiamo ad altri romanzi: ad esempio la comitiva, in cui alcuni appartenenti guarda caso sono ricattati da Mailer, che mentre fa da Cicerone, fissa anche il prezzo del silenzio, mi riporta ad un romanzo posteriore di Doherty, in questo blog analizzato, The Merchant of Death  ( Il Pittore di Canterbury), in cui la compagnia presente in una data locanda, è composta da gente ricattata da un personaggio. E mi sembra anche possibile che Doherty abbia letto Marsh. 
Il delitto in sè, forse per l'illustrazione dei luoghi e dei movimenti degli appartenenti alla comitiva, avrebbe avuto bisogno di una piantina, che manca anche nel romanzo originale: io avendo visitato due volte San Clemente, e il mitreo, ho potuto seguire il filo narrativo, che però ad altri probabilmente riuscirebbe più ostico. Si tratta in sostanza di un quasi delitto impossibile, in quanto sparisce un uomo, svanisce, non viene visto allontanarsi, e il delitto sarebbe stato perfetto, se il cadavere cadendo non si fosse impigliato nella grata, invece di essere trascinato altrove dalla corrente: del resto, l'emento della Basilica inferiore è centrale, ruota tutto il plot intorno, e quindi uno si aspetta da un momento all'altro che un secondo cadavere, quello di Mailer, venga trovato. Qui è il puzzo della decomposizione che lo rivela. Di sorci ve ne sono anche in San Clemente (la Marsh deve aver visto anche lei la comunicazione con la Cloaca massima e anche a lei i Monaci irlandesi, che stanno anche in san Clemente, devono aver parlato delle inondazioni del Tevere e delle derattizazioni di topi che effettuano di tanto in tanto, come ne parlarono a me e mia moglie: ne vidi anche uno stecchito nella cisterna di epoca romana, un sorcetto). 
Ngaio Marsh, nella revisione della sua biografia Black Beech and Honeydew, nel 1984, parlò proprio della sua visita a San Clemente di Roma (in cui poi decise di inserire l'ambientazione del suo delitto):
“I knew at once that I wanted to write about him (Mithras) and when we got home began to read about his cult and what is known of the rites that were practised in his honour. It was easy to fill the triculum (triclinium, a formal Roman banqueting couch in a dining room) with the bellowing of a garlanded bull and the reek of blood on hot stone”. Ella visitò il sito assieme a Lady Doris McIntosh.
Il pozzo, con i punti luce, da cui è possibile guardare il piano soprastante, a me ha fatto ricordare "Il pozzo di San Patrizio" a Orvieto. La Marsh doveva conoscere di Orvieto almeno le cose principali: in Black As He's Painted del 1974 (da noi inedito), ricorda i vini italiani e il bianco secco di Orvieto, in un passo: The cheeses are excellent. Bottles of dry Orvieto are slung overhead and other Italian wines crowd together inside the door (cap. 2).
La prova che inchioderà l'assassino (ma Alleyn "lo perdonerà" perchè ricattato in maniera infame) sarà una foto, che dimostrerà che non si trovava laddove invece sarebbe dovuto essere.

Pietro De Palma

lunedì 24 dicembre 2018

Ngaio Marsh: Delitto d’annata (Vintage Murder, 1937) – trad. Oriella Bobba – Il Giallo Mondadori N.2231 del 1991 – 1^ edizione; in Gli Speciali del Giallo Mondadori N.74 del 2014 – 2^ edizione.

Quinto romanzo in ordine cronologico, Vintage Murder, risale al 1937. Appartiene al cosiddetto filone tematico “teatrale” di Ngaio Marsh. Infatti, per chi non lo sapesse, Ngaio Marsh fu, oltre che una grande scrittrice di polizieschi classici, anche una grande regista e scrittrice teatrale. Non solo. Coltivò anche l’arte della pittura. E inserì le sue passioni nei suoi romanzi. Un po’ quello che fece Agatha Christie, soprano mancato, che spesso inserì nei suoi lavori accenni musicali ad operette, opere liriche e musiche per pianoforte. Così anche Ngaio Marsh.
