venerdì 26 agosto 2022

Elizabeth Ferrars: Assassino allo specchio (Furnished for Murder, 1957) - trad. Eliana Trinchero. I Classici del Giallo Mondadori n.1194 del 2008



Morna Doris MacTaggart  (1907-1995), nacque a Rangoon in Birmania da padre scozzese e madre tedesco-irlandese. Diplomata in giornalismo, nel 1932 scrisse il suo primo libro, Turn Single, seguito da un altro, senza riscontro di pubblico. Il successo invece,con un mystery, avvenne nel 1940 con Give a Corpse a Bad Name, che fu pubblicato, come tutti quelli che seguirono, con lo pseudonimo di Elizabeth Ferrars (utilizzando il cognome della madre da nubile). Sposata in seconde nozze con Robert Brown, un professore universitario di botanica, nel 1951 seguì il marito in giro per università, spostandosi a New York, poi a Londra e infine a Edimburgo. Autrice estremamente prolifica, la Ferrars scrisse 71 romanzi rimanendo in attività fino alla morte avvenuta nel 1995. Nel 1953 era stata uno dei fondatori della Crime Writers’ Association (che presiedette nel 1977) e nel 1958 era entrata a far parte del Detection Club.

Dette alle stampe tre serie con personaggio fisso e moltissimi romanzi senza:

Serie di Toby Dyke ( da 1940 a 1942: 5 romanzi)

Serie di Virginia e Felix Freer ( da 1978 a1992: 8 romanzi)

Serie di Andrew Basnett (da 1983 a 1995: 8 romanzi)

Senza personaggio fisso (da 1945 a 1995 : 53 romanzi)

Nella marea di romanzi, la Ferrars forse unica rivale per numero della Christie ( dovrebbe averla superata di un romanzo), e per molti anni sottovalutata, è in costante rivalutazione: nonostante l’enorme numero e quindi comprensibilmente la presenza di romanzi non ben riusciti, mantenne rispetto ad altre sue colleghe (per la Christie il riferimento è d’obbligo), un atteggiamento molto più aperto al nuovo, e verso taluni aspetti “nuovi” : la musica rock, il sesso, la beat generation. Anche le sue opere, fino alla fine, mantengono una buona tenuta di fondo, nonostante l’età: cosa che per esempio non avviene nel caso di Agatha Christie, le cui opere degli ultimissimi anni, dimostrano evidenti segni di affaticamento e di mancanza di lucidità. Per la Ferrars, il livello costante delle sue opere anche in vecchiaia, era il risultato di un modo di vivere, molto rigoroso, su cui anche le sue origini, in parte tedesche, avevano avuto evidenti ascendenze. Le sue opere migliori, a detta di molti, sono pressappoco quelle che vanno dalla metà degli anni ’50 alla metà degli anni ’80. Nonostante ciò, i suoi primi 5 romanzi, quelli di Toby Dyke, giornalista a contratto, & il suo amico George, ex criminale, sono molto buoni. Riecheggia, solo nella inusuale accoppiata, Padre Brown & Flambeau di Chesterton. Toby è il classico investigatore dilettante, di Vandiniana memoria, ma chi è determinante per risolvere i casi è George: una specie di rivincita del proletariato (e della “spalla”).

Mondadori ha pubblicato molti romanzi, della seconda e terza serie e senza personaggio fisso.

Assassinio allo specchio (Furnished for murder) è del 1957.

Il romanzo, come si aspetterebbe da una autrice britannica, sarebbe dovuto cominciare con una introduzione, come di prammatica nei romanzi della Christie, in cui i vari personaggi vengono presentati, prima dell’avvenimento del delitto: questa prassi anche se non è presente in tutta l’opera christiana, ha comunque un’evidenza molto marcata. Invece in questo romanzo della Ferrars, un romanzo che come abbiamo detto appartiene agli anni 50, cioè uno dei periodi più fecondi e ricchi di ispirazione, non avviene nulla di tutto ciò. Innanzitutto il delitto avviene almeno 100 pagine dall’inizio della storia, e in queste 100 pagine, i personaggi appaiono uno dopo l’altro senza un preciso ruolo; sono personaggi sfuggenti, di cui per molto tempo non si capisce bene l’inquadramento nel plot tragico.

