lunedì 31 dicembre 2018

Clayton Rawson: Gli uomini che vengono dalle stelle (Nothing Is Impossible, 1958) - contenuto in Estate Gialla 1970

Sapete come la penso: se non si fossero persi fiumi di denaro e non si fossero sprecate occasioni vanamente, oggi i lettori di mystery in Italia sarebbero prima di tutto molto più numerosi, secondo non si sarebbero allontanati da Mondadori via via negli anni, e ultimo  - e non meno importante –sarebbero in possesso di molte più opere importanti (invece delle tante banali prodotte), che invero oramai è meglio reperire in originale, giacchè i tempi non sono più maturi, mi sembra, per coltivare speranze.
Mi riferisco in particolare alle opere che Clayton Rawson firmò con lo pseudonimo di Stuart Towne: le due raccolte di racconti Death Out of Thin Air  e Death from Nowhere, che hanno rivestito per i molti aficionados del delitto impossibile, un alone quasi leggendario dal tempo della loro pubblicazione,  e che sono state ripubblicate in ebook da mysteriouspress qualche anno fa ( http://mysteriouspress.com ). Tuttavia tanti anni fa mi fu rivelato – molto prima della gestione Altieri – che ci fu la possibilità che gran parte dei racconti di Rawson venissero pubblicati, ma ahimè uno dei consulenti allora esistenti stroncò le opere e da allora non si è più pensato ad esse; anche perché esisteva un meccanismo – mi dissero – per cui, una volta ricevuto un giudizio negativo, per cambiarlo e riprendere in mano l’opera, sarebbe dovuto passare del tempo. Ora che questo sia vero o non, non è importante; quello che invece mi sembra doveroso sottolineare è che un modo di procedere siffatto mi sembra alquanto singolare: uno legge un’opera e sulla base di quello che argomenta l’opera viene accettata o meno. A parte che si accetta un giudizio come se esso fosse verità colata dalla bocca di un dio, è anche inconsueto che un giudizio puramente soggettivo si trasformi istantaneamente in oggettivo, e non invece sottoposto ad un contraddittorio. Altri avrebbero potuto avere una opinione diversa da chi l’aveva bollata come non presentabile in una pubblicazione:  come possiamo infatti essere perfettamente sicuri che quel giudizio così stroncatorio non fosse viziato da una qualche riserva di gusto? Fatto sta che piangere sul latte versato è inutile, e allora sarebbe meglio almeno procurarsi quelli di Rawson, tra i racconti con Merlini, che siano stati pubblicati da Mondadori. In passato ho introdotto “From Another World”, oggi invece parlo di “Nothing Is Impossible”, tradotto e pubblicato in Italia come Merlini e gli extraterrestri.
Albert North è stato un pioniere dell’industria aeronautica ma gli anni sono passati, si è scocciato di occuparsi di commesse per l’aviazione e si vuole ritirare a vita privata: così si è riservata la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione, lasciando al genero Charles Kane la direzione della baracca.
Una volta ritiratosi cerca di passare il tempo, e così prima costruisce modellini di aerei, poi comincia ad occuparsi di UFO. E lo fa alla grande, impiegando energie non solo fisiche ma anche economiche. Cosa che non è digerita dal genero, che osteggia queste pratiche che tolgono risorse anche importanti alla loro impresa.
Ross Harte, giornalista amico di Merlini, lo va a trovare presso il suo negozio per avere un parere, proprio in merito alla materia dei dischi volanti e del perché pare egli venga pedinato. E’ stato inviato dal giornale proprio ad intervistare Albert North, e chiede a Merlini di accompagnarlo, in quanto è l’esperto di cose impossibili. A casa North fanno conoscenza dapprima con Kane, poi con lo stesso North (che sul più bello è disturbato proprio da Kane con cui poco prima ha avuto un battibecco, per via della firma di certe commesse governative), poi infine con Anne, la segretaria maggiorata dello stesso North, che si dimostra però molto più intelligente ed informata delle attività del suo principale di quanto ci si potesse attendere prima, dopo averla vista muovere le gambe. Li informa su certe richerche fanta-archeologiche che North sta svolgendo con un certo Professor Price, un sedicente archeologo dell’Università della California, che avrebbe testimonianze certe di un atterraggio alieno nel deserto e di certi geroglifici di provenienza extraterrestre impressi a fuoco sulla roccia.
Mentre li sta edocendo su tali e altre attività, i tre sentono un colpo di pistola provenire dallo studio. Provano a entrare ma la porta è bloccata dall’interno, e deve merlini sbloccare la serratura facendo ricorso ad una serie di grimaldelli. Quando la schiudono si trovano dinanzi uno spettacolo tremendo: North è prono sulla scrivania, seduto e morto, mentre il genero è disteso per terra, con gli abiti meticolosamente ripiegati dopo essere stati abbottonati e infilati gli uni negli altri: la maglia intima nella camicia e questa nella giacca, le mutande nei pantaloni, le calze nelle scarpe. E Kane? Steso per terra completamente nudo, svenuto: su un mobile, per di più, nella polvere, vengono rinvenute delle impronte di piedi a tre dita, e sul muro a circa sessanta centimetri da terra, strani geroglifici verdi. A complicare la faccenda, il fatto che North sia morto ma che non si riesce a capire per cosa: c’è del sangue, ma il foro di uscita del proiettile sparato non si trova, e tantomeno si trova l’arma.
Ci vuole l’esame del medico legale arrivato con l’Ispettore Gavigan richiesto da Merlini, per riscontrare come North sia stato ucciso con un proiettile di una Colt & Wesson cal. 38, che è penetrata nella testa tramite l’orecchio: una volta estratto, si rivela un normalissimo proiettile. Tuttavia, la pistola non si trova. E non si trova neanche il bossolo, pur dopo una minuziosissima perquisizione: sembra volatilizzato, come la pistola.
Kane è perquisito e costretto a porgere la vestaglia che gli ha dato la segretaria per coprire la sua nudità, ma non c’è nulla ed è costretto anche ad una ispezione tendente ad esclude che abbia potuto ingoiare il bossolo.