In particolare questo romanzo appartiene al filone del teatro: segue, peraltro, in questa sua originale falsa riga, il primo romanzo in cui l’ambiente teatrale entra di forza, cioè Enter a Murderer del 1935, tradotto in Italia col titolo Delitto a teatro (Eliot Edizioni, 2010). Non ho citato a caso il primo romanzo della “serie teatrale”, inserita in quella più vasta di Roderick Alleyn, perché è come se Ngaio Marsh stessa avesse voluto ricordare qui il suo primo romanzo, quasi creando un percorso obbligato nell’ambito della sua produzione: infatti uno dei personaggi presenti qui riconosce in Roderick Alleyn il protagonista del caso narrato nel primo romanzo di Ngaio Marsh. Tuttavia non è il solo caso in cui Ngaio Marsh abbia unito due romanzi: infatti, posteriormente, sempre nell’ambito della “serie teatrale”, altri due romanzi saranno idealmente uniti : Death at the Dolphin del 1966 (finalista agli Edgard Award) pubblicato  nei Gialli Rizzoli nel 1975 e l’ultimo romanzo, il 32° della produzione della Marsh, Light Thickens. Entrambi si muoveranno dentro il Dolphin Theatre proprietà di Peregrine Jay.

Quindi, in sostanza, il tema del teatro era uno molto amato dalla scrittrice, e questo lo si nota nei suoi romanzi dedicativi, tant’è vero che Ngaio Marsh divenne popolare presso il pubblico interessato al genere poliziesco, proprio per i suoi thriller di ambientazione teatrale. Ma la particolarità di ambientazione (che ispira l’atmosfera tramite le descrizioni) del romanzo che mi accingo ad analizzare, non è limitata al teatro, ma anche alla natia Nuova Zelanda. Si vede subito che la Marsh, quando parla del suo Paese di origine si trova maggiormente a proprio agio che non quando parla di altri ambienti. Per questo direi che questo romano se non un unicum, è uno dei suoi migliori.
Roderick Alleyn si è preso un anno sabbatico per riprendersi da un’operazione chirurgica. Per questo va in vacanza in Nuova Zelanda, e qui, nel treno, si imbatte ina una compagnia teatrale che si sta recando nella fantomatica città di Middleton. Evidentemente il successo che egli ha riportato risolvendo il caso descritto in Enterer a Murder, e le fotografie che lo hanno ritratto, sono stati ben assimilati dai membri della compagnia se è vero che viene riconosciuto ben presto. Ma, come si sa bene, i detective fanno il loro mestiere anche in vacanza: se Michael Lord di Charles Daly King si trova coinvolto in un caso alle Bermude mentre è in vacanza, se accade a Poirot e Arsene Lupin, se anche Miss Marple trova il mistero quando va al  Bertram Hotel o ai Caraibi, si può esserecerti che anche ad Alleyn capiterà qualcosa. Infatti qualcuno cerca di buttare fuori dal treno in corsa, il produttore della compagnia Alfred Meyer ed è sua moglie, la protagonista Carolyn Dacres a chiedere l’intervento di Alleyn. E quando il viaggio prosegue in nave, ecco che un furto si verifica ai danni di un membro della compagnia. Ma tutti questi antefatti servono solo per accendere l’interesse del funzionario di Scotland Yard, che si trova ancora una volta immischiato in un delitto quando, nel teatro di Middleton, il Royal Theatre, nel mezzo di una festicciola organizzata dall’impresario Meyer per sua moglie, che dovrebbe culminare nell’arrivo, su una tavola posta sul palcoscenico, di una “Jeroboam”, una bottiglione di 3 litri di champagne (una doppia Magnum), in virtù di un sistema di contrappesi, già precedentemente calibrato. Il fatto è però che qualcuno, l’assassino, ha liberato la bottiglia dai contrappesi, per cui, quando viene azionato il meccanismo, il bottiglione piomba sulla testa del povero Meyer sfondandogliela, nel panico e raccapriccio generale, e spruzzando attorno sangue, champagne e ..materia cerebrale.
