martedì 29 agosto 2017

Anthony Boucher : Gli Irregolari di Baker Street (The Case of the Baker Street Irregulars, 1940) – trad. Grazia Maria Griffini – I Classici del Giallo N.647, Mondadori, 1991


The Case of the Baker Street Irregulars, “Gli Irregolari di Baker Street”, romanzo pubblicato nel 1940, fu un omaggio chiarissimo di Anthony Boucher a Sherlock Holmes. In esso operano cinque membri di una associazione, “Gli Irregolari di Baker Street”, ognuno svolgente una professione diversa dagli altri, accomunati dalla stessa dedizione e dall’erudizione circa le gesta del grande detective britannico.
La storia è presto detta.
F.X. Weinberg, produttore a capo della Società Cinematografica Metropolis, ha assunto Stephen Worth per scrivere la sceneggiatura cinematografica di un adattamento del racconto L’Avventura della Banda Maculata. Senonchè l’assunzione è stata improvvida. Infatti lo sceneggiatore, con alle spalle un passato di detective e di scrittore di romanzi Hard-Boiled, vuole utilizzare la sceneggiatura per riscrivere la figura di Sherlock Holmes, ciò che suona come un’offesa, agli orecchi dell’Associazione “Gli Irregolari di Baker Street”, che si batte per una difesa ad oltranza del sacro nome di Sherlock Holmes. Detta associazione riunisce cinque nomi di assoluto rilievo: un medico, un autore poliziesco, un editore, un giurista fuggito dalla Germania per motivi politici, un professore universitario.
Apro una parentesi: leggere questo libro mi ha riportato alla mente quello scontro che ci fu sul Blog Mondadori sette-otto anni fa tra difensori del Giallo Classico (io diventai il portabandiera) e difensori del romanzo Hard-Boiled (Stefano Di Marino elemento di spicco), con gente che stava in mezzo (Luca Conti), gente che prendeva le mie parti e cercava di fare da paciere (Fabio Lotti) e gente appartenente ai due schieramenti che se le dava di santa ragione. Lo spirito era quello alla base di questo romanzo, a significare che il contrasto tra le due anime del romanzo poliziesco c’è sempre stato. Chiusa la parentesi.
Weinberg ben presto capisce quali seccature possa dargli questa sua avventata avventura, per cui non potendo licenziare Worth a meno di non adire alle vie legali e perdere, grazie ad una clausola pro-Worth, su consiglio della sua segretaria Maureen O’Breen, assume i cinque irregolari con le funzioni di supervisori, scatenando le ire di Worth e avendo il plauso dei cinque.
Ben preso l’incandescenza della situazione produce già i suoi deleteri effetti: il Professor Drew Furness viene malmenato dallo stesso Worth e fatto oggetto di una beffa atroce, ad opera di un attore pagato da Worth, tale Vernon Crews, un caratterista abile transformista, che è specializzato in burle ad Hollywood.
Ma Worth vuol fare di più. Vuole utilizzare una ricevimento che darà Weinberg per tramutarlo in un’occasione di sfottimento nei confronti dei cinque e allo scopo si è presentato sbronzo, con una cartella da cui non si vuol separare, in una sala gremita di reporters. Ben presto gli insulti innescano la reazione di Furness che rifila una manata e la risposta di Worth, che lungi dal centrare il bersaglio, instabile per l’alcool tracannato, becca all’occhio proprio l’ispettore Jackson che è lì anche perché suo fratello lavora per gli studios, ottenendo come risposta un Uno-due, che lo manda al tappeto. Il tutto si conclude con Worth che viene accompagnato di sopra e messo su un letto.
A questo punto c’è Furness che aspetta in macchina la sig.na Maureeen per accompagnarla a casa, ci sono Evans lo scrittore e Federhut il giurista che cercano assieme al tenente Jackson di venire a capo della sequenza di pupazzetti disposti sul retro di un cartoncino, un crittogramma, che ripete un po’ la sequenza già ne I pupazzi ballerini, un racconto con Sherlock Holmes. Quando la risolvono capiscono che è una minaccia di morte. Poi c’è la busta vuota contenente solo cinque semi di arancia secchi, che Maureen dice che un fattorino le ha consegnato per Worth. Maureen dice queste cose dopo che è stata trovata svenuta al piano di sopra nel corridoio: racconta che qualcuno ha sparato a Worth in sua presenza, riparato dalla porta della camera, e che Worth colpito al cuore ha sanguinato parecchio. A questo punto si succedono tante cose, e gli indizi raccolti uno per ciascuno indirizzano le indagini verso ciascuno dei cinque irregolari, attraverso le citazioni di alcune avventure di S.H.: anche i cinque semi di arancia sono la citazione di una. Tuttavia non tutti gli indizi sono chiari: c’è per es. un frammento di vetro con incise delel lettere che Jackson trova nel cestino della carta straccia della camera di Worth, che nessuno riconosce né tantomeno sa accoppiare ad una avventura sherlockiana; e così anche la tacca vicino al davanzale, almeno prima che qualcuno non la colleghi a Il Ponte sul Thor, e non trovi la rivoltella legata ad un libro penzolante fuori dal davanzale della finestra. Anche la lista coi numeri che trovano nella cartella di Worth, non si riesce a capire cosa sia e a cosa si riferisca. Poi accade un’altra cosa importante: scompare il cadavere di Worth.
Che ci fosse lo dimostra la macchia importante di sangue, e la scritta “Vendetta” tracciata col sangue sul muro; ma il cadavere è scomparso. A questo punto l’indagine passa al tenente Finch, amico di Jackson, perché lui è stato preso a pugni da Worth e quindi ipoteticamente figura anch’egli tra i sospettati.
A questo punto,  i cinque irregolari, che si provano di aiutare le forze dell’ordine, e purtuttavia sono annoverati tra i sospetti e quindi tenuti sotto osservazione, vivono cinque avventure che nondimeno racconteranno alla presenza di Jackson e Finch, e da cui risulterebbero accuse specifiche contro alcuni di loro. Anche quattro di queste cinque avventure, sono riconducibili ad avventure di Sherlock Holmes:
“Il caso della stampella d’alluminio”, narrato da Furness, richiama L’avventura dei progetti Bruce-Partington; “L’avventura del capitano stanco” narrata dal dott. Bottomley, richiama L’avventura della scatola di cartone; “La follia del Colonnello Warburton”, racconto narrato da Harrison Ridgly III, richiama Il vampiro del Sussex; ne “Il caso straordinario della lucertola velenosa”, narrato da Otto Federhut,  c’è un richiamo a La banda maculata;  infine L’avventura della vecchia donna russa, narrata da Jonadab Evans, non ha alcun riferimento apparente a casi di S.H.
In ciascuno dei cinque racconti c’è inoltre un riferimento ad un altro dei 5 Irregolari di Baker Street, tale che appaia in cattiva luce.
Alla fine delle cinque narrazioni, i cinque vanno a fare cose diverse: alcuni escono, altri no. In casa rimangono solo Ridgly III e il sergente Watson. Ad un certo punto Ridgly richiama l’attenzione del sergente sul fatto che qualcuno abbia sottratto la sua rivoltella, e insieme perquisiscono le stanze della casa. Quando ritorna Finch, chiede al sergente cosa sia accaduto nel frattempo, e in quel mentre si sente un colpo di pistola: sopra viene trovato nelle stesse ipotetiche condizioni di Worth, Ridgly III, solo che questa volta il corpo c’è ed è in un lago di sangue, sui muri è riportata di nuovo la scritta Rache, c’è una fascia nera per terra, e una tacca sul legno del davanzale della finestra. Solo che Ridgly, seppure molto grave, si salva perché il proiettile ha sfiorato il cuore, deviato da una costola.
A questo punto urge però trovare Stephen Worth: Jackson ipotizza una certa cosa, Evans e Maureen un’altra, partendo dalla lista di numeri trovata bella cartella di Worth: scoprono trattarsi di codici di dischi. In un negozio li trovano tutti, e in base ai loro titoli, e ad altri numeri indicanti altri dati (parole), scoprono il nascondiglio di Worth. Tanto per trovarsi assieme a Jackson laddove un omicidio è stato appena commesso: Worth. Cioè Worth che sarebbe dovuto essere morto, è stato appena ucciso. Si scopre così che Worth aveva finto di essere morto per fare una burla ai cinque ma che poi uno di essi probabilmente lo ha ucciso.
Tuttavia accanto a Worth è stato trovato solo un foglio con un altro crittogramma formato dai pupazzi ballerini: una metà viene trovata sul pavimento e reca la frase tradotta “REMEMBER THE POLICE”, mentre in un’altra, trovata accartocciata nelle mani del morto, si legge “AND AMY GRAY”. Un indizio ?
In un finale ad effetto, dopo che ancora una volta ciascuno dei cinque ha dato una propria ipotesi circa l’assassino e che anche Finch abbia dato la propria, sarà inaspettatamente il sergente Watson (da notare che anche qui come nei casi di Holmes c’è un Watson) a fornire la soluzione, riprendendo l’accusa di Evans, che aveva posto l’accento sulla metà del foglio, dando alle due parole AMY GRAY un significato diverso, in relazione al suono fonetico simile ad esse di un’altra parola che indica l’assassino.
Dico subito che il romanzo è un monstre di 281 pagine. Lo sottolineo perché nelle sue dimensioni già rilevo un primo limite: se in un romanzo di tali dimensioni (la lingua inglese di solito ha una forma più concisa di quella italiana) di altro autore, ad es. il Carr di Delitti da mille e una notte, che a memoria, dovrebbe attestarsi sulle 320 pagine o giù di lì, ha una forma tale che il numero di pagine non inficia la lettura, qui lo stile è volutamente ampolloso e ridondante, tale che la lettura è fortemente condizionata. Questo perché questo, più che essere un romanzo giallo, è un romanzo sul romanzo giallo. O meglio, è un vero e proprio Divertissement, con cui Boucher giocò con S.H. e la sua opera, confezionando una sorta di parodia, in cui le sue letture, la sua conoscenza dell’opera di Conan Doyle, si legano a tante altre di altri autori, realizzando in ultima analisi un’opera fuori dai righi, che può anche essere considerata “una presa per i fondelli”. Non mi ha stupito pertanto sapere ieri sera, conversando con Mauro, che lui era d’accordo con questa mia interpretazione e anzi che lo stesso Carr, a cui Boucher aveva dato una copia, dopo averla letta, l’aveva restituita infastidito per il tono del romanzo, lui che era davvero un biografo di Conan Doyle.
Al di là dello stile, che è ampolloso come in una dissertazione, ma è anche leggero e raffinato (talvolta anche troppo) quando Boucher introduce delle osservazioni proprie che vanno al di fuori del romanzo in sé per sé, per es. quando, dopo aver inquadrato Maureen che dopo essersi fatta una doccia, dice “avvolta in un lenzuolo di spugna e gocciolante  (per quanto ce ne dolga, questo non è il genere di libro che continuerà a descriverla più dettagliatamente)”,  a me pare che ironicamente si riferisca a quel genere di libri pornografici che imperversava nell’America puritana degli anni ’40 (una letteratura tipo Opus Pistorum dell’Henry Miller di Sexus, Plexus, Nexus, e di Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno).
I riferimenti a S. H. come detto sono tantissimi e vanno oltre quelli da me riportati: quest’altra cosa rallenta ulteriormente la lettura, e la tensione, che dovrebbe essere l’elemento cui ogni romanzo giallo sia mystery o hard boiled dovrebbe puntare, viene inaspettatamente rallentata dalle cinque narrazioni, che poi alla fine si rilevano un’ulteriore burla di Worth attuate tramite il suo amico trasformista Vernon Crews, che prende le sembianze dei cinque soggetti principali delle cinque storie, allo scopo di insinuare delle verità da lui scoperte, sui 5 Irregolari di Baker Street. Francamente, se invece che essere inserita all’interno del romanzo, la sezione delle 5 narrazioni fosse stata messa in appendice al romanzo, forse la tensione non sarebbe stata toccata, perché allora finiscono, riprende, seppure rallentata.
Mike Grost, grande critico statunitense, parla di Boucher come un vandiniano, in relazione al fatto che i suoi romanzi cominciano con la dicituta “The Case of” come in quelli di Van Dine, e per il fatto che come lì le ambientazioni sono colte (qui lo è al massimo grado). Io invece che Van Dine, ravviso una somiglianza più che netta coi romanzi di Ellery Queen: lo stile richiama i primi romanzi di Queen, con una struttura del romanzo fortemente bizzarra, e indizi strani; per di più, chiarissimo in Boucher, è il fare proprio l’elemento più queeniano in assoluto, il messaggio del morente, “The Dying Message”, un indizio con cui la vittima indica il suo assassino, che è qui dato dalla metà del foglio con il crittogramma dei pupazzi ballerini (e ne Il caso del fante di quadri, dalla carta di un fante di quadri  nella mano della vittima ).
Una citazione è anche quella del sergente Watson che risolve il caso: come non ricordare il Sergente Beef che risolverà Case for Three Detectives (1937) di Leo Bruce, mettendo in ridicolo tre investigatori più nomati di lui: Sir Simon Plimsoll (Lord Peter Wimsey), Monsieur Amer Picon (Hercule Poirot), Monsignor Smith (Padre Brown) ?
Un’altra caratteristica che si richiama ad altri autori (e romanzi) è quella della scomparsa del cadavere, che un po’ una caratteristica che troviamo applicata in alcuni romanzi della metà degli anni’30 e degli anni ’40: The Lady in the Morgue (1936) di Jonathan Latimer, anticipato da Dead Men Leave no Fingerprints, di Elwyn Whitman Chambers (1935); The Bourning Court di John Dickson Carr (1937); anche Case Without a Corpse, di Leo Bruce (1937) potrebbe essere inserito in questo novero; No Coffin for the Corpse, di Clayton Rawson (1942); The Corpse Steps Out (1940) di Craig Rice; The Vanishing Corpse di Anthony Gilbert (1941), etc..
Altra caratteristica ancora del romanzo, è il pericolo nazista e l’uso di cifrari, presente in romanzi degli anni ’40 come in  N or M, di Agatha Christie (1941) e Panic (1944) di Helen McCloy.
Insomma più che un romanzo, è una summa sul romanzo giallo, scritta più che dal Boucher scrittore, dal Boucher critico. E la trovata finale del vero significato di AND AMY GRAY , veramente notevole, non salva il resto. Che è troppo in quantità, tanto da stufare. Insomma, come dice il proverbio, “il troppo stroppia”!
Ciò che è  secondo me il limite di questo romanzo.

