martedì 31 marzo 2020

Enrico Luceri : Il Vizio del Diavolo, 2020 , Oltre Edizioni, pag.232.

Enrico Luceri, al di là della maestria che ha nello scrivere, cosa che hanno tanti altri scrittori italiani anche di grande impatto, è molto acculturato: ha cioè cominciato a scrivere dopo aver fagocitato un sacco di libri e films. Non è quindi raro trovare nei suoi romanzi, riferimenti diretti o indiretti ad altri autori od opere, cosa che diviene estremamente stimolante, per chi legga un libro non solo per evasione, ma per confronto e analisi, un po' come avviene per i romanzi di Paul Halter.
Ho finora recensito solo Luna Rossa, la sua più recente uscita in Mondadori, e qui ne analizzo oggi un'altra, ripromettendomi di fare altrettanto con altri suoi romanzi usciti negli anni passati.
Luceri ha un'altra caratteristica che lo rende unico nel panorama italiano: diversamente che da altri suoi colleghi, è una persona schiva, modesta, discreta, anzichè appariscente. E quindi il successo che lo accompagna da alcuni anni, è da mettere in relazione solo con le qualità della scrittura e dei soggetti creati di volta in volta.
Anche Il Vizio del Diavolo è una pubblicazione recente, anzi recentissima. Uscita a febbraio nelle librerie, è purtroppo ora acquistabile, come tanti altri libri, solo on-line, sui siti specializzati nella distribuzione e vendita libraria.
L'azione si svolge in un collegio privato religioso, a due passi da Roveto, in alto Piemonte, in aperta campagna.
Siamo in periodo natalizio, il 23 dicembre:  i ragazzi e ragazze sono andati via. Sono rimasti solo due suore, Suor Esther e suor Camela, Padre Castellani, e una ragazza, Corinna, che è la figlia di una insegnante dell'Istituto morta tempo prima, Alessandra, che ha affidato la figlia alla tutela del Collegio, non trovandosi altri suoi parenti.
Corinna, è fuori. Piove a dirotto. E' uscita a fumarsi una sigaretta, come tante altre adolescenti fanno, per una cosiddetta dimostrazione di età adulta (che non hanno). E a sfogare tutta la sua rabbia ed il livore per un mondo che non ama, per quell'ambiente così repressivo che lei odia, che reputa ipocrita, e da cui vorrebbe vivere lontana, immergendosi nella vita dei ragazzi della sua età. E come molti suoi coetanei vede serie tv di genere horror.
Mentre passeggia, si accorge che c'è qualcuno che la osserva, qualcuno che la mette in apprensione: è fuori dal collegio, potrebbe essere aggredita, e quindi scappa, si rifugia dentro le mura sicure del Collegio, mentre l'ombra che era uscita dalla macchia, vi si rifugia di nuovo.
L'ombra che vede nella campagna fuori dal collegio potrebbe essere un riflesso della sua mente allucinata fortemente influenzata da queste situazioni dettate dalla fiction televisiva e cinematografica, lei crede che ci sia qualcuno che la scorga, ma poi, al riparo delle mura del collegio, ogni pausa svanisce. Mentre è dentro assieme agli adulti, suona il campanello: è un corriere, che porta un cesto natalizio. contenente dolci, tra cui uno caratteristico del luogo: lo mangeranno a cena.
Di nuovo uno scampanellare: questa volta è un uomo. Si qualifica come il domenicano Padre Wurth: la sua macchina si è impantanata e chiede ospitalità. No problem: il collegio è grande e vuoto: di stanze ce ne sono a bizzeffe.
Ma dal suo arrivo, il domenicano comincia a fare domande, e subito il suo modo di fare convince gli astanti che sembra non essere lì per caso. 
Intanto fervono le attività: Padre Wurth si aggira per il collegio alla ricerca di non si sa cosa, le due suore hanno un battibecco, Padre Castellani suona "Jesus bleibet meine freude" (il celebre Corale dalla Cantata 147), Corinna non sa a chi rivolgere i suoi veleni di adolescente, polemica, rabbiosa e insoddisfatta dell'ambiente in cui vive. Poi si appresta alla cena, e le suore, soprattutto Suor Esther prepara la cena a base di minestrone, pietanze fredde, e i dolci del cesto. Padre Wurth fa le lodi di Esther come cuoca, che a differenza degli altri è la sola a gustare il dolce mandorlato e zuccherato.
Non è però del tutto soddisfatta, perchè rileva il prevalere di una nota amara.
Poco dopo comincia a sentirsi male, tanto che Padre Castellani deve chiamare la Guardia Medica di Roveto. Lì è in servizio il dottor Bonatelli. Squilla la porta: è un tale che è stato sorpreso dal tempaccio che chiede di potersi riparare. Il tempo di ritornare nell'ambulatorio e riceve la telefonata dal Collegio. Il tempo di apprestare la borsa e di avvisare il tizio (che però è già andato via) di uscire  e Bonatelli si dirige a bordo della sua sgangherata auto al Collegio. Quando il medico arriva, le condizioni della suora sono peggiorate. Lui la visita e le pratica un'iniezione di emetico, in modo da farla  vomitare, cosa che effettivamente sortisce gli effetti voluti. Tuttavia mentre il medico con gli altri, lasciata la sofferente a riposarsi, conduce una mini inchiesta avendo le prove di un avvelenamento, qualcuno la soffoca con un cuscino.
E' evidente allora che l'ipotesi del medico, improvvisatosi investigatore, è reale, e qualcuno tra i presenti è un assassino; a meno che un'altra persona, magari quella che Corinna ha visto aggirarsi nei pressi del Collegio, sia entrata e stia lì pronta a colpire, nascosta dal buio dei corridoi.
Non passa molto tempo che un nuovo delitto venga compiuto: stavolta è Padre Castellani, che paga con la vita il sospetto scaturito dall'aver notato un particolare, una cosa che non sarebbe dovuta avvenire. Lui verrà trafitto alle spalle con delle forbici. Quando il medico e Padre Wurth e Corinna, sentono un tonfo al secondo piano e lo raggiungono, trovano  Suor Carmela terrorizzata vicino al cadavere del prete. La suora sviene due volte e deve essere portata a letto.
E' l'inizio di una serie di congetture ed ipotesi, sostenute ora da Padre Wurth, ora da Bonatelli, che si concentrano nei confronti dei presenti: sarà davvero padre Wurth il domenicano che dice di essere oppure è un impostore? e Suor Carmela è davvero lei oppure è una impostora che ha approfittato della morte della vera Suor Carmela in Africa durante un raid di ribelli, per appropriarsi della sua identità? E Corinna, perchè mai non può essere stata lei ad uccidere il prete e prima ancora la suora? Tanto più che Bonatelli ha scoperto che lo stipo contenente i prodotti velenosi è aperto, e dentro cè un topicida.
Un gioco di specchi, di congetture e di controcongetture, e di inganni, che ben presto portano gli astanti a sospettare tutti di tutti. Del resto il principale Vizio del Diavolo non è ingannare?
Ecco allora che l'inganno va avanti e a fare le spese questa volta è Suor Carmela che viene trovata sgozzata.
Chi è il colpevole tra Corinna e il domenicano? 
Dopo una serie di colpi di scena la verità amara sarà svelata, anche se l'assassino non sarà catturato.
Si tratta di un gran bel romanzo, il secondo bel romanzo che ho letto ultimamente e anche questo di Luceri, che si dimostra se mai ce ne fosse stato bisogno, uno scrittore di razza, capace di padroneggiare con la penna una situazione che avrebbe messo altri scrittori in ben altri problemi: con un così corto parco di sospettati e sospettabili, chiunque altro avrebbe ceduto alla ovvietà, e il lettore un po' più smaliziato avrebbe individuato con notevole anticipo l'assassino, rendendo vana la lettura delle restanti pagine ( e la naturale tenzone tra lettore e scrittore). Qui no. Qui non avviene:
Luceri è così abile a padroneggiare la situazione, da riuscire a mantenere la tensione fino all'ultima pagina, perchè instilla il dubbio, e l'inganno diventa capace di insinuare nei pensieri del lettore che la verità sia magari una bugia, e la bugia la verità, e a far sì che le situazioni del romanzo siano in uno stato non di salda stasi ma di oscillante dubbio. 
Ad esempio, fino alla fine si dibatte se la serie di assassini sia da mettere in relazione con la vera missione nel collegio di Padre Wurth non affatto capitato per caso, ma inviato dal Vaticano per capire se  un religioso/religiosa sia coinvolto/a nell'assassinio dell'avv. Galli, di cui era a conoscenza Alessandra, la madre di Corinna, oppure se qualche religioso pur sapendo qualcosa non abbia parlato, oppure se gli assassini siano disgiunti da questa ipotesi.