Alleyn che è lì casualmente, si viene a trovare al centro dell’inghippo e la polizia locale ben presto coglie al volo l’aiuto che il poliziotto figlio di una Lady offre, cosicchè ad operare da quel momento in poi saranno Alleyn e i funzionari di polizia incaricati del caso, sergente Cass e sovrintendente Nixon della Polizia Neozelandese prima, e con il sergente Parker e l’ispettore Wade della Squadra investigativa dopo. Anzi sarà proprio Wade a fare coppia con Alleyn (Wade è più sobrio e serio del suo collega Nixon). Tanto più che proprio Alleyn aveva regalato a Carolyn Dacres un amuleto maori, un tiki, che lo stesso Alleyn scopre sulla graticciata soprastante il palcoscenico, dove qualcuno ha trafficato coi pesi e contrappesi. Che c’è andata a fare lì Carolyn? E’ lei l’assassina? Ma come avrebbe fatto? Infatti un gioco di tempi e di testimonianze sembra escludere non solo Dacres ma anche tutti gli altri membri della compagnia: sembra un delitto impossibile, come se la magnum si fosse librata da sola e sempre da sola avesse deciso di porre fine alla vita sfortunata di Meyer, marito innamorato, ma anche “cornuto”, visto che la moglie se l’intende con un attore della compagnia, tale Hambledon. E’ evidente quindi che la Dacres può aver perduto il suo amuleto solo dopo l’avvenuta tragedia e che si sia recata lì, dove supponeva che qualcosa fosse accaduto, per suffragare la sua ipotesi, sbagliata (ma diventa tale anche agli occhi della polizia locale), che il suo amante, Hambledon, avesse potuto uccidere suo marito, spinto dalla gelosia. Del resto la polizia è portata a sospettare di lei proprio perché qualcuno ha sentito la mattina dell’omicidio, Hambledon fare una dichiarazione di amore e di sposalizio alla bella Dacres, nel momento in cui fosse morto Meyer.
Ma la storia, se confezionata da Ngaio Marsh, non può essere mai troppo semplice. Maestra nel gestire le trame con molti personaggi, infatti la Marsh pone molti tra i sospetti per la morte dell’impresario: certo, potrebbero essere stati la moglie e l’amante; ma anche Liversidge o Broadhead, attori giovani della compagnia, sospettati, ciascuno, di aver rubato i soldi di Valerie Gaynes (Meyer aveva inchiodato il responsabile del furto ma non aveva detto nulla per non insudiciare il nome della compagnia, pagando di persona quanto era stato rubato); o George Mason, socio di Meyer. Insomma..di sospetti ce ne sono. E anche di ruffiani: George Palmer maligna su Broadhead. Ma il furto ha attinenza o no col delitto?
In realtà uno sprazzo si farà strada nella mente di Alleyn, quando proprio il cameriere personale di Hambledon, Bob Parson, in possesso di una memoria eccezionale, si rivelerà il suo asso nella manica, disposto a giurare sull’innocenza di Dacres e del suo amante perché li ha visti uscire entrambi dai camerini e andare sul palco dove è avvenuta la tragedia, senza che nessuno dei due avesse fatto altre strade (cioè non si fosse arrampicato sulla graticciata, prima). Alleyn, a questo punto, eliminati gli elementi impossibili, può convogliare le sue energie verso un’unica direzione e inchiodare il vero assassino.
Romanzo di stampo iperclassico, segue il modello maggior seguito nelle storie anni ’30: nell’ambito di un gruppo di persone, radunate in un ambiente chiuso, si sviluppa una serie di eventi misteriosi che culminano con un delitto fantasioso.
