giovedì 21 maggio 2020

Agatha Christie: Sento i pollici che prudono (romanzo e film)

Due per un delitto.jpggialli rari 031.jpgAgatha Christie: Sento i pollici che prudono, By the Pricking of My Thumbs, 1968 – traduz. Alex R. Falzon, Oscar Gialli Mondadori N.98 (1543) del luglio 1982.

Due per un Delitto, Mon petit doigt m’a dit …, di Pascal Thomas, con Catherine Frot e André Dussollier, 2005, 103 minuti (tratto dal romanzo “Sento i pollici che prudono” di Agatha Christie).


Agatha Christie non finiva mai di stupire.
Se è diventata una vera e propria icona della Letteratura Poliziesca, guadagnandosi il posto assieme a Ellery Queen e John Dickson Carr in una ipotetica trinità del giallo, un motivo deve pur esserci! Accanto a tutte le ragioni che si possono desumere leggendo i suoi meravigliosi romanzi, c’è anche quella, non indifferente di aver saputo mutare le proprie trame in ragione del passare del tempo, senza perdere in freschezza, e cambiando semmai la forma della sua scrittura, passando cioè dal puro giallo ad enigma, al suspence, al thriller, e facendo anche delle puntate nel genere spy e avventura: insomma un po’ di tutto.
Tra i personaggi fissi, Tommy e Tuppence Beresford, sono tra i meno conosciuti, ma anche tra i più amati, tanto che, nonostante Agatha Christie li avesse inseriti solo in due romanzi (Avversario segreto, 1922; e Quinta colonna, 1941) e in una serie di racconti, nel 1968 si decise a dare loro una terza chance, buttando giù il romanzo “Sento i pollici che prudono”, By the Pricking of My Thumbs.
E’ uno dei romanzi meno conosciuti in assoluto, questo, ma Agatha amava i suoi due coniugi Tommy & Tuppence, al pari dei tanti fans che continuavano a chiederle loro notizie; e così decise di scrivere un altro romanzo ancora, Postern of Fate, “Le porte di Damasco”, che venne pubblicato nel 1973. Non è un romanzo quale un fan di Poirot o di Miss Marple sarebbe lecito che aspettasse; no, è un romanzo ibrido: un romanzo giallo nella prima parte (indagini, deduzioni) che evolve in un romanzo thriller nella seconda, con un finale in crescendo per quanto riguardo l’azione anche se la verità è stata già capita.
Qui c’è un po’ di tutto: bambini uccisi, refurtiva di gioielli, una misteriosa villa, una vecchia signora che scompare da una casa di cura, il tutto affrontato con inimitabile estro.
Da questo romanzo nel 2005 è stato tratto un bel film per la regia di Pascal Thomas, interpretato principalmente da Catherine Frot e André Dussollier, e con la partecipazione significativa di Laurent Terzieff, che commenteremo confrontandolo col romanzo originale.
Innanzitutto, il film riporta grosso modo la trama del romanzo: Belisaire e Prudence Beresford, coniugi col pallino dell’investigazione, pur anzianotti non dimenticano gli antichi ardori: lui è un alto membro dei Servizi d’Informazione, mentre lei si occupa della casa. Un bel giorno vanno a trovare la vecchia zia Ada che è ricoverata in una elegante casa di cura: rispetto al romanzo, i due in macchina, intonano un’aria che avrà la sua importanza nella trama: si tratta dell’Aria di Nadir, dal 1° Atto de “I Pescatori di Perle” di Georges Bizet: “Je crois entendre encore, Caché sous les palmiers, Sa voix tendre et sonore, Comme un chant de ramier! O nuit enchanteresse! Divin ravissement! O souvenir charmant! Folle ivresse! doux rêve! Aux clartés des étoiles, Je crois encore la voir, Entr’ouvrir ses longs voiles Aux vents tièdes du soir! O nuit enchanteresse! Divin ravissement! O souvenir charmant! Folle ivresse! doux rêve! Charmant souvenir!”.
Arrivano alla casa di cura (un castello ristrutturato) ed ecco che i due esclamano:
-Ah, che tranquillità! Che armonia! Da un profondo senso di pace – dice Tommy
-Che bella vita quieta e serena! – dice Tuppence
E intanto la cinepresa si fissa su una delle finestre semi aperte del castello, nella cui stanza qualcuno sta iniettando qualcosa in una bottiglia del latte( ma dev’essere qualcosa di non buono, perché altrimenti per quale motivo la persona indossa dei guanti?)
-Senti che qui non ti può accadere nulla di brutto – dice Tommy
-E’ come una tomba – dice Tuppence.
Il dialogo, nel romanzo non c’è. E ovviamente laddove nel film la casa di cura è un castello, nel romanzo è una dimora vittoriana. Insomma, il film è romanzato, ha delle cose che mancano nel romanzo (per es. dopo la visita dalla zia, nel film vengono a trovarli la figlia il genero e i due nipoti gemelli), e i nomi di alcuni personaggi sono cambiati: per es. la signora Lancaster (che è una tizia strana che parla con Prudence al castello e le accenna ad una bambina dietro un camino), che aveva regalato alla zia di Tommy & Tuppence (poi deceduta) un quadro con ritratta una villa ( che a Prudence risveglia un ricordo), nel film si chiama invece Rose Evangelista.
Fatto sta che Tuppence investigando, scopre che l’indicazione sull’altra casa di cura è fallace; e allora riparte dal quadro che ritrae una vecchia casa tra due filari vicino ad un canale. E prendendo il treno, da un finestrino la scorge. Allora scende e comincia ad investigare e finalmente riesce con una scusa ad entrare in quella casa, stranamente divisa in due: in una delle due parti vivono i coniugi Perry. Dopo una conversazione, mentre lei sta andando via, ecco che dalla cappa del camino cade una bambola: cosa ci farà mai in un camino?
