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domenica 19 febbraio 2017

S.A. Steeman : La casa del mistero (Peril, 1930) – I Grandi Gialli N°29, Editrice Pagotto, Milano, 1952

In altra occasione ebbi a parlare di Steeman e dei suoi esordi letterari: ne riassumo per sommi capi i termini, poiché oggi parlo di un romanzo degli esordi, anzi, il primo romanzo in assoluto scritto da solo: Peril, 1930.
Steeman non si cimentò nel romanzo giallo come prima occupazione, ma solo dopo che aveva intrapreso la carriera giornalistica dal 1928 al 1933 per La Nation Belge ( e prima ancora si era dedicato essenzialmente ai fumetti). Assieme ad un altro giornalista, Herman Santini (pseudonimo Sintair), scrisse i suoi primi 5 romanzi, per poi pubblicare romanzi da solo. Tuttavia, ancor mentre collaborava con l’amico, nel 1930 aveva cominciato la carriera letteraria individuale, pubblicando tre romanzi ( Péril, Le doigt volé  e Six hommes morts) con l’ultimo dei quali aveva vinto il Grand Prix du Roman d’Aventures, nel 1931. Nel romanzo era stato introdotto il suo personaggio di maggior spessore, Vorobeitchik Venceslao, detto Monsieur Wens.
Peril è sostanzialmente un ibrido: un romanzo in cui si mischia atmosfera da thriller con il mystery più classico. Sin da questo suo primo romanzo, Steeman si manifesta un innovatore: tenta di  svincolarsi dalla pesante eredità di Leblanc e Conan Doyle e tenta una via personale. Ancora acerba, direi. Ma comunque, tenta una strada, non basata esclusivamente sull’enigma, anche se l’elemento avventuroso è presente in larga parte.
Il ritmo è sostenuto, soprattutto a causa di un’atmosfera d’effetto e di una caratterizzazione efficace dei soggetti. Non manca neppure un finale ad effetto e per nulla scontato!
Vediamo che già in questo primo romanzo, Steeman inserisce uno dei suoi temi ricorrenti: una pensione, in cui abitano più inquilini, tra cui si cela un assassino.
Proprio in Peril, come accadrà più tardi con L’assassin habite au 21, in un palazzo vi è una pensione, nel cui ambito maturano delle situazioni poco chiare: infatti, ciascuno degli inquilini, dimostra di nascondere qualcosa oppure si comporta ambiguamente.
Tutto comincia quando Michel Aigu vede un negozio dove vendono sigarette: ne ha bisogno ed entra. Tutto dinostra trasandatezza: polvere, ragnatele, ed una vecchia che cerca di mandarlo via il più presto possibile. Michel non fatica neanche un istante di più ad andarsene, non prima di aver osservato un cartello che è attinente all’affitto di un appartamento nel palazzo. Il fatto è che dopo essere uscito, per caso fissa lo sguardo su una delle finestre che si aprono sopra il negozio, e vede una bellissima giovane donna. Colpo di fulmine! Michel, abbagliato, vorrebbe chiedersi qualcosa di più, tanto più che l’espressione del viso è molto turbata. Non vedendola più, un attimo dopo, decide di tentare il tutto per tutto: rientra nel negozio e si dimostra interessato all’affitto dell’appartamento. In un primo tempo la vecchia gli fa capire che è stato affittato, poi gli dice invece che non è ancora stato affittato ma è in procinto di esserlo perché il proprietario – che non è lei – ha già ricevuto un’opzione. Michel decide di recarsi dal padrone di casa per fare un’offerta maggiore di quella che è già stata fatta: fatto sta che il suo avversario, futuribile inquilino, massiccio e muscoloso, tale Triboul, agente d’assicurazione, battuto sulla proposta di affitto, lo minaccia.
Una volta accasatosi e fatte arrivare lì le sue cose, Michel cerca di rivedere la bella giovane, ma si trova dinanzi un muro di silenzio e omertà. Nel palazzo vi sono più inquilini: innanzitutto la vecchia del negozio, Laura Hamoir; poi abita un’ancora più perfida vecchia, sorella della precedente, Cécile; la bella Charline;  il signor Bonal, uno scrittore; e infine due musicisti.