Francamente, un plot di questo genere è raro: più spesso abbiamo l’uso di pugnali, pistole, fucili, veleni. Una bottiglia di champagne usata come arma non l’avevamo ancora vista. Ed è proprio con essa che si spiega il titolo del romanzo: Vintage Murder, fa riferimento proprio all’annata dello champagne contenuto nel bottiglione.
Molti e gustosi i tratti caratteristici di questo romanzo.
Innazitutto, le descrizioni del paesaggio: Ngaio Marsh dà il meglio di sé nelle descrizioni: là si vede la sua stoffa di scrittrice. Quando descrive l’ambiente del teatro; ma anche quando descrive la campagna neozelandese: gustoso il quadretto per esempio in cui ritrae l’attrice che si asciuga gli occhi (allergia?) motivando il tutto con la fioritura, in quel periodo dell’anno, di cespugli di thè. O quando Roderick Alleyn, Ispettore Capo del CID, Scotland Yard (una volta tanto un ispettore del CID che non fa brutte figure come i compagni di avventure di Fell o Merrivale, entrambi imbranati o quasi), si incanta a guardare gli uccelli cinguettare, o quando Alleyn chiede a Bob Parson, cameriere personale di H. Hambledon, che stava sul palcoscenico in una posizione tale da poter avere sotto controllo l’ambiente circostante quasi a 360°, di relazionargli i suoi tempi, così da stabilire esattamente la tempistica e poter così trovare la discrepanza che inchiodi l’assassino: per questo Parson ripete esattamente quello che aveva fatto pochi minuti prima dell’assassinio, arrotolandosi una sigaretta e fischiando un motivetto, A Bird in a Gilded Cage, abbellito da trilli, gorgheggi e trasportato su un’ottava più alta nel finale. Un quadretto simpaticissimo.
Altrettanto interessante è il dialogo con il dottor Te Pokiha, un maori. Il modo come ne parla la Marsh è interessante: sembrerebbe che se ne servisse per una sorta di colore da riversare nel romanzo. Infatti la descrizione delle terre neozelandesi fatta da un nativo possono risultare infatti più interessanti di quanto lo possa il racconto di un pakeha, un maori di razza bianca. E certo far incontrare un inglese a farlo relazionare con un “selvaggio” del luogo sembrerebbe un atto estremamente coraggioso, uno sdoganamento di una razza ritenuta inferiore a quella bianca (si ricordi che ancora negli anni ’30), ma in realtà qui non c’è in effetti una situazione di questo genere. Infatti, Te Pokiha non è un maori qualunque: è un aristocratico, un maori della classe dominante, coltissimo, educato ad Oxford, che parla orgogliosamente della sua terra e che si relaziona, si potrebbe dire, con un suo pari grado. E la descrizione del tiki, il fatto che esso fosse diventato un tapu, cioè un oggetto religioso, perché venuto a contatto con un ambiente sacro (un po’ quello che accade con le reliquie cristiane) e di come, portato via con un sacrilegio, fosse diventato un oggetto con aura negativa, e gli usi e le tradizioni connesse, sembrerebbero avere la stessa finalità che hanno descrizioni simili, nei romanzi di Carr o di Halter, cioè l’accrescimento della tensione. In realtà qui, questo non accade, perchè per di più posto nella parte finale del libro. Semmai costituisce solo una nota di colore e una descrizione che introduce meglio il romanzo.
Mi preme fare una considerazione sulla soluzione.
