mercoledì 21 giugno 2017

Ian Morson - La crociata di Falconer (Falconer's Crusade, 1994) - trad. Angelo Petrella - Il Giallo Mondadori N.3156 del Giugno 2017



Devo ammettere che Ian Morson non lo conoscevo. E pertanto avevo chiesto delucidazioni a Martin Edwards, scrittore britannico molto famoso, che tra l’altro l’anno scorso ha vinto l’Edgar per un saggio critico sulla Golden Age e il Detection Club, in quanto Mauro Boncompagni mi aveva detto che gli aveva detti tempo fa, di avere letto un romanzo di Morson.
La risposta di Edwards non s’è fatta attendere:
“HI Pietro
I read one of Ian Morson’s early books set in Oxford a very long time ago. Yes, probably in the same vein as Paul Doherty.
More recently he has written books with a Golden Age setting, but I’ve not read any of those.
All good wishes
Martin”
Ian Morson, vivente, è nato a Derby nel 1947. Ha studiato lingua e letteratura russa a Oxford. Ha anche suonato e diretto gruppi di musica folk, prima di cominciare a lavorare come assistente bibliotecario, diventando poi Bibliotecario in Librerie Pubbliche. Ha cominciato a pubblicare romanzi nel 1994, dopo aver pubblicato articoli e racconti. Il suo primo romanzo è stato il romanzo che presento oggi, Falconer’s Crusade, che ha dato inizio ad una fortunatissima serie, ancor oggi in essere. Vive ad Hastings.
Falconer’s Crusade, La crociata di Falconer (finalmente un romanzo il cui titolo italiano è l’esatta traduzione di quello inglese), vede agire il Maestro di Logica aristotelica dell’Università di Oxford, William Falconer, sullo sfondo di vicende nella seconda metà del XIII secolo.
Il romanzo si apre con un delitto, quello di una ragazza, Margaret Gebetz, che affrontata nella nebbia da un ignoto assalitore, è quasi decapitata da un preciso fendente di spata, davanti. Subito dopo l’azione si sposta nel sotterraneo di una casa, dove un individuo ha appena fatto a pezzi un cadavere in decomposizione, in attesa di buttare il sacco dove ha gettato i miseri resti, laddove l’odore pestilenziale non attragga sguardi indiscreti.
Trovandosi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, Thomas, un giovane contadino che ha destato l’interessamento di qualcuno più ricco, per le sue capacità, mandato a Oxford per studiare, va quasi a sbattere nel cadavere ancora caldo della giovane, e viene notato da passanti che lo identificano come l’assassino della ragazza. Il giovane, che si vede perduto, è tuttavia salvato dall’arrivo di uno dei Maestri Reggenti di Oxford, William Falconer, docente di Logica aristotelica, il quale lo mette in salvo prima e poi ne fa il suo assistente.
Falconer è attratto dall’omicidio della giovane, perché non sembra vittima di un aggressore occasionale, che l’avrebbe affrontata da dietro e sgozzata con un taglio orizzontale della gola, ma di uno con cui evidentemente si era incontrata apposta, visto che l’orrendo squarcio della gola è di traverso. E’ ancor più attratto perché ben presto capisce che l’omicidio, benchè parecchi in città vogliono che sia attribuito agli iscritti dell’università (i rapporti tra i cittadini e l’università sono molto critici), è un omicidio diverso, probabilmente premeditato, e legato ad un misterioso libro, cercato disperatamente dall’assassino.
Thomas Symon, che raccoglie le confidenze del suo Maestro, vorrebbe mettersi in luce scoprendo lui magari qualcosa, ma quello che sa fare è cacciarsi nei guai: prima si perde nel quartiere ebraico (dove viene salvato dall’ erborista ebreo Samson e da sua figlia Hannah), poi finirà quasi per essere ucciso dall’ebreo Yoshua, fedelissimo del padre di Hannah, che avendo subdorato la nascita di un sentimento tra Thomas e Hannah vuole proteggerla dal giovane. In realtà sarà proprio Hannah, a raccontargli che la ragazza uccisa le aveva confidato che finchè era in possesso di un libro, la sua vita non sarebbe stata in pericolo. Ma perché?
Hannah gli consegna il libro perché lui lo dia a Falconer, ma Thomas invece di darlo al suo mentore, se lo fa portar via da Bonham, altro reggente a Oxford.
Da allora comincia la caccia al libro.
Ma non sono i soli ad interessarvisi. C’è anche l’allievo Moulcom che pur di guadagnare soldi compie ogni tipo di misfatto: egli è al servizio dell’assassino, che gli ha intimato di trovare il libro. Al primo sbaglio del giovane, arriva anche per lui la morte: strangolato. Più in questo che nel precedente, agli occhi delle autorità appare chiaro che l’assassinio non possa essere stato compiuto nel corso di una rivolta, tanto più che gli abiti del giovane erano semi asciutti, in un giorno in cui aveva piovuto molto e le strade erano zuppe di pioggia e fango.
A questo secondo omicidio, farà seguito un terzo, di un altro reggente dell’università, il sodomita Fyssh, che s’intrattiene con i ragazzi, tra cui un allievo di Falconer. Qui l’assassinio viene causato dal tentativo di John Fyssh , che ha sottratto il libro misterioso a Bonham, di ricattare l’omicida che pur di ritornare in possesso di esso, non esita ancora una volta ad uccidere, e questa volta poco ci manca che Falconer assista all’omicidio. Tuttavia non riesce a riconoscerlo perché è cieco come una talpa. A questo ovvia in seguito il padre di Hannah e suo amico, che gli dona dei rudimentali occhiali.
Intanto la serie degli omicidi si snoda avendo sullo sfondo le lotte dei baroni contro il re Enrico III, figlio di Giovanni Senza Terra che è stato costretto per la prima volta a riconoscere il potere dei feudatari e l’istituzione di un piccolo parlamento. Enrico III continua la lotta del padre contro i baroni, e l’anno in cui avvengono i fatti di Falconer è il 1264 in cui Enrico, supportato dal figlio Edoardo, ritratterà gli Accordi di Westminster. Tuttavia le vicende si snodano prima che la lotta arrivi al suo culmine, quando ancora Simone de Montfort, conte di Leicester, non sa se prendere le armi contro il re e suo figlio. Infatti l’università, nella persona di Thomas de Cantilupe, rettore di Oxford, cercherà di conquistare una posizione di prestigio, ospitando il principe Edoardo e le sue truppe, offrendogli un regale banchetto, ed in seguito mediando tra lo stesso e Simone de Montfort.
Falconer riuscirà a comprendere la logica dietro gli assassini, dal momento in cui perverrà in possesso del frontespizio e delle prime pagine del libro, strette in una delle mani di Fyssh, che ha cercato di resistere all’aggressione dell’omicida. E dovrà fare presto, perché nel frattempo, per tacitare le acque che rischiano con gli omicidi di agitarsi proprio quando c’è la contesa tra re e baroni, Cantilupe, su richiesta di Montfort, ha incaricato un altro maestro di Oxford ,Robert de Stepyng, che durante il banchetto ha inaspettatamente dichiarato il proprio appoggio alla posizione dei baroni, di attribuire il triplice omicidio agli ebrei, consueto capro espiatorio, anche al fine di appropriarsi dei loro beni.
Margaret prima di morire aveva fatto riferimento alla persona che temeva con l’epiteto bonhomme, da cui Falconer aveva ricavato trattarsi probabilmente di Bonham. Ma quando penetrano lui e Thomas in casa di Bonham al fine di trovare il libro che lui aveva sottratto al giovane, trovano solo, nel seminterrato, in mezzo ad un fetore indescrivibile, un cadavere in decomposizione, macellato quasi, con organi separati dal corpo e carne e nervi esposti: è quello di Moulcom. I vari coltelli di forma diversa una dalle altre, sono riconosciuti come gli strumenti per una dissezione anatomica. In sostanza Bonham ha letto il trattato dell’arabo Avicenna e per confermare le sue affermazioni, si procura cadaveri allo scopo di  sezionarli ed imparare di più sull’anatomia umana. Non è lui l’omicida. Il termine Bonhomme solo alla fine verrà ricondotto ad un significato diverso, che si incastrerà anche con il significato del valore del libro, una bibbia un po’ particolare.
E Falconer eviterà, anche con l’aiuto di una delle guardie della città, l’amico Peter Bullock, che l’assassino possa commettere il quarto omicidio, addirittura uccidendo Simone V di Montfort che è in attesa di incontrarsi con Edoardo.
Il romanzo, veramente splendido, è un intreccio mirabile di indizi, intrighi, delitti, mistero, e storia, sullo sfondo dello scontro tra i baroni ribelli capitanati dal Conte di Leicester, Simone V di Montfort - figlio di quel Simone IV che aveva comandato la Crociata contro gli Albigesi – ed Edoardo, figlio di Enrico III, e lo stesso Enrico. Le vicende narrate, immagino che siano antecedenti alla battaglia di Lewes, e quindi si collochino temporalmente prima del maggio 1264, quando in seguito alla confitta sul campo, sia Enrico III , che suo fratello Riccardo duca di Cornovaglia, sia il principe Edoardo, furono imprigionati dai baroni.
Mai prendere in esame i commenti  di gente che non legge i romanzi fino in fondo, prima di  stroncare con giudizi superficiali, sul Blog Mondadori, un romanzo, invece assolutamente fenomenale. Poi ognuno ha il diritto di criticare quanto vuole, però sempre  avendo letto effettivamente il libro.
Lo stile di Morson, pieno  di riferimenti alle lotte interne ed esterne all’università di Oxford al tempo, è molto difficile, tanto più che all’inizio lo stile, non essendo sufficientemente arioso e brillante, come quello dei romanzi di Doherty, ma invece, teso e plumbeo, rende la lettura alquanto difficoltosa, tanto più che la base del plot è quantomai difficile da individuare. Ma man mano che si legge e la storia progredisce, aumenta in maniera spasmodico quasi il voler arrivare a capire il tutto e quindi a finire il libro.
Stilisticamente, il romanzo privilegia alla scrittura narrativa basata su un unico discorso, quello frazionato, con vari personaggi seguiti come da una virtuale telecamera, nelle loro azioni, finchè il loro operato non verrà spiegato nel convulso finale. E’ un procedimento seguito svariate volte, da vari autori, e che ha evidentemente lo scopo di aumentare la tensione, interrompendo un discorso e riprendendolo poco alla volta.
Per di più il mystery, non raggiunge l’identità dell’assassino all’ultima pagina, ma qualche pagina prima, trasformandosi nell’ultimissima fase, in un vero e proprio thriller, partecipando il lettore al tentativo di impedire che l’omicida, il “bonhomme”, uccida Simone V di Montfort, e non per motivi legati all’opposizione al re.
Detto tra noi, se lo avesse ucciso, avrebbe risparmiato all’Inghilterra vari eventi luttuosi, e soprattutto avrebbe evitato che il figlio di Riccardo di Cornovaglia, l’innocente Enrico, ricordato da Dante, venisse ucciso nella Chiesa di San Silvestro a Viterbo, dai figli di Simone V.
Concluso dicendo che per l’esposizione e l’atmosfera mirabili, ed il plot veramente spattacolare, non vedo l’ora e anzi spero che in un futuro si leggano altre avventure di Falconer, unica delle poche volte in cui rendo merito a Forte di aver proposto un romanzo.