Meg e Marcus sono una coppia che abita in una casa troppo grande per loro, in quanto senza figli: lui è scrittore, ma non guadagna tanto e quindi lei affitta un appartamento nel villino ad un tale che arriva in Jaguar e che si chiama Gerald Chilby. Questo tale ben presto comincia a fare strane domande sul Priorato, una casa che in origine era un convento poi distrutto durante la Riforma, e su chi ci vive.

Ad ereditarlo sarebbe dovuta essere Kate Hawthorne, una giovane che era stata adottata dalla signorina Velden, padrona del Priorato e di altre proprietà. Solo che la vecchia morendo, aveva cambiato il testamento e nominato erede il nipote Richard estromettendo la giovane dall’eredità. La ragione? L’amore tra Kate e Roger Cronan. Roger era sposato a Daphne che lo aveva lasciato per una tale, e così lui aveva trovato l’amore nelle braccia di Kate. Ma poi Daphne era ritornata, e capito che il marito aveva deciso di divorziare da lei, aveva minacciato di uccidersi. Roger si era tenuta Daphne, e Kate era andata via. Ma prima era morta la zia, e il testamento era stato cambiato. Ora tale Gerald Chilby, va in giro chiedendo lumi sul Priorato: perché? E sono domande non certo prive di finalità, se è vero che proprio lui – prima che gli si attribuisca un ruolo nella vicenda, quando si pensa sia solo un tipo losco o comunque ambiguo – insinua che la morte della Signorina Velden non sia stata una bronchite come tutti hanno accettato essere stata e si stupisce che non ci sia stata un’inchiesta: “..Una vecchia signora, un medico di campagna, e tutti pienamente soddisfatti”(cap.6, pagg 66-67), quando ancora nessuno ha pensato di esumarne la salma. Chi è, e perché va facendo queste domande?

Oltretutto la vicenda già di per sé ambigua , lo diventa di più quando si viene a sapere che qualcuno ha messo in giro che Richard Velden, cioè colui che ha ereditato il priorato con le proprietà annesse, sia un impostore. Il fatto è che Richard andò via che era un ragazzo, ed è tornato già uomo. Però lui propone un patteggiamento sulla proprietà a Kate che non se l’aspetta, e sempre lui a domande interessate risponde con precisi ricordi che si intersecano a quelli di Kate e che rispondono a verità. Ma allora è lui o non è lui? Il dubbio si insinua nel lettore, e coinvolge un altro di cui non si sa nulla, Chilby: non sarà mica lui ? Chilby non dovrebbe conoscere Richard, ma poi , da congetture fatte e che si vede poi rispondono a verità, si accerta che è stata proprio una telefonata di Chilby a Richard, a provocarne lo sconvolgimento, telefonata che è stata intercettata da Daphne, che nessuno aveva invitato al Priorato, ma che vi era entrata.

Perché Richard è impallidito mortalmente? Cosa Chilby sa di così importante?

E’ in seguito a questa telefonata che l’infernale macchina si muove: mentre Chilby è fuori di casa, qualcuno vi accede e gli sottrae qualcosa che ha per lui importanza vitale. Chilby pensa sia stata Kate, ma invece è stata Daphne. Dal momento in cui questo documento sottratto gli perviene, la sua vita non vale più nulla e viene uccisa. Poco dopo verrà ucciso anche Chilby, con la sua pistola.

Daphne verrà trovata proprio da Richard in acqua, e lui avviserà la polizia a casa della vedova Thea Arkwright, che è sua innamorata.