Prende dimora in un villaggio vicino, e qui conosce il curato (un pastore nel romanzo) e la sua perpetua e comincia a fare domande: viene a sapere che il quadro era stato dipinto da un certo Boscovan, un pittore che aveva dipinto parecchio in passato. Ma capisce anche che non tutti dicono la verità, e viene a sapere che in quei paraggi tempo prima dei bambini erano stati uccisi. E soprattutto capisce che c’è un mistero intorno alle morte di una bambina: mentre cerca la sua lapide nel cimitero del paesino, qualcuno le rifila un colpo alla nuca. E Tuppence, ricoverata, perde la memoria per una commozione cerebrale.
Intanto Tommy ricostruisce la vicenda della bambina: era morta alla figlia della Signora Carrington, una signora che abitava in passato nel villino raffigurato nel quadro; la figlia era andata a Londra per fare la ballerina ma poi aveva conosciuto un tipo equivoco; era poi nata la bambina che era morta, e la signora e la figlia per evitare uno scandalo erano andate via: possibile che la figlia della signora Carrington fosse la signora Lancaster?
Fatto sta che a questo punto se non intervenisse la telefonata della figlia Deborah che comunica al padre di aver saputo dell’aggressione compiuta ai danni della madre e che Tuppence è ricoverata in un piccolo ospedale della contea, Tommy non saprebbe dove andare.
A questo punto interviene una cosa che nel romanzo non c’è e nel film invece sì e che è collegato alla famosa aria di Bizet di cui abbiamo parlato prima: nel film, Tuppence, che ha perso la memoria, la riacquista nell’attimo in cui sente canticchiata quell’Aria da un muratore che sta effettuando un aggiusto lì vicino ed è lei che fa chiamare Tommy; nel romanzo invece, dell’aria non c’è traccia e Tuppence viene aiutata a ricordare tutto dal marito che arriva lì, avvisato dalla figlia. Comunque sia, la nota dell’aria del film, mi pare abbastanza indovinata: almeno dona una vena struggente che fa da leit-motiv per tutta la durata del film.
I due insieme fanno il punto e mentre lei fa vedere al marito la bambola, da essa cadono dei sassolini, che Tommy, dopo averli strofinati, capisce che son diamanti. E allora ricollega il tutto a quello che gli ha detto un suo amico poliziotto: un celebre furto di gioielli molti anni prima, di cui molto poco recuperato, era stato orchestrato da un certo avvocato di nome Eccles; la figlia della sig.ra Carrington si era invaghita di uno dei banditi ed aveva avuto una bambina, nella cui bambola avevano nascosto i diamanti. Poi, lei era andata via e anche i banditi, dopo che erano stati fatti evadere avevano fatto perdere le tracce.
Non dico come va a finire, non sarebbe giusto. Ma.. il finale è notevole, e rivela una cattiveria inaspettata, una malvagità che è figlia della pazzia.
Il grande scrittore britannico Anthony Berkeley Cox, che con l’altro suo pseudonimo famoso, Francis Iles, firmava anche articoli di critica, sul Guardian del 13 Dicembre 1968, così commentava l’uscita del romanzo della Christie: This is a thriller, not a detective story, and needless to say an ingenious and exciting one; but anyone can write a thriller (well, almost anyone), whereas a genuine Agatha Christie could be written by one person only”.
Che somigli più ad un thriller che ad un romanzo giallo, l’abbiamo già notato; certo, se il romanzo vien letto da chi abbia già immagazzinato dentro di sé tutti i Poirot e i Marple, e i romanzi senza personaggio fisso, forse un po’ di delusione può provarla. Ma se invece, affronta la lettura, scevro da ogni riserva, apprezzerà la grandezza di una donna che di lì a cinque anni sarebbe passata a miglior vita e pure anziana, sapeva riservare emozioni mai sopite.
Quanta grandezza possiamo trovare, se la cerchiamo, nelle persone anziane! Che sembrano provate, indifese anche, ma che anche sanno tanto della vita!
Per quanto riguarda il film, l’unica variazione di un certo peso, e che ha sicuramente un certo effetto dal punto di vista cinematografico, è che Eccles ha un fratello gemello, mentre nel romanzo non è così.
Al di là di questo, consiglio chi non avesse letto il romanzo, perché ne vale la pena ; e poi di vedere il film: si trova anche nelle edicole.
Sia la Frot che Dussolier sono irresistibili, e anche Terzieff è molto bravo: direi che se mi sarei aspettato una parte drammatica per Terzieff, che interpreta i due fratelli gemelli,  sono rimasto invece molto colpito dalla bravura e versatilità interpretativa di Dussolier che tanti anni fa avevo notato nel film drammatico di Claude Sautet, “Un cuore in inverno” assieme alla Béart e ad Auteil, e poi qualche anno fa avevo di nuovo ammirato nel capolavoro poliziesco di Olivier Marchal, con Gerard Depardieu e Daniel Auteil, 36 Quai des Orfèvres: è un attore completo che sa affrontare con naturalezza sia parti da commedia brillante, sia da polizieschi anche d’azione, sia da film drammatico.
Un’ultima cosa: il titolo in originale del romanzo della Christie, è tratto da un passo del Macbeth di William Shakespeare, Atto IV Scena 1 :
By the pricking of my thumbs,
Something wicked this way comes
che significa: Sento i pollici che prudono: certo arriva qualche infame.