Pietro De Palma

domenica 18 giugno 2017

Qualche rigo in ricordo di Sergio Altieri

Non ho mai conosciuto Altieri, di persona intendo. E come gusti letterari eravamo molto distanti. Avevo letto anni fa la trilogia Magdeburg, un po' per volerlo conoscere - perchè non mi va di criticare solo perchè lo fanno gli altri - e francamente non mi era piaciuta. Sarà che oramai il mondo medievale lo accetto solo o in saggistica - che deve essere rigorosamente documentata - o in romanzi polizieschi storici, in cui però la lotta, gli intrighi, il costume devono passare in second'ordine o comunque muoversi sullo sfondo del delitto, la visione apocalittica molto nera di Altieri non mi era piaciuta. Punti di vista, certo. Però era un grande scrittore, e questo è innegabile. Direi il più grande scrittore italiano del genere, al limite tra fantasy-fantascienza-poliziesco noir, assieme a Stefano Di Marino.L'ho criticato anche piuttosto diffusamente anni fa, ma l'ho sempre ammirato: almeno era uno "con le palle".
Ieri per caso un'amica, ritrovata dopo anni di indifferenza, Giuseppina La Ciura, una grande lettrice di romanzi polizieschi che una volta traduceva anche, mi scrive e tra le altre cose mi dice "Come saprai(tu sai tutto),è morto Sergio Altieri".
Non sapevo nulla.
Possibile mi son detto? Vado a vedere. Sì era morto di notte per un malore. Brutto modo di morire, da solo, disperato. Sembra quasi che la sua morte abbia incarnato quello per cui era diventato famoso in Italia: il noir estremo. Non mi sono unito agli altri che lo piangevano su FB. Ho pensato subito invece di scrivere io qualcosa, per ricordarlo dal mio punto di vista.
La prima volta che ne sentii parlare, fu da Igor Longo. 
Non mi ricordo il tempo, ma credo che fosse il 2006. C'era stata una riunione di redazione - a quel tempo la redazione dei Gialli c'era, non ora che si dice che esiste e non c'è invece, perchè a differenza di oggi, si doveva discutere di copertine, di romanzi, c'era chi scriveva il taglio di introduzione al romanzo in copertina, perchè di romanzi ce n'erano sei o otto che uscivano non ricordo, non due come oggi, più l'apocrifo - e mi ricordo benissimo che Igor mi scrisse e mi raccontò com'era andata: si era presentato e aveva cominciato ad esporre la sua linea editoriale, e aveva rinforzato il tutto con espressioni americane. Igor era molto eccitato, me lo ricordo. Da come Altieri aveva esposto il programma, il Giallo avrebbe incontrato un boom: ne parlava come un nuovo Messia. E io in quell'occasione gli dissi chiaramente che secondo me una rivoluzione - quella che lui voleva attuare - avrebbe portato più danni che altro, perchè il bacino lettori dei Gialli Mondadori da sempre è formato da un pubblico piuttosto conservatore in quanto a gusti, e come tale le novità sarebbero dovute essere apportate con tatto, non forzatamente.
Ma è anche vero che Igor vedeva in lui una stagione nuova, perchè lo aveva già incontrato, anni prima, durante una presentazione. Altieri da quello che lessi, non doveva essere molto ben addentrato nel genere di letteratura che perorava Igor (e il sottoscritto ovviamente), però l'intervento di Igor era stato molto ben accettato. Perchè Altieri era democratico. E anche perchè era curioso. Voleva conoscere quello che non conosceva. In quello eravamo simili.
Quello che poi accade col tempo mi dette ragione, ma è altrettato indubbio che Altieri aveva dalla sua una grande forza editoriale: era scrittore, era famoso, era stato sceneggiatore. Essere per lui editor era una nuova esperienza, ma non è che ne avesse bisogno per essere famoso: lo era di già. Per cui le sue scelte erano sempre autoritarie. Solo che l'autoritarietà non era un mezzo imposto con la forza, ma discendeva dal suo stesso essere carismatico: si accettava le sue volontà perchè era Altieri. E molti avevano fiducia in lui.
Debbo riconoscere - ma l'ho sempre detto altrove e anche nei miei blog - però che la sua visionarietà, il suo volere forzare la monotonia della situazione, il suo vento di rivoluzione, se ebbe risultati disastrosi sulle vendite - due collane da lui varate finirono nella polvere e tutti i romanzi acquistati all'epoca finirono per essere riversati sul Giallo Mondadori snaturandolo - peraltro ebbe risultati straordinari per quanto riguardava la volontà di apparire tramite i nuovi mezzi tecnologici su internet, di varare una piattaforma in cui il Giallo fosse visibile finalmente, con spazi in cui i lettosi si confrontassero e così facendo anche facessero pubblicità alle testate. 
Nacque così il Blog del Giallo Mondadori, che fu una invenzione di Altieri. 
Eppure, io che mi aspettavo di leggere qualcosa, proprio sul Blog del Giallo, ieri, su Altieri non ho trovato nulla: è diventato veramente un camposanto quel blog! Sapete dove è stato postato il ricordo? Sul Blog di Segretissimo:tra gli altri mi è piaciuto molto il post di Stefano Di Marino. Un altro che mi piacerebbe conoscere.
Eppure un tempo non lo era: come non ricordare quando nel giugno 2008, quando per la prima volta la piattaforma divenne visibile, la volontà di confrontarsi, di parlare (e sparlare) ma sempre e comunque avendo nel cuore le pubblicazioni del grande Arnoldo, mai dimenticato fondatore. Mi ricordo quando cominciammo a confrontarci, con post di fuoco, noi, quelli che peroravano il mystery e loro, quelli che volevano un sempre più presente poliziesco al'italiana e noir: fu Giuseppina che accese la miccia. Per una copertina di un romanzo di Abbot, l'ultimo: era stato voluto dall'Editor (sulla scelta del titolo, l'Editor ha sempre l'ultima parola) un titolo che di Giallo Classico non aveva nulla: Killer² (titolo originale The Shudders o anche Deadly Secret ).
Da una parte Io  divenni il portabandiera del gruppo (tutta gente incazzata: Giuseppina, Alberto detto Killer mantovano, e altri, tra cui anche Fabio Lotti, che però cercava di mediare, appoggiandomi però) e dall'altra Stefano Di Marino (Il Professionista) e un'altra serie di tipi tra cui un Kurt Dehn che non so ancora chi fosse (pensai finanche Altieri ma ora so che non era). C'era anche uno che si faceva chiamare Quiller (Killer?) e che io per un certo tempo pensai pure che fosse Igor (ma a torto).
Ce ne davamo di santa ragione e ci divertivamo. Io pungevo e poi mi ritraevo. Mi ricordo una volta che misi una serie di punti esclamativi. E quelli, Di Marino a dirne di tutti i colori, perchè li stavo prendendo per il c... Io facevo l'offeso, facevo finta di scendere dalle nuvole, ma in realtà gongolavo. Perchè si accendeva un altro fuoco. E dai altri a menare benzina! 
Che tempi! Tutti volevamo dare il nostro contributo perchè il Giallo fosse sghettizzato in Italia e diventasse qualcosa di importante. E di gente che veniva a leggere il Blog ce n'era moltissima: lessi da qualche parte che in quel periodo si realizzarono punte di gradimento di circa diecimila persone. Poi col tempo mi moderai: io che gli hard boiled li usavo come tirassegno per le freccette un altro e poco, ora li leggo. Fu proprio quell'arena a darmi la forza di farlo. Perchè non mi andava di lanciare pietre contro Di Marino e contro Altieri  senza aver letto qualcosa di loro, capire perchè si comportassero in quel modo. Così poi lessi Altieri, Di Marino,Nerozzi. 
Mi ricordo quelli che cercavano di mediare (Lotti che non sento neanche più, peccato! E che un tempo stavano sul Blog), e quelli che stavano nel mezzo, "i democristiani" del blog: Luca Conti (che democristiano non lo è stato mai!) per esempio, che da una posizione vicino a Di Marino, si spostò sempre più al centro, allontanandosi atarassicamente dalla lotta.
Quelli erano i tempi di Altieri.
Io non l'ho mai conosciuto personalmente, ma i rapporti - mediati da Dario Geraci che era un suo amico- erano rispettosi l'uno nei confronti dell'altro. Pur sapendo che avversavo la sua linea editoriale, MAI dico MAI Sergio Altieri, per partito preso, mi rigettò gli articoli che scrivevo, articoli su grandi autori, che dovevano rappresentare un motivo di riflessione, di critica buona. Non è un caso che da allora, io non abbia più scritto collaborazioni per il Giallo Mondadori (salvo qualcosa all'inizio del periodo di Forte).
Era una persona democratica, che rispettava l'avversario quando anche non ne accettava i presupposti.
Per questo lo rispettavo.
Non ti ho mai conosciuto personalmente Sergio. Non ci siano mai neanche contattati telefonicamente o per iscritto. Ma un ricordo per come ti ho conosciuto ho voluto comunque scriverlo. Perchè nel bene o nel male hai rappresentato comunque un trascorso per alcuni di noi.
Mi dispiace che tu sia morto.
Ma mi dispiace ancor di più che tu sia morto da solo, senza nessuno vicino.
Spero solo che tu non abbia capito che stavi morendo.
Una morte così non l'augurerei a nessuno, neanche al peggior nemico.
E tu non lo eri certamente. 