E’ chiaro che al di là che siano stati gli alieni, i poliziotti ritengono che sia stato Kane ad uccidere il suocero, perché la stanza oltre ad avere la porta chiusa dall’interno non ha altre uscite e il laboratorio interno che comunica con la stanza tramite una porta, a sua volta non ha aperture: quindi, sempre che non siano stati i nanetti verdi a tre dita che abbiano attraversato i muri, è chiaro che sia stato Kane. Sempre che non sia stato Prince, che poco dopo che il corpo è stato trovato è sorpreso mentre cercava di abbandonare lo studio: peraltro si viene a sapere che è una vecchia conoscenza della polizia, in quanto truffatore: ogni volta che si presenta l’occasione di fare soldi, diventa all’occorrenza pittore, artista, archeologo. Quindi è un ciarlatano. Chi sarà l’assassino?
Merlini dimostrerà come sia stato possibile ottenere quellel impronte a tre dita, e come sia stato possibile sparare a North non avendo a disposizione una pistola: un altro gioco di prestigio firmato Clayton Rawson.
Qui si esplora non tanto la possibilità che l’assassino si sia volatilizzato  da una camera chiusa dall’interno che non ha altre aperture oltre la finestra e un minuscolo laboratorio di elettromeccanica, cieco senza finestre, ma che si sia volatilizzata l’arma e anche il bossolo del proiettile: innumerevoli gli esempi nella letteratura poliziesca, che del resto ho fatto recentemente, allorchè ho parlato del racconto di Daly King.
Certo, se per un attimo si pensa, ma solo per un attimo, che responsabili siano i marziani, perché non si vede il foro di entrata del proiettile, e North è indubbiamente morto, dal momento in cui viene riscontrato il foro di apertura e viene estratto il proiettile, presumibilmente sparato dal una cal.38, è chiaro che la pista aliena comincia a traballare e perché traballi del tutto è necessario che si spieghi l’arcano delle orme a tre dita. Una volta risolto anche questo quid (vengono prodotte usando il dorso della mano, in una posizione particolare e con l’aggiunta dell’impronta di due dita), e scomparsa del tutto la pista degli omini verdi, tutto il resto può essere visto sotto altra luce: i geroglifici sono stati fatti da mano umana, lo stesso ritrovamento di Price è una bufala, e il ritrovamento degli abiti tutti stranamente chiusi e abbottonati e infilati gli uni negli altri atto a far supporre che una presenza aliena avesse smaterializzato gli abiti indosso a Kane materializzandoli altrove chissà per quale motivo, è anch’esso il tentativo di aggiungere ulteriore casino a quello già esistente.
La caccia all’assassino è presto conclusa.
Del resto, come abbiamo già detto precedentemente, questo non è un racconto basato su sparizione impossibile dell’assassino, ma dell’arma usata. Perché uno sparo si è sentito, anzi…due, quando Merlini viene sorpreso a sperimentare come riprodurre uno sparo e come uccidere una persona utilizzando non una pistola ma un marchingegno, creato assemblando due elementi e agendo dall’esterno con un terzo: sembrerebbe un po’ la pistola – che Francisco Paco Scaramanga usa in The Man with the Golden Gun, film della serie 007 interpretata da Roger Moore – formata da una penna, un accendino, un portasigarette ed un gemello da polso, tutti d’oro placcato. Qui invece si deve pensare ad  un gioco di prestigio, realizzato utilizzando degli elementi semplici presenti in un laboratorio elettro-meccanico. Non dico di più, perché questo è  puro divertimento dell’illusionista. Del resto, lo abbiamo detto altre volte, Rawson non è interessato a creare un’atmosfera reale che si attacchi quasi addosso, come se fosse una nebbia (come avviene in Carr), ma al gioco di prestigio in sè per sé, a stupire. Per certi versi è molto vicino al romanzo ad enigma francese, che si basa su medesimi presupposti: una volta che hai scoperto l’inghippo, trovare l’assassino è elementare, perché non ci sono tutte le difficoltà tipiche della scuola anglosassone (alibi inattaccabili, tempi dell’assassinio, moventi inesistenti, ritorno dell’erede, etc..); solo che l’inghippo è di virtuosismo tale che non è facile da sbrogliare.
La sparizione del bossolo, che è necessaria perché nessuna prova sia possibile portare in giudizio che provi in maniera assolutamente definitiva che il calibro usato fosse proprio il N.38, a sua volta si basa su un gioco di prestigio tipico degli illusionisti, per esempio la moneta che aveva IN MANO IL PRESTIDIGIATORE VIENE TROVATA ADDOSSO AD UNO SPETTATORE: L’ARTIFICIO è LO STESSO. L’omicida, sapendo che tutti verranno perquisiti e tutto verrà perquisito, soprattutto di se stessi, cerca il nascondiglio in ciò che non verrà perquisito perchè… In sostanza il trucco è quello stesso che si vede attuato nel film Fracture: un uomo viene assassinato e la pistola, viene scambiata con quella di un poliziotto, cosicchè la pistola che ha sparato, identica a quella del poliziotto, viene portata via addosso a sé dall’agente, mentre quella dell’agente, lasciata sul luogo del delitto, è incompatibile col bossolo trovato sulla scena del delitto. Nel nostro caso, tuttavia, il bossolo viene nascosto addosso non ai poliziotti (sarebbe troppo semplice!), ma a… Tuttavia come è possibile sparare un proiettile utilizzando un semplice tubo di ottone, che non abbia le rigature interne di una pistola e  che non abbia un percussore che faccia esplodere la mini-carica di un bossolo? Semplice la domanda, ma ..la risposta? Soprattutto poi quando il proiettile estratto le rigature che allora non dovrebbe avere, le ha invece?
Una piccola curiosità: non so perché ma noto l’uso ancora di una agenda telefonica in entrambi i racconti che ho presentato in questo blog. Nel primo, l’agenda veniva strappata per similare il suono di una striscia di carta che nello stesso istante venga strappata, mentre qui è usata per stordire la vittima, prima di ucciderla sparandole con un marchingegno degno della fantasia di John Rhode.