E lo stesso parco ridotto di personaggi invece di essere una limitazione, diventa qui un valore aggiunto, perchè Luceri lungi dal puntare su un thriller di pura azione, riesce a portare a termine un'operazione nient'affatto semplice: creare un thriller colto, pieno di riferimenti che il lettore anche lui colto non avrà difficoltà ad individuare in gran parte, con una tensione palpabile e sempre presente che invece che rinnovarsi in virtù di procedimenti stilistico-narrativi (cioè di tecnica della scrittura), si attua sulla base di una tensione che è soprattutto psicologico-catartica: i personaggi sono analizzati a tutto tondo, come non mai; sono personaggi tristi, melanconici, complessi, tutti sospettabili in quanto non privi di scheletri negli armadi: tutti ma proprio tutti.  E tutti, proprio tutti, hanno conosciuto il dolore, la sofferenza personale; e tra loro, in particolare, Corinna, una ragazza adolescente, orfana di madre e che il padre non l'ha mai conosciuto, che ha costruito tutt'intorno alla sua fragilità uno spesso fortilizio di falsa indifferenza, cinismo e rabbia, che si scioglieranno dinanzi ad una grande sorpresa.
Quando arrivano prima Padre Wurth poi la Guardia Medica, Corinna pensa istintivamente che sia il secondo l'ombra nella boscaglia, salvo ricredersi e convincersi che possa essere il domenicano. Proprio lui ci riporta a storie del passato: padre Wurth incarna l'inquisitore per eccellenza, un personaggio inflessibile, rigoroso, duro, ironico e talvolta anche cinico. Luceri dice di essersi ispirato a personaggi della fiction cinematografica; io francamente ho pensato a Padre Eymerich, l'inquisitore domenicano uscito dalla penna di Evangelisti.
Soprattutto di grande spessore psicologico è la caratterizzazione del personaggio di Corinna, dell'adolescente intorno a cui, si vedrà leggendo il romanzo, tutta l'azione gira: Luceri, per Corinna non inventa del tutto, e neanche copia, semmai applica ad un personaggio che rappresenta una ragazza , le paure, le ansie, la rabbia della sua generazione. 
Luceri mi ha detto qualche giorno fa: "...ma non mi ispiro a situazioni personali, semmai in senso lato conosco e descrivo chi nel loro ambiente generazionale e scolastico è ai margini perché troppo sensibile o con situazioni particolari. Diciamo che respiro da una prospettiva laterale la loro vita e traggo ciò che serve alle mie storie, piegandole alle esigenze della trama di genere".
Il procedimento stilistico di Luceri si avvale di una caratterizzazione quindi assai sfaccettata, che strizza l'occhio anche ad Agatha Christie, all' Agatha Christie di Dalle nove alle dieci per quanto attiene l'insospettabilità dell'assassino di cui viene rivelata da lui stesso la paternità. Ma come detto tantissimi sono i riferimenti colti:
il collegio è isolato da un temporale (La casa nel ciclone di Newton Gayle e Il caso dei fratelli siamesi di Ellery Queen); nel collegio isolato i vari personaggi sono tutti colpevoli di qualcosa e a turno vengono uccisi (Dieci piccoli indiani e Trappola per topi  di A. Christie); il domenicano arriva all'improvviso senza preavviso e anche il medico pur se chiamato da Castellani è in fondo inatteso  (L'Ospite inatteso, di A. Christie: si veda la somiglianza Bonatelli, il medico, con Bonacelli, l'attore della versione adattata per la RAI da D'Anza); se l'assassina fosse Corinna, il riferimento sarebbe a Tragedia di Y di Ellery Queen; le forbici per un mancino adoperate invece da chi è destro, è uno sbaglio dell'assassino colto solo da Padre Castellani, che firma la sua condanna a morte e qui il riferimento diretto è a Dopo le esequie di Agatha Christie: infatti lì l'omicida (come in questo caso) che ha impersonato una certa identità, ha commesso un errore, perchè non ha pensato che allenandosi davanti ad uno specchio, esso avrebbe invertito una mossa particolare: al funerale, infatti, ha girato la testa dalla parte sbagliata. Nel nostro caso, la funzione dello specchio è stato trasferito all'errore di chi dovendo usare delle forbici per mancini, ha invece usato la destra. Anche il cadavere che Padre Castellani immagina si sia mosso, rimanda ad altri esempi narrativi: a me ha fatto ricordare il cadavere sotto il sudario di Il cadavere assassino di George Meirs.
Numerose anche le citazioni cinematografiche, peraltro esemplificate dallo stesso Luceri, soprattutto da film di Pupi Avati: Il nascondiglio (casa in cui vivono delle suore), La casa dalle finestre che ridono (il faldone ingiallito e l'armadio che racchiude un segreto), Zeder (il cadavere che apre gli occhi e quello della suora che Padre Castellani crede  si muova); la stessa scena (cadavere che sembra si muova) è in La ragazza che sapeva troppo, il capostipite del film giallo italiano, di Mario Bava (in b/n); la tempesta iniziale e la protagonista che fugge mettendosi in salvo è in La Scala a chiocciola, di R. Siodmak, come pure la scena in cui l'assassino accompagna per le scale la ragazza; la scena delle tempesta e la ragazza che fugge mettendosi in salvo è anche in  Green for Danger, trasposizione del romanzo della Brand, Green for Danger (Delitto in bianco). 
Se il movente è chiaro, la sospettabilità dell'omicida è estremamente ridotta. Il solo indizio lampante, il solo errore, è quello di aver usato delle forbici per mancini con la mano destra. Ma non se ne accorgono tutti. Se ne accorge Castellani, ma è qualcosa che si deposita nel suo subconscio, solo per risvegliarsi in un secondo tempo: il fatto che egli vada dove è il cadavere, e per un momento si spaventi perchè ha come la sensazione che il cadavere si sia mosso sotto il lenzuolo, fornisce all'omicida che lo osserva, l'occasione per colpirlo alle spalle.
Del resto il collegio è vuoto, pieno di corridoi e stanze in ombra, come è d'obbligo in ogni thriller che si rispetti, da Argento ad Avati.
Finale assolutamente non convenzionale ed esplosivo.
La doppia identità dell'assassino, e di come egli se la procuri, è un atto di genio.
In conclusione, un romanzo bellissimo.

Pietro De Palma

giovedì 19 marzo 2020

Un “born writer”: Rufus King. Invenzioni, stile e rapporti con la letteratura di genere coeva


Rufus King (1893-1966) fu un romanziere molto attivo dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’50 inizio ’60, pur facendo tutto sommato vita ritirata: in vita, nulla di lui si sapeva molto, all’infuori del fatto che vivesse “nella parte rurale dello Stato di New York, che fosse single, e che ogni anno avesse problemi a causa della neve”[1], tant’è vero che si “fece una villa” a Miami; del resto proprio a Miami ambientò alcune delle sue storie.
Altra cosa che si sa è che avesse studiato a Yale[2], che nel 1916 si laureò e che si arruolò proprio in quell’anno per la Grande  Guerra e che dopo di essa lavorò per del tempo come operatore radio sulle navi
Oggi è molto poco conosciuto e i suoi romanzi vengono di rado pubblicati, ma al tempo fu molto noto: era un fine esponente di quella scuola di scrittori americani (anche J.D.Carr, Mignon Eberhart) che non volevano rinunciare alla scuola di giallo all’inglese, in favore invece della “scuola dei duri”, nata in ambiente americano.
In Italia è stato un autore, pubblicato parecchio negli anni ’30 – ’40 e ’50, e meno dopo: infatti, parecchi dei romanzi pubblicati soprattutto da Mondadori, risalgono a questi anni. Solo in pochissimi casi, altre case editrici si son cimentate in romanzi di Rufus King : tra queste, la Casa Editrice Martello con I Gialli del Veliero : “Il colombo della morte” (The Deadly Dove, 1945); la Italedit di Cremona che pubblicò “Intervallo Tragico”: questa pubblicazione, ricavabile tramite ricerca OPAC, è disponibile solo presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, ma non si ricava da alcun indizio, il suo titolo d’origine[3]; e i Gialli del Secolo di Gherardo Casini Editore.
I rapporti tra il mondo dell’editoria italiana e Rufus King, possono essere inquadrati dal carteggio assai interessante  tra un famoso traduttore degli anni trenta, Mario Benzing, e la casa Editrice Bemporad[4] .
Mario Benzing, fine traduttore, di origine tedesca, di moltissime opere di narrativa straniera in Italia, che aveva già intrattenuto rapporti con la Bemporad per altri romanzi, il 9 maggio 1933, scriveva:
“..Mi permetto d’informarvi che ho ottenuto l’esclusività per la traduzione delle opere  di Rufus King, giovane scrittore americano veramente eccezionale […]. Non soltanto incuriosisce, come Wallace e Van Dine, ma anche interessa: i suoi personaggi sono vivi, studiati, e i suoi casi anche psicologici, profondamente umani. Tutti casi circoscritti, a campo chiuso: uno yacht, una famiglia, una casa; e sono i casi più efficaci del genere e insieme anche i più difficili a congegnare con rispetto al buon senso, e a sostenere senza borra per trecento pagine. Si svolgono negli ambienti dell’aristocrazia americana, che il King conosce a fondo; e li risolve il detective Valcour, della polizia di Nuova York, uno specialista di quegli ambienti, che sa cercare indizi anche nei meandri delle anime. Per la cessione dei diritti di traduzione, Rufus King chiede soltanto L. 800  per  romanzo. La serie Valcour si compone di dieci romanzi, naturalmente indipendenti”.