P. De Palma

P.S.
Un articolo bellissimo, un commiato, è quello a firma  Roberto Casalini sul sito WIRED :

 https://www.wired.it/attualita/media/2017/06/17/mio-amico-alan-d-altieri/


sabato 17 giugno 2017

Craig Rice: Lasciate fare a Malone (Having Wonderful Crime, 1943) - trad. Antonia Bullotta - I Gialli del Secolo Casini, N° 120 del 4 luglio 1954

Mi sembrava evidente, dopo il lungo articolo con bibliografia ragionata, che almeno un romanzo venisse preso in esame di Craig Rice, tant'è che un racconto, come quello presentato, non può rassumerne i caratteri più tipici come può fare invece un romanzo.
E' il caso allora di "Lasciate fare a Malone" titolo inventato di sana pianta da Casini, per Having Wonderful Crime, sulla base che Malone, che dei tre soggetti ricorrenti è quello più in vista, anche qui è determinante per la soluzione, o meglio è determinante per come la soluzione venga accettata, giacchè tutti e tre, Jake Justus, sua moglie Helene Justus, e l'amico di Jake, John J. Malone, indovinano degli sviluppi, che poi saranno deterrminanti per inchiodare l'assassino.
Il romanzo, è del 1943, ma se si dovesse prestare fede a Wikipedia, non dovrebbe esistere in quanto tradotto in Italia: ecco per quale motivo, chi volesse sistematicamente conoscere l'opera della scrittrice statunitense, dovrebbe fare riferimento al mio articolo guida pubnblicato in questo blog:

http://lamortesaleggere.blogspot.it/2017/05/craig-rice-gli-spezzasti-il-cuore-his.html