Pietro De Palma

domenica 30 dicembre 2018

John Dickson Carr : Il Mostro del Plenilunio (It Walks By Night, 1930) – I Classici del Giallo Mondadori, N.196 del 1974



Oggi è la volta di un romanzo famoso di John Dickson Carr, It Walks By Night , “Il Mostro del Plenilunio”, cui sono legato da filo doppio: con esso Carr cominciò la sua carriera di scrittore di romanzi; acquistando una copia dei Classici del Giallo Serie Oro di questo romanzo, io ho cominciato la mia carriera di lettore appassionato di Carr.

It Walks By Night, fu pubblicato nel 1930. Fu la prima opera di Carr di un certo spessore, il primo romanzo. Precedentemente Carr aveva scritto e pubblicato dei suoi racconti, in cui aveva già sperimentato alcuni dei temi che avrebbe sviluppato in tutte le sue opere successive. In particolare uno di questi quattro racconti, costituì la base che successivamente lo stesso Carr avrebbe ampliato creando il suo primo romanzo. Infatti T.J.Yoshi, riporta nel suo “John Dickson Carr: A Critical Study”, che “Grand Guignol”, fu un romanzo breve, scritto e ultimato da Carr a Parigi; e che lo stesso, una volta tornato Carr in patria, fu pubblicato sullo stesso giornale che aveva pubblicato gli altri racconti, “The Haverfordian”, tra il marzo e l’aprile del 1929. Grand Guignol non fu altro che la prima versione semplificata di “It Walks By Night”. Nello stesso 1929 Carr provvide a sviluppare il suo primo romanzo con Bencolin (proprio utilizzando Grand Guignol), pubblicandolo nel 1930.

La trama è particolarmente complessa, ed è un tripudio di situazioni macabre, impossibili, e orrorifiche, quasi che Carr vi avesse messo dentro tutto ciò che amava, non immaginando il successo che avrebbe avuto, perché potesse essere associata a lui: insomma, un romanzo degli eccessi. 

Alexandre Laurent è quello che ora definiremmo uno psicopatico, uno che uccide per provar piacere alla vista del sangue. Al dottor  Grafenstein che lo ha esaminato, dopo il suo arresto seguito al suo tentativo di omicidio ai danni della sua giovane moglie Louise, Laurent aveva detto di aver sentito l’impulso di uccidere la moglie proprio perché l’amava: era affetto da iperestesia, collegata ad un bisogno erotico: si eccitava in maniera anomala pensando a situazioni oscene. Insomma…un maniaco sessuale. E’ questo che Louise ha sposato, solo che se n’è accorta troppo tardi. Fatto sta che Laurent viene internato in una casa psichiatrica privata, dato che è di famiglia ricca, ma da lì fugge. Si rifugia dal dottor Rothswold, un medico noto tra i criminali, perché si dice possa cambiare i connotati delle persone con operazioni di chirurgia plastica. Fatto sta che un giorno, di notte,  un poliziotto vede un tale che esce fischiettando dalla villa-ambulatorio del chirurgo, portando due valigie, e che lo saluta allegramente. Poche ore dopo, allertata dalle segnalazioni di vicini che parlano di strepiti di gatti, la polizia irrompe nella villa e non vi trova né Laurent né tantomeno il dottore, ma solo..la testa di Rothswold dentro uno dei suoi catini, su uno scaffale: del corpo nessuna traccia. Forse in quelle due valigie che portava Laurent?

Ora Laurent è scomparso, ma un bel giorno ricompare allorché il Duca di Saligny, un appartenente al bel mondo parigino, ricco, famoso e anche sportivo indefesso, e grande tennista (“It was always, The Duc of Saligny, is expected to give Lacoste a strong fight in the seminfinals at Wimbledon tomorrow”), decide di impalmare Louise. E minaccia il duca di farsi da parte, per non cadere vittima della sua vendetta.

Saligny non vi presta attenzione e sposa Louise, la ex moglie di Laurent.. Fatto sta che a quel punto si verifica un fatto che avrà ripercussioni nel finale della storia: la sposa, alla presenza di Bencolin, Giudice Istruttore e Capo della Polizia, e dei suoi testimoni, tra cui Jeff Marle, il narratore, e lo stesso dottor Grafenstein, rivela che Laurent le è apparso a casa dell’avvocato Kilard durante una festa, nel bagno di casa, mentre impugnava una cazzuola da muratore. Nell’altra camera c’erano Saligny ed un suo amico carissimo, Edouard Vautrelle, che poi Bencolin scoprirà essere un nome fasullo, adottato per nascondere la vera identità: infatti è un impostore, che si atteggia ad esule russo, fuggito in seguito alla rivoluzione bolscevica, un maggiore del decimo cavalleria cosacca dell’esercito imperiale dello Tzar Nicola II, senza esserlo. Come poteva Laurent scomparire in un attimo da una stanza, senza che altri lo vedessero, penetrare ed uscire da una casa in modo assolutamente straordinario? Il fatto è questo: Laurent si è vantato in passato proprio di fare questo. Possibile? Grafenstein pensa che la signora abbia avuto un’allucinazione, ma vi è una prova, asserisce Louise: una cazzuola da muratore, che prima dell’apparizione, in quel bagno non c’era. E perché mai del resto, una cazzuola si sarebbe dovuta trovare in un bagno?

Ma accade il primo delitto. Da Fenelli’s, un ristorante con tavoli da gioco, musica, ballo e quant’altro, viene ritrovato il duca ucciso, decapitato, in una saletta da gioco: il duca vi è entrato, e ovviamente siccome nessuno ha visto nulla, l’assassino doveva essere già appostato lì. Il problema è uno: come ha fatto ad uscire? Le uscite erano sorvegliate a vista da Bencolin stesso e da uno dei suoi uomini più fidati, François. E l’unica finestra dista più di dieci metri dalla strada. Impossibile. Nessuno sarebbe potuto fuggire, ma in fin dei conti si è volatilizzato. Come ha fatto?