Faccio notare due cose: la prima è che la serie completa con personaggio principale Valcour è di undici romanzi; la seconda, ancor più interessante, riguarda la data  riportata nel carteggio: infatti,  se non è sbagliata, dovremmo dedurne che Rufus King aveva in mente già la serie o gran parte di essa oppure l’aveva già scritta e attendeva la pubblicazione di ciascun romanzo: non potremmo infatti altrimenti comprendere come il Nostro parlasse di una serie di dieci romanzi con protagonista Valcour, (per bocca di Benzing) quando a quell’anno, 1933, di romanzi con protagonista il Tenente Valcour, ne erano usciti solo sei; gli altri quattro (Benzing parla di una serie di dieci) sarebbero usciti posteriormente: The Lesser-Antilles Case, 1934 – Profile of a Murder, 1935 – The Case of the Constant God, 1936 – Crime of Violence, 1937; infine, l’undicesimo, Murder Masks Miami, sarebbe uscito nel 1939.[5]  Quello che possiamo evincere è che Benzing volesse proporre alla Bemporad quello che per lui era un affare: Rufus King chiedeva allora solo 800 lire per ognuno dei suoi romanzi (compenso deducibile in caso di forfait, come affermato in altro passo) molto noti oltre oceano: si accontentava di poco o era solo molto modesto? Fatto sta che la Bemporad rifiutò il 12 maggio la proposta: “..Non conosciamo affatto questo autore. D’altronde abbiamo già una riserva di libri di questo genere per le nostre collezioni, fra gli altri tutti i più recenti volumi del celebre autore inglese Oppenheim”.
Allora Benzing rinnovò la proposta con altre argomentazioni: cercò di forzare l’assenso della controparte facendo riferimento al fatto che delle case editrici italiane fossero interessate alla pubblicazione dei romanzi di R.King: “..la Libri X sta per pubblicare Sangue a bordo di uno yacht..”; e il 20 maggio inviò, all’editore, l’edizione americana di Murder in the Willett family, mentre  il 1° giugno fu la volta di Valcour meets murder. La Bemporad rinviò ogni decisione al futuro pur riconoscendo la validità dei romanzi proposti, ma.. non se ne fece nulla , nonostante lo stesso traduttore ricordasse che altri editori erano in contatto e trattativa con gli agenti dello scrittore. In Mondadori, “Delitto sullo yacht” (trad. di Matilde Fanno) uscì nel 1936, e “L’agguato” (tit. orig. Valcour meets murder; trad. di Cesare Giardini), nel 1937; mentre “Delitto in casa Willett” (trad. di Carla Merlo) uscirà solo nel 1975.

Normalmente Rufus King viene incluso nei seguaci di Van Dine, come Ellery Queen e Anthony Abbot (molto noti agli amanti del giallo in Italia, grazie alle numerose pubblicazioni soprattutto Mondadori), o come C.Daly King o il primissimo Rex Stout o Dorothy Stockbridge Tillett (John Strange) o Rufus Gillmore[6] o Clyde B.Clason, ma secondo noi questa è una forzatura: innanzitutto perché il suo primo detective, Reginald De Puyster, ricercatissimo e ricchissimo dandy, pur essendo molto simile al Philo Vance di Van Dine, ebbe vita letteraria breve ( anche se la caratterizzazione di personaggi molto ricercati, esteti, venne spostata da Rufus King su personaggi secondari: tra questi Dumarque di Murder by Latitude, e Roy di The Lesser-Antiller Case, e altri presenti altrove: il grande critico americano Mike Grost ha parlato di una caratterizzazione basata su personaggi gay[7]); e in secondo luogo per il motivo che, diversamente dai detectives tipicamente vandiniani (Ellery Queen, Philo Vance, Tatcher Colt, Michael Lord), il suo personaggio principale, il Tenente Valcour non è molto interessato all’indagine vera e propria[8]. Che sia così o no, è certo tuttavia che Rufus King, dopo l’esperienza dei racconti con De Puyster, creò un altro detective molto più umano, non il superuomo dei primi tempi: il Tenente Valcour che fece esordire in quello che è ricordato come uno dei romanzi migliori: Murder by the Clock (1929)[9]. Tale romanzo apparve nel 1928 sotto forma di magazine, per poi venir pubblicato successivamente come libro nell’anno successivo.Già tuttavia il primo romanzo della serie, definì alcuni caratteri identificativi di parecchi romanzi di R.King: un inizio spettacolare, e la detection classica che poi mano a mano tende a sconfinare nel thrilling.
Mike Grost ritiene che abbia influenzato pesantemente il primo romanzo della coppia di cugini Dannay & Lee, noti per la firma che diventò un marchio internazionalmente riconosciuto e apprezzato: Ellery Queen:
“Rufus King’s first Lt. Valcour novel, Murder by the Clock,had a simple plot idea involving men’s hats…It is possible that EQ used King’s work as a jumping off point and subsequent works. One wonders if the name “Rufus King” affected EQ’s choice of the pseudonym Ellery Queen”.
In altre parole secondo lui, il nominativo Ellery Queen (Queen = Regina) sarebbe stato influenzato dal successo di Rufus King (King = Re)con Murder by the Clock (pubblicato in Mondadori col titolo “Notte d’orgasmo”: CGM 296 e ripubblicato qualche anno fa da Polillo con il titolo “Il corpo nell’armadio” ne I Bassotti), un romanzo in cui il plot del cappello, viene ripreso in “The Roman Hat Mystery” di Ellery Queen e trasformato in idea base per un immaginifico romanzo; il rapporto REGINA-RE potrebbe significare oltre che una filiazione, anche il riconoscimento del fatto che King, nel tempo in cui uscì “La poltrona n.30”, fosse più importante di Queen o comunque i due cugini lo ritenessero tale.
E’ bene dire tuttavia che Rufus King ottenne un notevole successo all’epoca più per altri motivi che per il fatto di essere un seguace, diremmo un po’ atipico, di Van Dine: Rufus King infatti, avendo per del tempo lavorato come operatore radio su bastimenti, riportò questa ambientazione marinara in molti dei suoi romanzi: Murder By Latitude (1930) tradotto ne I libri Gialli n.131 con  “Il Dramma del Florida” o The Lesser-Antiller Case (1934) tradotto anche lui ne I Libri Gialli n.177 con  “La prova in fondo al mare”, o ancora  Murder On The Yacht (1931) tradotto nel 2001 in CGM 899 con il titolo “Crociera tragica”, son tutti romanzi che propongono quasta falsa riga. E’ da menzionare il fatto che qualche tempo prima che avesse cominciato la sua attività di romanziere, Rufus King avesse scritto la storia originale di “The Silent Command”, un film del 1923 diretto da J.Gordon Edwards ed interpretato da Bela Lugosi: la scena finale avveniva su una nave durante una tempesta
La ragione tuttavia è anche di tipo psicologico-descrittivo: Rufus King teneva molto alla descrizione dei personaggi e alle atmosfere; e concentrare l’azione in uno spazio chiuso (le navi per così dire sono degli ampliamenti di una Camera Chiusa), gli dava la possibilità di enfatizzare il dramma e l’angoscia mutevole delle situazioni e dei personaggi, dinanzi alla immobilità del mare, con un effetto di contrasto assai efficace. Va detto anche, peraltro, che l’elemento liquido (che fosse il mare nei suoi vari stati: calmo, in tempesta, agitato; le nebbie pungenti; gli scosci di pioggia; le burrasche) veniva associato di volta in volta a determinati stati psicologici o processi mentali dei personaggi o a determinati passi dei romanzi, creando effetti drammatici di grande effetto. Un esempio?
“Il rubinetto non era stato chiuso bene, e gocce d’acqua cadevano lentamente nell’acquaio; la piog­gia non smetteva di frustare i vetri, accompagnata dal vento che fischiava tra gli alberi. La casa pareva piena di mormoni. Valcour, guardando la porta della sala da pranzo, pensava: “Sono loro che mormorano; stanno lì, dietro quella porta, raggruppati intorno al caminetto, vicino al cadavere di Belding” (Rufus King, Valcour Meets Murder, “L’Agguato”, I Classici del Giallo Mondadori N° 190, pag.24).
Del resto questo artificio stilistico non è presente solo nei romanzi: senza affrontare in modo sbrigativo un discorso circa i racconti di King (che potrebbero essere trattati in un prossimo futuro), basterà dire che Rufus King scrisse, oltre alla commedia gialla in tre atti I Want a Policeman (scritta assieme a Milton Lazarus, nel 1936), parecchi racconti, raccolti in varie serie: la prima “Diagnosis: Murder” comprende racconti scritti dal 1939 al 1941, e chiamano in causa un nuovo protagonista, il dottor Colin Starr, che deve di volta in volta risolvere casi di omicidio applicando i metodi, utilizzati anche da altri illustri investigatori (es. il Dottor Thorndyke di Freeman o Miss Pinkerton della Rinehart); poi in seguito furono scritti altri racconti raccolti in Malice in Wonderland, The Steps To Murder, The Face of Danger, e infine in Uncollected Short Stories, in cui appaiono altri protagonisti: Chief Bill Duggan che compare nella raccolta Malice in Wonderland, e Stuff Driscoll che compare nelle altre.