E' un romanzo che mischia sapientemente azione e deduzione, caratteristica anche per certi versi di altri romanzieri, come per esempio Jonathan Latimer.
Si apre con un certo Dennis Morrison, fresco sposo di Bertha Lutts, che si sveglia non nel suo letto, ma in quello di altri. E ridestatosi, si trova davanti la più bella bionda che abbia mai visto (Heleen Justus). Poi un tipo massiccio, con capelli rossi e lentigginoso, Hake Justus, e infine, abbandonato in un divano, un tipo che russa sonoramente, l'avvocato penalista John J. Malone. I tre lo hanno raccattato in un locale, dopo che era statto anche menato, ubriaco fradicio. Improvvisamente Morriso si ricorda della moglie, che ha lasciato il pomeriggio prima nella loro camera di hotel, per andare a bere qualcosa. La cosa non si spiega bene inizialmente e trova giustificazione solo nel prosieguo della storia: Morrison è un gigolo, un accompagnatore che offre bella prestanza e all'occorrenza performances sessuali quando richiesto dalle signore che deve accompagnare e ehe richiedono i suoi servigi. Una di queste, la ricchissima Bertha Lutts, sfortunatissima con gli uomini, ha pensato bene di cessare di apparire  come la zitella ricca, preferendo la parte della divorziata con esperienze: pertanto ha deciso di sposare il bel gigolo, contro il parere del suo tutore, che peraltro avrebbe voluto ritardare il più possibile tale eventualità avendo disposto in maniera del tutto personale del ricco lascito previsto per Bertha. Tuttavia dopo averlo sposato, siccome non lo ha sposato per amore ma per convenienza, è timorosa se andare a letto con lui o no.
Fatto sta che quando Morrison torna nella sua stanza d'albergo, trova la moglie morta. Ancora di più: la trova decapitata. E' evidente il suo senso di sbandamento. Per di più i tre si arrogano il diritto di difenderlo, giacchè è evidente che il principale sospettato è lui. Ricostruiscono il suo percorso errabondo per locali, per giungere ad evidenziare come non si possa proprio puntare il dito accusatore solo verso di lui. Tanto più che nessuno, pur uccidendo, decapiterebbe la sua vittima, sempre che non fosse un pazzo squilibrato. Il fatto è però che di sangue se ne trova poco, e la dissezione è stata fatta, come testimonia il medico della polizia, in maniera perfetta, come neanche avrebbe fatto un boia o una ghigliottina. E sicuramente Morrison non la conoscenze adeguate per aver fatto uan cosa dele genere.
I tre quindi cominciano ad investigare, tanto più che Arner Proudfoot, l'ex tutore di Bertha ha assunto Malone per ritrovarla, anzi per ritrovarne la testa. Infatti è accaduto, cosa stranissima e assolutamente fuori della comprensibilità, che l'assassino, per ragioni solo proprie, non solo ha ucciso Bertha, non solo l'ha decapitata, ma ha anche messo sul corpo di Bertha  la testa di un'altra donna, che ha a sua volta decapitato. Quindi si deve trovare non solo l'assassino responsabile dell'orribile duplice omicidio, ma anche bisogna dare un nome all'altra vittima.
Le indagini danno i suoi frutti: dopo aver tolto ciglia finta e aver riportato i capelli alla tinta originaria, si riconosce in quella, la testa di tale Gloria Garden, modella anche piuttosto avviata. La testa viene riconosciuta dal vecchio padre, il dottor William Puckett, distrutto dal dolore.
Intanto tra gli appunti trovati accanto al corpo di Bertha Lutts, si trovano anche quelli di tale Wildavine Williams, che sembrano profferire minacce di morte nei confronti della vittima. Mentre Jake sta controllando tutto nella camera d'albergo, sente dei passi, fa in tempo a ficcarsi nella vasca da bagno protetto dallatendina della doccia, ed evitare che tre poliziotti lo becchino, salvo poi tirare un destro ad uno ed scappare quando viene scoperto. Si reca da tale Wildavine e scopre che quella è una poetessa, male in arnese, amica della morta, a cui leggeva l poesie nella speranza che qualcuna venisse da lei sovvenzionata e poi pubblicata. Solo che viene beccato dalla polizia, che ha raggiunto le sue stesse convinzioni, e tratto in arresto.
Intanto la moglie sta seguendo un'altra pista: fingendosi una cliente in cerca di follie notturne, comincia a frequentare le varie agenzie di accompagnatori, finchè trova quella giusta: il suo accompagnatore Harris Lawrence, cade nella sua trappola di fingersi una ricca svampita in cerca di emozioni, e la sottopone allo stesso trattamento, riservato a tante altre: finge una retata della polizia, e poi con la complicità di chi debba atteggiarsi a suo salvatore, cerca di spillarle dei soldi. Il fine di Helene è quello di trovare il ricettatore che ha incassato gli stessi gioielli, scomparsi a Bertha, dalla camera d'albergo. Solo che il ricettatore, accusato come Lawrence e il suo compare dell'omicidio di Bertha, non solo come gli altri si protesta innocente, ma anche sostiene che a pignorare da lui i gioelli fosse stata una ragazza, che poi viene riconosciuta essere la Garden.
Il mistero si infittisce.
Dopo certe supposizioni, rivelatesi alcune giuste altre errate,  Jake viene a sapere che la sera della tragedia, chiamata da Bertha, era salito un medico, di cui nessuno aveva parlato. Da quel momento in poi gli eventi diventano frenetici, fino a concludersi il tutto in una proprietà fuori mano, dove si incontrano due persdone fuori di mente: il primo ha ammazzato due donne, il secondo ne ha tagliato le teste, invertendole, per uno scopo ben preciso, che ha a che fare con l'eredità, e con la morte presunta. L'assassino non è Henry Lawrence, che poi si chiama Howie Lutts ed è la pecora nera della famiglia di Bertha, ma...
Siccome chi ha scambiato le teste, delle due donne precedentemente uccise, ha agito follemente per vendetta, in un doppio finale, viene attribuito il tutto all'assassino vero, in modo da non far condannare lo scambiatore di teste.
Romanzo, lo devo dire in tutta franchezza, sensazionale. Uno di quei romanzi che non si dimenticano.
La trovata dello scambio di teste non è campato in aria ma ha delle motivazioni ben precise, che si capiscono solo nel palpitante finale.
Come tutti i romanzi di Craig Rice, è alquanto bizzarro, ma proprio nella sua stranezza ha i suoi punti forza: l'assassino non ha scambiato le teste, ma l'ha fatto qualcun altro, per scombinare i piani dell'assassino e per fargliela pagare; questa modalità, che è alquanto singolare (la decapitazione ricorre in pochi romanzi, e quasi sempre dei Maestri: Ellery Queen, Ngaio Marsh, Christianna Brand...), collega questo, ad un altro romanzo di qualche anno precedente: Il Mistero delle Croci Egizie (The Egyptian Cross Mystery, 1932). La cosa non è casuale nè campata in aria: per sua stessa ammissione, Ellery Queen era l'autore preferito di Craig Rice. Nonostante ciò la Rice non è Vandiniana, semmai è Elleryana: infatti in entrambi gli autori, la complessità del plot e dei subplot, costituisce la caratteristica saliente dei romanzi. Peraltro la concatenazione dei due romanzi, è anche in ragione del fatto che il secondo omicidio è richiamato dal primo e viceversa: tuttavia mentre nel romanzo di Queen, la decapitazione è funzionale alla non assoluta riconoscibilità dei cadaveri, qui dei cadaveri  si conosce l'identità, ma la ragione consiste in un movente psicologico molto difficile da afferrare all'inizio: ritardare il più possibile il conseguimento del fine alla base del movente del duplice omicidio. Inoltre il tema della decapitazione dei cadaveri, ricorre anche in altra storia di Rice (un po' come è avvenuto nell'opera di Christianna Brand): My Kingdom for a Hearse. Solo che qui l'amputazione anatomica è portata al massimo.
Inoltre anche in questo romanzo, un tema come quello del matrimonio di cui nessuno sapeva nulla, trova piena applicazione.


Pietro De Palma


venerdì 16 giugno 2017

Joseph Jefferson Farjeon : La casa dei sette cadaveri (Seven Dead, 1939) – traduz. Dario Pratesi – Polillo Editore, Collana “I Bassotti” N. 101 – 2011 – Pagg. 278.