La polizia è stata informata che un pericolosissimo malfattore, ladro, assassino, rapinatore, Albéric Solomon si nasconderebbe in quella casa: solo che il volto di Solomon è un mistero. Potrebbe essere chiunque di quegli inquilini maschi (si noti come ancora in questo tempo, in certa parte degli scrittori, il malfattore non poteva essere una donna, che invece aveva sempre la parte della vittima, ma doveva essere necessariamente un uomo): ma perché mai Solomon si nasconderebbe in un miserabile pensionato? E’ evidente che c’è sotto qualcosa! Si scoprirà che intende sottrarre una preziosa cassetta, che conterrebbe circa centomila franchi più un numero considerevole di azioni minerarie di gran valore, nascosta da qualche parte nel suo appartamento da Laura Hamoir. Laura Hamoir ha un figlio, Lucien, accusato ingiustamente di furto, che è stato imprigionato e che sta attualmente per uscire dal carcere. Lucien è cugino di Charline e oltretutto ne è innamorato. Charline vive assieme alla zia Cécile Hamoir, una vecchiaccia perfida che cerca in tutti i modi, vessandola e torturandola psicologicamente, segregandola in casa e picchiandola anche con la frusta, di evitare che essa abbia contatti col mondo esterno e nel tempo stesso costringerla a rivelarle il nascondiglio che la sorella di Cécile, Laura, ha trovato per nascondere i centomila franchi e che ha segretamente confessato alla nipote adorata, oltretutto innamorata di suo figlio.
Del resto, qualche tempo dopo che Michel abita nel pensionato, Laura muore e quindi la povera Charline si trova alla completa mercé della zia perfida e cattiva. Intanto Lucien, uscito dal carcere è stato ucciso, non si sa bene per quale oscuro motivo da un cavapietre.
Michel è l’unico cui Charline possa chiedere aiuto, in quanto s’è accorta di essere da lui amata (e dal canto suo ricambia il sentimento) e lo fa affidandosi ad uno dei due musicisti, inquilini in quel palazzo, Paul Simon, che come lei lavorava, prima di essere licenziato, in un cinema, suonando musica di sottofondo: proprio Paul Simon diventerà il suo tramite, amico e confidente, e nel tempo stesso l’unico amico di Michel nel pensionato.
La polizia, nella persona dell’ispettore Malaise, è convinta che Solomon abbia fatto uccidere Lucien e probabilmente lo abbia anche fatto imprigionare ingiustamente, dicendo a qualcuno dei suoi accoliti, di giurare il falso davanti al giudice, per toglierlo di mezzo ed evitare che si appropriasse dei soldi di sua madre, quando avesse ereditato. E che ora che la vecchia madre Laura è morta a sua volta (accidentalmente o per causa di Solomon ?), trama con maggior virulenza nell’acquisire il bottino prezioso. E che quindi bisogna far presto, perché prima o poi minaccerà direttamente le uniche persone che possano saperne qualcosa, cioè la vecchia Cécile e la nipote Charline.
Ma la polizia sospetta di tutti, e quindi anche di Michel, che si trova quindi tra l’incudine ed il martello; che sa di Solomon, ma non sa chi possa essere, perché Solomon trama nell’ombra.
Solo il finale renderà giustizia al tutto, smascherandolo dopo che ha torturato la giovane Charline, (salvata in extremis da Michel, narcotizzato a sua volta) e l’ha indotta a rivelargli il nascondiglio dei soldi.
Che accadrà a Solomon e sotto quali spoglie si nascondeva? Non lo dico. Dico solo che il finale beato (Charline e Michel sposi) ne nasconde uno più tremendo: una persona si vendicherà ed ucciderà uno dei due cattivi della vicenda: Steeman,secondo voi, chi mai avrà fatto morire? Solomon o la vecchiaccia perfida? E chi li avrà uccisi per vendetta? Saperlo, recherà con sé anche la spiegazione della morte di Laura Hamoir.
Tutta l’atmosfera, poco definita, molto nebulosa, che pervade il pensionato, e in cui noi conosciamo solo la posizione chiara dei due innamorati, contribuisce a generare e favorire il sospetto. Persino Triboul, colui che voleva affittare l’appartamento in cui si insedia Michel, si dimostrerà persona diversa da quella dietro cui nascondeva la propria vera identità.