PIETRO DE PALMA

lunedì 28 agosto 2017

UN RITRATTO DI ANTHONY BOUCHER



Data l’esiguità di fonti in italiano a riguardo di Boucher, la presente introduzione è stata approntata ricavando notizie anche da un editoriale scritto anni fa da Giuseppe Lippi (le parti in corsivo, citate integralmente, sono di Lippi), e dal Dizionario delle Letterature Poliziesche di Claude Maspléde .

Anthony Boucher (pseudonimo di William Anthony White) nacque il 21 agosto 1911 a Oakland, California. Perse suo padre quando non aveva compiuto ancora un anno, e pertanto crebbe con la madre, anche lei medico, Mary Parker, e con il nonno materno, William Owen Parker. Assumendo il cognome materno comemiddle name”, secondo una pratica diffusa negli Stati Uniti, il rampollo si affacciò al mondo come William Anthony Parker White, che resta il suo nome ufficiale. Tuttavia lo pseudonimo Boucher derivò anch’esso dal milieu materno: infatti la seconda moglie del nonno si chiamava Annie Boucher Hine. Gli amici lo chiamavano Tony (per es. Dannay e Mannay: Ellery Queen).
Fin da ragazzo soffrì di asma e pertanto frequentò scuole non con regolarità. Nonostante questo ottenne il diploma di scuola superiore alla Pasadena High nel 1928, mentre nel 1932 ricevette il Bachelor of Arts (laurea breve) dall’University of Southern California a Berkeley, il Phi Beta Kappa, cioè il diritto a far parte del circolo riservato agli studenti che si sono diplomati con il massimo dei voti, e un incarico di fellow presso la stessa università. Mentre studiava per ricevere il Master of Arts incontrò Phyllis Mary Price (1915-2000), la donna della sua vita, che avrebbe sposato nel 1938. Per supplire alla mancanza di tempo, imparò a leggere più in fretta del normale, e tale sua peculiarità gli servì per la sua attività di critico, riuscendo a leggere sin da fanciullo un libro in tre ore e riuscendo pure e a dibatterne. Lo interessarono sempre soprattutto romanzi polizieschi e fantascientifici, opere liriche e teatrali. Da adulto utilizzò lo pseudonimo per scrivere narrativa gialla e fantascienza, i  suoi nome e cognome autentici, per la produzione seria.
Cominciò a scrivere recensioni per il San Francisco Chronicle e per il Los Angeles Daily News , poi scrisse racconti e romanzi. Il suo primo racconto in assoluto, fu “Ye Goode Olde Ghoste Storie”,  pubblicato nel 1927, mentre il suo primo romanzo poliziesco fu  I sette del Calvario (The Case of the Seven of Calvary, noto in Italia anche come Sette volte sette), pubblicato nel 1937. L’anno dopo Boucher si sposò e dal matrimonio nacquero due figli maschi.