La moglie non era lì vicino ed il suo amico Vautrelle, di cui per un momento si sospetta il coinvolgimento, viene in pratica scagionato proprio da François, con cui stava chiacchierando probabilmente mentre il Duca veniva decapitato; per di più anche lui testimonia che da quella uscita, dove era appostato il poliziotto, nessuno è uscito. A sconcertare è l’ora della morte: infatti, ci si è accorti dell’omicidio, perché qualcuno ha suonato un campanello nel fumoir per chiamare un cameriere; che poi, scoperto l’assassinio, ha dato l’allarme. Per quale motivo, quindi è stato suonato il campanello? E se è stato suonato, e la cosa è certa, può essere che sia stato suonato non da dentro ma da un qualche altro posto qualunque? Ma compare un nuovo personaggio: proprio da Jeff Marle, viene scoperta, completamente nuda, una donna bellissima, al buio, in una stanza esattamente sopra quella in cui è avvenuto l’omicidio: è Sharon Grey, amica di Raoul, e di lui segretamente innamorata, ma anche ufficialmente amante di Vautrelle: proprio lei, conferma a Bencolin alcuni suoi indizi: qualcuno le è apparso al buio, poco prima, dicendole che Raoul non sarebbe più venuto perché aveva “un appuntamento coi vermi”: aveva le mani sporche di sangue. Lei parla della calma glaciale della vedova, e quella dell’abilità di Laurent di trasformarsi in una persona che lei e Saligny avrebbero potuto conoscere: in pratica, reindirizza le indagini nei confronti di Vautrelle. Che però, anch’egli viene ucciso. Nella villa di Sharon Grey a Versailles. Da Laurent? O da qualcun altro?

Intanto qualcuno è rientrato nella notte dell’omicidio di Saligny in casa sua perché il maggiordomo ha sentito dei rumori: dallo scrittorio dello studio son stati sottratti documenti, ma non il milione di franchi che era nella cassaforte. E dal mazzo di chiavi, manca solo la chiave della cella dei vini, in cantina. Qui, accanto ad una parete sgombra da vini, viene scoperta della calce e per terra una cazzuola da muratore: con pochi colpi di piccone viene sfondato il muro, e da lì emerge l’occhio vitreo del volto di un uomo. Il corpo nella cantina è però così decomposto da poter essere stato ucciso solo almeno tre settimane prima del ritrovamento: chi è?

Bencolin ha capito chi possa essere, e quindi poco dopo saprà inchiodare l’omicida. Che ha ucciso Saligny e Vautrelle ma non quell’altro uomo. Tre omicidi, due assassini. Un finale memorabile.

Il romanzo di Carr è un’opera acerba senza dubbio, ma anche – dicevamo –un romanzo degli eccessi.

Innanzitutto è un romanzo gotico. E si sa, tutto o quasi il ciclo di Bencolin ha atmosfere gotiche. Ma qui l’atmosfera macabra è opprimente, e genera una tensione palpabile. Che se realmente insostenibile, risulta poi alla fine in qualche modo falsa: come dice il proverbio “il troppo stroppia”. Carr usa tutti i trucchetti del mestiere, come se fosse uno scrittore di lungo corso: i vari avvenimenti di solito si  verificano di sera, i delitti avvengono al chiarore delle candele o a quello della luna; morti nascosti dietro muri, sparizioni e macabro a volontà. Chi ci richiama? Poe. Che è citato nel romanzo. E poi emulato in uno dei suoi racconti più famosi, La Botte di Amontillado.

Poe maestro di atmosfere, di terrore, di tensione; Carr maestro di atmosfere, di terrore, di tensione, ma anche di originalità, sapiente miscelatore di gotico, col fantastico e col raziocinio al suo massimo splendore. Anche se qui, le atmosfere sono troppo orrorifiche.

Già il primo capitolo ci introduce a queste atmosfere: si chiama “Il patrono dei becchini”. Comincia con la descrizione di una creatura fantastica in cui si sarebbe potuto trasformare chiunque, donna o uomo, nella Parigi medievale: un licantropo. Il testo è contenuto in un libro di proprietà di Alexandre Laurent, un pazzo che Bencolin deve fermare prima che ne vada di mezzo il Duca di Saligny. Ma è utile far notare che Carr introduce un licantropo, per parlare invece di Laurent. Ed è in una Parigi rischiarata dai lampioni, così simile alla Londra di Jack the Ripper, che una creatura infernale, della notte, colpisce, e si identifica in Laurent. Le descrizioni orrorifiche abbondano, ma io controcorrente, invece di citare quelle che citano tutti, indico due che mi hanno particolarmente colpito. Perché non solo sono espressione del gotico, ma anche di un’altra delle caratteristiche di Carr : saper miscelare gli elementi in maniera tale da generare tensione e da accrescerla senza mai strafare.

Nella prima, Jeff Marle e Sharon Grey sono assieme nella villa de lei.

E conversano: "Lewis Carroll.."—fancy! I'd never read Alice! Raoul"—she hesitated, but rushed on—"a friend of mine was going to bring me a copy, but he put it off; and I got one. Don't you love the Mad Hatter's tea party? And the way they carried around flamingoes, and said, 'Off with his head’ .

They sit on a rustic bench, near the back wall: “..at the rustic bench she hesitated, and, as I touched her arm, she sat down. Through pale rifts in the shadowing cy­press I could see the dead white of her face staring up at the moon. It was like a dead face, except for the eyes; and she was like one dead”.

Poi di nuovo, continuando: How cold your hand is—on my shoulder!"... the words sank into my mind … It grew on me, horribly, that my hands were clenched together, before me. . .The words clanged in my mind with sudden terrible sus­picion. "Get up!" I said, hardly hearing my own voice—it sounded strained and soft and ghastly. "Please get up—from there—a second". The thin song of the fountain shrilled mockingly..You look". "Get up from there!". She started to rise. I swept her to her feet, out from the bench and behind me, and whirled towards the empty bench again. A chatter of repulsion went over me. . .The moonlight, sifting down through the cy­press, showed a man's hand protruding motionless from the back supports of the bench. I ripped out the bench, flung it over in a thud, and from a little screen of bushes a man's body pitched out into the clear­ing. It gave an almost lifelike twitch as it landed, Something wet splashed against my ankle....Nausea! Steady, now, steady! …The fountain shrilled steadily; as though it laughed. …His head's been nearly severed from his body.