Sembrerebbe un delitto impossibile: infatti dalla testimonianza di Parson nessuno degli appartenenti alla compagnia potrebbe aver avuto l’occasione di uccidere Meyer perché lui teneva sott’occhio i camerini. E allora? Qui, come in altri romanzi di altri autori, il perno dell’azione di fonda su una porticina, che nessuno aveva notato, in un piccolo corridoio oscuro dietro il palcoscenico, porticina che comunica con il retro del teatro. Noto che una ambientazione simile (ma non uguale) la si può notare in un altro romanzo in cui l’azione drammatica si situa su un palcoscenico (Death of Jezebel, di Christianna Brand). In realtà c’è un altro romanzo che potrei dire sia derivato direttamente, immagino io, da questo: si tratta di To Study a Long Silence, di V.C. Clinton-Baddeley pubblicato in Italia col titolo di Applausi per un delitto. Anche lì infatti una porticina, con una serratura Yale, come qui, immette nel retro del teatro, all’esterno. Non credo si tratti di una coincidenza: Ngaio Marsh ha influenzato moltissimo il genere e quindi è probabilissimo che anche il romanzo di Baddeley, un autore interessante, pubblicato in Italia solo da Longanesi e Rizzoli, che situa l’azione durante una rappresentazione teatrale, possa avere ereditato qualcosa da Marsh.
Interessanti anche i falsi indizi, seminati allo scopo di giustificare un certo ragionamento che avrebbe salvato l’assassino, che ancora una volta viene condannato solo perché si verificano degli avvenimenti non previsti: la Dacres che sale sulla graticciata e modifica la scena del delitto, appendendo alla corda lasciata libera un contrappeso, troppo piccolo però (se non l’avesse fatto, si sarebbe potuto pensare anche ad un incidente: che cioè la corda a cui era appesa la bottiglia avesse perso il suo contrappeso originale); il dottor Te Pokiha che entra in teatro da una certa parte, nel momento in cui sarebbe dovuto rientrare l’assassino, impedendogli quella via e costringendolo ad altro sotterfugio.
Insomma un romanzo bello, avvincente e interessantissimo.

Pietro De Palma


sabato 1 dicembre 2018

Ngaio Marsh : Ricevimento col morto (False Scent, 1959) – trad. Mario Lamberti – I Gialli Garzanti “Le tre scimmiette” N. 198 del 1961; I Classici del Giallo Mondadori N.914 del 2002

Pubblicato nel 1959 per la prima volta, il New York Times nella sua rubrica di recensioni librarie definì il romanzo di Ngaio Marsh False Scent  una “delightfully witty and vivid novel of the London theatre”.
E’ il ventiquattresimo romanzo con protagonista Sir Roderick Alleyn, di origini nobili, prima Ispettore e ora Sovrintendente di Scotland Yard. E anche questa volta, come in altre passate, ha a che fare con un delitto maturato in una comunità teatrale.
Mary Bellamy è un’attrice di teatro molto nota, che recita con un contratto esclusivo, per la Compagnia di Marchant. Il marito, Sir Charles Templeton è maggiore azionista della società di Marchant, ed è lui che in un momento di difficoltà della Compagnia, immediatamente dopo il secondo conflitto mondiale, è venuto incontro a Marchant sorreggendone le possibilità e permettendo alla sua compagnia di reagire ed affermarsi. E Mary Bellamy recita solo per loro.
Il giorno del compleanno di Bellamy, viene organizzata una sontuosa festa a casa sua e oltre a molti invitati importanti della finanza e dell’aristocrazia, vi sono gli amici più stretti: il regista Timon Gantry; il costumista Bertie Saracen; l’attrice più giovane e partner sulle scene di Bellamy, Pinky Cavendish; il figlioccio di Bellamy e Templeton, Richard Dakers, commediografo; la sua fidanzata Anelida nipote di Octavius Brown, antiquario e libraio, e il colonnello Warrender, amico intimo dei Templeton. Tuttavia il Fato bussa alle porte, perché proprio in quel giorno in cui tutto dovrebbe andare bene… Bellamy prima litiga con Bertie e Pinky nella serra, dopo che lei gli ha regalato il costosissimo profumo “Indifesa”, per ragioni di gelosia (Bellamy vuole essere la Prima Donna della compagnia e non permette che altre possano insidiare la sua posizione di prestigio e predominio nella Compagnia e al tempo stesso pretende che tutti anche i costumisti debbano vestire bene solo lei), poi litiga con Timon, Richard e Anelida, quando viene a sapere che l’ultima commedia scritta da Richard non è stata come le altre dedicata a lei, ma alla fidanzata ed è lei che dovrebbe recitarla, mentre regista ed impresario si darebbero da fare per farla affermare: anche questi passi vengono intesi come un tradimento ed una congiura, per cui bene preso l’atmosfera si arroventa e Anelida e lo zio vengono messi alla porta: se ne va Richard, accompagnando la ragazza e lo zio, e tutti gli altri manifestano segni di insofferenza nei confronti di Mary.