Siccome la sua malattita cronica, l’asma, non gli consentiva un impiego stabile, dati i suoi periodi anche di degenza, Boucher anche dopo il matrimonio continuò a fare lo scrittore, critico e consulente editoriale. Dal 1945 al 1947 scrisse soggetti radiofonici, prima di Sherlock Homes, poi di Ellery Queen, e contemporaneamente cominciò a curare una serie di collaborazioni prima il “New York Herald Tribune” e poi per il “New York Times”, per cui dal 1949 al 1968 pubblicò ben 852 puntate della celebre rassegna sulla “New York Review of Books” e questa attività, unita alle recensioni che avrebbe scritto a più riprese per l’”Ellery Queen Mystery Magazine”, “Manhunt” e altri periodici, avrebbe finito col procurargli più di un premio Edgar nel settore della critica, l’Oscar del giallo.
Nel 1945 fu tra i fondatori del MWA , Mystery Writers of America.
Dal 1947 in poi ricominciarono le difficoltà finanziarie per la fine dell’epoca d’oro degli sceneggiati radiofonici. Tuttavia dal 1951 Anthony Boucher fu eletto presidente degli MWA. Dal 1949 cominciò a tenere conversazioni radiofoniche su opere liriche.
Uomo colto e versatile, ricco di acume e sensibilità, fece della critica e dell’attività editoriale un’arte vera e propria, guadagnandosi la stima dei colleghi scrittori. Non fu mai commerciale, né come autore né come curatore di collane; caso raro se non unico nell’editoria americana, fece l’editor come si fa il romanziere e il giornalista come si fa il critico letterario, sempre dalla parte degli autori, dei lettori e del buon gusto. Di mente aperta e spirito rinascimentale, non vedeva alcuna differenza tra arti “alte” e popolari: purché  l’ingegno e lo standard qualitativo fossero elevati, avevano ai suoi occhi pari dignità.
Gli ultimi anni della sua vita dovette alternare la sua memorabile attività di critica letteraria e musicale a molte degenze ospedaliere. Morì ad Oakland, nel 1968 morì per un cancro al polmone.
Fu il primo traduttore in inglese di Jorge Luis Borges.
Nel 1970  la convention mondiale del giallo, creata in suo onore, fu chiamata da lui  Bouchercon (Anthony Boucher Memorial World Mystery Convention)
Dei sette romanzi che pubblicò, cinque furono firmati come Anthony Boucher ( e in quattro di questi agì il detective Fergus O’ Brien): I sette del Calvario (The Case of the Seven of Calvary, noto in Italia anche come Sette volte sette), Il fante di quadri (The Case of the Crumpled Knave, 1939), Gli irregolari di Baker Street (The Case of the Baker Street Irregulars, 1940), La chiave del delitto (The Case of the Solid Key, 1941), L’enigma del gatto persiano (The Case of the Seven Sneezes, 1942); altre due come H.H.Holmes (Nine Times Nine, 1940; Rocket to the Morgue, 1942).
In parecchi racconti fece agire il personaggio Nick Noble, un ex poliziotto alcoolizzato che aiuta un poliziotto a risolvere casi inestricabili: come in Crime Must Have a Stop. Oppure Suor Ursula, che appare in The Stripper, o addirittura Arsené Lupin, in un pastiche intitolato Arsené Lupin vs Colonel Linnaus. Specialista di Sherlock Holmes, in suo onore scrisse pastiches, soggetti radiofonici, articoli e il romanzo The Case of the Baker Street Irregulars (1940), dove l’indagine è condotta da alcuni fan di Holmes; scrisse anche due racconti con S.H. con commistione fantastica, apparsi in The Science Fictional Sherlock Holmes (1960)
 Bibliografia Gialla
7 Romanzi Pubblicati
I sette del Calvario (The Case of the Seven of Calvary, noto in Italia anche come Sette volte sette), Il fante di quadri (The Case of the Crumpled Knave, 1939), Gli irregolari di Baker Street (The Case of the Baker Street Irregulars, 1940), Nove volte nove (Nine Times Nine, 1940), La chiave del delitto (The Case of the Solid Key, 1941), L’enigma del gatto persiano (The Case of the Seven Sneezes, 1942), Sorella Ursula indaga (Rocket to the Morgue, 1942)
1 Romanzo Inedito (anche in USA)
The Case of the Toad-in-the-Hole
Racconti pubblicati in USA
Exeunt Murders (antologia postuma), 1983
1 Romanzo di Horror, pubblicato in USA
The Marble Forest, 1951 – con lo pseudonimo di Theo Durrant[1] di cui Boucher scrisse un capitolo –  da cui fu tratto il film Macabre (1958). Boucher si occupò anche di riunire, rieditare e pubblicare i dodici capitoli. Theo Durrant fu in origine un assassino giustiziato in Usa nel 1898.
                                                                                                Fine 1^ parte
P. D. P.



[1] Sotto questo pesudonimo agirono altri 11 autori che scrissero gli altri11 capitoli del romanzo: Terry Adler, Eunice Mays Boyd, Florence Ostern Faulkner, Allen Hymson, Cary Lucas, Dana Lyon, Lenore Glen Offord, Virginia Rath, Richard Shattuck, Darwin L. Teilhet and William Worley (da  http://www.tcm.com/tcmdb/title/26950/Macabre/articles.html     e http://www.tcm.com/tcmdb/title/26950/Macabre/notes.html )

sabato 26 agosto 2017

John Dickson Carr : Una croce era il segnale (Below Suspicion, 1949) – trad. Maria Antonietta Francavilla – I Classici del Giallo Mondadori -1^ edizione, 1988, 2^ edizione 2016

Pare che sia quasi un luogo comune ricordare con nostalgia il passato ed esclamare: “Quelli sì che erano bei tempi!”. Però un fondo di verità c’è sempre: sarà che è legato ai nostri ricordi di gioventù e quando uno ha passato la cinquantina ricorda sempre con piacere i tempi di quando aveva vent’anni, però è anche vero che una volta tutto era diverso. Prendiamo i Gialli Mondadori per esempio: Forte, Altieri e compagnia bella qui non c’entrano nulla, ma è anche vero che nel 1969 (io avevo sei anni) per festeggiare un Classico Oro che presentava un romanzo di Carr ritenuto un caposaldo della sua produzione, Il Mostro del Plenilunio (It Walks by Night), venne pubblicata un’intervista rilasciata a Gian Franco Orsi dallo stesso Carr, in cui, tra altre facezie, l’autore esprimeva le proprie preferenze tra i romanzi da lui pubblicati. Erano 4, lo ricordo molto bene: The Emperor’s Snuffbox, The Crooked Hinge, Below Suspicion e He Who Whispers.

Francamente non so sulla base di cosa lui avesse fatto codesta scelta, ma è anche vero che Carr non è che fosse molto sicuro di cosa valesse più o meno della sua produzione: io ho il sospetto che se lui avesse voluto salvare dei libri, avrebbe cercato di salvarli quasi tutti. Non è un caso che nel 1963, come ricordava Boncompagni sul Blog del Giallo parecchi anni fa, Carr in una letta a Broberg, uno scrittore e critico svedese, ricordando quali per lui fossero i romanzi più cari, ne citava altri quattro: Till Death Do Us Part,  He Who Whispers, Fear, Burn!, Curse of the Bronze Lamp. A ragione possiamo affermare, quindi, che almeno He Who Whispers, deve aver rivestito tra le sue opere, una particolare importanza. Ma siccome mancava da molti anni, recentemente è apparso in edicola uno dei romanzi citati nell’intervista a Orsi: Below Suspicion (“Una croce era il segnale”).

Alcune volte, quando sono stato chiamato ad esprimermi, ho detto la mia su questo romanzo: a me non è mai parso un capolavoro. Rileggendolo, devo dire in tutta franchezza che, pur avendo riguadagnato qualche punto, il giudizio di fondo non è mutato.

Ellis Joyce è stata accusata della morte della Sig.ra Taylor di cui lei è stata dama di compagnia. La Sig. ra Tayor assumeva medicine di qualsiasi genere e usava molto i Sali di Nemo e i Sali Epsom (solfato di magnesio): senza i Sali Nemo non riusciva a stare. Era accaduto che una notte che la ragazza fosse andata a letto e non si fosse svegliata, che la vecchia fosse morta avvelenata:  la vecchia aveva assunto antimonio puro al posto di solfato di magnesio in un bicchiere d’acqua. L’antimonio era contenuto in una vecchia scatola di Sali di Nemo nella stalla: come ci fosse finito nella stanza della vecchia nessuno lo sa; l’unica cosa certa è che sulla scatola sono state trovate solo le impronte digitali della vecchia e di Ellis.

Ellis proclama la sua innocenza: dice di non aver ucciso la vecchia. E per quale motivo poi? Per ereditare 500 sterline? Fatto sta che la condanna pare certa e così Charles Denham, procuratore legale su cui gli occhi e le forme sinuose della ragazza hanno fatto colpo, chiede all’amico Patrick Butler, avvocato penalista di grido e principe del foro, di occuparsene e salvare la ragazza dall’impiccagione. Butler con un capolavoro di difesa, insinuando il dubbio nel personale di servizio, in particolare in Emma (la cuoca) e in Griffith (il cocchiere), per di più marito e moglie, che qualcuno quella notte fosse entrato dal di fuori e avesse ucciso la vecchia, basandosi sulla porta del retro che sbatteva nella notte e sulla chiave del portone che invece di essere solo girata per aprire la porta, pare fosse stata raccattata dalla ragazza da terra, come se qualcuno l’avesse lasciata cadere per terra, salva la ragazza.

Tutto finito? No, perché qualche tempo dopo, qualcuno uccide nel medesimo modo, versando dell’antimonio puro in una bottiglia d’acqua posta sul comodino assieme ad un bicchiere, Dick Renshaw: guarda caso l’uomo, che è agente di cambio ma ha ben tre conti corrente e una doppia vita di cui nessuno è a conoscenza, è marito di Lucia renshaw nipote a sua volta di Mildred Taylor, la vecchia rimasta avvelenata con l’antimonio. E’ un po’ troppo! Due avvelenamenti con antimonio! Lucia è accusata di aver ucciso il marito, ma lei si proclama innocente: Denham propone a Butler di adoprarsi per la difesa della donna. Questa volta Butler accetta la difesa non per il prestigio personale ma per amore: si è innamorato della bellissima Lucia e pare che la cosa, man mano che i due si vedono, nella prigione in cui lei è detenuta in attesa del processo, sia condivisa da lei. Il fatto è che Butler questa volta è fermamente convinto dell’innocenza della donna, mentre nel caso della Joyce era invece convinto della sua colpevolezza e come fosse invece “una bugiarda nata”: fatto sta che Butler ancora una volta dà il meglio di sé e riesce a farla assolvere.

Tuttavia a completare il quadro è anche Gideon Fell chiamato da Denham, in virtù dei suoi successi precedenti: egli è preoccupato in quanto inquadra queste due morti in una serie di almeno 9 morti per avvelenamento, che hanno tutte caratteristiche comuni: quello che sarebbe il colpevole più accreditato in realtà ha sempre un alibi di ferro, anzi se ha comprato qualcosa che potrebbe esser stato utilizzato per uccidere, si sta sicuri che la vittima non morirà per effetto di quel veleno ma di altro con cui il sospetto non può esser messo in relazione in alcun modo: Fell in altre parole sospetta l’esistenza di una società segreta, volta a procurarsi i veleni per chi volesse sopprimere una persona per un qualsiasi motivo.

Mettere in relazione questi sospetti con certe cose che sente lui da parte di personale in servizio nelle due case in sui sono avvenuti gli avvelenamenti, è cosa da poco: Fell, capisce da certi segni fatti distrattamente nella polvere (croci rovesciate), da candelabri sporchi di cera nera poi puliti misteriosamente di notte cosicchè i residui non possano venir rilevati, e da certe cose dette e non dette dal dottor Bierce, medico della signora Taylor, che cioè nella casa della vecchia l’aria fosse malsana, che la signora Taylor e Dick Renshaw fossero dediti al culto satanico, e che Renshaw stesso, sulla base dei lasciti enormi di cui disponeva e di cui non si riesce a venire a capo, fosse addirittura il capo di questa setta. Fell sospetta che la setta si riunisse in una vecchia cappella, ereditata ora da Lucia assieme alla casa della signora Taylor e a quella in cui abitava lei, chiamata Il Priorato: Fell, Butler, Lucia e Bierce scopriranno che sotto la cappella propriamente detta, ve n’è un’altra dedita al culto di Satana.