 Cominciamo col dire una cosa che è in controtendenza rispetto a quello che dicono gli altri: “La casa dei sette cadaveri” (Seven Dead, 1939) viene riportato, sul risvolto interno della copertina, come “inedito”, ma  non lo è: Aldo Martello Editore, di Milano, negli anni ’50, pubblicò, nella sua collana di tascabili, intitolata “I Gialli del Veliero”, parecchi Farjeon e, tra questi, “La palla da cricket” (Seven Dead, 1939), la cui data di stampa indicata è il 12 dicembre 1951, contrassegnato dal numero di serie “26” e traduzione di Raffaella Lotteri. [1]
Ma procurarsi  “I Gialli del Veliero” non è cosa agevole (e la cosa vale soprattutto per i Farjeon): quindi è meritorio che Polillo l’abbia pubblicato con altra traduzione; resterebbe da vedere, a mio modo di vedere, opinabile ovviamente e soggettivo,  quanto meritorio possa essere. Perché ? E’ presto detto.
Innanzitutto, di Farjeon, Polillo ha già pubblicato tempo fa un bel romanzo, “Sotto la neve” (Mystery in White, 1937e niente poteva far presagire che ne pubblicasse un altro; tanto più che la collana parrebbe avere un suo fine: quello cioè di offrire uno spaccato della letteratura poliziesca di marca anglosassone (l’assenza di titoli francesi dimostra quest’asserto) presentando un romanzo per volta che secondo l’editore sia rappresentativo dell’autore che lo abbia scritto. Ora, francamente, non è che Farjeon possa dirsi un autore capitale per la letteratura gialla: capitali sono John Dickson Carr, Ellery Queen e Agatha Christie (a proposito avete notato che non c'è nessun romanzo di entrambi nella collana? Eppure di testi da ritradurre ce ne sarebbero parecchi..); importantissimi possono essere Chesterton,Van Dine e Rex Stout (un altro autore grandissimo ignorato); importanti Daly King, Rufus King, Edmund Crispin; importanti possono essere Anthony Berkeley, Monsignor Knox, Norman Berrow, e tanti altri.
Ora, se è meritorio che Polillo abbia pubblicato cose assolutamente poco conosciute in Italia, è altrettanto necessario che si dica che tanti ancora aspettano il loro turno, autori del calibro di Virgil Markham , Clifford Orr, Alan Thomas, Derek Smith e Clayton Rawson (questi due già pubblicati ma non integralmente), Clason, Tillett, Norman Berrow, Max Afford, Crofts, James Ronald,  David Duncan, James Ronald, Theodore Roscoe, T. H. White e altri ancora.
“La casa dei sette cadaveri” è del 1939: leggendolo e analizzandone la struttura della trama, è come se facesse intendere che nel frattempo tutti gli autori che avevano innovato il genere del Giallo Classico (almeno i Christie, Queen, Van Dine, Carr, Rufus e Daly King, Stout, Marsh, MacDonald, Innes) non fossero mai esistiti.
Il discorso sulla collana potrebbe ovviamente essere ampliato: chi, come me, ne possiede parecchi, avrà notato che ogni tanto esce un secondo romanzo di un certo autore. Già questo in teoria potrebbe essere visto come un deviare dalla rotta, perchè nel momento in cui viene pubblicato un secondo viene spontaneo chiedersi perchè allora non lo si faccia con altri, tanto più che fin quando di Carr ne uscissero due, nessuno direbbe nulla, ma che escano due Farjeon o addirittura due Fletcher, insomma..fa pensare. Poi ci sono stati 2 Rhode, 2 Berkeley e 2 Reilly: io, per conto mio, pur amando la Reilly (posseggo quasi tutti i romanzi usciti in Italia ), avrei preferito che ad una sua seconda uscita fosse uscito qualcos’altro, per es. Whistle Up The Devil tradotto da Casini negli anni ’50 con “Un fischio al Diavolo” e tagliato di almeno il 50%, che ho letto recentemente e che è un’autentica bellezza; stessa cosa per Rhode. Berkeley invece lo si può mesttere sullo stesso piano di Carr, essendo un grandissimo autore, per cui..alla fine non si dice nulla e si plaude all’iniziativa. Tutto questo per dire che, nonostante le finalità della collana, ci siano delle uscite che sfuggono ad esse, conformandosi alle scelte dell’editore, che non è dato conoscere (ma ci piacerebbe sapere perchè di alcuni autori due titoli e di altri nessuno).
Il romanzo comincia con un fuoco d’artificio che lascerebbe presagire un romanzo scoppiettante : a Benwick, un ladruncolo tenta di fare un colpo in una casa e vi trova, in una stanza chiusa ermeticamente dall’esterno (non è una Camera Chiusa) sette cadaveri: sei di uomini ed uno di donna.
Nella stanza niente di particolare tranne le imposte delel finestre inchiodate e la cappa del camino ostruita da dei vecchio giornali in modo da impedire il tiraggiodell’aria, ed una vecchia palla da cricket sopra la mensola del camino; e anche un misterioso biglietto con una scritta in codice dietro. In più un ritratto di bambina trapassato da un proiettile.
Ora, il lettore si aspettetrebbe una indagine serrata, almeno un esame autoptico che rivelasse la causa della strage: eppure non c’è nulla. Anzi, di palo in frasca, l’indagine si trasferisce abbastanza inusualmente in Francia, a Boulogne, laddove il proprietario della casa e sua nipote (i Fenner) sono riparati il giorno stesso della strage: sarebbe quindi lecito supporre che potessrero c’entrarvi qualcosa, tanto più che in una stanza sopra, nella casa della strage, son stati ritrovati un paio di scarpe al centro del pavimento ed un abito lasciato cadere per terra sul tappeto, segno di una partenza improvvisa.in E sarebbe lecito che la polizia diramasse un allarme all’Interpol o comunque attraverso canali diplomatici si ponesse in contatto con la polizia francese per fermare i due; eppure..nulla.
E’ un giornalista capitato in quei paraggi, tale  Hazeldean, a condurre l’indagine che sarebbe dovuta spettare ad un poliziotto e recarsi a Boulogne.
E già in questo c’è un certo sentore di improbabilità. Ma se poi si aggiunge a questo che il giornalista trovi nella Pensione di Madame Paula a Boulogne sia Fenner che la nipote, sulla base di una cartolina vista sulla mensola del camino della loro abitazione vicino alla palla da cricket, e che sin dall’inizio del suo arrivo, senza sapere nulla, consideri la ragazza assolutamente all’oscuro di quanto successo, e abbia timore persino a rivelarle la strage accaduta in casa sua, beh allora a questo punto la cosa ci fa ridere: Farjeon è datato, ma datato alla grande! Per lui le donne sono sante, incapaci di commettere un delitto, e addirittura talmente fragili da poter risentire della rivelazione di un delitto. E quindi non sono sospettabili: ma aveva mai letto Farjeon Agatha Christie, per esempio?