Damn that fountain! Now the face, white and streaked with dirt, was turned full up to the moon. It was Edouard Vautrelle. His lips were drawn back from his teeth, derisively, and his monocle was still gripped in one sightless eye.”(cap. XII - A Hand is Motionless Beneath the Cypress)

Noto la successione dei vari momenti, che si rincorrono sempre con maggiore tensione verso il catartico ritrovamento di Vautrelle: innanzitutto il riferimento alla decapitazione in “Alice nel paese delle meraviglie”. Poi il riferimento alle candele che man mano si spengono:

The Chinese lanterns, orange and red, were hidden among the trees, and through the darker branches above the sky was tinged in pearl. We walked into the secrecy of the garden through a low door, over thick soft grass to a space closed in by a wall of hedge, where no sounds came. On the cloth of a table set for two the flames of two thin candles rose unwinking in the still air....

Poi la passeggiata nel parco della villa, soli, al chiaro di luna, senza altre luci. Il riferimento ai cipressi (alberi da cimitero) introduce un nuovo elemento di tensione. Ma la fontana col suo rumore cristallino smorza la tensione, almeno..parrebbe che la smorzasse. Poi..il pallore nel volto di lei, che sembra quello di una morta. Ancora un riferimento macabro.  Poi si siedono sulla panchina, e ancora una volta sembrebbe che la tensione si svaporasse, quando..un nuovo elemento di tensione ancora più acuto si affaccia: la mano gelida. Che porta all’orrore di vedere le proprie mani conserte. E di chi è allora quell’altra mano? La sua voce è inudibile, in preda allo spavento. La luce della luna che attraversa i cipressi (ancora loro!) rivela una mano umana appoggiata alla spalliera della panchina. Ora il rumore dell’acqua della fontana non è più rilassante ma assomiglia al suono di una risata aggiungerei..maligna. E poi ..un corpo con la testa quasi staccata dal corpo. E infine la rivelazione che si tratta di Vautrelle. Vautrelle? Ma se si era quasi stati portati a sospettarlo di omicidio?

Faccio notare due cose:

innanzitutto come gli stessi oggetti, a seconda dello stato emozionale in cui vengono a trovarsi i soggetti, possono mutare diametralmente il loro significato. Per es. la fontana della Villa di Versailles, prima ha un suono cristallino, poi è come se ridesse (ma non è una risata allegra ma beffarda, sardonica, che accompagna la scoperta dell’omicidio; e poi come le stesse cose possano avere un significato diverso a seconda da come le si usi: per es. la Villa di Versailles, che tenuta al buio e rischiarata dalle candele ha un’aura romantica ma piena di presagi di morte, dopo la morte, rischiarata dalla luce elettrica perde la propria aura spettrale per ricavarne una più fredda.

Ancora da notare è come il procedimento usato da Carr per generare tensione sia quello cosiddetto accrescitivo, usato con estrema accortezza, molto simile al sistema usato dai compositori dell’ottocento per accrescere la tensione drammatica nella musica: se si fosse puntato infatti su un’unica linea, procedendo dalla tensione minima alla tensione massima, non si sarebbe potuto andar avanti per molto tempo; e dopo un poco la tensione si sarebbe esaurita. Invece qui, per accrescere una tensione drammatica e portarla a livelli insostenibili, Carr si ferma ogni tanto, quasi seguendo delle tappe, e da ogni tappa riparte con una forza maggiore e con elementi che pur essendo simili a quelli originari, portano a situazioni più sconvolgenti. 

Non c’è dubbio infatti che il Leroux di Le parfum de la dame en noir più che  Le Mystère de la chambre jaune deve aver esercitato un’influenza determinante su Carr, almeno su tre suoi romanzi: il delitto in The Unicorn Murders è chiaramente improntato a quello in Leroux, nell’incipit di The problem of the green capsule  ma anche nel cap. IV, The Black Spectacles, si trova qualcosa che rimanda a Leroux:


Questo periodo – come mi diceva tempo fa Igor Longo – sarebbe un pallido riferimento a quello che accade al pranzo del castello d’Ercole, nel cap.10 di Le parfum de la Dame en noir:

Et les autres, les autres, pourquoi restaient-ils muets derrière leurs vitres noires ?... Tout à coup, je tournai la tête et je regardai derrière moi. Alors, je compris, à ce geste instinctif, que j’étais la proie d’un phénomène tout naturel... Quelqu’un me regardait... Deux yeux étaient fixés sur moi, pesaient sur moi. Je ne vis point ces yeux et je ne sus d’où me venait ce regard... Mais il était là...Je le sentais... Et c’était son regard à lui... Et cependant, il n’y avait personne derrière moi... ni à droite, ni à gauche, ni en face... personne autour de moi que les gens qui étaient assis à cette table, immobiles derrière leurs binocles noirs... Alors...alors, j’eus la certitude que les yeux de Larsan me regardaient derrière l’un de ces binocles-là !... Ah ! les vitres noires ! les vitres noires derrière lesquelles se cachait Larsan !...

Gli occhiali neri ci permettono di nasconderci e di nascondere i nostri pensieri; e infine l’abilità trasformista di Larsan/Ballmeier di prendere le sembianze di altri personaggi, è l’abilità di personaggi di It Walks By Night di assumere le identità di altri personaggi.

E lo si desume, come giustamente rileva Nick Fuller, dalla trattazione che Bencolin fa alla fine del capitolo undicesimo: lì viene confrontata la pratica investigativa americana, fatta di terzo grado e di informatori, e di indagini brutali, con quella francese in cui un corpo di polizia ha il compito di investigare usando la ragione. Ma nello stesso tempo, Bencolin mette in guardia contro la credenza che chiunque, dotato solo di sagacia, e quindi senza esperienza o studio, possa improvvisarsi investigatore: in una Francia degli anni ’20, quale altro confronto è possibile se non con il Rouletabille di Leroux? Non solo.  Il fatto è che Bencolin cita proprio Leroux  :

"One of the popular fallacies of the day," Bencolin con­tinued, thoughtfully, "is that the detection of crime is not a science, and that its investigators do not achieve almost magi­cal results. I do not know why this error should be so prev­alent, unless it is because extraordinary analyses occur so often in fiction; therefore, the careful public reasons, they cannot possibly occur in life.... Still, it is difficult to under­stand why the man on the street is prone to be so suspicious of what he is pleased to call 'book stuff’ in this business. Tell him that a doctor—preferably a German with a sonorous name—has discovered a cure for cancer, and he will be very apt to believe you; but tell him the simple truth that by a single trace of mud-stain on a coat the identity of a murderer may be established, and he will probably sneer, 'Pah! you've been reading Gaston Leroux!'