In un turbillon di situazioni anche avventurose, di cui è protagonista Butler anche in compagnia di Lucia (spacciarsi per il fratello ipotetico di Renshaw per avere informazioni da Luke Parsons, agente investigativo di cui si era servito Lucia per sorvegliare il marito temendo una relazione extramatrimoniale dello stesso, circa dei ceffi che avevano pestato a sangue un dipendente dell’agenzia investigativa di Parsons; entrare in contatto con tali ceffi, capeggiati da un certo Denti d’Oro, un picchiatore che è a capo di una banda di cui si servono i satanisti per togliersi di mezzo gli spioni; trovare i documenti della setta in una parodia di confessionale contenuto nella cappella satanista e poi ingaggiare un incontro di pugilato proprio con Denti d’Oro, mentre la cappella dell’Anticristo brucia), Parson verrà ucciso, Denti d’Oro verrà anche lui ucciso e Butler rischierà anche lui di essere immolato come vittima sacrificale al culto satanista da parte del vero omicida, salito ai vertici della setta dopo l’omicidio di Dick Renshaw, in un finale al cardiopalmo, in cui la sua identità sarà rivelata.

Il romanzo non è male, ma non è un capolavoro e in questo concordo pienamente con Nick Fuller e come lui ritengo che uno dei motivi sia quello da lui addotto:Although Dr. Fell is present, he does very little; the hero of the mystery (as opposed to a detective-story) is the intolerable Patrick Butler, arrogant and colossally stupid, who, after functioning tolerably well in court, calls the judge an “old swine” and engages in bouts of fisticuffs in a burning Satanist chapel with a common or garden thug he believes to be “a real sportsman…the finest breed in the world”. In un romanzo in cui uno si aspetterebbe di vedere Fell districare la matassa, e torreggiare lui in tutte le situazioni, ecco che il protagonista a sorpresa diventa Butler che però non riesce mai a smarcarsi, e quindi il romanzo stesso non decolla: per di più, la mancanza di situazioni impossibili propriamente dette (l’avvelenamento da antimonio non lo è, semmai la genialità di Carr è connessa nel mettere l’omicida in relazione alla morte di Renshaw), la presenza di elementi diversificati come la marijuana, gli elementi satanisti, la banda di malfattori, l’agenzia di investigazioni private, l’azione che non è statica ma invece è dinamica, spostandosi da sale da biliardo a locali malfamati, da aule di tribunale a cappelle blasfeme, fa sì che invece del mystery che ci aspetteremmo, ci venga propinato un romanzo avventuroso se non un vero e proprio thriller, un genere assolutamente poco praticato da Carr, che però a sua volta non ha un’atmosfera vera poiché l’omicida è molto facile da individuare. L’indagine di Fell sembra quasi campata in aria: dare la colpa a **** della morte del nipote acquisito della sig.ra Taylor, mi sembra velleitario, e non così aderente ad un ragionamento perfettamente logico come in altre sue prove, perchè si basa non su prove inoppugnabili ma su indizi. E nel momento in cui Fell occupa l’attenzione di tutti (Carr utilizza la descrizione del personaggio, gigantesco non solo per occupare lo spazio in cui i personaggi si muovono, ma anche l’attenzione dei presenti e del lettore), ecco che Carr sposta la macchina da presa su Butler, perché dovrebbe essere lui, nelle sue intenzioni, il vero protagonista: ma in questo suo voler imporre un nuovo personaggio nella sua storia narrativa, non unico visto che un altro romanzo è basato sulle gesta di Butler, Richard Butler for the Defense del 1956, quasi a immaginare che volesse creare un’altra serie basata sull’avvocato penalista, Carr non se la sente di mettere in ombra Fell , il suo personaggio più famoso, e a lui affida la parte di rivelatore dell’arcano. Così in sostanza, il romanzo rimane un tentativo a metà, e non riesce veramente mai a smarcarsi, perché non ha un vero e proprio protagonista ma due a metà; l’unica originalità è il finale, che, in forma epistolare, ha una sua intrinseca forza (son d’accordo con Mauro).

Se tuttavia di protagonisti “buoni” ve ne sono due a metà, quello che si contrappone e rappresenta l’avversario malvagio ha un suo spessore non indifferente,  anzi ambiguo nella sua doppia identità e nella sua volontà di uccidere che fino all’ultimo non si capisce se sia finalizzata al solo ottenimento di vantaggi connessi alla sua leadership dei satanisti oppure se sia la risultanza del delirio di una mente malata. E tanto più il capo dei satanisti che ha ucciso Luke Parsons, Denti d’Oro e Dick Renshaw, ha forza, è perché attraverso il suo fascino personale, che modifica in funzione di chi gli sta davanti, riesce a restare nell’ombra, e farsi degli alleati (Kitty Owen, la cameriera di casa Renshaw, satanista anche lei e a lei devota).

Il romanzo a mio modo di vedere ha parecchi punti di contatto con l’Agatha Christie di Poirot a Styles Court e con l’Ellery Queen di Siamese Twin Mystery, e ne ha anche per certi versi con Anthony Berkeley, col Berkeley che utilizzava fatti di cronaca nera veri come base per le proprie storie oppure che nelle sue citava. Infatti, non tutti sanno che Carr, nella realizzazione di questo romanzo, si basò su un famoso avvelenamento avvenuto a metà ottocento: quello di Charles Bravo, avvocato londinese, morto dopo tre giorni per avvelenamento da antimonio contenuto in un barattolo nella stalla, tutti elementi che ritroviamo nel romanzo di Carr, ovviamente mutati alcuni elementi, assieme anche alla località dove l’avvelenamento avvenne, The Priory (Il Priorato); e guarda caso The Priory esiste anche nel romanzo di Carr. Del resto questo non fu l’unico caso in cui Carr si servì, come Berkeley, di un vero caso di cronaca nera come base di una sua opera: come non ricordare il suo studio a metà tra il mystery e l’indagine storica in cui cercò di individuare il colpevole in The Murder of Sir Edmund Godfrey ? E del resto pare che anche Agatha Christie, nel suo romanzo Ordeal by Innocence (Le due verità), fosse stata ispirata dal “Caso di Charles Bravo”.

Pietro De Palma

giovedì 24 agosto 2017

Anthony Berkeley : Il caso dei cioccolatini avvelenati (The Poisoned Chocolates Case, 1929) – Traduz. Francesca Santini – I Classici del Giallo Mondadori, N. 414 del 7 dicembre 1982 – Prima Edizione, Pagg. 166