A questo punto le indagini vengono affidate all’Ispettore Wylie che con doti non comuni di sagacia, riesce a venir fuori dal pantano di cose dette e non dette, e attraverso ipotesi sempre più ardite che toccano tutti i personaggi del dramma, riesce a dare un senso alle cose e ad inquadrare un piano criminoso premeditato, che aveva avuto come fine uccidere la vecchia signora, e a rispondere ad alcune domande: perché Kate aveva distrutto il testamento che la nominava erede, e che giaceva mezzo bruciato per terra vicino al caminetto? Chi l’aveva bruciato se non era stata la signorina Velden come in un primo tempo si era ipotizzato? Chi aveva avvisato l’avvocato della volontà di cambiare il testamento, se la telefonata era avvenuta quando la signora era passata a miglior vita? Cosa aveva in mano Chilby che era costato la vita a lui e a Daphne? A chi faceva riferimento un appunto di Chilby circa un suo appuntamento alle 7,30 con tale D.V. ? si potrebbe ipotizzare che sia stato Richard Valden perché (lo avevo ipotizzato prima che se ne parlasse) in inglese Dick è diminutivo di Richard. Ma.. lui accusato dei delitti, sa tirarsi fuori grazie ad alibi inattaccabili.

In un parco di possibili sospettatibili che vanno da Roger, il marito che non amava più sua moglie, a Kate, la rivale in amore, a Marcus, che a volte rasentava istanti di follia, a Richard, di cui non si capisce il ruolo, importante anche se lui era lontano in tutti i delitti anche della sua zia, a Thea che è innamorata di Richard e per lui avrebbe potuto uccidere, ma che quando era arrivata al villaggio, Richard ancora non era ritornato dall’estero e quindi non lo conosceva, Wylie inchioderà l’omicida diabolico.

Il romanzo è bellissimo, è ben dirlo. Direi un piccolo capolavoro.

Le descrizioni dei personaggi sono a tutto tondo, fulminanti. E i rapporti tra di loro non sono solo accennati, ma sviscerati in tutte le loro possibili caratteristiche. E’ sì un romanzo deduttivo, ma lo è soprattutto dal punto di vista psicologico: se fino alla morte di Daphne, le 100 pagine sono esse stesse un’introduzione, una lunghissima introduzione, da quel momento in poi, tutto cambia prospettiva, e sono gli stessi personaggi, man mano che la storia va avanti, a definire il quadro della situazione: mentre nell’indagine classica, il testimone è reticente e al detective tocca scoprire, attraverso tutta una serie di domande, la verità, quei essa viene a galla poco alla volta, e sono gli attori del dramma principali, Roger e Kate e la signorina Harbottle, la zitella del villaggio che tutto sa, a dissipare il velo almeno nelle sue verità più nascoste, che non inquadrano l’assassino, ma almeno aiutano a rendere il quadro più delineato: la vecchia signora pur essendo contraria all’amore tra Roger e Kate, non voleva diseredarla; il testamento nuovo non esisteva né era stato mai pensato; Kate aveva trovato il foglio del testamento mezzo bruciato e lo aveva lei stessa bruciato del tutto, dopo il rinvenimento del corpo della zia, perché attribuendole una volontà di diseredarla che non aveva avuto, per correttezza etica aveva voluto rispettare un volere della zia, che però non c’era stato. Così solo per questo Richard era stato coinvolto mentre era all’estero. Insomma, un gran macello!

Elizabeth Ferrars si rivela scrittrice di razza, molto sottovalutata, rispetto a tanti altri autori del suo tempo. Certo, come ho detto nell’introduzione, avendo scritto più di settanta romanza, inevitabilmente qualche romanzo può non esser riuscito bene, ma, se per trent’anni ha sfornato grandi romanzi, ci sarà stata pure una qualche ragione! Questo però è un piccolo gioiello.