La festa va avanti, e tra i flash dei fotografi ufficiali e i cocktails preparati dai barman, la tragedia si consuma: poco prima dell’apertura dei regali, Florence, la cameriera personale di Mary, grida che la padrona sta molto male e chiede un medico: l’ha trovata per terra agonizzante ma ancora viva. Il tempo che arrivi un dottore presente in sala, ancora brillo, e la tragedia è finita: Mary Bellamy viene ritrovata morta, con il volto distorto in una smorfia orribile, con la lattina dello Slaypest, un insetticida estremamente efficace ma anche estremamente pericoloso, vicino. Sul volto, sul vestito, dappertutto, tracce  e rivoli di insetticida, come se la morta se lo si fosse spruzzato per disattenzione addosso. Ma è evidente che questo non sarebbe potuto mai accadere perché Mary era innamorata di se stessa: piuttosto l’avrebbe spruzzato addosso ad altri. L’Ispettore Fox, subdorando qualcosa, chiama immediatamente il suo diretto superiore e amico, il Sovrintendente Alleyn, che comincia col conoscere l’ambiente e poi prosegue interrogando i presenti, mentre Fox si occupa invece della servitù. Emerge che pochi istanti prima che venisse udito dalla governante Old Ninn e dalla cameriera Florence, prima un sibilo e poi un tonfo, era uscito di corsa dalla camera della madre adottiva Richard visibilmente scosso, che poi era scappato via di casa.
E’ inevitabile che i sospetti si appuntino su di lui, anche se non ci si capacita per quale motivo avrebbe ucciso la tutrice; e soprattutto come, visto che dopo la sua andata via,  la madre era rimasta avvelenata, e non prima. Tuttavia ben presto Alleyn deve cominciare a districarsi da una foresta di bugie, di mancate ammissioni e di strani comportamenti: innanzitutto benchè prima fossero molto intimi, dopo il ricevimento e prima della morte di Mary, Warrender e Richard da una parte e Templeton dall’altra rifiutano di vedersi in faccia; Old Ninn sospetta di Florence e Florence sospetta di Old Ninn; Florence sospetta anche e soprattutto di Richard; Gantry, Cavendish e Saracen sarebbero esclusi perché erano innanzitutto d’abbasso e per di più non avevano conoscenza degli ambienti della casa; Templeton dopo la morte di Mary ha un collasso e il dottore che aveva rilevato la morte  di Mary, il dottor Harkness, che è il medico di Templeton , lo assiste perché non abbia altri più pericolosi attacchi di cuore.

Alleyn sospetta che non possa essere altro che un omicidio, supposizione già espressagli dal suo fido Fox: potrebbe essersi trattato in alternativa di un incidente, ma di suicidio proprio no. Manca infatti una qualsiasi lettera di addio, e del resto perché avrebbe dovuto farlo nel bel mezzo di una festa organizzata da lei per il suo trionfo? Restano in piedi le due ipotesi del delitto e dell’incidente: la seconda supposizione per quanto possibile, non raccoglie tuttavia le simpatie dei due funzionari di polizia. Infatti l’insetticida che ha determinato la morte dell’attrice non è stato irrorato semplicemente ma è stato spruzzato da vicino, quasi reiterando con uno spruzzo continuo l’azione. Ricadremmo così nel suicidio, che abbiamo eliminato con altro ragionamento. Ne consegue che la sola ipotesi attuabile è l’omicidio: solo che manca l’assassino. Infatti la presenza delle due donne sul pianerottolo, a meno di non considerarne una delle due l’effettivo omicida, rende la cosa inattuabile e impossibile.