Anthony Berkeley Cox è uno dei grandi specialisti del romanzo poliziesco di quella che comunemente vien definita la “Golden Age”, L’Età dell’Oro. Cominciò a scrivere romanzi alla metà degli anni ’20, e il primo caso con Roger Sherringham, il suo personaggio più famoso, fu The Layton Court Mystery ( 1925), un inizio col botto, visto che decise di cominciare con un classico delitto della Camera Chiusa. A questo seguirono molti altri romanzi, alcuni di eccellente fattura, per es. il successivo, The Wychford Poisoning Case (1926), che non ricevette critiche entusiastiche e che solo alla lunga ha dimostrato il suo valore; e parecchi altri, tra cui Trial and Error (1937) in cui l’assassino cerca di persuadere le autorità che ad uccidere è stato lui e non un innocente.
Utilizzò sia lo pseudonimo con cui è più conosciuto, cioè Anthony Berkeley, sia quello di Francis Iles con cui firmò 3 romanzi (Malice Aforethought ,1931; Before the Fact , 1932; As For The Woman, 1939) in cui trattava molti temi morali schiettamente: per es. la materia sessuale, senza quel falso moralismo tipico di quegli anni, tanto che, J.D. Beresford in una recensione per “The Manchester Guardian”di As For The Woman (1939) senza mezzi termini bollò Berkeley di essere “frank to the point of indecency”. Tuttavia, Anthony Berkeley deve la sua notorietà durante gli anni della Golden Age, e anche dopo, fino ai giorni d’oggi, a The Poisoned Chocolates Case(1929), Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati.
Un giorno qualcuno invia una scatola di cioccolatini della ditta Mason, a Sir Eustace Pennefather, membro del cosiddetto Club del Crimine; a lui però i cioccolatini non piacciono e così regala la scatola al suo amico, il criminologo Graham Bendix: questi ne mangia uno e finisce all’ospedale in gravi condizioni, mentre la moglie Joan, golosa, ne mangia parecchi e..muore.
Responsabile della morte è un veleno, il nitrobenzolo, talora utilizzato nella produzione di cioccolatini di qualità scadente: è stato un incidente o un omicidio? A propendere decisamente per la seconda ipotesi è il rinvenimento in ciascuno dei cioccolatini rimasti, di un minuscolo forellino, segno che qualcuno/a vi ha iniettato il veleno.
Incaricato delle indagini è l’Ispettore Capo Moresby che, pur credendo all’ipotesi del pazzo omicida, non può non rallegrarsi dell’iniziativa del Club del Crimine, che ha deciso di cercare di individuare l’omicida sulla base delle qualità individuali dei suoi membri, tutti in un modo o nell’altro capaci di togliere la polizia da una situazione difficile dinanzi all’opinione pubblica
Toccherà quindi al Club del Crimine e ai suoi aderenti, scoprire l’identità dell’assassino, in un gioco di società che assume i connotati dell’indagine poliziesca. Innanzitutto, bisognerà capire se il bersaglio dell’azione era proprio Joan Bendix, o suo marito, o come sembra Pennefather, o altri; e una volta inquadrato il bersaglio, bisognerà anche individuare a chi effettivamente faceva comodo che morisse, la risposta cioè del “Cui Prodest?” latino. Ciascuno dei membri potrà condurre le indagini secondo i propri metodi, induttivi o deduttivi, per poi presentare al termine, entro la giornata loro affidata, i risultati della propria indagine. L’ordine secondo il quale i membri del Club del Crimine, esporranno le loro tesi, è il seguente: Sir Charles Wildman, avvocato; Mabel Fielder-Flemming, commediografa; Morton Harrogate Bradley, scrittore di gialli; Roger Sheringham, presidente del piccolo Club del Crimine; Alicia Dammers, scrittrice di romanzi;  e Ambrose Chitterwick (quest’ultimo compare anche in alcuni romanzi in cui protagonista non è Sherringham), uomo insignificante e modesto. 
Ne risulteranno, straordinariamente per il tempo in cui il romanzo fu scritto, sei differenti deduzioni, soluzioni sempre differenti dello stesso problema.
Sherringham, che è il quarto a parlare, elaborerà una teoria che seguendo ed interpretando secondo logica gli indizi, dovrebbe portare come conseguenza ad una certa verità: cioè che omicida è il marito di Joan, Graham Bendix che ha deciso di togliere di mezzo la moglie; solo che Berkeley, inaspettatamente ha affidato non a Sherringham, pomposo Presidente del Club del Crimine, ma all’insignificante Ambrose Chitterwick, sconosciuto tra i più famosi suoi compagni, la potestà di riuscire ad individuare l’omicida – rivelando come riconosceranno i presenti, che tra loro c’era “un criminologo praticante” - rifiutando i dati errati e acquisendo quelli giusti di ciascuna ipotesi, dopo che ha affidato ad Alicia Dammers il compito di disfare il castello di ipotesi proprio di Sherringham; e a dare una ragionevole risposta ai quesiti proposti, indicando il sicuro omicida.
La popolarità di questo romanzo deriva dalla straordinarietà della situazione paventata: un omicidio, delle prove, degli indizi, ma nessuna possibilità di indicare ragionevolmente e con assoluta certezza un determinato colpevole. Ecco perché la polizia sembra brancolare nel buio; ecco perché si affida a dei dilettanti, seppure di grande fama.
Fatto sta che Berkeley, diversamente da quanto si possa comunemente pensare, non crea un romanzo, ma un anti-romanzo poliziesco: a lui non tanto interessa individuare con un ragionamento che applichi abduttivamente la logica agli indizi, l’assassino, ossia risolvere un problema, quanto dimostrare che sulla base di una medesima fonte indiziaria, come le sei diverse deduzioni che vengono date del medesimo problema (l’idea del Club del Crimine può esser stata alla base del Detection Club di cui lo stesso Berkeley faceva parte, e di cui fu il propugnatore), infinite possono essere le risoluzioni; in questo modo, è come se sancisca la fine del principio secondo cui la giustizia alla fine trionfa sempre: la giustizia di chi?
Partendo da questo presupposto, ridicolizza il processo deduttivo alla base del romanzo poliziesco.
Nonostante ciò, è proprio con un ragionamento deduttivo che il più insignificante dei presenti riesce a dare uno smacco agli altri: quasi un’estrinsecazione della massima evangelica: “I primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi”.
Berkeley si dimostra erede di Bentley, nel fornire non una soluzione ma svariate dello stesso problema: Trent’s Last Case (1913), è il punto di partenza da cui partirà non solo Berkeley ma anche tanti altri.
Berkeley a sua volta è punto di partenza: Ellery molte volte sbaglierà nei suoi ragionamenti, giungendo solo alla fine a ricostruire il puzzle; allo stesso modo Roger Sherringham non sarà un detective infallibile, come per esempio Poirot. Da Bentley origina questo modo di trattare il proprio eroe: viene creato un anti-eroe, una cosiddetta “antithesis of Sherlock Holmes” che viene indicata in una sorta di manifesto all’inizio di The Layton Court Mystery. Ma, l’antitesi di Sherlock Holmes, non sta solo nella fallibilità materiale di Roger, quanto anche nelle sue doti umane che non sono elette come i grandi detectives del tempo: egli talvolta è rude, offensivo, schietto oltre ogni dire, anche oltre la normale decenza. Ma proprio questa sua limitazione, lo fa essere così vicino all’uomo comune del tempo.
Forse è anche per questo che i romanzi di Berkeley incontravano il favore dei lettori?
In verità parecchi dei romanzi di Berkeley si vendono tuttora, a testimoniare una fama non  immeritata, come dimostra la pubblicazione recente di L’Isola della Paura (Panic Party) da parte della Mondadori; o le pubblicazioni da parte di Polillo dello stesso “Il Caso dei cioccolatini avvelenati”, di “L’Omicidio è un affare serio” (Malice Aforethought), e recentemente di “Caffè al veleno a Piccadilly” (The Piccadilly Murder). Per non parlare dei soggetti sfruttati dal cinema, a cominciare dall’Hitchcockiano Suspicion (“Il Sospetto”) con Cary Grant e Joan Fontaine, tratto da Before The Fact.

Pietro De Palma

martedì 22 agosto 2017

Ngaio Marsh – I Guanti dell’assassino (Hand in Glove, 1962) – trad. Mauro Boncompagni – G.M. 3138 del Dicembre 2015