Pietro De Palma

P.S.
Per chi voglia sentire l’Aria di Nadir da “I Pescatori di Perle” di Bizet, che dona una nota struggente al film (e può anche esser stata inserita, in quanto parecchio melanconica, in riferimento alla vicenda straziante di bambini uccisi, dico io), rimando all’interpretazione di Alfredo Kraus, anche su Youtube.

mercoledì 13 maggio 2020

Joel Townsley Rogers : La fune sospesa (The Hanging Rope, 1946) – trad. Alessandra Roccato – vol. 3 di Delitti Impossibili – Editrice Garden, 1994




Rogers è conosciuto soprattutto in Italia per La Rossa Mano Destra (The Red Right Hand,1945) opera che assomma in sè mistero, orrore, fantasy e una vena di bizzarria non certo poco evidente. E sicuramente quest’opera merita il favore del pubblico e della critica. Purtuttavia Rogers, non ha scritto solo quella cosa, ma..moltissimo altro. Anzi, The Red Right Hand, è solo una delle tante opere che scrisse. Rogers fu un autore non tanto di romanzi lunghi o brevi, ma di racconti: ne scrisse a centinaia. Ecco qui un’estratto di una lettera che scrisse negli anni ’60 ad un certo Mr. Vreeland:

How did I come to write stories? In college I’d done poetry and editorials and stories and articles for the college magazines. In the fall of ’19, fresh from the service, jobs were scarce, and so I began writing. For absurd magazines called Snappy Stories, and the like. Better than working at a job, I thought. For three years I wrote a little book-review magazine in New York, and became a kind of pundit….But I didn’t [stay with that job], because I’d got married, and the job didn’t pay enough. So I began writing reams and reams of imaginary war flying stories, for swarms of magazines which were popular at the time. And when the magazines died away, it was too late for me to get an honest job. In fact, if one says one has been a fiction writer, it is like saying one has been a strip-tease artist. You may have a brain, but it is doubtful.
E lo stesso The Red Right Hand fu un ampliamento di una storia scritta e pubblicata sullo stesso magazine sul quale venne pubblicato The Hanging Rope: infatti la prima storia breve da cui fu tratto il famosissimo romanzo, fu pubblicata nel Marzo 1945 su New Detective Magazine, a differenza di The Hanging Rope che fu pubblicato nel settembre 1946. C’è  tra le tante, un’altra storia che vale essere ricordata, di Rogers, che è il suo ultimo romanzo The Stopped  Clock, 1985: un thriller mozzafiato, giocato sulla speranza che l’assassino che ha abbandonato una donna morente non torni a finire il lavoro prima che ella sia riuscita a barricarsi in casa (in qualche misura, il lettore fa il tifo con la donna perché si salvi). Due romanzi quindi. Non unici. Ci sono infatti anche altri romanzi propriamente detti di Rogers, che sono Once In A Red Moon, e Lady With The Dice. Ci sarebbe anche Never Leave My Bed, che però pare sia una revisione di The Stopped Clock.
Però oltre a questi romanzi, ne ha scritto anche uno breve, una sorta di lungo racconto (ma io opterei più per l’accezione “romanzo breve” perché di poco, ma sempre sostanzialmente, l’opera supera la soglia delle 100 pagine che è accettata come un limite perché si possa cominciare a parlare di romanzo), The Hanging Rope. Il romanzo, è stato dimenticato per tantissimo tempo e solo nel 1990 è stato riscoperto da Robert Adey (autore della Bibbia delle Camere Chiuse, Locked Room Murders and Other Impossible Crimes: A Comprehensive Bibliography) e di Jack Adrian, che assieme hanno realizzato un’antologia vorrei dire storica, The Art of the Impossible,contenente novelle e racconti di assoluto valore, in cui accanto a opere più conosciute (ma non moltissimo) ve ne sono alcune quasi del tutto sconosciute. E’ il caso di quest’opera di Rogers.
In Italia, fu pubblicata nell’ambito del volume N.3 dell’edizione italiana, approntata dall’Editrice Garden di Milano (ma come fece a soffiarla a Mondadori?), consistente appunto in tre volumetti, intitolati “Delitti Impossibili”. Nel terzo appunto, oltre all’opera di Rogers, sono presenti opere di Walkmann, Perowne e Atkinson.
Daniel McCue vive al quarto piano di un grande palazzo lussuoso, in un grande appartamento signorile: è un ricco imprenditore che fa anche il politicante.
Ogni sera, e la sera del fattaccio pure, lo vanno a trovare due suoi amici: il suo avvocato Paul Bean, che oltre che legale è anche suo amico (il quale dopo averlo lasciato, per strada viene fatto oggetto di uno scherzo da parte di ragazzacci, cade, si sbuccia un ginocchio e le palme delle mani, e sanguinante torna a casa sua, senza che nessuno per strada sia stato presente al fatto né l’abbia pertanto aiutato) e Padre Finley, un prete devoto alla causa dei gatti abbandonati, mite e bislacco. Entrambi tuttavia, sono usciti dal palazzo ben prima che si appurasse che qualcuno avesse ucciso il vecchio McCue, e il testimone che lo conferma è Boaz, l’omino dell’ascensore. E quindi parrebbe che non c’entrino proprio con l’omicidio del vecchio compiuto con l’ausilio di una bottiglia di champagne che l’amico oltre che ex-genero Paul Bean gli ha portato in regalo per il compleanno, e poi con l’attizzatoio: ma, se Paul Bean ritorna a casa con le mani insanguinate, il prete entra in un palazzo poco distante da quello in cui è morto il vecchio McCue, in cui lui sa che non c’è nessuno, per trovare un gatto.
Tuttavia in quel palazzo, mezzo disabitato, in un appartamento spoglio, privo di suppellettili che non siano quasi solo  un letto, un tavolo ed una macchina da scrivere, vive anche il famoso commediografo Kerry Ott, sordo, lì dimorante, nel silenzio più assoluto, affinchè trovi l’ispirazione per la sua nuova commedia.