La ragione risiede, anche e non solo in se stesso, quanto nell’idea base della Ferrars che polarizza tutti i romanzi a partire dalla fine degli anni 40, quando cioè abbandonando la serie di Toby e Dyke, che è direttamente connessa all’età dell’oro, del detective dilettante, Ferrars evolve la struttura del romanzo poliziesco britannico, molto più di quanto abbia fatto la Christie: in sostanza, ambienta i suoi drammi in case di campagna, dove non agisce la piccola nobiltà, come nei romanzi tipici della Christie (ma anche della Heyer), ma persone normali, come Curtis Evans dice : “..regular people" (in practice this means white, college educated professional types)”. Curtis aggiunge: “One Fifties crime fiction critic referred to these books as "country cottage" mysteries, distinguishing them from the country house mysteries of the Golden Age.  Here you tend not have stuffy gentry and comic servants and great mansions and weekend house parties and stolen jewels and bodies bludgeoned in libraries, but college-educated, middle-class commuter professionals, modernized cottages and bungalows, and grumbling women from the village who come in once week to clean”.  In sostanza  “I misteri delle case di campagna” di cui parlavano dei critici anni ’50 opponendoli a quelli dell’età dell’oro (che sono presenti ancora nei romanzi anni 50 della Christie) in cui agiva la classe dell’antica aristocrazia terriera, collegata a figure militari, al curato del villaggio, a signore della buona società impegnate in azioni di beneficenza, sono quelli tipici dei romanzi della Ferrars in cui agisce una società che semmai si basa su gente laureata, che si fa largo nella società: la piccola borghesia che diventa media, raffrontata all’antica piccola aristocrazia terriera molto conservatrice. E’ in sostanza la classe media, quella già usata da Ellery Queen. E’ come se la Ferrars, pure usando i mezzi tipici del giallo british (l'omicidio in una casa di campagna o cottage che dir si voglia, il ritorno dell'erede, il passato all'estero di alcuni personaggi di cui si sa poco) abbia voluto rinnovarlo attingendo alla grande tradizione di quello yankee.

Pietro De Palma

 

domenica 14 agosto 2022

Sguardo sui maggiori testi di critica poliziesca in lingua inglese francese e italiana

 


L’acquisto recente di tre volumi di critica del genere poliziesco, che agognavo possedere da molti anni, mi ha suggerito di scrivere questo articolo, inusuale nel mio blog, sugli studi critici più importanti che riguardano la Crime Fiction.

Comincerò da quello di Douglas Greene. Lo statunitense Doug, Professore Emerito di Storia del periodo Tudor ed Elisabetta I, alla Old Dominion University, è conosciuto non tanto per studi critici di Storia quanto per la Biografia su Carr, The Man Who Explained Miracles, cui si riferisce. E’ una trasformazione del titolo di una fortunata antologia di Carr, The Men Who Explained Miracles, del 1963, che contiene vari racconti incentrati su tre investigatori carriani: il Dottor Fell, Sir Henry Merrivale e il Colonnello March. Il volume di Douglas, pubblicato nel 1995, fu nominato per un Edgar nel 1996 assieme a Savage Art: A Biography of Jim Thompson, di Roberto Polito, che invece lo vinse (tra l’altro un bellissimo studio, molto dettagliato). Altrimenti dettagliatissimo, pieno di notizie e riferimenti a tutta la produzione carriana (compresi i racconti perduti giovanili, che via via vengono rivalutati), il testo di Doug è un must che ogni appassionato di Carr deve avere.