Che a me piacciano i romanzi di Ngaio Marsh è cosa risaputa. Prima ancora che piacessero a me e che io ne parlassi, ne avevano parlato altri, come Luca Conti, rimarcando il dato principe della prosa della Marsh, cioè la raffinatezza dello stile. A parere mio c’è un’altra caratteristica peculiare delle opere della Marsh, che rivela la sua maestria nel trattare la materia: la grande varietà dei personaggi. Se si osserva e si mette a raffronto la scuola poliziesca francese e quella anglosassone, in generale già si noterà come i francesi degli anni ’30 creassero i loro romanzi non sulla base di molti personaggi, perchè il loro scopo era principalmente quello di sondare un mistero, risolto il quale, veniva inquadrato immediatamente il responsabile; il giallo anglosassone pur con i suoi ovvi distinguo, è molto più complesso, e sofisticato, in quanto non pone al centro del plot un mistero partciolarmente intricato (un omicidio impossibile o una camera chiusa), che può anche esserci, ma che non è il soggetto primo quanto invece il prodotto delle ramificazioni di contatti tra i vari personaggi. Carr forse sfugge a questa casistica, ma comunque, in lui, la caratterizzazione dei personaggi è sempre mirabile. Ngaio Marsh, tra i vari romanzieri anglosassoni, è quella che più di altri è riuscita secondo me, nella difficilissima arte di riuscire a gestire una selva di personaggi diversi, dando a ciascuno di essi una sua propria caratterizzazione efficace. E “Hand in Glove“, del 1962,(I Guanti dell’assassino) è uno dei suoi romanzi migliori.
Tutto ruota in questo romanzo sulla figura di Period Pyke, un anziano gentiluomo di nobili origini, che fa del lignaggio la sua fissazione. Assume come dattilografa, Nicola Maitland-Mayne, nipote dell’omonimo generale, amico di Pyke, perchè lo aiuti a scrivere un libro. Pyke divide la sua casa con un amico, Harold Carter, un grande avvocato in pensione, che ha pessimi rapporti con molta gente: a causa della sua cagna, Pixie, un boxer in calore; a causa del suo rifiuto ad acconsentire al figliastro, Andrew Bantling, di ereditare prima del consentito, il lascito assegnatogli da suo padre Bobo Bantling, settimo Barone di Bantling, in punto di morte: infatti Harold Carter assieme a Period Pyke è uno dei tutori del ragazzo. Inoltre Harold è stato secondo marito della madre Desirèe Bantling, ora sposata con Bimbo Dodds, ed è anche con lei in rotta. E’ in non buoni rapporti anche con la sorella Constance, a causa dell’adozione da parte di lei, di una ragazza, Mary Ralston, detta “pupa”, che Harold giudica una poco di buona, anche a causa dell’unione con un tipo poco raccomandabile, quale Leonard Leiss. Non bastasse tutto questo, Harold Carter riesce anche a bisticciare proprio con il suo ospite, Period Pyke, a causa di una sua uscita velenosa – durante il party dato da Desirée e Bimbo che terminerà con una caccia al tesoro – con la quale vuole attaccare coloro che desiderosi a tutti i costi di nobili origini, sono capaci anche di alterare documenti pubblici pur di conquistarle.
Durante il party accade un fatto che predispone ancora peggio Harold nei confronti di Pupa e di Leiss: i due, millantando l’appoggio inesistente da parte di Harold Carter e di Period Pyke, avrebbero voluto cambiare la propria “carretta” con una macchina sportiva. Non bastasse questo, durante il party, scompare il prezioso portasigarette d’oro con brillanti che Pyke aveva avuto in dono da una nobildonna sua amica:gli unici ad averlo avuto in mano sono stati i due giovani che però negano ogni responsabilità nell’accaduto. Il party potrebbe a questo punto almeno avere un termine felice, ma invece, dopo la caccia al tesoro, la cagna di Harold, Pixie, che lui ogni notte porta a fare i bisogni, scatena un furibondo casino, con tutti i cani del vicinato, di cui fa le spese Bimbo, così come prima aveva fatto le spese Connie Carter, morsa dal suo pechinese Li, anch’egli innamorato di Pixie.
L’indomani mattina, il 1 aprile, la sorella di Harold riceve una lettera di condoglianze splendida, da parte di Pyke, famoso nel ristretto ambito nobiliare della provincia, per le sue condoglianze. Ma condoglianza per chi? Per Harold sembrerebbe, perchè si parla del fratello. Ma Harold è vivo. Anzi no. Viene trovato sepolto nel fango putrido di uno scavo che operai stanno compiendo sul terreno adiacente alla villa dove lui vive assieme a Pyke, per la costruzione di uno scarico fognario: qualcuno lo ha fatto cadere nella buca, cambiando la posa delle assi a protezione del fosso. E poi gli ha fatto rotolare addosso il collettore che gli ha sfondato il cranio e affondandogli il volto nel fango, lo ha soffocato. Come sapeva Period della sua morte prima che la scoprissero altri? Chi gli ha fatto uno scherzo d’aprile, orribile?
Non è questo l’unico quesito a cui  Roderick Alleyn, fratello di un baronetto, e sovrintendente di Scotland Yard, dovrà dare una risposta. Dovrà anche scoprire chi abbia rubato il portasigarette, e se siano stati effettivamente i due ragazzacci, visto che anche quello è stato trovato nel fango vicino alla vittima. E dovrà capire perchè Period abbia spedito, prima della scoperta del cadavere, una seconda lettera di condoglianze a Connie, esattamente identica alla prima. E quale significato abbia un’altra lettera ma di tenore assai diverso, riguardante il suo lignaggio, che Period Pyke ha spedito a Desirée Bantling. Roderick farà un salto nella canonica della città natale di Pyke per controllare il libro battesimale e controllare in effetti i suoi natali. Dovrà anche dare anche un nome a tutti coloro che hanno sostato vicino al fosso nelle immediate vicinanze temporali a quelle stabilite per la morte di Harold: in partica pare che tutti si siano dati appuntamento lì, per una ragione o per l’altra, per ricordare una guerra in atto tra Desirée e il suo secondo marito a riguardo della negata eredità del figliastro, oppure solo per baciarsi (Nicola e Andrew), o anche per ritrovare il famoso ultimo indizio che porta al tesoro, una bottiglia di spumante tenuta bagno nello sciacquone del water di casa Bantling.
E dovrà anche capire chi si sia appropriato dei pesanti guanti da guida del fidanzato di Pupa, che i due pensano abbia sottratto proprio lui assieme all’ispettore Fox e ai sergenti investigativi, perchè quei due guanti sono stati probabilmente usati per compiere l’omicidio.
Non prima di  essere accorso a casa di Period che gli voleva parlare perchè ha sentito qualcosa di allarmante al telefono: troverà il vecchio riverso sulla scrivania: qualcuno gli ha lanciato un fermacarte a forma di pesce (il suo stemma araldico) volendolo centrare alla testa. Non è morto ma ha una grave commozio cerebrale: riuscirà a parlare di un motivetto che qualcuno canticchiava al party e poi la notte dell’omicidio di Carter presso il fosso. Nella sorpresa generale, eliminando tutti coloro che per un potivo o per l’altro non potevano aver commesso il fatto, inchioderà il più insospettabile degli assassini.
Stupendo romanzo. Si contraddistingue per una prosa estremamente raffinata, che affascina. Cito uno dei tanti passaggi: “Nicola avrebbe appreso ben presto che la compilazione delle lettere era una materia di vitale importanza per il signor Pike Period. Perchè lui, in effetti, andava famoso per le sue lettere di condoglianze” (pag.22).
Quando leggi questo passaggio ti chiedi – mi son chiesto – cosa c’entrassero le lettere di condoglianze: eppure le lettere di condoglianze, le due che arrivano a Connie Carter, hanno un’importanza strategica. Assieme ai guanti. Per il contenuto delle lettere ed il contenuto dei guanti.
E’ bene dire che le due lettere arrivano per sbaglio, almeno una: l’altra era rivolta a Desirée perchè ex signora Carter, in qaunto anche lei aveva perso un fratello, Ormsbury. Nel romanzo accadono tantissime altre cose che non cito, e alcune hanno importanza nella soluzione, altre no. Per esempio c’è anche il maggiordomo, Alfred Belt, che ha motivi di rancore nei confronti della vittima, per essere stato accusato, assieme a Leiss, di essersi appropriato del famoso portasigarette d’oro. Del resto nelle tasche di uno dei sospettati verrà trovato del tabacco turco, delle sigarette contenute nel gingillo di Period.
L’inizio del romanzo è lento ma affascinante: una serie infinita di chiacchiere, che celano però motivi più che validi per sopprimere una persona. Poi c’è il party, e poi..le conseguenze del party. Poi altre cinque parti. Alleyn, il deus ex machina compare nella terza parte, ma ancora prima che egli  appaia nelle parti di funzionario di Scotland Yard, la sua presenza viene invocata da Nicola, amica della moglie di Roderick, la pittrice Troy. La settima parte è addirittura dedicata alla pestifera cagna di Harold che è essenziale per la storia in quanto troverà i guanti.
Come si vede nulla è lasciato al caso: dal caos delle tante persone coivolte apparentemente o realmente nella morte di Harold, Alleyn deve trarre delle prove certe di quello che è successo, eliminando uno ad uno gli indiziati: tra di loro persino Bimbo Dodds, ha qualcosa che non vuole si venga a sapere del suo passato.
Il colpevole non cade dal cielo: è uno dei sospettabili,che Marsh molto abilmente tralascia di inquadrare sotto i riflettori. Mette invece altre persone che molto più coerentemente avrebbero avuto motivi per uccidere. Semina indizi veri, vitali (la cenere pestata sotto dei tacchi a spillo in casa Pyke, il riferimento a tutte le persone che per un motivo o per l’altro erano andati a acsa di Pyke prima che qualcuno tentasse di ucciderlo, i guanti) assieme a falsi (il portasigarette, perchè chi l’ha rubato non è l’assassino; l’eredità di Andrew, che fa sospettare varie persone; il lignaggio vero o presunto che sia di Pyke).
In realtà tutto gira proprio intorno alle origini nobiliari di Period Pyke: egli tace un indizio importante su chi lui ha sentito fischiettare un certo motivetto la sera che Harold è stato ucciso, perchè chi lo fischiettava lo ha ricattato di rivelare cosa lui aveva fatto molti anni prima.
La particolarità di questo romanzo è di avere inoltre oltre ad un plot riconoscibilissimo (il lignaggio di Period), molti subplot che per un motivo o per l’altro vi si intersecano (Pixie, il portasigarette, il motivetto volgare, lo scavo fognario, le brutte abitudini di Leiss e Mary, l’intraprendenza con gli uomini di Desirée e l’eredità di suo figlio), ma anche uno estremamente difficile ad essere inquadrato e perciò nascosto: questo è  un romanzo sulle relazioni, sociali e amatorie. Parafrasando de Laclos, si potrebbe intitolare anche questo romanzo “Les dangereuses liasons”, Le relazioni pericolose. Come nel romanzo, le relazioni di cui qui si parla possono anche essere pericolose; e sono relazioni che in un modo o nell’altro, fanno riferimento alla famiglia vera o presunta che sia: il legame tra Leiss e Mary, quello tra Nicola e Andrew, quello tra Roderick Alleyn e Agatha Troy, la tresca tra Alfred Belt (il maggiordomo) e la signora Mitchell (la cuoca di Pyke), l’ex legame di Desirée con Carter e ora quello con Dodds, la relazione pericolosa che lei tenta di avere di Roderick, invano. Ma anche la relazione madre-figlio Desirée -Andrew, quella Connie-Pupa (adottante-adottata), la relazione di Pyke con la sua vera o falsa famiglia (e quindi la questione dell’eredità del titolo nobiliare), le relazioni fratello-sorella, Ormsbury-Desirée, Harold-Connie; le relazioni padrone-cane, anche queste importanti in un certo senso: Connie-Li, Harold-Pixie; e infine le relazioni cane-cagna, perchè Pixie, in calore, attrae sessualmente tutti i cani del vicinato, tra cui il pechinese Li.
E c’è anche un motivo che sottende a tutto: è come se Marsh volesse dire di non fermarsi alle apparenze: tutti, ma proprio tutti, i sospettati hanno uno scheletro nell’armadio. E mi piace sottolineare come Ngaio Marsh, cittadina del Commonwealth, neozelandese, legata più o meno all’ambiente britannico, voglia sottolineare che persino nelel casate nobili, non tutto e non tutti, sono veramente nobili. Lo fa a proposito delle pretese origini nobiliari di Pyke, che poi risulterà essere veramente un nobile anche se ha fatto qualcosa di cui vergoganrsi, e lo fa a proposito di quelle acquisite da Desirée. Che è raffinata, o almeno vorrebbe esserlo, ma poi si manifesta una cougar, mentre il marito sta dormendo, quando vorrebbe fare qualcosa di sconveniente con Roderick che è stato invitato da lei a pranzare a casa sua; che beve come una spugna; e che addirittura, assieme al marito, un altro arricchito, ma senza alcuna raffinatezza interiore, quando devono elaborare le tracce per la caccia al tesoro, l’ultima a cui pensano è una di nessuna raffinatezza: “Se non sai che fare adesso, magari pensaci nel cesso“, che un vero nobile non avrebbe mai composto, davanti al quale Pyke sarebbe rabbrividito.
Come in tutti i mysery c’è un finale in cui tutto va a posto.
L’indizio del guanto, che diventa prova effettiva, è straordinario, perchè è macchiato da un certa sostanza di cui si parla ad un certo punto, che qualcuno ha usato per uno scopo ben preciso, solo che quando se n’è parlato, nessuno poteva pensare che sulla base della presenza di esso, l’assassino venisse smascherato. In questo Marsh è veramente straordinaria: nasconde tra tante schiocchezzuole, una che diventerà basilare.
Quando lo lessi, rimasi stupito: avevo scoperto già delle cose che poi Roderick spiegherà, ma questo no, non l’avevo proprio inquadrato.
E l’assassino uccide per un motivo che a suo modo è importantissimo, ma non è per gelosia, nè per soldi: vuole proteggere  qualcuno; e tenta di uccidere, per un motivo connesso. E’ vile, ed è anche stupido. E una volta scoperto, verrà inquadrato anche come pazzo, in fondo. Perchè se la cosa che non voleva si scoprissenon fosse mai accaduta, Harold non l’avrebbe mai ucciso. O forse sì, un giorno?
Grande, Ngaio!
Pietro De Palma

mercoledì 16 agosto 2017

Quentin Patrick : Delitto al club delle donne (Murder at the Women 's City Club, 1932) - trad. Maria Antonietta Francavilla - Il Giallo Mondadori N.1799 del 1983; I Classici del Giallo Mondadori N.933 del 2002