E a Leroux ci porta anche il modo assolutamente trasformistico di creare e ricreare la realtà a piacimento: Frédéric Larsan, il celebre poliziotto di Leroux, in realtà è anche il criminale Ballmeyer, e allo stesso modo Alexandre Laurent diventa Saligny.  L’abilità trasformistica di Ballmeyer ad impersonare il personaggio Larsan e a condurre il gioco secondo la propria prospettiva è la stessa dell’assassino qui e del suo complice, che orchestrano il delitto come un concerto. Come Igor Longo, ritengo che Carr pensò al secondo Leroux, Le parfum de la dame en noir, come modello per il suo romanzo, in quanto come in quel romanzo di Leroux, in questo di Carr la follia e la capacità di farsi beffe della realtà svia continuamente il lettore.

Ma al di là di questo, riscontro anche altre influenze, in questo primissimo Carr. Soprattutto Freeman e Crofts. Per delle cose che noto qui, ma non anche in altri Carr successivi: qui per esempio c’è un’ eccessiva attenzione ai tempi. Alle pagg. 67-68, cioè nelle ultime due pagine del quinto capitolo, Bencolin riassume la situazione delle testimonianze e deposizioni, consultando il suo taccuino in cui ha ordinato i vari tempi riferiti alla situazione criminosa: ora, questa è una nota che ci avvicina fortemente ai romanzi di Crofts, la cui principale caratteristica è quella di esibire degli alibi a prova di bomba che poi vengono smontati altrettanto sapientemente.

."Now, messieurs, here is a resume of our knowledge. To fix the time element, I will go over it" He read from his notebook:

"10:15 p.m. Saligny, his wife, Vautrelle, M. and Mme. Kilard arrive at house. (Witnesses: Fenelli and G. H. Buisson, leader of orchestra.)

"10:20. M. and Mme. Kilard leave house. (Witness­es: Fenelli, Buisson, Vautrelle.)

"10:25 to 10:55. Vautrelle and Saligny in smoking-room. (Witnesses: bar steward, waiter.)

"10:30. Madame de Saligny has interview with Fenel­li upstairs. (Witness: Fenelli.)

"10:50 to 11:25. Fenelli remains alone upstairs. (Wit­ness: the same.)

"10:55. Saligny leaves smoking-room. (Witnesses: bar steward, Vautrelle.)

"10:55 to 11:30. Vautrelle remains in smoking-room. (Witness: Vautrelle. Note: waiter remembers bringing him a drink—about—11:15.)

"11:18. Madame joins our party in main salon. (Wit­nesses: ourselves.)

"11:30. Saligny enters card-room. (Witnesses: our­selves, madame.)

"11:30. Vautrelle is talking to detective, enquires time. (Witness: Frangois Dillsart) Detective has just gone on duty.

"11:30 to 11:36. Vautrelle talks to detective before door of card-room. (Witness: the same.)

"11:37. Vautrelle joins us in alcove. (Witnesses: our­selves.)

"11:40. Murder is discovered by steward and Fran­cois.

"Remarks: Nobody can be found who remembers seeing any of these people in the hallway from 10:20 to 11:30, the lapse of over an hour.

"Nobody remembers seeing Saligny from 10:55, when he left Vautrelle in smoking-room, until 11:30, when he entered card-room.

Invece dall’ R.Austin Freeman del dottor Thorndyke, Carr prende la tendenza a trattare gli indizi materiali come fondamento all’indagine investigativa: per es. nel capitolo sesto, “In the Black Parlours”, assistiamo ad un tipo di indagine scientifica, per quanto riguarda il rilevamento di prove materiali: lo spargimento di polvere per le impronte digitali, le fotografie della scena del delitto, il segno del contorno del cadavere col gesso. E poi Bencolin che supera i suoi stessi uomini e trova sotto le unghie della vittima un pezzo di filo, che solo lui avrebbe potuto vedere, e che poi viene identificato, in un tipo di filato:

When we entered the card-room again, there were more men studying the position of the body. They gathered at some little distance to avoid the nauseating welter of blood. With a detached and impersonal air, a fat man with whiskers —this must be the medical examiner—was taking notes and cocking his head at the body like an artist squinting for per­spective. He made his last note with a flourish of the pen. Then he beckoned to two of the men.

One of them set up a camera, fiddled with it awhile, and the other prepared some powder in a fiat pan. Presently there was a blinding flare of light; then the smoke and reek of flashlight powder drifting across the dull lamp-glow. While they were preparing for more pictures, I tried to get the scene firmly photographed in my mind.

There was the headless trunk, limbs frozen in that weird kneeling position. It was toppled forward so that the neck stump touched the floor, the back partly humped. One leg

was doubled under, the other sprawled at a side angle. Both arms were doubled flat from the elbows, arms forward like the arms of the Sphinx, fingers dug with claw-like tension into the carpet Altogether, it gave the impression that this headless beast was about to spring forward. The back of the dress-coat was soaked, the entire shirt front crimson, and both arms were splattered so that thin red splashes daubed the backs of the hands. Bencolin had replaced the head where it had been, some three feet away.... Again the flashlight powder glared over motionless men; blinding, like an instant of terrifying death.

One of the men stepped forward, and with an enormous lump of chalk, such as tailors use for suit markings, he drew a line around the edges of the body. Afterwards the medical examiner jerked a thumb over his shoulder, and in a tired voice said, "All right boys."

Two of them lifted it up—it was becoming stiff, like a big plaster image in clothes—and started to bear it from the room. It passed by us, and Bencolin, coming out of his reverie, stopped for a moment the two who were carrying the burden. Pulling at his moustache, he looked down at it for a time. He unclasped one of the hands and bent close. What he ex­tracted from under one finger nail I could not a$ first see; it was a tiny bit of thread, colourless and nearly invisible. Ben­colin put it into an envelope, and motioned the bearers to go. (Capitolo VI)

Poi si vedono uomini che esaminano il tappeto, tolgono la copertura del divano, fotografano e rilevano impronte:

I turned back to see Bencolin directing the group of men. They were looking for fingerprints now, with their lenses and their brushes and the little tins of powder like flour sifters. But there were few surfaces capable of holding prints, though they even went over the card tables folded against the wall. The photographing continued, and the room reeked terribly now. Two of them, at Bencolin's order, took off the cover of the divan, folded it together like a bag, and carried it out along with the pillows.