Dopo Doug, ecco Martin Edwards: da uno sfortunato nominato all’Edgar ad uno fortunato. Martin Edwards, affermato scrittore britannico di Mysteries e Thrillers, e curatore della celebre collana di romanzi “British Library Crime Classics”, in cui ha pubblicato molte sue antologie di racconti della GAD, ha provato anche a cimentarsi in studi critici: The Golden Age of Murder dedicato al Detection Club, celebre gruppo di scrittori britannici (fondato nel 1930 da Anthony Berkeley e da Dorothy L. Sayers, Agatha Christie and Freeman Wills Crofts), di cui lui è attualmente presidente, è stato pubblicato nel 2015, e l’anno dopo ha vinto l’Edgar. E’ uno studio, piacevolissimo a leggersi, in cui parla diffusamente del Detection Club e degli scrittori che ne fecero parte, con una aneddotica veramente eccezionale (bellissime anche le foto riprodotte). Martin successivamente a questo Studio critico, ne ha pubblicato uno nel 2017 su Dorothy Sayers, Taking Detective Stories Seriously: The collected crime reviews of Dorothy L. Sayers. In sostanza è un testo che raccoglie le recensioni di Dorothy Sayers approntate per il Sunday Times dal 1933 al 1935, di romanzi polizieschi dell’epoca. L’elenco delle recensioni è introdotto da una superba  introduzione di Martin che chiarisce la natura e il valore delle recensioni, che delineano una sorta di storia del genere per gli anni presi in esame. Sempre del 2017, è  The Story of Classic Crime in 100 Books , pubblicata nella fortunata collana della “British Library Crime Classics” e che tratta una storia letteraria  della narrativa poliziesca della prima metà del XX secolo, soprattutto basata su autori britannici di cui vengono presentati varie storie oculatamente selezionate. Nel 2020 è uscito il suo quarto studio: Howdunit: A Masterclass in Crime Writing by Members of the Detection Club, vincitore dell'H.R.F. Keating Award per il miglior libro biografico/critico relativo alla narrativa poliziesca e nominato agli Edgar Allen Poe e ai Macavity Awards. Si tratta in sostanza di una serie di consigli da parte di storici autori inglesi non solo di mystery ma anche di spy, su come scrivere un buon romanzo poliziesco, che Martin ha selezionato e presentato. Infine nel 2022, recentemente è uscito il suo quinto studio, The Life of Crime: Detecting the History of Mysteries and their Creators, che delinea una storia del genere e degli scrittori conosciuti e sconosciuti che l’hanno interpretata. E’ una sorta di storia molto dettagliata della detective fiction , che a parere mio, è strutturata come la celeberrima S.S. Van Dine School di Mike Grost, e distinta in varie sezioni, che presentano una serie variegata di scrittori accomunati da stessi caratteri. Molto piacevole e accattivante nella presentazione, e estremamente dettagliata. Prevedo che anche quest’opera vincerà importanti riconoscimenti nel settore narrativo poliziesco.

Lasciati Doug e Martin, non si può non citare il più importante studio su Ellery Queen.

Lo firmò nel 1974 Francis M. Nevins, professore alla St. Louis University: Royal Bloodline: Ellery Queen, Author and Detective. Il saggio critico l’anno seguente vinse l’Edgar. Nel saggio, Nevins traccia le linee guida per la comprensione dell’opera queeniana, e quindi vi sono numerosi spoilers delle opere citate. In esso, viene, soprattutto tra i due cugini, data importanza all’ascendenza di Dannay nell’inventare i canovacci delle storie, con tutto ciò che vi si racchiude. Tuttavia l’importanza esagerata data a Dannay, convinse col passare degli anni Nevins, alla luce di studi più accurati sull’opera di Queen, a dare maggiore visibilità all’opera dell’altro cugino Mannay. Perciò, alcuni anni fa, il primo saggio è stato rivisto, arricchito da contributi dello stesso Nevins e da altro materiale, e rieditato in un’altra opera definitiva, Ellery Queen: The Art of Detection.  Va menzionato che Nevins nel 1989 vinse un altro Edgar per un saggio critico pubblicato l’anno prima su Cornell Woolrich: First You Dream, Then You Die. In esso Nevins esplorava l’opera di Woolrich restituendo all’autore la veridicità della sua vita, e eliminando tutto ciò che gli era stato attribuito di leggendario. Non è tuttavia una biografia, come si potrebbe pensare.

Sempre sul versante Ellery Queen, si può registrare un altro importante studio critico: Blood Relations: The Selected Letters of Ellery Queen, 1947-1950, di Joseph Goodrich. Pubblicato nel 2012, è uno studio acuto, sulle tensioni e le relazioni tra i due cugini, attraverso l’analisi di molte lettere che si scambiarono, nel loro periodo di apoteosi, quello in cui videro la  luce capolavori come Cat of Many Tails, Ten Days Wonder e Origin of Evil, di cui esse parlano, narrando anche in certo senso la loro genesi.