Di Patrick Quentin ho parlato molto tempo fa. L’occasione fu un suo romanzo breve. Oggi invece parlerò di un romanzo, uno dei primi. Riprendendo quello che dissi al tempo, Patrick Quentin è stato un caso letterario, più che uno pseudonimo. Infatti sotto di esso si celava un autore principale, che è rimasto sempre eguale fino agli anni ’50, ed una serie di altri autori meno fissi, che si alternavano, fino ad arrivare ad un altro che poi col primo costituì un’accoppiata.
Come abbiamo detto altrove, Patrick Quentin o Quentin Patrick, non fu solo pseudonimo, ma anche ditta, formata di volta in volta dall’unione di 4 coppie di scrittori, che si firmarono diversamente: quella più prolifica fu formata da Richard Wilson Webb (1901 – 1966) e Hugh Callingham Wheeler  (1912 – 1987), che firmarono assieme alcuni romanzi con la sigla Quentin Patrick, quasi tutti con Patrick Quentin, e tutti con Jonathan Stagge: in pratica, l’inizio di questa fortunatissima collaborazione data il 1936, quando Webb, che, firmandosi Quentin Patrick, aveva scritto alcuni romanzi sia  con Martha Mott Kelley (1906–2005) che con  Mary Louise White Aswell (1902 – 1984), ritrovò Wheeler, un suo vecchio amico. Va detto che sia Sia Webb che Wheeler, erano britannici per nascita, ma poi, in seguito, emigrando ambedue negli Stati Uniti, ne diventarono cittadini.
I primissimi romanzi furono scritti con lo pseudonimo Quentin Patrick. Gli autori che firmarono i primi due (Cottage Sinister del 1931 e Murder at the Women 's City Club del 1932) furono Richard Wilson Webb e Martha Mott Kelley. Dei due romanzi del 1933, uno fu firmato da Richard Wilson Webb  e Mary Louise White Aswell (S.S. Murder), mentre l’altro, Murder at Cambridge, dal solo Webb. Il sodalizio terminò con The Grindle Nightmare del 1935, in quanto a partire da Death goes to School del 1936 cominciò il grande sodalizio con Hugh Callingham Wheeler  che si perpetuò con tutti i romanzi successivi, tanto da essere avvicinati istantaneamente a loro gli pseudonimi Patrick Quentin e Jonathan Stagge, le cui serie cominciarono entrambe nel 1936: la prima con A Puzzle for Fools (protagonista Peter Duluth), la seconda con Murder Gone to Earth (protagonista dr. Hugh Westlake). Tutto questo fino al 1952, quando con Black Widow, il sodalizio letterario che durava da sedici anni finì per il ritiro del fondatore Richard Wilson Webb. A partire dal 1954 (My Son, the Murderer ) fino al 1965, anno del termine della carriera letteraria (Family Skeletons), tutti i romanzi furono scritti dal solo Wheeler. 
Oggi parleremo di uno dei romanzi scritti con pseudonimo Quentin Patrick.
Innanzitutto diciamo che la serie consta di 11 titoli:

1931, Tè e veleno (Cottage Sinister), Giallo Mondadori 1812 del 1983
1932, Delitto al club delle donne (Murder at the Women 's City Club), G.M. 1799 del 1983
1933, Dramma universitario (Murder at Cambridge), Libri Gialli 176 del 1937; Prima che il temporale finisca, nuova traduzione, in I Classici del Giallo 778 del 1996
1933, In crociera col delitto  (S.S. Murder), G.M. 1829 del 1984
1935, Presagio di morte  (The Grindle Nightmare), G.M. 1472 del 1977
1936, La morte fa l’appello (Death Goes to School), G.M. 263 del 1954
1937, Il segreto della grande Clara (Death for Dear Clara), Libri Gialli 223 del 1939; I Classici del Giallo 1066 del 2005
1937, The File on Fenton and Farr
1938, Il caso Cragge (The File on Claudia Cragge), Dossiers Gialli, 1986 
1939, Troppe lettere per Grace (Death and the Maiden), G.M. 156 del 1952
1941, La casa dell’uragano (Return to the Scene), G.M. 214 del 1953
1952, Soluzione estrema (Danger Next Door), I Classici del Giallo 847 del 1999.

Però dobbiamo anche sottolineare che di questi 11 titoli, The File on Claudia Cragge (Il caso Cragge), come il precedente The File on Fenton and Farr (inedito in Italia) non è un vero e proprio romanzo, quanto piuttosto un dossier con tanto di prove materiali, fotografie, testimonianze e reperti, che avrebbe dovuto  portare il lettore a formulare un’ipotesi accusatoria. Nell’edizione del 1964, fu offerto agli abbonati Mondadori, ma nel 1986 ne fu fatta una ristampa (quella che posseggo io, anche rara). Non è purtuttavia un unicum. Infatti nel 1936 Dennis Wheatley aveva inventato questo nuovo prodotto letterario presentando un romanzo nella dimensione di elenco di prove, ritagli di giornali, fotografie e quant’altro: Murder Off Miami. L’esperimento ebbe un risultato eccezionale in termini di vendite (12000 in sei mesi) e per questo Wheatley, realizzò altri tre Dossiers: Who Killed Robert Prentice? del 1937, The Malinsay Massacre del 1938 e Herewith the Clues del 1939. Il Caso Cragge di Quentin Patrick ricalca questo tipo di prodotto.
Il romanzo in questione è il secondo dei romanzi firmati come Quentin Patrick, Murder at the Women 's City Club (Delitto al club delle donne) del 1932 .
In sostanza l’azione si svolge al Club delle Donne di Desborough.
Il Club delle donne è un pensionato in cui i maschi non sono ammessi, tranne Rudy il tuttofare di colore sposato a Cornelia, la cameriera, pure di colore.
I maschi non sono graditi in quanto tutte o quasi le pensionate hanno avuto trascorsi più o meno deludenti, per colpa loro o dell’altrui sesso, col sesso maschile. Il Club è presieduto da Mabel Mulvaney, donna piuttosto abbiente. Mulvaney è ostile ad un’altra pensionante, Diana Saffron, Medico e Docente di medicina all’Università, molto conosciuta e apprezzata nell’ambiente per la sua onestà e inflessibilità, donna incorruttibile e giusta, oramai costretta però al letto per una artrite reumatoide molto avanzata, e per problemi seri di cuore.
Diana Saffron è molto legata alla Dottoressa Freda Carter, una giovane e bella ragazza che lei, con il suo aiuto, i suoi consigli, e la sua piccola rendita, è riuscita a far laureare e ora è ben vista per la sua attività nell’ospedale cittadino. Tuttavia con lei è contrita, perché, contrariamente alle sue aspettative, Freda si è unita in fidanzamento con Sebastian Thurlow, un giovane rampollo, abituato alla bella vita, ma di scarse ambizioni.
Sebastian è stato presentato a Freda da Deborah Entwistle, la terza potenza del pensionato: amica carissima di Thurow, in passato Deborah aveva partecipato a lavori teatrali e lì aveva conosciuto Sebastian. Nella sua camera, che è una sorta di territorio neutrale, le altre pensionanti si ritrovano per parlare, discutere e rappacificarsi: la Signorina Hoplinger, scrittrice di gialli, nota con lo pseudonimo di Gerald Strong; la signorina Millicent Trimmer, segretaria del Club, donna molto ricca in gioventù ma poi inopinatamente trovatasi a mal partito dopo la bancarotta paterna ed il conseguente suicidio; Amy Riddle, assistente sociale.
Le sette donne vivono in stanze ubicate ai vari piani del Club: le stanze sono prive di bagno, e quindi le pensionanti utilizzano uno comune posto sul piano; quello posto al secondo piano tuttavia è rotto, in ristrutturazione e chiuso a chiave, e quindi le pensionanti spesso utilizzano quello al terzo piano.


Il bagno chiuso a chiave ed inagibile è quello che figura marchiato da una X nello schizzo approntato successivamente dall'Ispettore di polizia Boot. Sì, perchè, in una data mattina, viene scoperto il cadavere senza vita della Dottoressa Saffron, nella sua camera satura di gas. E' la dottoressa Freda Carter, sua protetta, che con la sua protettrice aveva avuto la sera prima un alterco relativo alla sua relazione con Thurow, a scoprire il corpo esanime, a chiudere il rubinetto del gas, aprire le finestre e romperne il vetro lanciandovi qualcosa contro, così da far disperdere il gas.
Siccome la dottoressa Saffron era incapace di camminare da sola causa dell'avanzatissimo stadio di artrite, e anche se l'avesse fatto, avrebbe provocato una serie di rumori che nessuno aveva sentito la sera prima o durante la notte, ne consegue che dev'essere stato qualcun altro ad azionare il rubinetto del gas e chiudere le finestre, giacchè quando era andata la dottoressa Carter, il camino era spento e le finestre erano aperte. Trattasi quindi di assassinio. Viene chiamata quindi la polizia, e incaricato delle indagini, viene chiamata la persona meno indicata in assoluto, il misogino Ispettore Boot. Che trova subito un ambiente ostile e omertoso.
La sospettata numero uno sarebbe la Dottoressa Carter, ma guarda caso è stata proprio lei, assieme al dottor Sibley, il medico legale, a formulare l'ipotesi che sia stata assassinata: per quale ragione poi avrebbe dovuto rivelare che il camino era spento e le finestre aperte se fosse stata lei l'assassina? Sarebeb bastato dire che le finestre erano chiuse e il camino acceso: per una fatalità si sarebbe spento e quindi..l'incidente.
La Signora Mulvaney non è presente al momento della scoperta del corpo, perchè poco prima è andata via in città per questioni legate al Club; lasignorina Trimmer è assente da alcuni giorni; il signor Thurow non c'era (arriverà dopo). Quindi in sostanza le sospettate sono al momento Riddle, Hoplinger, Carter e
Entwistle.
L'ispettore comincia ad interrogarle ma non cava un ragno dal buco. Per di più tutte le pensionanti hanno l'abitudine di chiudersi a chiave dal di dentro, e quindi per forza o è stato uno strano suicidio (le stampelle sono abbandonate in un angolo della stanza con un sottile strato di polvere sopra) oppure è stato un assassinio e la Dottoressa si fidava del suo assassino. Peraltro non aveva altri buoni rapporti, tranne con la signorina Entwistle.