Mi pare interessante sottolineare come Steeman, se nella strutturazione del plot, si rifà indubbiamente a Gaboriau e Leblanc, per come porta avanti l’indagine e per le false identità che connotano il romanzo di un’aura tipicamente da feuelliton, anche se intensamente tragica, dimostra di avere, differentemente da altri scrittori francesi del periodo che si rifanno quasi esclusivamente alla tradizione poliziesca francese, un afflato più internazionale: non a caso, infatti, Steeman paragona l’aria malsana che si respira all’interno del pensionato, a quella presente in un celeberrimo racconto di Poe, The fall of the house of Usher. Il fatto di riferirsi a Poe, citando un suo racconto, lo avvicina ad altri romanzieri di area anglofona, come Carr per esempio, anche lui debitore, all’inizio della carriera, alle atmosfere di alcuni lavori di Poe; e nel tempo stesso lo discosta dalla tradizione prettamente transalpina, manifestandosi come il più originale, assieme ad Aveline, degli scrittori di area francofona del periodo, soprattutto per il taglio psicologico delle varie personalità degli indiziati, per i continui ribaltamenti che creano sorpresa e variano il ritmo narrativo, e per l’imprevedibilità della storia, che fino all’ultimo consegna imprevisti e nuove certezze.
E manifesta anche un certo coraggio, nello svincolarsi dalla comoda camicia di forza del provincialismo nazionale, tentando una propria strada.

Pietro De Palma

lunedì 9 gennaio 2017

Stanislas-André Steeman : L’assassino abita al 21 (L’assassin habite au 21, 1939) – traduz. Igor Longo – I Classici del Giallo Mondadori N° 791 del 1997 – pagg. 188.


Quando ho analizzato L’Ennemi sans visage (L’Esperimento del dottor Arthus) sul mio altro Blog, ho parlato della carriera letteraria del grande scrittore belga Stanislas-André Steeman (http://camerechiuse.blogspot.it/2016/10/stanislas-andre-steeman-lesperimento.html) e perciò non mi ripeterò. Dirò solo, come accennai in quell’articolo, che il suo romanzo più conosciuto e più famoso, da cui fu tratto un celebre film (anche se con parecchi stravolgimenti della trama originale), è L’Assassin habite au 21, “L’assassino abita al N°21”.
Steeman invece di ambientare la storia in Francia, la inserì in un’ambientazione tipicamente londinese. Perché? Il cambiamento di prospettiva, si rese necessario perché probabilmente voleva ambientare il romanzo in notti nebbiose. Un’ambientazione tipicamente britannica, e personaggi inglesi, sarebbero stati preferibili. Ecco allora il Sovrintendente Strickland, ecco una serie di Ispettori, ecco una serie di inquilini, tra cui “il grande” piccolo Crabtree  (cosa c’entreranno mai degli inquilini? C’entrano, c’entrano); e poi  il fantomatico signor Smith, l’assassino inafferrabile. Però, quando Henri Clouzot girò il film tratto da questo romanzo, cambiò parecchi particolari della storia originale, adattandoli alla realtà parigina. La trasformazione probabilmente fu indotta dalle finalità per le quali Clouzot realizzò quei film (prodotti da una società finanziata con capitali tedeschi, durante il Governo Petain e quindi durante l’occupazione della Francia nel Secondo Conflitto Mondiale): creare dei film di qualità che non facessero rimpiangere le produzioni americane (quindi di nemici). L’ambientazione del film del 1942, L’assassin habite au 2,  tratto dal romanzo omonimo, a Parigi anziché a Londra, aveva quindi la funzione di negare validità ad un’ambientazione in una città nemica, francesizzando anche altri caratteri: ad esempio,  il Sovrintendente Strickland fu sostituito da Monsieur Wens, e l’indirizzo fu tramutato da “Russell Square 21” in “21 Avenue Junot” ( nel 18 °arrondissement parigino). 
Furono effettuati anche altri cambiamenti rispetto alla trama originale: per es. venne creata una vicenda sentimentale che nel romanzo originale non c’è, introducendo Mila Malou, la cantante amica del Commissario Wens; e il nome dell’assassino, curiosamente da Mr. Smith, venne mutato in Mr. Brown. Per tutti questi motivi, durante le riprese, i rapporti tra Steeman e Clouzot non furono idilliaci.
Io credo che in fondo, però, Steeman fosse stato “anche” affascinato dalle storie di Sherlock Holmes, e da quelle di Jack The Ripper, e che avesse voluto costruire “anche” lui una storia, diversa da altre già originali che aveva creato: una storia basata su degli assassini seriali.