Tuxedo Johnny Blythe è quello che dà l’allarme. Ex tenente di polizia, proveniente da Washington, arrivato all’appartamento di McCue, di cui è ex genero avendo sposato la di lui figlia, prima che questa si risposasse a Paul Bean e se ne divorziasse, trova la maniglia della porta di casa sporca di qualcosa che sembra sangue. Spaventato dal sangue, scende le scale e trova che il portiere, tale Ignaz Slipsky che indossa l’uniforme della polizia di ronda, ma che anche lui dalla polizia è uscito (ma Tuxedo non lo sa).  A quello che gli conferma che nessuno è uscito, dice che la porta è bloccata, avendo provato ad aprirla utilizzando la sua chiave e non essendoci riuscito.
Insieme decidono di entrare in casa e quindi dal di fuori, dai balconi. Il custode, Rasmussen, altro tipo strano, dice loro che ha visto il diavolo uscire dall’appartamento del vecchio Dan: vi si sarebbe recato per riprendersi l’anima del vecchio indemoniato.
Quando Tuxedo e Slipsky arrivano sul balcone al quarto piano grazie alla scala antiincendio e rompono il vetro, si trovano davanti al cadavere di Dan: con le mani rattrappite nell’atto di afferrare i bordi del Bukkara persiano, vicino alla scrivania Luigi XV, e la nuca sfondata da una pesante bottiglia di Champegne (che gli ha portato Paul) e da selvaggi colpi di attizzatoio. Mentre Johnny va a vedere la porta d’ingresso (per accertarsi se sia chiusa dall’interno) e non si accorge che dietro a lui c’è Slipsky, si sente un grido lacerante proveniente da una delle altre stanze. Tuxedo si slancia verso una di essa, e un secondo dopo Slipsky lo trova frastornato presso il cadavere di Kitty Kane, la bellissima Kitty, cui qualcuno ha reciso la giugulare: il sangue caldo sta ancora uscendo a fiotti dalla mortale ferita del collo. Nessuno ha però visto l’assassino, che è sfuggito ai due in un niente. Sarebbe potuto uscire dalla porta, ma la trovano bloccata dalla catena interna, e dal balcone non è uscito perché Rasmussen lo avrebbe visto. E allora? Come ha fatto? Unica possibilità è la finestrella del bagno, che si affaccia però su una parete liscia e senza appigli. L’unica possibilità sarebbe una finestrella dirimpetto, appartenente ad un altro stabile: guarda il caso strano,  la finestra si affaccia nell’appartamento adesso abitato dal famoso commediografo Kerry Ott, che vive in un suo mondo privo di suoni: Ott infatti è sordo. Possibile che sia stato proprio Ott? Oppure sono stati Padre Finley, che pochi istanti prima è stato visto da Slipsky e Boaz, l’uomo dell’ascensore, andare via; o Paul Bean, andato via ancora prima di Finley, da casa di McCue? Il fatto è che i due uomini avrebbero un alibi inattaccabile che è dato proprio da Slipsky; eppure il primo, che abita nello stesso palazzo di Ott, e sul suo stesso pianerottolo, tra miriadi di gatti, è stato visto con i guanti sporchi di sangue (ma lui dice che era la carne che dà ai suoi gatti) ed uno lo ha perso a casa di Ott, dove è entrato ignorando che l’avesse presa in affitto il commediografo, da pochi giorni; invece Bean è stato aggredito per strada dai terribili figli di Kitty Kane, ferendosi e venendo rapinato del borsellino, che poi viene trovato a casa di Ott: sono stati loro a perderlo o è stato Ott, penetrato attraverso la finestrella? Il fatto è che per porre in comunicazione le due finestre sarebbe servita una scala o un’asse come quelle utilizzate dai pittori per dipingere le pareti delle stanze. E in effetti una, nell’appartamento occupato da Ott, viene trovata.
A occuparsi delle indagini è “Big” Bat O’Brien, Ispettore della Squadra Omicidi, che girerà, annasperà, e sarà fuorviato nelle indagini finchè Kerry Ott, con la complicità involontaria di un’argiope, dimostrerà che quella finestrella non sarebbe mai potuta essere utilizzata, per via anche di una ragnatela che la ricopriva totalmente. E farà comprendere all’ Ispettore chi mai possa essere stato a compiere due delitti assolutamente straordinari.
Opera di assoluto rilievo, è un vero pezzo di bravura. Possiede una tensione che accompagna il lettore fino alla fine, fin anche dopo la stessa individuazione dell’assassino, perché il finale è costruito come un thriller: riuscirà l’assassino a farla franca oppure no? Riuscirà grazie alla via di fuga che ha messo a punto, appunto una fune sospesa, ad evitare di essere preso?
Nel finale si risolvono anche le morti del figlio di Dan e della figlia, sposatasi prima a Johnny Tuxedo Blythe e poi a Paul Bean, e morta a causa di un’infezione da tetano, rimediata grazie al graffio di un gatto, portato da Padre Finley. E lasciano intravvedere un piano assolutamente diabolico.
Il romanzo ha poi delle caratteristiche che lo rendono se non unico, almeno raro: il plot ha un’atmosfera fortissima, che quasi tramuta la vicenda poliziesca in un una di orrore, per la bizzarria della situazione e per le componenti che Rogers lascia intravedere, curando di dare a ciascun personaggio un’aria benevola che contrasta e stride con una più nascosta: in questo, e nel finale per nulla scontato, può ricordare Fredric Brown o Philip Bardin. Ma una caratteristica ancora più diretta e riconducibile esclusivamente a lui, differenziandolo da tutti: è il suo stile letterario, che utilizza una lingua desueta talora, con vocaboli esclusivi. La costruzione stessa dei periodi, si avvale di una sintassi fortemente ricercata, quasi che prima di scrivere le frasi, ne pesasse l’impatto sul lettore. Talora possono risultare anche grottesche se non surreali.
Una tale prospettiva farebbe pensare ad una lentezza di scrivere, ma evidentemente in Rogers era una caratteristica innata il saper e il voler scrivere in siffatto modo, se pensiamo alle centinaia di racconti che scrisse. Da un certo punto di vista, della bizzarria e dell’orrore, le sue opere mi ricordano anche quelle di Stanley Ellin.
The Hanging Rope , da un altro punto di vista è una sorta di sintesi di Mystery (i due delitti impossibili) e di Hard Boiled. Da questo secondo genere, prende l’atmosfera claustrofobica, realizzata quasi esclusivamente in ambienti interni, e i temi trattati:c’è il commediografo che  ricorda tanto il giornalista di turno, c’è il politicante inviso (Dan McCue), c’è la femmina fatale (Kitty Kane), c’è l’assassino triste.