Roderick è quindi ad un punto morto.

Ci sono poi delle cose che non capisce: sulla toeletta viene ritrovato un mazzetto dio violette, fiori che la morta detestava, e nessuno degli invitati afferma di aver portato, perché tutti sapevano che non piacevano a Bellamy; prima che la morte arrivasse, è stata udita la frase “Il che ti dimostra quanto ti sbagli. Te ne puoi andare quando ti piace e più presto lo farai meglio sarà” pronunciata ad alta voce dall’attrice in modo che tutti sentissero: ma a chi era rivolta?
 In più una delle due donne di servizio afferma che il vecchio Templeton è entrato in un certo momento, mentre la moglie era già morta, nella loro camera da letto, cosa che lui si è scordato di dire, per fare qualcosa in bagno (probabilmente per usare il WC), dato che la cameriera ha sentito il rumore del lavandino.
Viene ritrovato nello studio la carta copia di una lettera di Richard che lui si ostina a negare di avere scritto e che Roderick Alleyn ricostruisce con il suo acume; nello studio di casa viene ritrovato un volume sui veleni, in cui è segnata l’informativa sullo Slaypest; Mary Bellamy, prima di scendere giù dagli invitati si era fatto spruzzare addosso il profumo che le aveva regalato Pinky, in gran quantità non dal marito, ma da Warrender, di fronte a lui: perché? Perché Warrender e non il marito? Inoltre, perché sulla toeletta era stato ritrovato il profumo quasi del tutto finito, quando in occasione dell’episodio appena citato, ce n’era ancora parecchio nel flacone?
E soprattutto, come è stato perpetrato l’omicidio, se di omicidio si è trattato?
E quale è stato il movente dell’omicida? Soldi? A ereditare sarebbe il marito, che purtuttavia è favolosamente ricco di suo. Gelosia? Il marito stravedeva per la moglie e le soddisfava tutti i capricci. Malvagità ? Sì indubbiamente. Ma malvagia era diventata lei, la vittima. Anche in questo caso ci troviamo infatti dinanzi ad una vittima che è più malvagia di l’ha uccisa, perché il movente qui è la rabbia, l’odio puro. Scaturito tuttavia da una manifestazione della vittima: se lei non si fosse comportata in un certo modo, se non avesse spifferato una verità tenuta troppo tempo dentro, l’assassino non l’avrebbe soppressa.
Tuttavia il quid maggiore perché si possa arrivare ad individuare l’omicida è l’arma oltre che il movente: qual è stato il mezzo usato per uccidere la donna?
Quando Alleyn capisce di cosa si tratti, lo invierà alla polizia scientifica, che accerterà consistenti tracce dell’insetticida. Ovviamente, a questo punto l’indagine andrà avanti più spedita, perché l’acquisizione dell’arma eliminerà dalla lista dei sospetti alcune persone e ne aggiungerà altre. Finchè in un colpo di scena finale, dopo che è stata data ai lettori in pasto un’altra falsa pista,  Alleyn rivelerà il nome dell’assassino.
Romanzo splendido.
Mi stupisco ancora della maestria della Marsh nel riuscire a trattare in maniera tanto sapiente tanti personaggi, dando ad ognuno un suo rilievo e una sua funzione: qui, anche quelli che per la stessa azione della tragedia, e per i paletti imposti dalla sceneggiatura, non prendono parte attiva all’azione delittuosa anzi ne sono estromessi sin dall’inizio, ossia Gantry, Cavendish e Saracen, hanno una loro parte ben precisa nel definire la personalità  di Mary e le sue peculiarità in quanto dirigente della compagnia: infatti, le azioni che deteneva all’inizio Charles, sono state da questi, per le sue precarie condizioni cardiache, trasferite alla moglie, temendo di morire, lasciando sulla strada Mary. Quindi è lei ad influire sulle scelte della compagnia, e quelle che sembravano delle bizze e delle prese di posizione da Prima Donna, alla fine, proprio per l’atteggiamento di  Gantry, Cavendish e Saracen, e per l’intervento tardivo di Montague Marchant, vengono definite nella giusta luce. E hanno anche loro la loro importanza nel far schiarire i contorni del dramma.