Insomma, se il delitto lasciava presagire un’indagine serrata, questa non c’è; c’è invece l’indagine di questo poliziotto imprestato e dilettante, che neanche per conto della polizia compie le proprie indagini, sì da costringere l’ispettore Kendall a mettergli alle costole un proprio uomo, indagine che porta a rivelare nella pensione un sottobosco di sotterfugi, reticenze, omertà, da parte di personaggi malavitosi e criminali, che meglio sarebbe stato collocato in romanzi d’appendice dei primi del ‘900, Mi vien quasi da dire che, si dimostrano meno convenzionali al confronto le storie del Arsene Lupin di Maurice Leblanc, laddove le donne possono anche essere puttane e non per forza sante.
Ma al di là della convenzionalità, il discorso va avanti in un labirinto di supposizioni (da cui si desume solo che il padrone di casa, il marito di Madame Paula, sia morto in circostanze sospette; che un tale Pierre, sia un fetente oltre che lestofante; che una cameriera, tale Marie, sia una poveraccia impaurita da Pierre; che Madame Paula, innamorata di Fenner,  non voglia avere in casa un estraneo impiccione e cerchi di allontanarlo. E intanto c’è un altrettanto improbabile venditore ambulante di sete che spunta da ogni parte (si saprà essere un poliziotto). Tutto in cento pagine, da pag. 54 a 154; pagine che, senza fare un torto a chi si batte per le traduzioni integrali, si sarebbero potuto ridurre pesantemente senza che se ne sentisse la necessità materiale. Tanto più che quando creava il dialogo tra Hazeldean e la cameriera (Marie), Farjeon sentiva anche la necessità di impostare i dialoghi in francese: ora, dico io, in quel tempo, il francese era la lingua studiata nelle scuole di un certo grado così come lo è ora l’inglese, e quindi, mettere dei dialoghi in francese non era così strano, tanto più che I Romanzi Gialli erano, all’epoca, rivolti non certo alle classi popolari ma almeno alla piccola borghesia: ora, invece, che in Italia pochi conoscono il francese rispetto alla totalità che impara l’inglese, mettere dei dialoghi in francese in una traduzione italiana, mi è sembrata un’operazione un po’ retro, tanto più che ci si sarebbe dovuti mettere nei panni di coloro che il francese non lo praticano (io grazie a Dio lo conosco e riesco a leggere, con fatica, dei romanzi gialli in quella lingua; ma..chi invece non lo conosce? Ho cominciato a leggere un Vindry di Gallimard, degli anni trenta, La Fuite des morts, che non so quando finirò..) invece che in quei pochi che lo conoscono
Ohibò, dopo cento pagine di dialoghi melensi e talora inutili, ecco che rispunta Kendall ( e l’azione si risposta a Benwick) e investigando con il suo sergente, arriva a delle conclusioni sorprendenti: l’assassino (Fenner probabilmente) è scappato, prima con una bicicletta, poi con un aereo ( e questo si può capire dagli indizi); come possa invece individuare il mezzo che sia servito ai sette per raggiungere la casa, e attribuirlo ad una barca che stanno rimorchiando lì per lì davanti ai suoi occhi, è tutto un dire: se li immagina tutti e sette in quella barca, e allora si fissa che è quello il mezzo (che poi davvero si scoprirà esserlo) utilizzato : arriva ad una conclusione in base non ad un ragionamento ma sulla base di una intuizione, vorremmo dire quasi una precognizione.
E solo ora si scopre la causa della morte: gas. Kendall trova una stanza sotterranea, un laboratorio, forse un ex bunker nel giardino intorno alla casa, e due gatti, morti non per causa naturale, e qualcosa lasciato lì tra cui un vecchio tubo di gomma che sembra (e lo confronterà dopo con successo) adattarsi benissimo alla serratura della stanza chiusa in cui son stati trovati i corpi. Kendall ricostruisce anche le sequenze drammatiche e e spiega come il quadro sia stato trapassato da una pallottola. A questo punto si sente finalmente (era ora!) il bisogno di rintracciare i Fenner, zio e nipote: E così Kendall va in Francia. Insomma, a dirla tutta, Farjeon non dice subito la causa della morte, perchè così, “può allungare il brodo”.
Nella pensione famosa trovano il venditore di sete, ucciso anche lui, la nipote di Fenner, rinchiusa in una stanza, il giornalista precedentemente tramortito, la cameriera scomparsa assieme a Fenner, e Pierre che viene arrestato.
Qui l’azione si ferma. E riprende presumibilmente dopo del tempo quando Kendall fa il punto delle indagini: questa è un’altra cosa curiosa. Normalmente in un romanzo giallo all’arresto di Pierre sarebbe seguita tutta l’indagine relativa a ottenere informazioni e vagliarle, ricostruire la vicenda: Farjeon non ne sente la necessità, e la glissa. E quindi fa raccontare a Kendall tutto quello che si sia scoperto nel corso delle settimane trascorse: Fenner ha ucciso il marito di Madame Paula, innamorata di lui e che odiava il marito; questi lo ricattava da tempo; Fenner aveva impiegato la dote della nipote per finanziare gli studi sul gas da lui scoperto e per pagare il ricattatore; Pierre aveva ucciso il venditore di sete, e poi tentato di far sparire Marie che invece era stata salvata dai poliziotti. Tutto si ricollegava ad un naufragio: Fenner era stato trovato in mare aggrappato ad una zattera e salvato da altra nave, laddove si trovavano il futuro marito di Madame Paula, il dottor Jones (medico di bordo) e Pierre che era uno steward. E da qui era cominciato tutto. Ma non spiegava i sette cadaveri. Kendall analizzza allora lo strano biglietto col codice e ipotizza potersi trattare della latitudine e longitudine di un posto, che vien trovato a sud dell’Oceano Atlantico.
Il procedimento del racconto, la spiegazione di quello che è accaduto prima, ci rivela come Farjeon fosse un autore della vecchia scuola, quella che aveva preso le mosse da Sherlock Holmes: in La Valle della Paura, c’è un procedimento analogo.
Vagliando i dati di latitudine e longitudine,  Kendall individua una piccola isola dell’Atlantico del Sud : che sia sulla buona strada, lo afferma il fatto che anche il naufragio di cui era stato vittima Fenner era avvenuto da quelle parti. E così l’ispettore, il giornalista, la nipote di Fenner ed altra gente trovano le prove che dei naufraghi siano approdati e siano vissuti lì. Trovano addirittura il diario di uno di loro e ricostruiscono la vicenda di quell naufragio che è alla base del tutto.
Non diciamo come vada a finire. Solo che il finale si legge bene, e ha dei ribaltamenti che portano un po’ di suspence nel romanzo, che altrimenti sarebbe, a mio parere, prevedibile.
Tutto sommato un romanzo carino,appesantito da troppe pagine ( superflui mi parrebbero parecchi dialoghi), non certo un capolavoro, paragonato a “La belva deve morire” di Nicholas Blake o a “La rossa mano destra” di Joel T. Rogers, oppure anche a “La morte cammina per Eastrepps” di Francis Beeding; ma con dei ribaltamenti finali, che alleggeriscono il tutto e consentono di finire il romanzo con una rivelazione finale che cambia  le carte in tavola, ed un finale tragico (ma solo per l’assassino), molto molto cinematografico.