Tuttavia al di là dello stile barocco e ricercato (un esempio, a pag.93, è la descrizione della ragnatela:“Non è la tela sciatta e disordinata, tessuta alla bell’e meglio in un quarto d’ora da un teridio, ma il lavoro paziente di un argiope, una tela ottagonale, geometrica, impeccabile, con quattro raggi di seta. Un lavoro che richiede tempo. E’ un’opera di alto lavoro artistico” ), è da dire che il modo di colloquiare, rapisce il lettore. Mi ha ricordato – paragone certamente ardito – il modo di impostare la scrittura de À la recherche du temps perdu di Marcel Proust, con una tortuosità semantica che gira e rigira su un determinato fatto fino a rivelarne gli aspetti nascosti oltre che quelli visibili. Questo girare continuo sulle situazioni, fa sì che i sospetti siano gettati anche per le cose che apparirebbero più ovvie, su tutti i personaggi che compaiono nella trama: per esempio Paul Bean, che cade per strada, sbeffeggiato dai terribili figli di Kitty Kane, donna amata in passato da più d’uno dei personaggi, e che si concede al vecchio Dan. Non ci sarebbe nulla di strano se cadendo, Bean si fosse sbucciato le ginocchia e si fosse graffiato le palme delle mani e quindi sanguinasse; ma..il sospetto che gli fa cadere addosso Townsley Rogers è che quel sangue possa essere anche quello del vecchio Dan (quindi Paul sarebbe ritornato dopo essersene andato, nell’appartamento di Dan).
L’ultima cosa che mi val la pena di sottolineare è che la brillantissima uscita di Orr riguardante la tela del ragno, che in sostanza conclude ante litteram il romanzo, perché il finale non è realizzato per catturare l’assassino ma per far sì che egli esca di scena in modo spettacolare (si osservi come l’incedere nella novella sul tema del sangue: sulla maniglia della porta, sulle piastrelle del bagno, che sgorga dal collo di Kitty, che sgorga da quello dell’assassino, è forse la caratteristica più evidente di un barocchismo orrorifico, che è nel tempo stesso molto spettacolare e cinematografico: ognuna delle sequenze è come se fosse concepita come una posa ben distinta dalla successiva). Tuttavia è interessante sottolineare il particolare della ragnatela dell’argiope in quanto mi pare sia la diretta fonte di ispirazione per altra ragnatela che in altro romanzo, a noi più contemporaneo, ricopre il telaio di una finestra, come un vero vetro: sto parlando de La toile de Pénélope, di Paul Halter.
In un colloquio che ho avuto con lui tempo fa, gli chiesi, sempre ossessionato dalle citazioni e dai rimandi presenti nelle opere dello scrittore alsaziano, quando egli avesse preso dalla novella di Rogers l’idea della tela del ragno (precedentemente pensavo egli avesse utilizzato l’idea della tela di ragno sul balcone della finestra in un romanzo di Abbot, ma che non copriva tutto il telaio, come qui e poi nel romanzo di Halter). La mia domando lo spiazzò, perché ignorava che un altro romanziere avesse avuto la stessa idea. Poi si ricordò che avrebbe dovuto avere un romanzo simile, e alla fine mi rivelò che aveva letto il romanzo di Rogers dagli anni ’80 ma che non si ricordava proprio di quel particolare.
Ecco la mia domanda, in inglese e risposta sua in francese (talvolta uso il francese altre l’inglese, così come mi viene):
DP – For some time I believed that you had invented La toile de Pénélope, applying the spider web, which is found in About the Murder of a Startled Lady by Abbot. Instead, a few days ago I picked up a collection edited by Adrian & Adey, and I read a short novel, of which I put off reading for a long time, written by Townsley Rogers: “The Hanging Rope”, in which there is a spider web which occupies the entire window, across which would pass the murderer, if the spider had not been there. The idea of applying the idea from Rogers was yours?
Prima mi rispose così:
PH – Bonjour Pietro
Pour répondre à votre question : non, je n’ai jamais lu ce livre.
Comme je vous l’ai dit, l’idée vient de Vincent Bourgeois, qui pensait – j’en suis sûr – sincèrement qu’elle était tout à fait originale. Igor lui-même le croyait aussi après avoir lu La Toile de Pénélope.
Sur ce, je vais voir si ”The Hanging Rope” a été traduit en français…
Amicalement,
Paul
Poi, qualche giorno dopo, aggiunse:
Juste ce petit mot pour vous dire que, chose incroyable, j’avais dans ma bibliothèque les deux livres que vous avez cités. Ce sont les noms en anglais qui m’ont trompé!
Ainsi, The haning rope, de JTRogers est : Cauchemar d’une nuit d’été. Je l’ai relu séante pour constater que, en effet, une des issues (immeuble voisin) était bloquée par une toile d’araignée ! J’avais lu ce livre fin des années 80 et vraiment je ne me souvenais plus de ce détail.
Traspare la sua incredulità che un altro abbia inventato la sua cosa parecchi anni prima. Più di quaranta! E quindi ci credo che non fingesse, per come lo conosco. No, sicuramente non si ricordava di aver letto della tela, quando scrisse La tela di Penelope! Ma io credo che il riferimento si fosse comunque sedimentato in lui, inconsciamente, e poi avesse prodotto la trovata della tela del ragno che occupa il telaio della finestra.
Comunque sia tuttavia i due romanzi differiscono nella soluzione che è diametralmente opposta: in Rogers, la presenza della ragnatela impedisce che la finestra possa essere stata utilizzata come entrata del fantomatico assassino; in Halter, la presenza della tela del ragno non è di per sé un fatto che impedisca l’azione, perché egli, superandone l’ostacolo, spiega attraverso Twist come quella finestra sarebbe potuta essere utilizzata. In sostanza in Halter c’è il superamento dell’idea base, realizzando il “plus ultra”, rispetto all’altro, tenuto conto che però in Rogers, a legittimare la ragnatela è poi la constatazione che la finestra comunque era bloccata e inchiodata.
Insomma, l’idea della tela del ragno è la stessa, ma cambia tutto il resto.
Pietro De Palma