E’ un romanzo più classico che non si può, sempre nell’ottica dei romanzi della Marsh: c’è una introduzione in cui vengono presentati i vari personaggi del dramma, poi l’azione vera e propria in cui si delineano le linee guida dell’azione delittuosa; e qui termina la prima parte. La seconda comincia con l’entrata in scena di Alleyn e comincia l’indagine:  viene adombrato un primo colpevole e presentata una prima falsa pista, poi si punta sulla presenza di due persone sul pianerottolo e quindi vengono presentate altre due false piste, per arrivare quindi ad insinuare che l’omicida possa essere un altro ancora, fino ad arrivare all’individuazione del vero. Tuttavia la catarsi, come ogni tragedia, qui non c’è, o meglio non c’è un secondo finale più sereno: qui il secondo finale (il primo è coinciso con l’individuazione dell’assassino) coincide con la cerimonia del funerale, e il romanzo finisce con una nota mesta ma d’effetto.
Mike Grost, uno dei più grandi critici americani, lo definisce il capolavoro della Marsh: “It combines a well constructed, intricate plot with a delightful look at theater people”. Io non so se sia il migliore, ma sicuramente è uno dei migliori. Possiede un plot molto intricato, in cui gli indizi sono di natura psicogica più che reale, e cosa interessante, ha una struttura che ricorda un altro romanzo basato su un ambiente teatrale, ma di Crispin: The Gilded Fly. Anche lì la vittima che è la prima donna, è un mostro in grado di fagocitare e distruggere tutti, finche uno dei tanti, un cane di paglia, che non avrebbe mai fatto quello che fa se il mostro non avesse suscitato in lui la rabbia, prende fuoco ed elimina il mostro. E l’azione fino al delitto è molto simile, seppure con tutti i distinguo: è l’assassino che è diverso, e quindi anche l’indagine.
La caratteristica tuttavia che mi sembra più interessante è quella del ritorno dell’erede, una peculiarità che è tipica dei romanzi classici britannici: da Heyer a Christie, ad altri autori, fa sempre capolino l’elemento dalla doppia personalità che pertanto entra al momento opportuno nella scena, condizionando la risoluzione. Qui la particolarità risiede nel fatto che non c’è il ritorno dell’erede, perché il figlio acquisito c’è già, quanto invece il ritorno dei genitori, i due Dakers, che ritenuti morti, invece…non lo erano affatto. Il bello è che nessuno dei due è l’assassino, ma proprio l’apparizione degli effettivi genitori scatenerà la rabbia e l’odio dell’assassino.
L’assassino in fondo è un personaggio molto umano: la Marsh è come se lo scusasse, perché, come in molti altri romanzi di altri autori, forse l’assassino è meno colpevole della sua vittima, e la sua stessa azione riprovevole (la morte con un veleno quale il tetrafosfato di esaetile è rapida ma estrememente dolorosa) in fondo viene vista come un’azione necessaria e derivata dalla peronalità disturbata della Bellamy. E mai come in questo romanzo, l’assassino è il personaggio meno presente e la cui personalità è la meno pronunciata dell’intero parco dei personaggi. E come un cane di paglia che prende fuoco ma consuma se stesso, così l’assassino oltre a determinare l’altrui distruzione completerà la sua, consumandosi.

Un ultima nota riguarda la cattivera e la caustica ironia della Marsh nell’aver scelto lo Slaypest quale arma di morte: come lo Slaypest viene usato nel romanzo per eliminare gli insetti che possano infestare le azalee, così Mary Bellamy viene eminata perchè non infesti l’ambiente delle persone che la circondano. In sostanza Mary Bellamy viene paragonata ad un insetto infestante.

Pietro De Palma