Proprio in Malice in Wonderland[10], troviamo il racconto “Miami Papers Please Copy” (1956): esso è ricco di richiami immaginari di King legati ai liquidi: acqua, bevande, fluidi, oltre che di metafore legate agli stati metereologici.
Il marchio di fabbrica di Rufus King è la presenza di un’altissima tensione nei suoi romanzi: di solito, King annuncia un certo fatto, potremmo dire pone le condizioni del verificarsi di una certa condizione e poi la segue passo passo. Ad esempio,  in La prova in fondo al mare, la Signorina Hash dichiara di avere dei sospetti e che solo la mattina successiva, dopo aver raccolto tutte le note, potrà confidare al Tenente Valcour i suoi pensieri; Valcour decide di farla sorvegliare da una poliziotta durante la notte: questa è la condizione del verificarsi di qualcosa, perché teme un attentato. Infatti…“Signorina Fenton volete chiudere la porta..?…Signorina Fenton? Ma Louis non si mosse. La signorina Hash guardò più attentamente Louis…Un orribile brivido la percorse…questa volta gridò forte: signorina Fenton! Niente. ..La signorina Hash si alzò spaventata e si diresse verso l’ingresso della biblioteca.Posò una mano tremante sul braccio muscoloso di louis e la scosse..questa..si abbandonò come una massa inerte su pavimento”. Ecco la tensione che aumenta: quanto si temeva che accadesse è avvenuto. E ora.. “La signorina Hash sentì il sangue gelarsi nelle sue vene.. il corridoio, illuminato da una luce vivida e fredda, era deserto..-Dite un po’ Signorina Hash..La voce era calma..sembrava giungere dalla sala da fumo..la porta era socchiusa..-Non muovetevi signorina Hash! Ho qualcosa da dirvi..”.
Ecco materializzarsi la minaccia: “..immaginava la canna di una rivoltella puntata su di lei..forse munita di silenziatore..aveva la gola secca..un sudore gelido l’inondava” (Rufus King, La prova in fondo al mare, I Capolavori del Giallo Mondadori, n.51 del 3 ottobre 1956, pagg. 78-79).
Altra esemplificazione della maestria di King nel suscitare paura e suspence? Un passo del già citato Valcour Meets Murder, può bastare a renderla palese:
“Neppure un soffio; nessun respiro. Ci sono persone che dormono cosi, da parer morte. Jane si mise supina e allungò la mano destra per toccare la sua compagna. Le sue dita si richiusero sul lato destro del letto, tutto il suo braccio sentì la freschezza della coperta. Il letto era vuoto. Jane lasciò il braccio abbandonato sulla coperta fresca. Il suo cuore cessò, di battere. Si sforzò di farsi un’idea chiara della situazione, di concentrarsi: la lampada si trovava sul cassettone, con la scatola dei cerini; scendendo dal letto da sinistra sarebbe stata co­stretta a girare intorno al letto stesso per arrivare al cassettone… ma se fosse scesa da destra, le molle avrebbero fatto rumore… in quell’oscurità totale e silenziosa. Meglio, dunque, scendere da sinistra. Scendere dal letto, mettere i piedi in tutto quel nero… scendere nella morte. Ne era certa, sentiva la morte aggirarsi nell’ombra, spettro impaziente, silenzioso che rendeva più denso il vuoto assoluto della stanza. Pensò: “La morte mi prende per Linda”. E l’udì.
La s’udiva molto distintamente quando ci s’era abituati al suono. I suoi occhi appesantiti dal terrore volsero lentamente lo sguardo verso il punto da cui veniva il suono. Era vicino… vicinissimo al letto… all’altezza del polso d’un uomo d’alta statura… il quadrante luminoso d’un orologio da polso che si avvicinava lentamente col suo ticchet­tio…” (Rufus King, op. cit., pagg. 39-40).
Il dubbio non è ancora del tutto dissipato? Un’ultima esemplificazione, credo, chiarirà definitivamente il concetto:
“Risalì di corsa la scaletta del capanno e guardò al di­sopra della porta.
— Robert? — sussurrò.
Nel tenue chiarore della notte, vide la sagoma scura di un corpo maschile. Spinse la porticina e avanzò verso il punto dove lui stava sdraiato sul tetto del capanno.
Era proprio Robert. Lola gli s’inginocchiò accanto e sentì un forte odore di rum. Si diede della stupida, ma non c’era nulla da fare. Ogni volta che si trovava vicino a lui, si sentiva travolta da quell’ondata d’amore che soffocava il suo buon senso e la faceva deviare da quel cammino della praticità che si era tracciata per l’avveni­re.
Alzò il capo e guardò le stelle. Si diceva che non do­veva fare la sciocca e che, se avesse ceduto sposando Robert prima che sua zia morisse, avrebbe finito col condurre quella vita monotona e opprimente alla quale cercava proprio di sfuggire.
Un rumore risuonò alle sue spalle, nonostante il ven­to e la voce del mare. Era il cancelletto che cigolava. Una scarpa strusciò lievemente sull’assito. La paura tar­dò a venire, poi l’attanagliò con violenza mentre lei si voltava e scorgeva un’ombra scura, voluminosa, immo­bile vicino alla porta.
Lola domandò con voce aspra: — Chi siete? Che vo­lete?
L’ombra avanzò verso di lei, ingigantendo come una nube che oscurasse il ciclo. La ragazza tentò nuovamen­te di parlare, ma all’improvviso si sentì afferrare alla go­la. Quelle dita le facevano male, le impedivano di emet­tere il più piccolo suono. Ora, ai suoi occhi stralunati, il ciclo appariva squar­ciato da lampi.
Era l’una e un quarto di lunedì mattina, 6 gennaio. Poi, per tre quarti d’ora, il silenzio regnò nella notte.”(Rufus King, Murder Masks Miami, “Le tre parrucche”, I Classici del Giallo Mondadori N° 463, pagg. 18-19).
Questa tensione è presente in tutti i romanzi di King e bastò a farlo desiderare anche dal cinema: non è un caso se una sua novella,  fu sceneggiata (e trasformata) diventando uno dei successi del tempo sotto la regia di Fritz Lang: Secret beyond the Door “Dietro La Porta Chiusa”, 1948; anche se il film, pur mutando la trama e i personaggi, lasciò il taglio secco e psicanalitico del romanzo di Rufus King, che è bene dirlo  si provò in altra occasione col cinema: precedentemente infatti col produttore Earl Carroll aveva scritto, nel 1933,  la commedia musicale gialla “Murder At The Vanities”, interpretata a teatro da Bela Lugosi[11].
Per quanto attiene al percorso creativo dei romanzi, potremmo definire grosso modo due periodi: un primo periodo che più o meno intercorre dal 1926 al 1940 in cui i romanzi sono originali e tendono ad influenzare altri scrittori; ed un secondo che va dal 1941 in poi, in cui si viene a verificare il contrario.
L’importanza di Rufus King, autore troppo dimenticato, risiede anche nell’essere un “born writer”, uno scrittore nato: i suoi dialoghi sono vividi, e le storie sono ricche di colori e di invenzioni. Normalmente lo si ritiene un autore nella scia di Van Dine, ma solo perché Van Dine fece scuola: in realtà Rufus King non venne dopo di lui ma invece materializzò le sue storie nel momento in cui arrivava Van Dine col suo Philo Vance. In altre parole, Philo Vance e Reginald De Puyster sarebbero nati insieme: sono tutti e due dei dandy, ricchissimi, coltissimi e formidabili solutori di plot immaginifici. Il fatto è che mentre Reginald De Puyster è il protagonista di poche “short stories”, Philo Vance è stato il protagonista di molti romanzi e quindi ha influenzato il genere e in particolare gli autori americani del tempo, più di quanto sia potuto accadere con il De Puyster di Rufus King. Tuttavia va dato menzione che, se la notizia che ho estrapolato da un database americano fosse vera[12], il Nostro avrebbe anticipato S.S.Van Dine e neanche sarebbe arrivato contemporaneamente: infatti, “The Man Who Didn’t Exist”[13] sarebbe uscito sul Flinn’s Magazine l’11 luglio del 1925 e siccome la pubblicazione del primo Van Dine “Il caso Benson” risale al 1926, in questo caso la storia del giallo potrebbe subire un colpo.
E quindi potremmo affermare che Rufus King possa esser stato l’esempio per il primo Ellery Queen e può aver influenzato la scelta del detective di S.S. Van Dine[14] ma, cosa per me ancor più interessante, Rufus King può aver influenzato anche Jonathan Latimer.
Rufus King, nel 1940 pubblicò Holiday Homicide, pubblicato in Italia col titolo “Omicidio a Capodanno” (CGM 754). E’ un gran bel romanzo, con un discreto plot, che tuttavia denuncia la sua debolezza,nel modo con cui viene individuato il colpevole, cioè in base all’intuito del protagonista senza che il lettore possa averne coscienza; nonostante ciò il romanzo, pur essendo un pastiche stoutiano, è assai ben scritto, con delle descrizioni notevoli, ed una trama accattivante.