Altri saggi importantissimi su autori importanti sono:

innanzitutto i due, uno successivo all’altro di John Curran, su Agatha Christie ( Agatha Christie's Secret Notebooks: Fifty Years of Mysteries in the Making, 2009; e Agatha Christie's Complete Secret Notebooks: Stories and Secrets of Murder in the Making, 2010). In essi Curran delinea la genesi di tutte le opere christiane, partendo dalla scoperta dei famosi settantatre taccuini in cui Agatha Christie riportava annotazioni, progetti per romanzi e drammi teatrali, disegni ritrovati nella biblioteca dell'antica Greenway House, dove Agatha Christie trascorse vent'anni, resi pubblici solo dopo la scomparsa, nel 2004, della figlia Rosalind. Importantissimi per tutti gli appassionati. Il secondo dei due saggi entrò nella cinquina finale degli Edgar, pur non vincendolo. Tuttavia hanno vinto altri importanti riconoscimenti, tra cui il Macavity

Il saggio di David Whittle, Bruce Montgomery/Edmund Crispin: A Life in Music and Books. Pubblicato nel 2007. In esso Whittle delinea su un doppio binario, la vita di Bruce Montgomery, compositore ed organista, e quella di Edmund Crispin, romanziere, e l’analisi delle sue opere. Interessantissimo, anche e soprattutto perché getta una luce sull’opera di un grande romanziere del mystery britannico, di cui si sapeva poco, ed anche sulla sua vita in quanto compositore. Vi sono interviste di persone e amici che lo conobbero, e viene analizzato, alla luce anche dei suoi guai sanitari, osteoporosi e alcolismo, il suo precoce ritiro dalle scene e l’abbandono della scrittura creativa.

Il saggio interessante scritto da Curtis Evans, Masters of the Humdrum Mystery. Pubblicato nel 2012, il saggio analizza le opere di tre grandi romanzieri della GAD: Cecil John Charles Street (alias John Rhode/ Miles Burton), Freeman Will Crofts e Alfred Walter Stewart (J.J. Connington) e in generale la British Detective Novel dal 1920 al 1961. Molto molto interessante, anche e soprattutto per l’analisi dei tre autori a cui nessuno o quasi aveva prima di Curt, prestato attenzione: a ciascuno dei tre autori viene riservata una parte, ma tra esse quella preponderante è la prima, quella dedicata a Rhode, anche e soprattutto per la sterminata produzione dello stesso, che viene analizzata succintamente ma anche con rara acutezza, in quasi 100 pagine. Seguono tre appendici con le tre produzioni complete dei tre scrittori, più un inserto dedicato al contributo di Crofts a The Floting Admiral, 1931; e a  Double Death,1939.

Altro studio saggistico molto accurato, scritto come un omaggio ad una illustre connazionale, è quello di Joanne Drayton su Ngaio Marsh: Ngaio Marsh. Her Life in Crime, pubblicato nel 2008.

Infine non possiamo non citare i due saggi di Jeffrey Marks:

il primo dedicato a Craig Rice (2001),  Who Was That Lady? Craig Rice: Queen of the Screwball Mystery, e il secondo ad Anthony Boucher (2008): Anthony Boucher: A Biobibliography.

Due saggi, molto acuti: il primo nominato agli Edgar, Macavity etc..è uno studio sperimentale su una delle regine della commedia nera, a metà tra Mystery e Hard Boiled, mentre il secondo è uno studio del personaggio Boucher attraverso 4 prospettive diverse: personale, di autore, di editore e di critico.

Sul fronte italiano, citiamo solo uno, ma veramente interessantissimo, esaurito da molti anni, pubblicato da Mondadori nel 1990, di Giuseppe Fiori & Luigi Calcerano: Guida alla lettura di Agatha Christie. Trattasi di saggio straordinariamente interessante, fra l'altro scritto anche assai bene, molto dotto, con osservazioni puntuali e raffronti precisi che delineano un lavoro estremamente approfondito svolto sulle fonti non solo riferite alla Christie ma anche al genere poliziesco in generale, rilevabile in sede di note. Ne esce una prospettiva a tutto tondo, compiuta e affascinante di Agatha Christie.