Pietro De Palma





[1] Può verificare la giustezza delle mie affermazioni, chi consulti Il Dizionario Bibliografico del Giallo, di Pirani Bibliografica Editrice, strumento indispensabile all’appassionato e più ancora al collezionista. Io ho potuto consultare il volume intitolato “Collane e Periodici Gialli in Italia (1895-1999)”: a pag. 357 sono riportate le indicazioni che ho inserito.

giovedì 15 giugno 2017

Patrick Quentin : Il Fante di Denari (The Jack of Diamonds, 1936) – traduz. Giovanna Soncelli Gianotti – pagg. 7-65 – Ellery Queen presenta “Primavera Gialla ’75″ – Mondadori, pagg. 396


Anche “The Jack of Diamonds”, è un romanzo breve.
Patrick Quentin, come Ellery Queen e altri, non solo fu uno pseudonimo, ma anche una ditta. Infatti fu l’unione di 4 coppie di scrittori, che  formandosi all’uopo, si firmarono diversamente: quella più prolifica fu formata da Richard Wilson Webb (1901 – 1966) e Hugh Callingham Wheeler  (1912 – 1987),poiché firmò assieme alcuni romanzi con la sigla Quentin Patrick, quasi tutti con Patrick Quentin, e tutti con Jonathan Stagge: in pratica, l’inizio di questa fortunatissima collaborazione data il 1936, quando Webb, che, firmandosi Quentin Patrick, aveva scritto alcuni romanzi sia  con Martha Mott Kelley (1906–2005) che con  Mary Louise White Aswell (1902 – 1984), ritrovò Wheeler, un suo vecchio amico. Va detto che sia Sia Webb che Wheeler, erano britannici per nascita, ma poi, in seguito, emigrando ambedue negli Stati Uniti, ne erano diventati cittadini.
The Jack of Diamonds, “Il Fante di Denari”, essendo del 1936, appartiene alla coppia formata da Webb e Wheeler. Come i romanzi della serie Peter Duluth, vengono mischiati elementi psicologici a elementi tipici del mystery all’inglese, in un insieme estremamente caratterizzante.
La trama è quantomai singolare.
Katherine La Motte, soprano lirico; Sir Henry Bentley; Libby Hunt Farley, giocatrice di bridge del bel mondo; John Derwood Thring III, nipote dell’omonimo fondatore della Casa Editrice Tract and Treatise; il giudice Homer Rock; la baronessa Lili Tresckow, dell’omonimo atelier di moda, vengono invitati da Theodore Frensham Vanderloon, ad un insolito ricevimento, il cui scopo è “uccidere il signor Joseph Starner”.
Non è un gioco di società come il famoso Cluedo, anche se il motivo è quello: nel corso di una serata muore un invitato. Ma a differenza del Cluedo, lo scopo non è quello di individuare l’assassino, quanto..individuare la vittima e ucciderla. Già, proprio così. Ma perche?
Colui che ha fatto recapitare gli inviti, non si può dire che conosca bene i suoi ospiti; tuttavia, come loro, conosce purtroppo assai bene Starner, che è un volgare ricattatore: Starner ricatta tutti e sette per motivi diversi, ma allo stesso modo li ha derubati e continua a derubare. Quale miglior occasione di un ricevimento, al quale verrà invitato lo stesso Starner, per ucciderlo, dopo aver convogliato le volontà di tutti e sette i ricattati? Per di più, tutti e sette, essendo accomunati dal medesimo intendimento, si proteggeranno a vicenda, fornendo tutti la stessa versione dei fatti.
La pensata è grande: l’occasione sarà quella di pattinare sul ghiaccio, nei pressi di un lago, vicino alla residenza di Vanderloon; solo che una certa parte del ghiaccio verrà rotta, in modo che cadendovi, non si avrà via di scampo. Ovviamente a cadervi dev’essere Starner: il ghiaccio è stato rotto vicino ad un palo, che deve servire, all’assassino di turno per aggrapparsi e nello stesso istante dare una spinta al malcapitato, condannandolo a morte certa. Per evitare che Starner possa accorgersi dell’inghippo, le uniche lanterne che danno luce al tutto, sono state oscurate nei pressi della trappola; ma anche la cosa è stata pensata avendo cura che ad una certa distanza, la visibilità cali, dimodoche nessuno dei sette possa sapere chi ucciderà Starner. Inoltre, la tempesta di neve prevista dal servizio meteorologico, “determinerà” la sospensione delle comunicazioni telefoniche, e mezzi per raggiungere la città provvidenzialmente non ve ne saranno, perché Vanderloon avrà fatto in modo di far revisionare le auto proprio in quel periodo.
Starner arriva, ma..non solo: è accompagnato infatti dalla bella Carmelite, sua figlia adottiva. E’ questo un intoppo: nessuno pensava che vi potesse essere un testimone. Comunque, ben presto la situazione evolve: Carmelite comincia ad amoreggiare col baronetto e l’atmosfera si distende anche perché Starner non si accorge di nulla ed è rilassato.
Ma accade l’imprevisto. L’unico del gruppo a non aver avuto la benché minima accondiscendenza alla congiura, è stato il giudice Rock; egli ha per di più la malaugurata idea di confessare la cosa proprio a Starner, ma Libby Hunt Farley se ne accorge e lo dice agli altri: ora la situazione è cambiata, e il gioco può finire male. I sette non sanno cosa fare, sono indecisi, ma poi le danze vengono cominciate ed i sette si lanciano sulla superficie ghiacciata a pattinare: vengono sorpresi però dalla neve, e le lanterne, quelle che dovevanoa assicurare una sufficiente luce, si spengono: ora le condizioni di pericolo, sono estensibili a tutti. Tuttavia c’è il palo che come un faro avvisa della presenza lì vicino della trappola. Solo che al pattinaggio, partecipa anche Carmelite: una preoccupazione in più. E se cadesse lei?
Ad un certo punto però, qualcuno effettivamente cade. Starner è morto. Tutti sono contenti.
Gli uomini vanno a recuperare il corpo, mentre le donne attendono al caldo e al buio.
Un’ombra le osserva e al punto giusto parla: il terrore e lo spavento si dipinge sui loro volti: Starner è vivo. E allora, chi è morto?
La vittima si scoprirà essere proprio il giudice.
Starner ha scoperto il complotto e come il tentativo di sopprimere lui, si è risolto con la morte di un altro: sia lui che le sue vittime sono consci anche del resto: se prima il peso del ricatto era insostenibile, come sarà ora, che tutti possono essere ricattati per un delitto che hanno ordito, e che ha causato la morte di un innocente? Per di più le vittime si rendono conto che anche se riuscissero ad uccidere Starner, la presenza di Carmelite potrebbe determinare solo un cambio di cassiere nella logica del ricatto: è davvero una povera ma bella orfana sottratta al brefotrofio, oppure è una scaltra ricattatrice?
Sir Bentley assicura gli astanti che se ne occuperà lui: la sposerà (se ne è innamorato, pare ricambiato) e quindi le chiuderà la bocca, all’occasione. Ecco allora ripresentarsi l’occasione: tenteranno di uccidere nuovamente Starner, con la pistola di quello, che il maggiordomo di Vandernoon, Bowles, filosofo e amico del padrone di casa, ha sottratto dalla valigia dell’ospite.
Un vassoio con la pistola sarà lasciato sul pianoforte, in una stanza dove l’illuminazione sarà fornita solo dai candelabri: spente le candele, nessuno potrà accorgersi di chi sottrarrà dal vassoio d’argento la pistola. Tuttavia la scelta dell’assassino, sarà coadiuvata dal Fato: distribuite ai presenti 52 carte, chi troverà “Il fante di denari”, saprà di essere il sicario prescelto dal fato.
Solo che le cose non andranno proprio tutte nel verso giusto. Starner verrà ucciso, ma..da chi, visto che un altro si sarà impossessato della pistola? Per giunta lo stesso Starner?
La pistola sarà trovata accanto alla testa, e sopra l’orecchio destro una ferita a bruciapelo testimonierà alla polizia un tentativo di suicidio. Ma..davvero Starner si sarà ucciso? Oppure sarà stato ucciso? Perché sulla sua camicia verrà trovata una bruciatura di candela, come se il candelabro presente sul tavolino, cadendo lui, vi si fosse rovesciato sopra, nonostante il fatto che tutti sapessero che quel candelabro non si trovava sul tavolino ma sul camino? E come si spiegano due spari invece di uno?
Carmelite, in un concitato finale, si assumerà la responsabilità della morte, ma verrà scusata da tutti gli altri, che la proteggeranno. Solo che..davvero sarà stata lei ad uccidere il suo patrigno? Oppure qualcun altro?
Sarà il maggiordomo di Vandernoon, Bowles, filosofo più che domestico a dire l’ultima parola e ricostruire davanti al padrone l’effettivo svolgimento dei fatti.
L’opera mette assieme due generi, combinandoli abilmente: il Thriller e il Mystery. Un po’ come faceva Rufus King. Nel momento in cui Vandernoon espone ai suoi ospiti il suo intendimento, che dovrebbe essere comune, quello cioè di “far fuori” Starner, prende l’avvio un iter tutto particolare: il Thriller si esprime nella “consecutio temporum” del delitto che si sta preparando. Starner morirà? Gli autori, e la maestria è in questo, sapevano bene che nel caso in cui la vittima sarebbe stata soppressa, la tensione si sarebbe esaurita. E allora intuirono che solo creando degli ostacoli, avrebbero, volta per volta, creato suggestioni e aspettative sempre diverse: il primo è l’arrivo di una persona non attesa, Carmelite; il secondo è dato dal giudice, che tenendo fede al suo giuramento morale di uomo di giustizia vecchio stampo non può commettere un atto riprovevole; il terzo dalla rivelazione del piano a Starner e da come lui reagirà; il quarto, dalla vittima che non è Starner; il quinto dal cambiamento di piano omicida; il sesto dal doppio colpo di pistola; il settimo dalla possibile intuizione di un altro personaggio che, messo in allarme dalla scomparsa di Starner, dovrebbe allertare la polizia. Qua e là, la tensione ha dei punti di massima esplosione, quando l’aspettativa che tutto vada in una certa maniera, viene messa in discussione e contemporaneamente l’atmosfera fa la sua: per esempio quando vengono poste le donne in uno spazio chiuso, in una stanza, al buio o nella penombra, in attesa che il cadavere di Starner o almeno quello supposto arrivi dal lago, e in quello spazio in cui dovrebbero esserci solo loro, risuona la voce inaspettata e malvagia di Starner: Insomma..come se qualcuno avesse suonato un gong ravvicinato. Un effetto terribile.
Il Mystery invece inizia laddove il delitto è stato commesso, e nonostante si supponga chi sia il giustiziere ( perché con una capriola l’assassino diviene il giustiziere, quando si viene a sapere la responsabilità nella morte del giudice), le sorprese saranno ancora molte perché: la pistola non sarà presa dal “Fante di denari” ma da altra persona; questa persona non userà la pistola, che sarà invece usata da altro soggetto ancora. Ma non finisce qui: dopo che questo soggetto, il presunto omicida, avrà sparato a Starner, un altro ancora sparerà il secondo colpo. La successione e la spiegazione sarà data negli ultimi righi da un maggiordomo.
L’insolita figura di “deduttore” ci rimanda indubbiamente al Reginald Jeeves (valletto di Bertram Wilberforce Wooster) di Pelham Grenville Wodehouse.
Non solo.
La stessa situazione dei congiurati che cercano di uccidere il loro ricattatore e si mettono d’accordo preventivamente sul fatto che ognuno coprirà gli altri, qualora dovessero essere interrogati dalla polizia, ricorda molto, anzi, per me è una citazione sfacciata, di Murder on the Orient Express di Agatha Christie, soprattutto quando i congiurati, da possibili assassini, diventano dei..vendicatori. Anche se poi, opportunamente, i fatti vengono continuamente ribaltati, cosicché si fatica a riconoscerne una matrice comune.
E che l’autore, anzi..gli autori, siano soggetti di primo piano del genere, è cosa che vien messa in risalto, se vogliamo, anche solo da un piccolo insignificante particolare: la bruciatura provocata dalla candela infissa nel candelabro, che maschera altra bruciatura, passa di secondo piano, perché nessuno pensa che un particolare del genere possa essere importante. E invece lo è.
E quindi nessuno si accorge di come un candelabro che vien citato come appoggiato sulla mensola del camino, si ritrovi poi caduto da un tavolino. Perché mai sarà stato spostato?
Ecco il tocco del genio.

Pietro De Palma

martedì 6 giugno 2017

E. e M.A. Radford : Mai fidarsi (It’s Murder To Live, 1947) – trad. Lucia Ponzini – I Gialli Sprint, Zillitti Editore, Milano, 1964