In realtà, una trama che evidenziasse una simile articolazione psicopatologica, era stata già da lui messa in evidenza in un suo romanzo precedente, uno dei primi della sua produzione, Le demon de Saint-Croix, con cui Steeman si era avvicinato a Simenon, mutuando un approccio più singolare,  ottenendo un primo sbigottimento da parte del pubblico, e concentrando  l’azione poliziesca sulle gesta di un serial killer. Tuttavia se  con Le démon de Sainte-Croix inaugurava il filone parlando di una serie di delitti apparentemente scollegati e poi che si rivelavano uniti da un particolare veramente sorprendente, ma in cui la ricerca del colpevole era di tipo già sperimentato in altri romanzi, ora Steeman parlava per la prima volta di delitti (perché collegati anch’essi da un particolare), in cui non solo i moventi ma soprattutto gli alibi giocavano una parte principale, incrociandosi e postulando una triplicazione dell’assassino, uno e trino.
Mr. Smith è un killer che uccide le sue vittime, quando sale la nebbia a Londra. Uccide le sue vittime colpendole per mezzo di un sacchetto di sabbia, e fratturando loro il cranio. Ne uccide tre così. La polizia, allora,  si organizza e prende una serie di misure per rimpinguare i ranghi e presidiare le strade meglio, ancor più quando sale la nebbia. Così per 34 giorni il killer non si fa vedere. Finchè un giorno, anzi, una notte, ammazza una signora. Lì vicino è un informatore della polizia, Toby Marsh, che capendo che sarebbe improvvido andare a Scotland Yard e denunciare l’assassino perché poi, riportati i giornali la notizia, lui sarebbe oramai “un cadavere ambulante”, si fa arrestare da un policeman per insulti e offese ad un pubblico ufficiale, e così è libero di poter trattare con un rappresentante di Scotland Yard. Cosa? Vuole dei bei soldoni, in cambio di una notizia che indirizzi le indagini come promesso dalla polizia. Messo alle strette, rivela che il killer ha raccolto le sue chiavi da terra, e si è diretto al N° 21, in una pensione in Russell Square: se l’assassino ha la chiave, ne consegue che lui è uno dei vari pensionanti.
Incaricato delle indagini è il Sovrintendente Strickland, un personaggio flemmatico, ma così flemmatico che neanche la nascita del triplo parto gemellare di sua moglie, lo ha fatto deviare dalla sua placidissima conduzione di vita. La sua flemmaticità, che qualcuno potrebbe anche scambiare per riflessione molto molto ponderata, in realtà non sortirà effetti degni di nota. Tanto che la soluzione arriverà non tanto per meriti della polizia e dei suoi funzionari più qualificati, quanto per il coraggio e l’intuizione di un modesto, timido, ometto, Ernest Crabtree, che come sua moglie Enid, è uno degli inquilini di una pensione familiare, quella a Russell Square 21. Egli scoprirà che non c’è un assassino, ma vari assassini che uccidono nella medesima maniera, parandosi le spalle a vicenda, con alibi incrociati.
In sostanza, la singolare soluzione di Steeman si rifece a quella anticipata da Agatha Christie nel suo Murder on The Orient Express, 1934. Così come la Christie di And Then There Were None, 1939 si era rifatta al romanzo di Steeman, del 1931, Six Hommes Morts.
Tuttavia, mentre Agatha Christie, aveva creato un plot in cui la morte di una certa persona faceva da sfondo alla vicenda, e quindi il delitto era stato ampliamente premeditato ed in cui  la parte principale, quella dell’investigatore, era stata affidata al grande Poirot, Steeman affidò stranamente la parte dell’attore principale non all’Ispettore Venceslao Vorobechik (denominato Wens, in breve), il suo personaggio principale, interprete di tanti suoi romanzi fortunati, ma apparentemente al Sovrintendente Strickland, mentre in sostanza elesse eroe e risolutore del mistero Mr. Ernest Crabtree, un ometto, timido, riservato, inquilino della stessa pensione assieme alla moglie.
Steeman si divertì parecchio scrivendo questo romanzo: in esso c’è una strisciante vena satirica anti-inglese, lo sciovinismo francese opposto all’orgoglio britannico, per esempio quando prende in giro la polizia britannica, che pur non essendo la migliore del mondo, è purtuttavia la più tenace e nonostante ciò non riesce ad acchiappare l’assassino (assassini) fino a quando un modestissimo personaggio, a prezzo della sua vita, non indica chi arrestare.