C’è anche un altro passo dove viene esplicitata l’indagine scientifica che Bencolin attua coi suoi uomini nella Villa di Versailles dove giace il cadavere di Vautrelle, nel capitolo XIII, “Death at Versailles

—"I swear to you that before tomorrow night we shall have our killer. Come with me."

"Did you find anything?"

"Yes. First tell me everything that happened this evening." Trying to collect my thoughts in a drumming head, I slowly recounted every event of the evening. Several times he nodded. "It fits," he said, finally. "Let me show you...." We went to the cypress and bent under it. He flashed the light down on the motionless figure lying with face twisted up.

"Don't track into it, now, but look carefully. No sword was used this time. He was first stabbed twice; once directly through the back, and once under the lowest rib on the left side. Then the murderer set to work to dismember his head— look! cutting through the cartilage of the vertebrae from the back. It isn't an easy thing to do for one unskilled in surgery, and the murderer desisted. I don't see any weapon. It was apparently a knife about an inch wide, and rather heavy; something, I should say, on the pattern of an American bowie."

The light flashed into the space behind the bench's original position, where was a thin sumach hedge, and beyond it a path a foot wide, following the garden wall under the drinking fountain. The beam played over this for a second, then swung to the left a few feet towards the rear gate.

"It's bloody," the detective said, shrugging. "There is the gate, you see. Vautrelle was standing near it when you saw him from the window. The murderer entered by that gate, be­hind him, and stabbed him in the back. He was then ap­parently dragged over here and thrown into the sumach hedge against the bench while the murderer attempted to cut off his head."

Il sangue, le coltellate alle spalle, le tracce sanguinolente che partono dal cancello posteriore della villa, indicano che l’assassino ha seguito Vautrelle che si trascinava fino alla panchina, e quando lui si è accasciato, egli ha cominciato a staccargli la testa dal busto. La mancata recisione della testa che indica come non si sia utilizzata una spada ma piuttosto un coltello, un lavoro da inesperti, un coltello grosso, forse americano, da caccia. Tutte tracce che opportunamente interpretate da Bencolin gli consentiranno di farsi un’idea precisa su quel che possa essere accaduto. E non sbaglierà neppure in quest’occasione:

E infine l’Hashish e l’oppio hanno una grande importanza in questo romanzo. E chi ci ricordano oppio e hashish? De Quincey, Balzac, Baudelaire, Gautier. Noto come in determinati passi del romanzo si trovino riferimenti a queste droghe, molto significativi: innanzitutto tra gli autori preferiti da Laurent sono citati De Quincey e Baudelaire. Laurent ed altri personaggi si drogano. In un passo, prima dell’assassinio di Saligny, colui che l’ucciderà esclama:

"That music" she snapped; "damn that music! I can't stand it! I won't stand it! Why must they play the same thing for half an hour—the same thing!” (Capitolo II: It Walks By Night)

Ancora una volta, un qualcosa cambia significato, a sottolineare un cambio emotivo dei personaggi: prima l’orchestra jazz produceva un semplice frastuono; ora la musica dell’orchestrina, sappiamo che viene percepita come ossessiva. Anche perchè il soggetto che inveisce, intuiamo che è drogato.

Quincey è ricordato per aver scritto Murder considered as one of the fine arts ,“L’assassinio come una delle belle arti”. Ma è anche ricordato per uno scritto molto più famoso all’epoca, Confessions of an English opium-eater. Non scordiamoci che il Carr degli anni ’20 che aveva vissuto a Parigi, si era imbevuto di letteratura francese: e quindi non potrebbe aver letto anche  De Quincey, e Théofile Gautier, dedito all’oppio e all’hashisc, come lo stesso Balzac?

Tra tante meraviglie, l’unica cosa che mi appare stonata è l’omicida: non è un grande omicida, non è una persona di grande levatura, un genio come in gran parte dei romanzi di Carr. Non è neanche un vigliacco, un fetente. Piuttosto è una creatura debole, dedita alla droga, che ha ucciso non perché desiderasse uccidere Saligny, ma perché glielo si è chiesto, lo si è convinto a farlo. Ma poi il secondo omicidio e il tentato terzo, sono il frutto della sua follia. E la pervicacia con cui Bencolin lo accusa, lo distrugge psicologicamente, fa quasi pena:

“ X may spill ashes, if she desires, on this rug," said Bencolin..He said it with just the faintest deprecation. Her hand jerked. It was the most devilish kind of baiting; but she only opened her eyes a trifle wider, and suggested…..

Now, madame, as we were saying, you have been victimized by everybody. Even, I may add, by Fenelli; it must not have been pleasant to have to suffer his attentions for such a physically modest person as yourself—on this divan, was it not?”

This inhuman stroke nearly smashed her (Capitolo XVIII: The Last Battle)

 Bencolin non ha nulla di Fell o Merrivale; è piuttosto un essere duro, spietato con chi sbaglia. Perché non è solo poliziotto ma anche giudice. E quindi è implacabile. Il suo compito non è solo quello di acciuffare il reo ma anche di portarlo, come dice lui qui, alla ghigliottina:
"In there"—he pointed to his brief-case—"I have records of all the purely court evidence which will send …to the guillotine. (Chapter XVIII).
Questo modo di presentare Bencolin, con la sua aria sinistra e mefistofelica, riesce quasi ad invertire i ruoli: il povero assassino da una parte, il freddo poliziotto dall’altra. Del resto l’assassino ha eliminato dei rifiuti della società: uno psicopatico, un imbroglione, e stava per uccidere un ricattatore e spacciatore di hascisc.