Tra i saggi che riguardano la storia del genere, sottolineo:

innanzitutto il datato ma importantissimo,  Bloody Murder – From the Detective Story to the Crime Novel: A History (1972) (US title: Mortal Consequences), una cui secomda edizione rivista è uscita nel 1985, una terza edizione rivista nel 1992,  e una quarta nel 1994, di Julian Symmons. La sua importanza in quanto storia del genere dalla metà del diciannovesimo secolo alla fine del secolo ventesimo, va di pari passo alla fluidità del discorso e al porsi come fonte accreditata sia al neofita, che sa poco o nulla delle opere e dei loro autori, sia all’appassionato, sia infine al critico e collezionista, citando anche opere neglette, ma che purtuttavia , secondo il giudizio dell’autore, hanno una certa importanza. Il saggio meritò nel 1973 uno Special Edgar Award.

Poi c’è un curioso ma interessantissimo saggio di Ernest Mandel, il più importante teorico marxista e trotzkista della seconda metà del XX secolo, che analizza la Storia del Genere poliziesco, da una prospettiva marxista e sociale: Delightful Murder: A Social History of the Crime Story. Pubblicato nel 1984, il saggio esamina gran parte della produzione. Non essendo un esperto del genere poliziesco, non è tanto adatto a persone che amino il genere, quanto a chi attraverso la lettura di letteratura di genere voglia assurgere a idee e concetti che riguardano la lotta di classe, la borghesia e il capitalismo, nel romanzo poliziesco.

Interessantissimo è un saggio critico di Bill Pronzini, grande scrittore di romanzi, versato (come Martin Edwards) alla critica del genere: Son of Gun in Cheek: An Affectionate Guide to More of the "Worst" in Mystery Fiction, è una carrellata di romanzi brutti, improbabili, altamente originali, di autori affermati come Henry S. Keeler o Ed McBain o Joseph Wambaugh e molti altri, di cui vengono esaminati, sviscerati e anche stroncati, lavori non riusciti. Lo stile di Pronzini è sempre godibilissimo, e quindi la lettura è quantomai stimolante. Io per esempio ho ritrovato tra i suoi orrori, un romanzo divertentissimo per la sua trama bizzarra, che recensii anni fa, Murder of a Mystery Writer by Eric Heath (1955). Il saggio è l’evoluzione di un saggio precedente, del 1982, intitolato Gun in Cheek, in cui Pronzini analizzava trame al limite dell’impossibile, caratterizzazioni improbabili e quanto di più futile avesse letto. In Son of Gun in Cheek: An Affectionate Guide to More of the "Worst" in Mystery Fiction non si si trovano solo citati romanzi e racconti, ma anche film di serie B e C, riviste Pulp e tutto quanto fosse agli occhi di Pronzini brutto al massimo grado o inverosimile e pertanto suscettibile di essere citato. Vinse il Premio Macavity nel 1988. C’è poi un altro saggio, che più che saggio, è una Guida a 1001 fra sunti di trame, recensioni, e biografie di autori di romanzi polizieschi e di spionaggio: 1001 Midnights: The Aficionado's Guide to Mystery and Detective Fiction di Bill Pronzini & Marcia Muller, pubblicata nel 1986.

C’è un po’ di tutto, ma condito dall’umorismo e dalla vena dissacrante di Pronzini e sua moglie Marcia Muller, che non è detto consacrino opere affermate, ma affermano il contrario. Una guida quindi per certi versi imprevedibile. Questa vinse il premio Macavity nel 1987.

 

Sui generi, non si può non citare la bibbia delle Camere Chiuse e dei Delitti Impossibili, di Robert Adey. Pubblicata nel 1992 e andata presto esaurita, Locked Room Murders and Other Impossible Crimes: A Comprehensive Bibliography fu un lavoro fondamentale nel suo genere in quanto elencava la maggior parte di romanzi e racconti che nel tempo erano stati incentrati sul genere Camera Chiusa e Delitti impossibili, fornendo di ciascun titolo “la specialità contemplata”.