domenica 10 maggio 2020

Pierre Magnan : Il sangue degli Atridi (Le Sang des Artrides, 1977) - trad. Mario Morelli - Il Giallo Mondadori n. 2294 del 1993

Ritorniamo dopo qualche tempo al poliziesco francese, ma non leggendo un romanzo di Paul Halter o Pierre Boileau o Stanislas Steeman (anche se Steeman non è francese ma belga). Questa volta parliamo per la prima volta di un romanziere di cui Mondadori una ventina di anni fa pubblicò alcuni romanzi: Pierre Magnan.
La vera carriera  letteraria di Magnan cominciò tardi, alla mia età oggi, 56 anni. Fino ad allora aveva tentato la pubblicazione di romanzi senza sortire grandi effetti, anche se aveva cominciato con un successo di critica, L'Aube insolite nel 1946. Tuttavia l'accoglienza del pubblico non era stata parimenti entusiasta e la pubblicazione di altri tre romanzi non aveva avuto grandi effetti, tant'è vero che per vent'anni non aveva più provato a scriverne. Fu il suo licenziamento dall'azienza in cui lavorava da molto tempo, a dargli nel 1976 la ragione per tentare di nuovo il successo librario ed è così che nacque Le Sang des Artrides con cui Pierre Magnan  vinse il Prix du Quai des Orfèvres nel 1978. il successo fu talmente tangibile che Magnan continuò a scrivere romanzi polizieschi, sia con il Commissario Laviolette, che fu il suo personaggio  principale, sia con altri personaggi.
Nel 1984 il suo romanzo La Maison assassinée ebbe un incredibile succeso di pubblico e critica (100.000 copie vendute)
Prima di morire nel 2012, Magnan scrisse l'ultimo romanzo con Laviolette nel 2010, Élégie pour Laviolette.
Mondadori negli anni 90, pubblicò alcuni romanzi di Magnan, soprattutto quelli con Laviolette, ma non tutti, di cui segue l'elenco (sono esclusi altri romanzi con altri personaggi) qui:


Le Sang des Artrides, 1977.  Il Sangue degli Artridi, Il Giallo Mondadori n. 2294. Robin, 2005.

Le Commissaire dans la truffière, 1978 .  Il velo magico Il Giallo Mondadori n. 2327

Le Secret des andrônes, 1979 . Morirai per ultima,  Il Giallo Mondadori n. 2370

Le Tombeau d'Hélios,  1980. La Tomba di Helios, Il Giallo Mondadori n. 2383, Robin , 2004

Les Courriers de la mort,  1986 . Messaggi di morte, Il Giallo Mondadori n.2643

Les Secrets de Laviolette (recueil de trois nouvelles, Le Fanal, Guernica et L'Arbre), 1992. L’albero, Robin, 2008 - Guernica, Robin 2001

Le parme convient à Laviolette,  2000. Il commissario innamorato, Robin, 2008

Élégie pour Laviolette,  2010

Per amor di precisione, bisogna dire che l'ultimo romanzo pubblicato da Robin, cioè Il commissario innamorato, viene presentato come "L'ultima indagine di Laviolette", cosa che è non vera. Infatti l'ultimo romanzo con Laviolette è  Élégie pour Laviolette, che in Italia è inedito. Probabilmente, nel momento in cui fu pubblicato da Robin, Il commissario innamorato era davvero la sua ultima indagine. Ma poi...