Bencolin non si accanisce contro l’assassino perché questi ha ucciso, quanto piuttosto per come ha impedito che lui, Bencolin, che aveva dato la sua parola a Saligny di proteggerlo, potesse adempiere alla sua promessa. E per di più perché chi ha ucciso si è fatto beffe dell’ordine costituito, servendosi di lui e di un suo uomo, François, per avere un alibi. Ecco perché, secondo me, la giustizia di Bencolin assume ,qui, i contorni di una vendetta personale; e solo questo spiega l’accanimento del poliziotto nei confronti dell’essere debole che ha davanti, cosa che si può evincere leggendo le pagine finali dell’ultimo capitolo. Accanimento anche perchè deve capire se il suo ragionamento sia stato giusto, se le cose siano andate veramente come lui abbia pensato. Serve cioè, perchè la giustizia possa avere il suo corso, e forse anche, come lui suggerisce all’assassino (vittima di tutta una serie di torti che ha patito), perchè la giuria possa tenerne conto e non applicare la pena di morte. C’è solo un momento, alla fine della storia, in cui si erge l’assassino in tutta la sua figura. E’ quando rivendica la gioia che ha provato quando ha ucciso Vautrelle, quando è stato bagnato dal suo sangue: se l’anima può saziarsi, ecco, lui, l’assassino, si è saziato dopo. Questo identificarsi con l’anima, fa sì che l’assassino giustifichi la morte di Vautrelle con un bisogno di giustizia. Una giustizia che non può essere solo terrena. Non sarebbe stato quindi un assassinio ma un’esecuzione. E quindi è come se dicesse che dovrebbe essere giudicato non per la seconda morte quanto per la prima (a suo dire, ovviamente):

"... I had a knife there in the house—a big one. Raoul had given it to me as a souvenir of a hunting-trip. I didn't care who saw me. All I wanted to do was repay Edouard for what he'd done. I smoked, you see—here's one of the ciga­rettes—and when I smoke one of those—I don't know why— I am capable of anything. I took a taxi I came up to the villa by the back gate, and when I came in by the back gate, he was standing there." Her arm flashed up and over. "I struck him. I hacked him—I was bathed in his blood; I liked that!"

….stood there in triumph, ecstatic with head thrown back, while the sound of the orchestra floated through the skylight; and Bencolin sat motionless on the divan, staring at the lamp. She had kept her appointments with three men; she would have murdered them all. (Capitolo XIX: The Hour of Triumph). [i]

Insomma…un’opera giovanile di Carr, ancora non perfettamente oliata, ma già capace di avvincere e meravigliare: il plot e la soluzione sono meravigliosi, e già richiamano certi altri meccanismi da Camera Chiusa che verranno inventati successivamente.



Pietro De Palma










[i] A latere si impone un minimo commento sulla traduzione italiana, auspicandone una nuova, che coi tempi che corrono, temo che sia ancora parecchio lontana nel tempo. Quella di Rossana De Michele è vecchiotta. Risale a sessanta anni fa in quanto per la prima volta il romanzo fu pubblicato con Il Giallo Mondadori N. 510 del 1958, ma non è affatto male in quanto a qualità della traduzione, che riesce a trasmettere nel lettore quella inquietudine e quella tensione che esiste nella versione originale, tenendo conto per di più che la versione inglese è più lunga. Le parti mancanti, non riguardano la sostanza dell’azione, quanto le descrizioni. Manca per esempio qualcosa della Parigi notturna, e talora per far rientrare il volume nel numero voluto di pagine, si tende a sintetizzare. La cosa più evidente è per esempio il fatto che nella versione originale inglese ci siano 19 capitoli e in quella italiana 18. Il capitolo finale, L’ora del trionfo, manca e piuttosto la parte che lo costituiva viene aggiunta al capitolo 18, Scontro finale, ovviamente togliendo delle cose. Inoltre qualche capitolo non ha il titolo originario e questo mi sembra francamente la cosa più inspiegabile : il capitolo IV  da Determiniamo la posizione delle marionette (si parla di ricostruzione degli spostamenti delle persone e dei tempi) diventa Si ricompone il mosaico (che non vuol dire nulla); il cap. VI da Nei salotti neri si passa a Una stanza di sette metri per sette; il cap. X è paradossale: passa da Bencolin Weaves che significa Bencolin tesse e quindi ha un significato positivo, a L’incertezza di Bencolin, con significato negativo; nel titolo dell’ XI si perde nel passaggio dall’inglese all’italiano l’ironia: Swordplay significa arte della scherma; nel titolo italiano significa Schermaglia, che significa altro. Ma in quella inglese, letteralmente sarebbe Il gioco della spada, e la spada è l’arma con cui è stato decapitato Raoul de Saligny. E poi ci sono parecchi errori. Uno dei più grossolani è nel primo capitolo: Jeff Marle ricorda come ha conosciuto Bencolin e dice nella traduzione italiana Lo conoscevo da moltissimi anni, poiché era stato il migliore amico dì mio fratello, al tempo in cui erano in collegio in America. Quando ero un ragazzo, Bencolin era solito venirci a trovare ogni anno; mi regalava una quantità di giocattoli e mi raccontava le storie più deliziose e terrificanti. Ma nella versione originale il testo è I have known him all my life, for he was my father's best friend when the two were at college in America. When I was very young he used to visit us every year, bringing, me toys from the boulevards and telling me the most delight­ful hair-raising stories. Come si vede nella versione originale Jeff è il figlio dell’amico di Bencolin e non il fratello. E del resto si comprende come Jeff al tempo fosse un bambino, a cui regalare dei giocattoli e raccontare storie terrificanti, in quanto figlio di amici. E’ difficile che tu vada a trovare un amico e compri i regali per suo fratello. In sostanza la traduttrice ha confuso father per brother. Uno dei tanti errori. Mi ricorda quando una volta trovai in un racconto tradotto da altra traduttrice bride tradotto come bridge (ponte preso per sposa).

Inoltre la mappa all’inizio del romanzo è stata ruotata di 90° a sinistra. Nella Mappa originale Rue de Tokyo è sul fianco sinistro, mentre in quella italiana compare in alto. Ma soprattutto anche in questa si nota una dimenticanza fondamentale: la stanza in cui viene compiuto il delitto, per come viene descritta dovrebbe avere tre porte, cosa che in effetti esiste in quella originale. Ma in quella italiana le porte diventano due, solo quelle che si raffrontano, mentre nella parete a destra scompare la dicitura “porta”.