La sera prima della tragedia, prima che arrivasse la Dott.ssa Carter, la vittima e la signora Mulvaney avrebbero dovuto parlare di qualcosa di importante: questo perchè i rapporti tra le due donne (La saffron era la tesoriera del Club, la Mulvaney la presidentessa) erano quasi inesistenti, e pertanto un incontro a quattr'occhi nella camera di una delel due presupponeva che ci fosse qualcosa di estremamente importante di cui parlare.
La Mulvaney era andata poi a consultare un'agenzia che si occupava di rendicontare i conti del Club, e si saprà perchè era stato trovato un ammanco importante. La Signora Mulvaney  appena arrivata esprime il desiderio di parlarne, libro di esercizio alla mano, all'ispettore Boot quanto prima, ma nella notte, nonostante un poliziotto a guardia dell'entrata, si odono dei passi per le scale. 
La signorina Entwistle, che ha di tanto in tanto delle premonizioni, collega quei passi nel cuore della notte (ma potrebbero essere anche di gente che va al bagno, anche se tutti negano di esservi andate) a "qualcosa che sta per accadere", di cui lei ha paura. Lo stesso Rudy li sente, va a verificare, dice di aver visto una figura ammantata di bianco davanti alla porta della signora Mulvaney al quarto piano (lui è sceso dalla soffitta dove hanno la stanza di servizio lui e la moglie), che ne parlerà quanto prima all'ispettore. Fatto sta che la mattina dopo viene trovata morta asfissiata dal gas nella sua camera proprio la signora Mulvaney, dopo essere stata tramortita con un oggetto contundente. Un secondo assassinio. L'ispettore Boot vede sempre più rosso, tanto più che quell'ambiente di donne saccenti non gli piace: già uno dei romanzi di Gerard Strong alias Constance Hoplinger, dal titolo "Il serpente nero", ha curiose rassomiglianze col delitto della Safron e poi della Mulvaney; ma poi ha il sospetto che la signorina 
Entwistle gli nasconda qualcosa, visto che sospetta che abbia fatto in modo che l'ascensore che li stava portando sopra, si bloccasse, permettendo a qualcuno di introdursi furtivamente nella camera della Saffron.
L'ispettore interroga di niovo tutti i presenti, e nel corso della riunione, i due domestici vengono accusati dalal signorina Riddle: Cornelia di furto e Rudy di omicidio, per aver cercato di coprire il reato della moglie. Mentre Deborah si produce in una difesa appassionata della cameriera, l'ispettore vorrebbe parlare con Rudy, perchè l'ipotesi accusatoria è meglio della sua. Ma poi, deve fare dietrofront, quando nell'ascensore viene trovato pugnalato a morte, proprio Rudy.
La sera la signorina Entwistle, rivela all'ispettore la sua ipotesi: cioè che la Saffron si sia suicidata e un assassino abbia ucciso la Mulvaney nello stesso modo, tentando di far apparire le due morti collegate ad uno stesso omicida. Questo ovviamente è in relazione agli alibi. Ma l'ispettore non le crede.
La mattina successiva ripeterà la stessa teoria davanti a tutti quanti, compresi Thurow e l'ispettore, e indicherà l'assassino anche di Mulvaney e di Rudy.

Questo secondo romanzo non riportò il successo del primo, e in sostanza determinò la fine del rapporto letterario tra Richard Wilson Webb e Martha Mott Kelley. Per quale ragione?
Innanzitutto nel romanzo manca una dimensione temporale legata agli omicidi: si sa che accadono di notte, o di mattina, ma il non sapere quando gli eventi si svolgano, in che giorno della settimana, in che periodo dell'anno, anche in quale anno, crea indubbiamente un certo spaesamento. 
E poi al lettore vengono taciuti degli indizi: la chiave di cui si appropria la signorina Entwistle non si sa cosa sia, se non che sarebbe alla base delel soluzione del mistero; viene taciuto il fatto che le chiavi delle stanze avevano dei duplicati : come avrebbe fatto l'assassino ad introdursi nella stanza della Mulvaney chiusa a chiave dall'interno, se non avendo una chiave identica e operando e trafficando dall'esterno? E lo stesso modo di introdursi nella camera ha in sè un che di pericoloso: l'assassino avrebbe potuto aprire la porta dall'esterno introducendo la chiave e facendo cadere sulla spessa moquette la chiave dall'interno ma solo se la chiave, dopo aver chiuso, fosse stata lasciata non girata; se invece fosse stata girata, l'assassino avrebbe dovuto, in tempi estremamente veloci girare prima la chiave con una pinzetta, facendosi luce ( e luci non erano state viste ma sentiti solo passi) e poi spingerla, correndo dei rischi enormi.
C'è solo un indizio che viene lasciato là a girare, lanciato all'inizio del romanzo, che non ha rapporti con l'assassinio, ma con la vita privata della Saffron, che determinerà il colpo finale: quello l'avevo inquadrato a dovere, e mi aspettavo che prima o poi venissa lanciata la bomba.
C'è una falsa pista anche piuttosto evidente: dalla piantina si nota il bagno indicato da una X, e Deborah si appropria di una chiave. Perchè non pensare che l'assassino si sia nascosto dentro e poi sia uscito al momento opportuno?
Quindi in sostanza il romanzo non è affatto male: è un mystery più classico che mai, con una soluzione anche piuttosto centrata, e l'inquadramento dell'assassino funziona sulla base che agendo in maniera tale che le due morti nelle stanze venissero prodotte da una stessa mano, per una delle due aveva un alibi di ferro e come tale per entrambe; e l'attribuzione del suicidio alla prima morte è spiegata sulla base della piantina (lo shut-off cock, è la manopola di stop del gas che è vicino al letto).
Tuttavia le caratteristiche più interessanti del romanzo sono: la vena misogina dell'ispettore Boot che si trova a fronteggiare varie donne e soprattutto una che gli è profondamente antipatica non solo, ma che anche ha la soluzione che manca a lui; i continui battibecchi tra lui e le donne; il fatto che l'ispettore di polizia sia un imbranato e presuntuoso colossale, che opera assieme ad un giornalista, Dunn, che lo appoggia dall'esterno. Ma soprattutto le critiche stilistiche di Quentin Patrick a Van Dine.
Come afferma giustamente Boncompagni in un suo scritto di trentatre anni fa : ".... Chi non ricorda gli aridi resoconti, precisi sino all'ossessione e rigidamente asettici, dei romanzi di Freeman? Ma quale modo migliore, del tutto privo di sussulti, per introdurre i lunghi e snervanti esperimenti da laboratorio con i quali il dr. Thorndyke conclude i suoi casi? E gli smisurati, sublimemente irredimibili o grandiosamente gratuiti interrogatori ai sospetti che percorrono capitolo dopo capitolo, con la stessa grave lentezza, i romanzi di Rhode o di Connington? Come non vedere in questo culto della parola neutra, in questa ipertrofìa dell'osservazione distaccata, in questa pratica ossessiva dell'interrogazione inquisitoria, con tanto di bilancio provvisorio ogni sette od otto capitoli, la cifra rivelatrice di un preciso modo di concepire il giallo, quello a cui pensava anche Van Dine quando, nella terza delle sue venti regole, osservava ironicamente che lo scopo di un romanzo poliziesco è «di condurre un criminale davanti alla giustizia, non due innamorati all'altare?» Ebbene, la scommessa di Peter Duluth, già dal primo romanzo che lo vede protagonista, Manicomio (Puzzle for Fools, 1936), si impegna proprio sull'esatto contrario rispetto alla convinzione di Van Dine secondo la quale indagine e psicologia farebbero a pugni", per Quentin Patrick, l'indagine per indizi può anche servirsi di quella psicologica, per riuscire a risolvere l'arcano. E qui, è proprio il modo di affrontare la situazione della signorina Entwistle, che le consente di risolvere il problema: lei che viene a capo della situazione sulla base dell'inquadramento psicologico dell'assassino (poi esplicitato da esso stesso) e sulle circostanze per cui, solo lui, avrebbe avuto il maggior vantaggio possibile se la seconda morte fosse stata sovrepposta alla prima, è il detective; mentre l'ispettore Boot, che non va avanti perchè si basa su indizi che non riesce a trovare e pensa che gli siano stati sottratti, è l'elemento sconfitto.
Per di più Quentin, apposta, quando introduce un brano dall'ipotetico romanzo di Hoplinger, "Il serpente nero", in cui il detective effeminato è un'enciclopedia vivente, ama le camicie viola e fuma sigarette sudanesi, elabora teorie accusatorie solo nutrendosi di cozze e succo di pompelmo, tiene conferenze sulle odi saffiche e sul simbolismo di Picasso, e ha un amico procuratore, evidentemente fa il verso a Philo Vance, irridendolo.

Pietro De Palma