Il romanzo si impone per l’entrata di un nuovo protagonista, Cotton Moon, un ricco investigatore che spende tutti i suoi soldi alla ricerca di noci rare, e del suo assistente-segretario Bert Stanley e che è seguito da un cuoco espertissimo, “Walter..il cuoco del Conchiglia e, insieme ad altre cose, Moon se lo prese nel Madagascar” (Holiday Homicide, “Omicidio a Capodanno”, I Classici del Giallo Mondadori, N° 754, pag. 6): è chiaro che in questo caso Rufus King ha creato un personaggio rifacendosi a Nero Wolfe, al suo segretario-assistente Archie Goodwin, e al cuoco svizzero Fritz Brenner; e già in questo romanzo, Rufus King comincia a denunciare l’influsso di altri giallisti: in sostanza comincia a perdere di originalità (anche se il pastiche è scritto con un non so che di umoristico che rende la storia assai godibile).
Purtuttavia in seguito, vi saranno altre combinazioni di  Thriller e mistero : The Case of the Dowager’s Etchings ,1943  in cui denuncia il pesante influsso di Mary Roberts Rinehart e del suo The Circular Staircase, “La scala a chiocciola”; TheDeadly Dove, 1945, che mostra un similare forte influsso della Rinehart (la storia ricorda la riduzione teatrale di The Bat della Rinehart): non a caso si tratta di una dark comedy, con un plot inesistente o quasi, e con una buona dose di thrilling, come per la caratterizzazione della Rinehart: inoltre, se si osserva bene, la somiglianza è denunciata anche dal nome del killer, che nel piece teatrale della Rinehart assume il nome “Il Pipistrello”, The Bat, mentre nel romanzo di R. King, si chiama “Il Colombo”, The Dove; The Faces of Danger,1960 in cui denuncia un certo influsso da Ellery Queen, pur avendo un approccio molto simile a The Case of the Dowager’s Etchings: insieme di thriller e mystery,un che di commedia nera, e anche accenni di intrighi internazionali: non a caso The Case of the Dowager’s Etchings fu scritto e pubblicato durante la Seconda Guerra Mondiale. E infine, in Design in Evil, 1942 (pubblicato in Italia col titolo “Il fantasma e Myriam Lake”), che è un discreto romanzo in cui abbandona la forma della Detective Novel (per l’ultima volta adottata in Holiday Homicide) e in cui Rufus King, invece, adotta un espediente tradizionale già utilizzato da altri, per es. in Dance of Death (di Helen McCloy, 1938), quello cioè di una“Innocent young woman forced into a new identity”. Altro giallista che aveva affrontato questo tema era stato precedentemente Anthony Gilbert in “The Woman in Red”[15].
Analizziamo in particolare Holiday Homicide : è un romanzo in cui, più volte, Rufus King sdrammatizza l’azione con trovate umoristiche: per es. Cotton Moon, l’investigatore che vien qui fatto esordire, vien fatto oggetto di attenzioni, lanciandogli una noce di sapucaia che lo colpisce in mezzo alla fronte: a lanciarla è stato un tale che, a bordo dell’Aliseo, un lussuoso panfilo ancorato vicino a La conchiglia, lo yacht di Cotton Moon, vuole richiamare la sua attenzione. Infatti c’è stato  un omicidio a bordo e teme che ad essere accusato della morte sia lui:
“Andammo al parapetto di destra per guardar giù. La voce ap­parteneva a un giovanotto abbastanza ben fatto, drappeggiato in una vestaglia di lana trapuntata, che me ne rammentò un’altra, vi­sta di recente in un negozio centrale, con segnato il prezzo di centoventicinque dollari. Sotto aveva un pigiama di seta pesante,
d’un violento colore giallo, e ai piedi non aveva altro che quelle sottili pantofole di pelle, chiuse in una busta, che le zie vi regala­no a Natale per usarle in viaggio. Sembrava assolutamente igna­ro del fatto che la banchina era ricoperta da parecchi centimetri di neve bagnata e che la temperatura era al disotto dello zero.
— Non ha mai preso in considerazione la polmonite? — gli chiese Moon.
— Perché no? Forse conviene di più l’acqua di fiume?
— È esclusivamente questione di punti di vista. Ma questa è proprio la più bella mattina dell’anno. Perché morire?
Gli suggerii di far preparare da Walter uno dei suoi tonici a ba­se di uova crude affogate in una salsa fatta con pepe di Caienna e cognac, ma Moon mi fece segno di star quieto e capii allora che si trattava di un problema più grave che non i postumi di un’u­briacatura, se pure ce ne può essere uno.
— Non ho voglia di morire, a meno di esservi costretto — dis­se il giovane disperato — ma c’è una magnifica possibilità che il capo di Sing-Sing mandi in giro gli inviti in occasione della mia morte, ed è un metodo di andarmene dalla vita che non mi attira. Ma dove sono mai tutti i poliziotti di questa città?
— Staranno cercando di sopravvivere alla veglia di stanotte per la fine dell’anno vecchio. Perché?
— Perché McRoss ha chiamato la polizia un quarto d’ora fa e non è successo nulla. McRoss è, anzi era, il segretario di Jettwick. Jettwick è morto. Qualcuno gli ha sparato ieri sera e lo ha ucciso. Sono il suo figliastro, e anche suo nipote, a piacer vo­stro. A me non piace nessuna delle due cose.
— Venga a bordo, signor Jettwick. È assurdo questo scherzare così con la polmonite. — Moon si voltò verso di me e disse: — Dei grog energici, per piacere, Bert, nella sala. Di’ a Walter di metterci del rum Demerara.
Riuscii a scovare Walter, che nella cucina di bordo si sorbiva un caffè, e gli diedi l’ordine. Ci voleva per ognuno una zolletta di zucchero, un bicchierino di rum Demerara, un mezzo cucchiaino di spezie e acqua bollente a volontà. È così che piacciono a Moon”(Rufus King, Holiday Homicide, “Omicidio a Capodanno” I Classici del Giallo Mondadori N° 754, pagg.6-7) .
Una cassetta ermetica con dei documenti è sparita: dove mai sarà andata a finire? E per ritrovarla  viene impiegato un palombaro. Si badi bene: un palombaro.
Facciamo un salto indietro: nel 1935 Jonathan Latimer, giornalista di cronaca nera, che non disdegna di avere contatti persino con Al Capone, e si fa presto valere per le sue indubbie doti di scrittore, tanto da firmare i discorsi di Harold Ickes pubblica il suo primo romanzo : Headed for a Hearse, “Destinazione: Sedia elettrica”. E’ una rivelazione: Latimer si afferma come anche scrittore di talento, mischiando elementi del genere Hard-Boiled con elementi del Giallo Classico, e creando un’opera di indubbio valore, e diremmo noi anche geniale. Latimer tuttavia non confeziona un romanzo del tutto originale, ma contraddistinguendosi come geniale riutilizzatore di trame, utilizza secondo noi, procedimenti di altri. In un certo senso molto più tardi copierà se stesso: ma questa del resto è sempre la storia di chi, avendo scritto molto in vita, quando è in età avanzata, più che inventare qualcosa di nuovo, tende a riutilizzare quanto ha scritto da giovane, magari presentandolo sotto altra forma.
La trama è quella di un avviato agente di borsa, Robert Westland che viene accusato, diremmo incastrato, e condannato a morte: la sua unica speranza risiede nell’opera di un investigatore privato, William Crane.
Il romanzo incomincia in un modo se non spettacolare, certamente inusuale: un uomo rinchiuso nella sua cella, nel braccio della morte, attende la sua esecuzione per un delitto che non ha commesso:
“Nella cella di destra, un uomo piangeva ancora. Era ormai il tramonto, e lui piangeva da mezzogiorno.Piangeva adagio, con brevi singhiozzi insistenti e strazianti, senza speranza e senza convinzione, come un bambino atterrito nella notte. Nella penombra della sua cella, nella casa della morte, Robert Westland lo ascoltava…Le tenebre si andavano facendo rapidamente più fitte” (Jonathan Latimer, Headed for a Hearse, “Destinazione: sedia elettrica”, I Classici del Giallo Mondadori N° 726, già Le 3 Scimmiette Garzanti, pag. 5, traduz. Bruno Tasso ).
Già nell’esordio troviamo un primo punto di contatto tra i romanzi dei due scrittori: Robert Westland è in attesa a Sing-Sing di essere giustiziato sulla sedia elettrica, Bruce Jettwick ha tutte le carte in regola per essere accusato di omicidio di primo grado e finire la sua vita friggendo sulla sedia elettrica a Sing-Sing.