Ci fu un tempo in cui il panorama librario italiano dei romanzi polizieschi era così florido e palpitante che nuove case editrici e collane apposite sorgevano e tramontavano senza che ce ne si accorgesse, perché nel frattempo altre prendevano il loro posto. Fa venir tristezza il fatto che ora in edicola ci siano solo i Gialli Mondadori ed in libreria una decina di case editrici, se rapportato il tutto ad un tempo in cui di case editrici in libreria ve n’erano a iosa.
Tra le altre, nel 1964, comparve una collana destinata a scomparire quasi nel breve tempo del battere di ciglia: “I Gialli Sprint”, della Zillitti Editore, una piccola casa editrice che in quegli anni, fra l’altro, stava tentando di ritagliarsi uno spazio nell’ambito delle pubblicazioni fantascientifiche.
La collana di polizieschi, diretta da uno scrittore italiano di polizieschi, Franco Enna, fu chiusa dopo che ne erano stati pubblicati tre soli romanzi, dei quali il secondo, pure dello stesso Enna!
 Per aprire la collana, che avrebbe dovuto avere ben altro futuro di quello che invece ebbe, fu scelto il quinto dei romanzi pubblicati dalla coppia inglese E. & M.A. Radford, estensori della Enciclopedia delle superstizioni .
Pochissime le notizie che si ricavano a proposito di detta coppia di scrittori: fu formata dai coniugi  (E)dwin Isaac e (M)angan (A)ugusta Radford, di cui lui era un giornalista e scrittore. I due dettero alle stampe trentotto romanzi, tutti pubblicati in Inghilterra (nessuno in USA).
La formazione coniugale non deve stupire: a quei tempi vi erano delle consolidate coppie di autori che avevano avuto successo, soprattutto in USA : i Cole, i Kelley Roos, i Lockridge, i Bristow & Manning. Vi si vollero provare anche i Radford. La loro serie, più conosciuta, fu quella con il Dottor Manson e l’Ispettore del CID Holroyd. Sono gialli britannici, più classici che non si può, con gli ingredienti tipici del Mystery britannico.
Il romanzo che esamino oggi è il quinto nella loro produzione, It’s Murder To Live, “Mai fidarsi” nella curiosa traduzione del titolo, proposta in Italia, romanzo pubblicato originariamente da Melrose, nel 1947.
Hannah Hardcastle, proprietaria di Dombey Hall, una casa risalente al XVII secolo, teme che qualcuno a casa sua la stia avvelenando, e perciò, prima di mangiare o bere qualcosa, aspetta che a leccare il tutto sia il suo gattino, usandolo come “un assaggiatore” vero e proprio: è sicura dell’avvelenamento ai suoi danni, perché, prima che usasse il gatto, ha avvertito forti dolori dopo aver mangiato. Solo dopo, ella consuma i pasti, e la colazione. Tuttavia non spiega a Sir Edward Allen, vice-sovrintendente, chi ella sospetti di essere il suo avvelenatore.
Fatto sta, che Allen ed il Capo della sez. scientifica di Scotland Yard, il dottor Manson, pur avendo classificato la donna quasi come paranoica, per essere a posto con la coscienza, decidono di inviare qualcuno sul posto. Viene inviato sul posto l’Ispettore Kenway, che si informa presso il Pub dei pettegolezzi del vicinato, poi si reca presso il dottor Williams, medico personale della signora, che gli fa notare come la sua assistita non abbia assolutamente nulla, e che le sue farneticazioni si riferiscono più a indigestioni che a presunti avvelenamenti. Quindi le indagini vengono sospese.
La signora Hardcastle ha numerose persone di servizio nella sua tenuta, e tra queste, una coppia di coniugi, William e Harriet Bain: lui fattore, lei governante. Assunti relativamente da poco tempo, dalla stessa Hannah Hardcastle. La coppia ha adottato una ragazza, la cui zia abitava assieme alla piccola in una stanza affittata dalla coppia dei Bain a Londra; poi la zia era morta e la ragazzina era stata adottata dai Bain, che non avevano figli.
William Bain, beve parecchio. Un bel giorno comincia ad avvertire forti dolori allo stomaco. I medici parlano di ulcera duodenale: ma, l’uomo, a dispetto della cura, e nonostante i medici sottovalutino le sue condizioni, muore in breve tempo.
Dopo un breve tempo, sua moglie, comincia ad avvertire forti dolori addominali. Il dottor Williams accorre, ma solo per avvertire che sta partendo per le vacanze, e assicura che invierà il suo sostituto l’indomani; questi diagnostica una gastrite acuta, ma nutre dei sospetti per l’assenza di vomito. Fatto sta che nonostante le cure prodigatele dal medico, anche ella muore con atroci dolori.
Questa volta il sostituto del medico, fresco di laurea, con più coscienza e più responsabilità del suo assuntore, si rifiuta di firmare il certificato di morte e rimanda la causa a Scotland Yard per l’autopsia; che peraltro convalida i timori del giovane medico, confermando l’avvelenamento di Harriet Brain per assunzione di antimonio.
A questo punto Scotland Yard si ricorda delle accuse della signora Hardcastle e decide di riaprire la pratica, inviando sul posto il Vice-Sovrintendente ed il Capo della Polizia Scientifica.
I due vengono inviati sul posto, cioè a Dombey Hall, e ben presto capiscono che tutti coloro abitano quella casa hanno qualcosa da nascondere. Innanzitutto la padrona di casa, che si dimostra più volte reticente e restia a spiegare le vere ragioni che l’hanno portata tempo prima a Scotland Yard, e non vuole assolutamente dire chi ella pensava fosse l’avvelenatore/trice; poi la cameriera, Hester che rivela cose in contraddizione con quanto appurato precedentemente; ed infine Bessie Johnson, la cuoca, colei che più di altri poteva aggiungere qualcosa ai cibi. Perfino il dottor Williams, non dice tutta la verità, subito. Ed anche lui è nel registro degli indagati, per aver potuto avere accesso, più facilmente degli altri, al tartaro emetico, un intruglio contenente piccole dosi di antimonio, che si scopre esser stato usato da Harriet Bain nei confronti del marito: le donne del posto lo davano ai mariti, di nascosto, sciogliendolo magari nel whisky, per indurre loro ad avere nausee quando avessero tracannato alcolici: era un modo per indurli a non bere più. Quindi anche Harriet avrebbe potuto avvelenare il marito. E che non sia stato proprio il tartaro emetico, assundo in grande concentrazione ad aver provocato la morte di ambedue i coniugi?
Tuttavia, rimane un dubbio di fondo: se è possibile che fosse stato dato a William Bain, per quale motivo mai avrebbe dovuto prenderlo la moglie?
Per di più si scopre, lo scopre il sergente Barrett, che Bessie, allontanandosi dalla cosa con la scusa di andare nell’orto, è andata invece nel giardino e qui, presso un corso d’acqua, si è disfatta di bustine di polvere bianca: cosa mai sarà?
Inizialmente si pensa possa essere proprio antimonio, ma poi si scoprirà che si tratta di comune bicarbonato di sodio: per quale motivo tanta reticenza a non ammettere che sia andata a scaricare ciò? E perché l’avrebbe fatto?
Tutte risposte cui dovrà dare una risposta Allen, cui darà un contributo di primo piano il suo amico, il dottor Manson, individuando l’assassino e l’arma per uccidere: una pocula, una brocca realizzata in una lega con molto più antimonio e rame del normale. La pocula è stata utilizzata come arma, versandovi del vino, che  si scoprirà erano l’unica cosa che solo loro due avessero bevuto.
E particolarità della pocula era di rilasciare nella sostanza contenutavi, molto più antimonio del normale.
Chi mai conosceva le proprietà della pocula? Ed è stata la stessa persona, ad aver premeditato l’uccisione dei due coniugi? E perché mai?
Conoscere il perché e non tanto l’identità dell’assassino, costituirà la parte più raccapricciante dell’intera vicenda, negli ultimi righi del romanzo.
Plot lineare ma interessante, quello del romanzo propone la storia senza tanti fronzoli, senza tanti preamboli. Non c’è, come è prassi quasi nei romanzi di marca “english”, la riunione di famiglia, o il funerale (che nei paesi anglosassoni prevede un ricevimento) o la festa di beneficenza, o la cena, tutti momenti in cui il germe del male può essere avvertito nell’ambito di una discussione.
E non ci sono neanche sub-plot, ma solo la trama originale, portata avanti nelle sue variazioni, a seconda dei vari personaggi implicativi.
E’ interessante, anche perché qui non c’è la morte della padrona di casa, o di un invitato, come spesso accade, ma quella di due persone di servizio. In questo richiama un romanzo giallo di Georgette Heyer, in cui a morire è il maggiordomo: Why Shoot a Butler? (1933).
Quello che però mi preme sottolineare è l’estrema pulizia della storia, che procede senza intoppi, pur avendo proposte varie piste alternative, ma solo per sviare i sospetti dall’unica possibile persona sospettabile, verso cui si rivolgono e si stornano i sospetti più volte. E anche la presenza, come possibili assassine, di tre signore anzianotte, che ci ricordano le atmosfere di  Arsenico e vecchi merletti (1944), di Frank Capra. Il romanzo originale consta di circa 180 pagine, quello tradotto in italiano, di circa 130: è evidente che una cinquantina di pagine, fossero state tagliate, allorchè fu prodotta l’edizione italiana. Evidentemente è stata tagliata parte della descrizione. Eppure il montaggio, italiano, è stato realizzato molto bene, giacchè la trama, nell’alternarsi di colpi di scena, talora anche grotteschi o paradossali, porta ad una logica conclusione, senza che le lettura ne venga pregiudicata, anzi scorre veloce e con  una elevata tensione. La causa di ciò è anche lo stile narrativo, quantomai fluido, che spesso ricorre anche ad un certo humour all’inglese, stemperando così la drammaticità degli eventi.
Una deliziosa lettura, insomma, che propone in luogo del detective dilettante, un detective ufficiale di Scotland Yard. Cioè, il classico al massimo grado.

Pietro De Palma