Ma si badi bene: non era “solo”una presa in giro della polizia inglese, ma era anche una presa in giro del romanzo giallo anglosassone.
Innanzitutto esaltando la lingua francese: Monsieur Julie, appena arrivato alla pensione, viene ucciso, con la polizia che presidia la pensione, perché in grado, in quanto francese, di indicare l’assassino con un messaggio, costituito da una serie di graffi. Il messaggio è stato apparentemente lasciato da Monsieur Julie, cioè la vittima; e quindi con la storia del messaggio, Steeman prende in giro Ellery Queen, che aveva portato a perfezione formale il cosiddetto Dying Message, “il messaggio del morente”, l’indizio chiave su cui far indirizzare le indagini, che la vittima lascia prima di morire. Infatti il messaggio è falso: è stato fatto apposta per sviare le indagini.
E la presa in giro di Ellery Queen non si esaurisce qui. Prosegue infatti con la Challenge to Reader, la “Sfida al Lettore”, che Ellery Queen aveva rivolto nei romanzi del suo primo ciclo, quello contraddistinto dalla formula The + un aggettivo che rimandava ad una nazione + sostantivo + Mystery (es. The Greek Coffin Mystery): infatti a pagina 160 del romanzo; Steeman, rivolgendosi “AL LETTORE CHE NON CONOSCE ANCORA IL COLPEVOLE, dice: “Ellery Queen, Hugh Austin e diversi altri giallisti americani sono soliti ingaggiare con il lettore una sorta di disfida intellettuale…invitandolo a scoprire da solo la soluzione dei problemi esposti nel romanzo. Eccezionalmente, mi è sembrato divertente utilizzare quest’idea alla mia maniera, ed è per questo che apro una breve parentesi per dirvi: Ora siete in possesso di tutti gli elementi necessari per la scoperta della verità…” (pag. 160, op. cit.).
Allo sfottò rivolto ad Ellery Queen, cioè al principe della classic detection degli anni ’30, in pratica di quello che lui considerava il suo avversario oltreoceano, Steeman aggiunse quelli ad Agatha Christie e Van Dine, condensati in un paragrafo memorabile (ed acutissimo), quello della partita a bridge: Crabtree perviene alla individuazione di Mr. Smith (così come Philo Vance in The Canary Murder Case, “La Canarina assassinata”, aveva individuato l’assassino dopo una partita a poker) attraverso una partita a bridge. Eppure la stessa partita a bridge, e l’insistere su questo gioco, è una implicita citazione di Agatha Christie, che aveva, nel 1936, sfornato Cards on the Table, “Carte in tavola”, un romanzo in cui una partita a bridge è funzionale al delitto.
L’acutezza dell’assunto di Steeman, viene introdotto da una seconda “Sfida al Lettore”, dal titolo : AL LETTORE CHE NON CONOSCEVA ANCORA IL COLPEVOLE, in cui è riassunto con chiarezza il pensiero non solo di Steeman ma di chiunque avesse compreso (allora) e comprenda (oggi) quanto inutile per una storia fosse (allora) e sia (oggi) un paragrafo in cui si dibatte delle tecniche di un gioco, che non per forza deve essere conosciuto dal lettore che si appresti a leggere il romanzo, il Bridge:“Non è necessario conoscere il bridge per trarre delle conclusioni dal capitolo precedente” ( pag.166).
L’acutezza dell’assunto di Steeman, che è il mio e di chiunque altro abbia mai letto un romanzo, ponendosi in una  posizione prettamente imparziale, sta nell’aver posto in essere un’accusa vera al romanzo di stampo anglo-sassone: che fosse troppo rivolto a classi elevate. Chi mai infatti, di estrazione piccolo borghese od operaia avrebbe mai saputo (e probabilmente ancor oggi non sa) giocare a bridge?
 Il romanzo di Steeman, rivolto invece ad un pubblico più eterogeneo, usa la partita a bridge con uno scopo che solo apparentemente è funzionale alla storia, ma da cui, invece, prende le distanze.
Un aneddoto per finire.
Il civico 21 attribuito alla Pensione in Russell Square, era anche il civico della casa di Steeman.

Pietro De Palma