Robert Westland è stato accusato per la morte della sua ex-moglie Joan, trovata in casa uccisa da un colpo di rivoltella: la porta era chiusa a chiave, la donna era stata uccisa con un proiettile nella nuca, e la pistola non era stata trovata. L’unico che avesse le altre chiavi della porta d’ingresso era lui, e le chiavi della moglie son state trovate dentro la casa. Come si vede, si tratta, a ben vedere di una Camera Chiusa, un po’ inusuale: si è tentati a pensare che non lo sia, perché l’accusa ha dimostrato che non poteva essere altri che proprio Westland ad aprire la porta e a rinchiuderla con le proprie chiavi, e anche se la pistola non viene trovata, tuttavia il calibro è quello di una Webley automatica, di proprietà dell’agente di borsa. Ma alla fine si dimostrerà che in un certo senso era proprio una camera chiusa, ed il come le chiavi possano esser ritrovate dentro una casa chiusa, risale almeno a Chesterton : The wrong shape, “La forma sbagliata”, uno dei racconti della raccolta The Innocence of Father Brown ,“L’innocenza di Padre Brown”, in cui il pugnale che viene trovato infisso nel petto del cadavere, prima non c’era. Tacciamo sull’identità del vero colpevole, per non togliere il piacere a chi vuole di gustarsi questo splendido romanzo (e anche il meraviglioso racconto chestertoniano) e soprattutto il pirotecnico finale, che sembra quasi preso da Agatha Christie, per le verità nascoste e rivelate solo alla fine.
Fatto sta che la pistola di Crane verrà ritrovata nel fiume: Crane studia il punto in cui può esser stato lanciato da una macchina qualcosa nel fiume senza destare sospetti in chi fosse passato in quel momento per strada, e poi ripete la stessa azione, buttando una chiave inglese nel punto del fiume in cui crede ci sia anche dell’altro e.. a chi decide di ricorrere per dragare il fiume?
“Il palombaro si chiamava Peter Finnegan. Indossava lo scafan­dro con le scarpe di piombo. Guardò Crane con i suoi òcchi di un azzurro slavato e disse: — Volete che mi immerga per recuperare la chiave inglese?. Crane disse: — Voglio che riportiate alla superficie tutti quegli oggetti d’acciaio che riuscirete a ritrovare. Chiavi inglesi o qualsiasi altra cosa…” (Jonathan Latimer, op. cit., pagg. 148-149)
Proprio così: ricorre ad un palombaro. Ora riandiamo al romanzo di Rufus King, a “Omicidio a Capodanno”:
“Ormai anche il giovanotto del comando di polizia aveva af­frontato il vento ed era salito a bordo. Ci raggiunse: — Brutta giornata, signor Moon — osservò.
— Sì, vero?
— Sono Duffy, della squadra omicidi.
— Come sta, signor Duffy? Conosce il mio segretario, Bert Stanley?
— No.
— Il signor Duffy, il signor Stanley.
Il signor Duffy e il signor Stanley si strinsero i guanti. ..Si sarebbe quasi potuto ritrovare il capitolo sul “Modo di avvi­cinarsi alle persone” nel manuale, da cui era venuto fuori questo genere di chiacchiere (“ammansite-la-vostra-vittima-prima-di-assalirla”).
Bene, poiché presumibilmente Moon era stato pienamente am­mansilo, quel giovane di belle speranze iniziò l’attacco. Fece un cenno vago verso il rimorchiatore e disse: — Si direbbe che ci sia un palombaro.
— Già.
— Fa fare un’immersione, signor Moon?
— Pensavo di farlo.
— Qui?
— Qui.
— E perché?
— Qui lo voglio, signor Duffy. Non lo so.
— Possibile?
— Voglio dire che non lo so, nel senso che quell’uomo s’im­mergerà semplicemente per un tentativo di scoprire qualche indi­zio..
— E quale, per esempio?
Moon fu abilissimo nel prendere un’aria leggermente tediata e imbarazzata. Gli avrei dato il mio voto per un primo premio qua­le attore.
— Signor Duffy, non ho nessuna ragione per non essere per­fettamente franco con lei — disse (Dio aiuti il signor Duffy, pen­sai io). — Non risparmiamo nessuna spesa né alcuno sforzo per cercare di mettere sicuramente in luce l’innocenza del nostro cliente.
— E con questo?
— Una delle prove testimoniali che, secondo me, scagionerà completamente Bruce è la pistola del delitto. Si ritroverà il possessore della pistola, e il vero colpevole sarà arrestato. Fino­ra la polizia non è stata in grado di ritrovare l’arma. Ho preso un palombaro per scandagliare il letto del fiume nelle vicinanze del luogo del delitto. Signor Duffy, lei ne può trarre le sue conclu­sioni.
Se Duffy avesse avuto un razzo acceso nella tasca posteriore dei pantaloni, non avrebbe lasciato più in fretta YAliseo.
Bella roba — dissi, persuaso di quello che dicevo. — Tra dieci minuti farà venire qui tutta la polizia del porto.
— È quello che voglio.
— È impazzito?
— Sì. Mi ero accorto di quell’uomo dopo colazione, prima di scendere in cabina. Sapevo che inevitabilmente avremmo dovuto fare i conti con la polizia.
— Ma io ho il mio piano…
— Sono certo che coinciderà con il mio. Ricordati, Bert, che nulla rende un cane meno attento a quanto gli accade intorno di un buon osso con un po’ di carne attorno, che gli viene gettato da mordere.
—Eccellente idea. Ma dov’è l’osso?”(Rufus King, Holiday Homicide, “Omicidio a Capodanno”, I Classici del Giallo Mondadori N° 754, pagg. 68-69).
L’osso è una pistola che possiede Cotton Moon, un ferrovecchio, che tiene un attimo in acqua fuori dal bordo dell’imbarcazione, perché appaia gocciolante, che viene consegnata “zelantemente” al gabbato poliziotto:
“Ce la svignammo in un modo meraviglioso. Harry Lochbittern ci staccò senza rumore dal rimorchiatore, i due motori presero a vibrare, e con la stessa gentilezza di un fiocco di neve allargam­mo lo specchio d’acqua che ci divideva dalle due imbarcazioni della polizia. ..S’accorsero che ce ne eravamo andati quando la neve che ca­deva aveva ormai reso confusa la nostra immagine, e in quel mo­mento già facevamo le nostre sessanta miglia, e nessuno avrebbe potuto raggiungerci. Moon non aveva bisogno di dirmi nulla, quanto alla pistola. Era un ferrovecchio che gli era stato regalato da un ammiratore di Melbourne. Avevo visto benissimo quando Moon se l’era sfilata dalla tasca del soprabito e l’aveva tenuta in acqua fuori del motoscafo, in modo che apparisse tutta bagnata quando avesse finto di staccarla dal gancio.
Svitai il coperchio del thermos e offrii da bere a tutti quanti. Walter si era comportato bene. Il rum era bollente, aromatizzato a dovere e veramente buono.”(Rufus King, op. cit., pag.73).
Rufus King ha copiato Latimer come già aveva preso qualcosa da Rex Stout? Notiamo che nel passo di rufus King non c’è solo la scena col palombaro, ma che il palombaro “apparentemente” trova anche una pistola; e nel passo del romanzo di Latimer ci sono entrambi, palombaro e pistola.
Intanto Rex Stout aveva lasciato il segno nell’editoria poliziesca del tempo, ed anche Hugh Pentecost un anno dopo L’Holiday Homicide di Rufus King, provò a rifarsi a Nero Wolfe e Archie Goodwin con 2 romanzi accattivanti: Odds on the Hot Seat (1940-1941) and The Fourteenth Trump (1942).
Non ci si provò quindi solo King ma anche altri. Fatto sta che parrebbe che Rufus King si fosse rifatto a Rex Stout e come a lui anche a Latimer : faccio notare che come il titolo originale americano di “Destinazione: Sedia Elettrica” sia dato sostanzialmente da due parole che cominciano per H : Headed for a Hearse, anche il romanzo di Rufus King presenta la stessa curiosa caratteristica: Holiday Homicide. Solo un caso?
Parrebbe quindi che Rufus King avesse preso da Latimer, se tuttavia non vi fosse dell’altro: infatti ben prima che fosse uscito “Destinazione:Sedia Elettrica”(pubblicato come abbiamo detto nel 1935), Rufus King aveva pubblicato il suo The Lesser-Antilles Case. Il romanzo, noto in Italia col titolo “La prova in fondo al mare”, era stato pubblicato un anno prima, nel 1934. Ecco un significativo brano, estratto dal Cap.XX “Predizione sinistra”:
“Lo scafandro che la signori­na Whitestone aveva procura­to per mezzo dei signori Wor­thington Worthington e Pice era un modello americano dotato dei più recenti perfezionamenti. Consisteva in una pompa ad aria a tre cilindri e un pistone, che conveniva a qualunque ge­nere di immersione, di un casco e di una corazza di rame (il ca­sco era munito di vetri fissati in cornici di metallo; quello di­nanzi, a cerniera, si poteva rial­zare; i vetri laterali, contraria­mente a certi tipi, non erano protetti da sbarre metalliche trasversali). Cerano, poi, un paio di stivali con la suola di piombo, i pesi per la schiena e per il petto e un tubo per l’aria, pieghevole e di una so­lidità a tutta prova.
La signorina Whitestone non aveva badato a spese, non ave­va esitato ad aggiungere al­lo scafandro un apparecchio telefonico composto di un cavo che serviva per i segnali del pa­lombaro e gli permetteva di ri­manere in comunicazione co­stante con la superficie.
Così il tenente Valcour avrebbe potuto dirigere perso­nalmente le ricerche nel rotta­me in fondo al mare. Questo sistema offriva anche il van­taggio di permettere al palom­baro di comunicare a Valcour le sue scoperte man mano che le faceva.