Dopo la morte di Adey, nel 2018, John Pugmire con la collaborazione della moglie di Adey, ha pubblicato una seconda edizione, riveduta e corretta, in cui ha aggiunto una serie di opere che erano sfuggite alla prima edizione originale, tra cui anche graphic novels, films, Tv series. Ciononostante, sono sfuggiti dei titoli. Io per esempio ne ho individuato uno (e segnalato a Pugmire) di J.J.Connington (In Whose Dim Shadow, 1935), un piccolo capolavoro sconosciuto ai più, che è sfuggito alla sua riedizione.

Su questa stessa sponda, sono anche alcuni studi di Roland Lacourbe

Innanzitutto 99 chambres closes : guide de lecture du crime impossible, pubblicato nel 1991 con la collaborazione di Robert Adey, che propone una selezione di 99 romanzi di Camere Chiuse e Crimini Impossibili per lui imprescindibili, con le 99 soluzioni e anche antologie parecchio meritorie di racconti, affidate a maestri del genere, e i due punti di vista di Adey e di Lacourbe sul genere. E’ molto interessante soprattutto perché propone il punto di vista francofono rispetto a quello anglosassone di Adey, e cita una serie di romanzi altrimenti sconosciuti ai più, ma pubblicati in Francia e Belgio.

E infine 1001 Chambres Closes di Roland Lacourbe, Vincent Bourgeois, Philippe Fooz, Michel Soupart : guide de lecture du crime impossible, pubblicato nel 2013. La guida elenca più di 1100 opere (660 romanzi e 500 racconti) scritti da centinaia di autori di lingua anglosassone, francofona, italiana e giapponese. Rappresenta una sorta di risposta molto allargata all’opera di Adey da parte dell’unico capace di stargli accanto, e forse anche di sorpassarlo, anche e soprattutto per aver pubblicato in francese quasi tutto Carr, compreso Grand Guignol, il lungo racconto che è la base per It Walks By Night, che ora Doug sta per ripubblicare in lingua inglese. A questa enorme antologia, è seguita una seconda parte che ha analizzato cartoons, films e TV series: 1001 Chambres Closes – Annexes, pubblicata  nel 2014.

Sempre in lingua francofona, tra i più importanti contributi critici, annoveriamo innanzitutto quelli di Thomas Narcejac (che assieme a Pierre Boileau, costituì uno dei più famosi sodalizi della narrativa poliziesca della seconda metà del XX secolo):

Esthétique du roman policier,1947 : Narcejac analizza la letteratura poliziesca soprattutto analizzando quella specifica di Pierre Boileau. Fu proprio questo studio a favorire la conoscenza della controparte e a favorire l’instaurarsi del sodalizio Boilaeu-Narcejac.

Le Roman Policier, 1964 : uno dei migliori contributi al genere. E’ un libro non tanto descrittivo, ma piuttosto è uno critico. Non a casa La coppia di autori individua il meccanismo della Suspence attraverso la relazione biunivoca Lettore – Vittima – Assassino, con tutte le varie sfaccettature.

Une machine a lire : le roman policier, 1975 : Narcejac, esamina il genere poliziesco dalle origini e confrontandolo con numeri campi (Religione, Economia, Politica, Letteratura) dimostra come essa sia diventata così importante rappresentazione del nostro vivere quotidiano.

La Fin d'un Bluff. Essai sur le Roman policier noir américain, 1949 : è un pamphlet di critica, anche piuttosto decisa al genere. Gli valse una polemica col direttore della Série Noir, Marcel Duhamel.

Inoltre, in aggiunta di La double mort de Frédéric Belot, un formidabile romanzo deduttivo di Claude Aveline, venne pubblicato dallo stesso, intellettuale di punta francese della sinistra francese, una Double note sur le roman policier, che scritta da un intellettuale di punta come Aveline, con lo scopo di sdoganare la letteratura poliziesca ritenuta in Francia (ma anche in Italia) un sottogenere letterario, colpì nel segno e fece divenire i romanzi di Aveine dei casi letterari: … “Il n’y pas de romans nobles appartenant aux Belles-Lettres (qui en décide?) et de romans moins nobles parmi lesquels on range selon l’arbitraire habituel romans populaires, d’aventure, romans policiers”. 

Pietro De Palma