Il Sangue degli Artridi è un romanzo indimenticabile. Per una certa atmosfera di fondo, mi ha ricordato She died a lady, di Carter Dickson, anche se qui non vi sono proprio delitti impossibili.

Laviolette è un antieroe, tutto il contrario direi del personaggio di Van Dine  (ma con lui vedremo ha dei contatti) eppure ha la sua importanza di detective:  è poco appariscente, basso e in sovrappeso, con le orecchie a sventola, si lamenta di non riuscire a fare più 100 metri di corsa senza l'affanno a causa delle troppe sigarette che fuma, ma ha con un glorioso passato nella Resistenza ed è dotato di raro  spirito d'osservazione e deduzione. Lo dimostra qui, assieme al Giudice Chabrand, altro personaggio scomodo, altro antieroe, chiamati assieme a gestire le indagini per una serie di omicidi strani.
Il primo a morire è un giovane di belle speranze, Jeannot Vial, figlio dell'alta borghesia, dei salotti buoni, che fa vita agiata e spensierata: viene trovato colla porzione parietale del cranio sfondato da un corpo contundente. Ai piedi delle scarpe da ciclista, nell'auto gli viene trovata una bicicletta smontata. Nessuno capisce chi possa essere stato ad ucciderlo e perchè, e soprattutto come. Soprattutto l'arma è da capire cosa fosse visto che non è stata trovata.
Mentre stanno cercando di raccapezzarsi, ecco la seconda morte: un altro giovane di belle speranze, ricco, proprietario di un hotel, che stava partecipando alle prove per una corsa rally d'automobile. Ad una doppia S l'auto è andata a finire fuori strada, precipitando in un burrone e prendendo fuoco: il cadavere estratto di Jules Payan è irriconoscibile in quanto carbonizzato. Pochissime cose si son salvate e tra queste, dei guanti mezzo bruciacchiati, e anche qui degli oggetti che rimandano ad una bicicletta.
Anche in questo caso non si capisce come possa essere morto, anche perchè non si vedono tracce di frenate e qualsiasi responsabilità di altre persone che facevano la corsa, anche se ipotizzata in un primo tempo, viene poi stralciata. E si da in un primo tempo la responsabilità ad un malaugurato incidente, fino a che qualcuno non si accorge anche qui, come, ciò che resta del cadavere presenti una grossa ferita alla parte parietale destra del cranio, alla tempia, come nell'altro caso. Solo che qui, annerito dall'incendio è stato trovato un grosso ciottolo: qualcuno l'ha lanciato..ma come? E da dove? Dopo attenti studi Laviolette ipotizza come debba essere stato ucciso: approfittando di un momento in cui le auto devono per forza rallentare ad una curva, qualcuno ha lanciato con forza il sasso alla tempia, fracassando il finestrino, determinando la morte del guidatore, e poi l'auto senza controllo è finita nel burrone.
Le indagini sembrerebbero concentrarsi nei riguardi di un giovane che pare avesse litigato con la vittima, ma poi quando il giudice deve per forza o convalidarne l'arresto oppure rilasciarlo, interviene Laviolette che riesce a dimostrare l'alibi del malcapitato.
Il mancato arresto del giovane, protetto da da un grosso nome della magistratura, determina l'affido a Laviolette, che l'avrebbe evitato, del caso assieme al suo amico il Giudice Jean Paul Chabrand. La mossa è abile: se i due riusciranno a trovare l'assassino..tanto meglio, se invece non accadrà, avranno finalmente i loro avversari la possibilità di defenestrarli. Cosa che sembra avvenire con puntualità quando, dopo un tempo estenuante in cui i due non riescono scavare un ragno dal buco, tranne un avvistamento strano nel bosco da parte di due cacciatori, muore un altro tipo: questa volta non si tratta da un giovane di famiglia benestante, ma di un timido professore di filosofia che insegna in un liceo classico: è stato trovato morto, davanti ad un monumento. Era sceso dalla bicicletta per recarsi ad un orinatoio pubblico, ma quando ne era uscito, era stato colpito ed ucciso. Ancora una volta colpito alle tempia, ma questa volta due volte: Cherubin Hospitalier si chiamava. Prima di morire, però aveva tentato  di scrivere qualcosa nella neve: le lettere OR.
Anche questa volta una bicicletta. Cosa avrebbero dovuto farci con una bicicletta le tre vittime?
Questa volta però la Polizia trova qualcosa: stampata nella neve sul monumento di Gassendi c'è un'impronta nettissima, che sembra essere stata lasciata dall'orma di uno scarponcino, di tipo vecchio. Dallo studio di esso si ricavano un presunto peso ed una presunta altezza, che collima con quella del misterioso visitatore, che due cacciatori avevano visto di spalle, dopo aver ucciso una lepre con un colpo di sasso, prima dell'omicidio di Cherubin: anche in quel caso i due, interrogati sull'identità del misterioso lanciatore, su tutto si erano trovati in disaccordo meno che sull'altezza, stimata: circa 1 metro e 58. Pigmeo o ragazzo? Questa, la seconda, è l'ipotesi sconvolgente.
Ma chi può essere stato?  
Si esamina la popolazione che abbia quell'altezza, ma senza risultato. E chi ne fa le spese? Ma Laviolette, ovviamente, dopo che una quarta vittima è trovata, uccisa nella stessa identica maniera! Questa volta si tratta di un'anziana persona, ricca anzi ricchissima, che ha inviato una lettera all'assassino, chiedendo di sapere per quale motivo abbia ucciso. Perchè lei lo conosce bene, l'ha tenuto sulle ginocchia quando era bambino. Come ha fatto a sapere? In virtù di un binocolo, appartenuto ad un certo Alcide de Térénez, un ufficiale della marina. Dalla sua casa, in collina, la vecchia signora osservava tutti i suoi vicini, e durante le sue osservazioni, aveva assisitito a qualcuno degli omicidi.