Tutto l’equipaggiamento era stato disposto con cura sul se­condo ponte, in una cabina chiusa a chiave.
Il palombaro, che era stato fornito anche lui dai signori Worthington Worthington e Pi­ce, era un uomo d’aspetto giovanile a nome Arthur Stumpf, molto agguerrito contro gli incerti del mestiere, nonostante la sua apparenza fragile. E tut­tavia – benché né i signori Wor­thington Worthington e Pice se ne fossero resi conto – costituiva il solo anello debole della catena, che in tutti gli altri suoi pun­ti era invece saldamente co­struita.”(Rufus King, The Lesser-Antilles Case, “La prova in fondo al mare”, I Capolavori del Giallo Mondadori N° 51, pag.97).
In realtà il palombaro in questione, dopo una immersione, vi rinuncia a causa delle sue precarie condizioni di salute; ed il suo posto verrà preso, secondo una trappola abilmente tesa da Valcour, proprio dall’assassino che si smaschererà, trovando immediatamente la cabina che avrebbe dovuto cercare a bordo dell’Elsinore affondata, pur non potendolo sapere in quanto apparentemente non si sarebbe mai immerso lì. Apparentemente perché in un finale a sorpresa, è.. : si legga il libro e lo si conoscerà.
Veniamo così a sapere che Latimer può aver usato un espediente che già R.King aveva usato l’anno prima. La tendenza a riutilizzare i materiali, abbiamo detto prima, era una sua peculiarità: questa tendenza verrà utilizzata da Latimer in tarda età: nel 1972 firmerà una sceneggiatura originale per The Greenhouse Jungle, “Il Terzo proiettile”, secondo episodio della seconda serie de Il Tenente Colombo: nipote e zio fingono un falso rapimento, per svincolare un fondo fiduciario utilizzabile solo in casi estremi, poi lo zio uccide il nipote e fa ricadere la colpa su altra persona. Il colpevole, interpretato magnificamente da Ray Milland, sarà smascherato quando Il Tenente Colombo scoprirà l’esistenza di un terzo proiettile, e lo troverà utilizzando un metal detector. Questo strumento, che era stato inventato nella sua versione avanzata nel 1930 da Gerhard Fisher, non era altro che un apparecchio che emetteva onde radio: Fischer aveva notato che le onde radio venivano distorte dalla presenza di materiali metallici.Applicando l’intuizione, ad un congegno magnetico, egli realizzò il primo Metal detector. Ora, a pag. 149 del CGM 726 già citato, si legge : “..Il palombaro si piegò oltre la balaustra. Fra questo punto ed il fazzoletto là in fondo. Non sarà una faccenda troppo difficile.La profondità non supera i dieci metri e, per mia fortuna, ho un elettromagnete in grado di recuperare qualunque pezzo di acciaio in un raggio piuttosto vasto..”. L’eletromagnete non è altro che un metal detector: rileviamo quindi che nella sceneggiatura dell’episodio di Colombo Latimer aveva preso una sua idea e l’aveva trasformata. Così secondo noi può aver fatto rispetto al romanzo di King e aver preso l’idea del palombaro. Ma Latimer non si sarebbe limitato solo a questo per noi;  e la fonte di ispirazione sarebbe stata sempre Rufus King.
Infatti, parecchi anni prima, King aveva esordito nel panorama della letteratura gialla, e prima di Murder by the Clock in cui avrebbe fatto entrare in scena il tenente Valcour, con dei racconti in cui aveva introdotto il suo primo detective, Reginald de Puyster. Ora in uno di questi, The Weapon That Didn’t Exist (1926), troviamo un assai singolare inizio:
“In una cella, nel carcere delle Tombe a Nuova York, una ragazza irlandese fissava l’alba attraverso le sbarre dell’inferriata. Se nel pomeriggio l’avessero incolpata di tentato omicidio, non avrebbe più visto un’altra alba. Era decisa: nella cavità tra il pollice e l’indice teneva nascosta una compressa tolta dall’armadietto dei medicinali della sua signora, prima che la polizia venisse ad arrestarla: Sul flacone che aveva contenuto la compressa era il cartellino: Veleno” (Rufus King, Un’arma eccezionale, numero 15 dei “Gialli di Ellery Queen”, Garzanti, marzo 1951[16]), che è stranamente, assai stranamente, molto simile all’inizio di “Destinazione: Sedia Elettrica”, e anticipandolo di ben nove anni. Sarebbe stato possibile che Latimer avesse più tardi tratto ispirazione da questo racconto? Ci piace pensare di sì. Del resto anche in questo caso abbiamo in pratica il realizzarsi di un delitto impossibile: in un’automobile è stato compiuto un delitto. L’auto è uno spazio chiuso, e quindi siamo ancora una volta in una Camera Chiusa, in cui l’arma non si trova, come pure nel caso del romanzo di Latimer: lì una pistola, qui un qualcosa che può aver avuto a che fare con una puntina da microsolco, un pickup imbevuto di veleno: un bocchino da sigarette trasformato genialmente in una minicerbottana.
Un espediente da grande scrittore, che forse siamo riusciti a rendere più vicino ai lettori di casa nostra.
APPENDICE : ELENCO DEI ROMANZI DI RUFUS KING PUBBLICATI IN ITALIA (guida ragionata ma non necessariamente esaustiva).
1929 – Murder by Clock – Notte d’orgasmo – CGM 296
Il corpo nell’armadio – P.B. 47
1929 – A woman is dead – Il segreto di Vera Sturm – Cap.G.M. 6
1930 – Murder by Latitude – Il Dramma del “Florida” – L.G. 131
1931 – Murder in the Willett Family – Delitto in casa Willett – GM 1354 e CGM 941
1932 – Murder on the Yacht – Crociera tragica – GEM 81 e CGM 899
1933 – Valcour Meets Murder – L’Agguato – L.G. 165  e CGM 190
1934 – The Lesser-Antilles Case – La prova in fondo al mare – L.G. 177 e Cap.G.M.
1935 – Profile of a Murder – Profilo di un delitto – GM 2242
1938 – The Case of the Constant God – Il Colpevole – L.G. 201 e CGM 216
1938 – Crime of Violence –  Il diamante perduto – Cap.G.M. 18
1939 – Murder Masks Miami – Le tre parrucche – G.M. 54, Cap.G.M. 59 e CGM 463
1940 – Holiday Homicide – Omicidio a Capodanno – CGM 754
1942 – Design of Evil – Il fantasma e Miriam Lake  – CGM 868
1943 – A Variety of Weapons – Con le spalle al muro – GS 69
1945 – The Deadly Dove – Il Colombo della Morte – G.V. 6
La trappola di Apollo – GM 1910
1946 – The Case of the Dowager’s Etchings
1946 – Museum Piece No.13 – Camera chiusa n.13 – CGM 313
1947 – Lethal Lady – Alla resa dei conti – GS 53
1949 – The  Case of the Redoubled Cross
1951 – Duenna  to a Murder
Legenda :
GS = I Gialli del Secolo, Gherardo Casini Editore; CGM= I Classici del Giallo Mondadori; GM= IL Giallo Mondadori; GEM=Gialli Economici Mondadori;Cap.G.M.= I Capolavori del Giallo Mondadori; P.B.=Polillo Editore, collana I Bassotti; G.V.=I Gialli del Veliero, Editrice Martello.

[1] Notizie riportate a mo’ di introduzione del racconto “L’uomo che non esisteva” (vd. nota n.12) [2]  La cosa interessante è che Rufus King frequantava Yale nel tempo in cui sempre a Yale studiava C. Daly King e che entrambi si laurearono nel 1916: la cosa mi è stata fatta notare tempo fa da Luca Conti. E’ una coincidenza assai curiosa: due King, due grandi giallisti, due “vandiniani” che studiavano nella stessa università. Mi ricordo di aver letto anni fa sul testo di Piero Rattalino, “Pianisti e fortisti”, che una sorte assai simile capitò a Josef Hoffman e Ignacy Friedman: per un caso veramente strano, due dei più grandi pianisti della storia, nacquero a distanza di soli sei anni, nella stessa cittadina alle porte di Cracovia, Podgorze. (P.Rattalino, Pianisti e fortisti, Guide alla musica, Ricordi/Giunti,!990, pag.112)
[3] L’esistenza del romanzo, mi è stata dimostrata in primis da Luca Conti che mi ha fornito anche i dati identificativi dell’edizione; e poi confermata da ricerca effettuata tramite l’OPAC.
[4] http://www.benzing.it/Mario.htm
[5] I sei romanzi usciti fino al 1933 erano stati: Murder By the Clock, 1929; A Woman Is Dead,1929 (altro titolo Somewhere In This House,1930); Murder By Latitude, 1930; Murder In The Willett Familiy, 1931; Murder on the Yacht, 1932; Valcour Meets Murder, 1932.
[6] Rufus Gillmore pubblicò tre romanzi polizieschi intorno agli anni 1912 – 1914, quindi parecchio tempo prima del sorgere dell’astro Van Dine; quando però ritornò a scrivere romanzi, nel 1932, con The Ebony Bed Murder, si ispirò per il suo Griffin Scott, protagonista del romanzo, a Philo Vance  (anche se non aristocratico, ne capisce tuttavia parecchio di arte) e al modo di creare le storie di S.S.Van Dine, che tanto andava di moda in quegli anni.