Laviolette ha capito come i sassi son stati lanciati: con una fionda. Ma quale fionda può lanciare sassi così grandi? Quella che usano i bretoni. Partendo dall'esame dei bretoni presenti in città e che potessero avere un figlio di quell'altezza, arriva alla vedova Térénez.
Chi è? Una donna agiata, bellissima, di circa 38 anni, madre di due figli, un maschio ed una femmina costretta alla sedia a rotelle sin dall'infanzia. Cosa si agita nella testa di Laviolette? Un barlume di verità: i pochi effetti personali trovati addosso alle tre vittime, portavano l'etichetta Irène de Térénez Créations. Ma anche il cappotto del giudice aveva quell'etichetta. 
Laviolette ora teme per la vita del giudice. E così si reca alla villa abitata dalla bella vedova e dai suoi figli. La porta è socchiusa, entra con circospezione. Vede un ascensore, poi sente un rumore, si nasconde e vede un ragazzo che spinge una carrozzella con una ragazza sopra. I due si fermano davnti ad un guardaroba, lo aprono vi entrano e quando ne escono sembrano piangere. Cosa ci sarà mai in quel guardaroba? Laviolette appena i due vanno via ed entrano in una sala dove c'è un miniteatro in cui cominciano a declamare i classici, va in questo guardaroba, che appare essere tale, senza nulla, finchè inavvertitamente spinge un'assicella sul pavimento ed il fondo del guardaroba scorre, liberando la visione di una camera da letto dove lui vede Irene e Chabrand che fanno l'amore.
Laviolette, comincia a pensare ad una cosa: va sopra, trova una bellissima ragazza, una domestica , che gli racconta una certa storia. 
L'epilogo sarà terribile. Un doppio epilogo: Laviolette salverà la vita al giudice, che sarebbe dovuto essere la quinta vittima, ma il sicario morirà ed dopo di lui il vero assassino verrà trovato. E si spiegherà anche cosa Cherubin avrebbe voluto scrivere : Oreste. 
Oreste, chi? Quello della tragedia degli Atridi: Clitennestra sposa di Agamennone, che lo uccise al ritorno da Troia, aiutata dall'amante Egisto, per aver offerto lui, la figlia Ifigenia, prima della partenza per Troia, alla dea Artemide. E dopo 10 anni, Oreste vendica il padre uccidendo la madre. 
Una storia di tristezza, di solitudine: una bellissima vedova, lasciata sola a badare a due figli di cui una invalida, che trovava nel sesso fugace con degli sconosciuti che andavano ad acquistare capi di moda nella sua boutique, dei momenti di felicità, che poi progressivamente  perdeva stando a badare ai figli. Ma qualcuno, la osservava, e colpiva chi con lei giaceva: in sostanza era lei che li condannava a morte, accogliendoli nel suo letto.
Un finale dolorosissimo, pieno di tristezza che lascerà l'amaro in bocca a Laviolette, mentre il giudice si dimetterà per amore della bella Iréne.
Il romanzo, pervaso di una grande malinconia, è ricco di atmosfera e di descrizioni ricche della provincia francese.
Laviolette è un commissario di polizia ma qui finiscono le rassomiglianze col più celebre Maigret: Laviolette opere a Digne, nella piccola provincia francese, mentre Maigret a Parigi. Maigret conduce le indagini quasi sempre con la sua squadra, Laviolette si affida al suo acume, al suo spirito di osservazione: i suoi subalterni non hanno nome, lui non vive con loro, lui si accompagna solo a Chabrand. E per questo è un procedural atipico.
In qualche modo mi verrebbe da dire che in qualche cosa Magnan sembra un epigono vandiniano: i riferimenti sono all'America (che talvolta viene pronunciata nel romanzo), nel fatto che  l'investigatore si accompagni ad un giudice (come Markham), anche se qui detective è più propriamente un poliziotto, come il tenente Michael Lord di Daly king oppure il Commissario Thatcher Colt di Abbot. L'elemento che più mi sembra interessante è l'identità del sicario, che richiama un altro romanzo più precisamente queeniano. E a Ellery Queen si collega anche per "Il messaggio del morente".
Tuttavia se è un mystery, è uno con un andamento molto lento: sembra ritmato come una marcia funebre. E presenta nel suo andamento ricco di pathos e oscuro dramma, un'andatura che ricorda un noir d'annata. Del resto del noir, ha uno degli elementi principali: la femme fatale, Irene, intorno a cui ruota tutta la storia. E poi la donna torbida, che odia fino alla morte. E l'assassino, che uccide per amore, per vendicare il ricordo, adottando in sostanza un transfert: non potendo uccidere Irene, ne uccide gli amanti, condannandola ad una vita che non è vita, che è come una morte apparente. E nello stesso tempo vendica qualcuno. Ma è una doppia vendetta: la sua e quella di chi gli arma la mano. Lui si vendica di Irene, vendicando un ricordo; e chi lo ha armato di odio, si vendica di Irene perchè a sua volta Irene l'ha condannata.
Lo so che non è facile capire. 
Ma chi leggerà questo romanzo, capirà anche il perchè in sostanza questo è un romanzo indimenticabile.

Pietro De Palma