[7]Murder by Latitude seems to show a gay sensibility. The first murder victim, and his close sailor friend, seem to be a loving couple in the Melville sense. Dumarque notices other men’s looks. And the women in the novel who are attracted to men are perhaps surrogates for men with gay feelings”. Sempre il critico in questione, individua una “phallic imagery”, una immaginazione fallica, in alcuni racconti raccolti nella serie posteriore The Steps to Murder: “ Men are compared to jets of water: the father’s nickname in “Miami Papers Please Copy” is Old Faithful, after the geyser; the boyfriend in “The Patron Saint of the Impossible” is Raul Fuentes: Fuente means fountain or spring in Spanish. Both men are dramatic and emotional, although good guys. And his calmer detective figures are linked to phallic machines: the editor in “Miami Papers Please Copy” has his silver pencil; sleuth Monsignor Lavigny in “The Patron Saint of the Impossibile” has a spray gun he uses to shoot insecticide on his flowers”.
[8] Michael Grost afferma : “King..is less close to Van Dine than are such younger writers who followed in Van Dine’s footsteps such as Anthony Abbot, Ellery Queen, and so on. In addition to characters who recall Philo Vance, other similarities of King’s Valcour novels to Van Dine include unusual, hard to detect murder methods, a setting among New York’s upper crust, elaborate, novel length storytelling, a tragic tone, complex literary style and well constructed dialogue. Differences include less of an interest in pure detection… There is considerable emphasis on the emotional life of King’s suspects, often at the expense of the mystery plot”.
[9] Murder by The Clock, nonostante si pensi che sia stato il primo romanzo pubblicato, in realtà non lo fu. Infatti prima di esso erano stati pubblicati altri due: The Murder de Luxe (anche The Mystery de Luxe), 1924-26; e The Fatal Kiss Mystery , 1927. Del primo le notizie sono scarsissime, quasi zero: son riuscito però a trovare l’unica fonte che ne parli, un giornale, THE SATURDAY EVENING CITIZEN di Ottawa, Canada, del 15 ottobre 1927: “MYSTERY DE LUXE” THE STORY WHICH MAKES THOUSANDS LAUGH.
If you haven’t started THE EVENING CITIZEN’S serial daily story, “MYSTERY DE LUXE” by Rufus King, already, read synopsis and go on with the absorbingly interesting and irresistibly amusing narrative in this edition. Belligerent but affectionate multi-millionaire papa, mysterious threats, lovely daughter eroine, engagingly candid hero, week-end party on luxurious yacht, thrilling, romantic and unexpectedly funny developments”:
http://news.google.com/newspapers?nid=2194&dat=19271014&id=mlcuAAAAIBAJ&sjid=rdkFAAAAIBAJ&pg=6576,2442098
Del secondo, The Fatal Kiss Mystery, si sa invece che era un romanzo di genere fantascientifico: un giovane scienziato  trasporta persone in un’altra dimensione.
[10] Malice in Wonderland (Alice nel Paese delle Meraviglie) era già stato scelto da Nicholas Blake come titolo di un suo romanzo apparso nel 1940.; quando Ellery Queen pubblicò in EQMM il racconto, che poi dette il titolo all’intera raccolta, pensò che quello scelto da Blake sarebbe stato perfetto, e così lo appose con il consenso sia di Blake che di King. La raccolta (1957) contiene alcuni dei soggetti più affascinanti ideati da R.King
[11] Del resto Rufus King, non sarebbe fantascienza affermare che avrebbe potuto conoscere Jonathan Latimer in quanto sceneggiatori di films: come Jonathan Latimer,  King infatti fu impiegato dal mondo della celluloide, e sin dal 1923, come scrittore per delle trasposizioni cinematografiche di suoi lavori e anche per dei lavori originali.
Aveva cominciato col ricordato “The Secret Command”, seguito poi nel 1925 da “North Star”, da ricordare perché nel cast del film di Paul Powell c’era un’affermata Virginia Lee Corbin ed un giovane Clark Gable. Successivamente, nel 1931, curò la trasposizione di Murder by the Clock per il film omonimo, diretto da Edward Sloman, seguito, nel 1934, dal musical “Murder at the Vanities”, diretto da Mitchell Leisen, e scritto per l’occasione da King, dopo essere stato rappresentato in teatro e interpretato da Bela Lugosi. Dopo “A Notorious Gentleman” del 1935, in cui fu uno degli scrittori, fu la volta di “Love Letters from a Star” (il secondo film in cui vi è il Tenente Valcour) diretto nel 1936, da Lewis R. Forster, e ridotto da un racconto di Rufus King. Dopo sei anni, lo rivediamo utilizzato come sceneggiatore per “The Hidden Hand”, da Invitation to Murder; e poi nel 1946, per “White Tie and Tails”, dal racconto The Victoria Docks at Eight. Infine, nel 1948, cura la trasposizione sul grande schermo per il grande Fritz Lang, di “Secret Beyond the Door” dal suo romanzo Museum Piece n.13
[12] http://www.philsp.com/homeville/fmi/s1358.htm
[13] Il racconto, che è stato pubblicato in Italia sull’albo della Garzanti “I Gialli di Ellery Queen” n.26 del  febbraio 1952, col titolo “L’uomo che non esisteva, è una Camera Chiusa, con sparizione di uomo, il ladro,  e dello smeraldo, il Tashba, da lui rubato; tuttavia la sparizione dell’uomo,  e gli scazzottamenti, il viaggio in auto, il finale da feuelliton, fanno pensare ad una avventura presa a prestito dall’ Arsene Lupin di Leblanc, più che ad una originale.
[14] E’ anche vero però che ancor prima di De Puyster e Philo Vance, c’era stato il Principe Zaleski, nobile raffinatissimo, esteta, colto e annoiato che proprio per vincere la noia risolveva dei casi intricatissimi e cervellotici, creato dalla penna di Matthew Phipps Shiel nel 1895, sulla falsa riga di Sherlock Holmes.
[15] Il romanzo fu successivamente tradotto in un film, un cult dell’epoca, diretto da Joseph H. Lewis : My Name is Julia Ross (1945). Nel 1987 è uscito un remake dello stesso film, col titolo Dead of Winter, diretto da Arthur Penn.
[16] Questo racconto, nella sua traduzione italiana (riconducibile a periodo successivo alla seconda guerra mondiale) assai vetusta se confrontata con quella molto più fluida di romanzi pubblicati ne I Libri Gialli Mondadori e risalenti agli anni ’30, mi è stato fornito da Luca Conti; come pure l’altro citato precedentemente, “L’uomo che non esisteva”.

Pietro De Palma

martedì 3 marzo 2020

Joseph Commings - Edward D. Hoch: Stairway To Nowhere (Mike Shayne Mystery Magazine, November 1979)

Di Joseph Commings abbiamo parlato quando introducemmo un suo racconto, The Ghost in the Gallery, contenuto in una famosa antologia di Jack Adrian & Robert Adey, pubblicata in tre volumetti in Italia da Garden.
Ricordo solo per inciso che Commings pubblicò gran parte dei suoi lavori su magazines minori tipo The Saint o Mike Shayne, in quanto a Dannay dei due Ellery Queen, la figura del Senatore Banner non riusciva simpatica (forse perché troppo simile a quella di Gideon Fell). Anni fa Douglas G. Greene ha riunito i racconti di Commings in una antologia edita dalla sua casa editrice, Crippen & Landru.
Oggi parlerò di uno che fu scritto nel…… a 4 mani, da Commings in collaborazione con Edward  D. Hoch: Stairway To Nowhere. In sostanza, da due dei più grandi scrittori di racconti con Camere Chiuse o delitti impossibili. 
Commings aveva scritto il racconto ma non trovava il compratore; Edward D. Hoch si offrì di rivederlo (di fargli cioè un editing) e di trovare l'acquirente, che fu appunto "Mike Shayne" (me l'ha detto Doug Greene, interpellato per l'occasione: Joe wrote a story but couldn’t find a buyer for it. Ed offered to revise and under their joint authorship he sold it to Mike Shayne Mystery Magazine. 
E che il racconto sia un vero e proprio concentrato di assurdità e impossibilità, lo dimostra la sua fama.
Jim Morgan e Rachel Newman, si devono sposare. Stanno passando la serata, una come tante, ma c’è aria di bisticcio: lui vorrebbe uscire, andare a cena, fare qualcos’altro, lei invece è assorbita da altri pensieri. L’indomani mattina al Museo dove lavora c’è un’importante mostra di uno dei più famosi diamanti del mondo, il Gran Mogul, di oltre 250 carati. E lei è molto preoccupata.
Si dirigono verso la casa di lei. Nevica, i fiocchi cadono a larghe falde. Il tempo di dirigersi verso la cassetta delle lettere, lei chiede a lui di aprire e prendere la posta mentre si avvia per le scale. Ad un certo punto, dopo i passi delle scarpe coi tacchi alti sui gradini, lui sente un grido. Si slancia per le scale e trova per terra a metà di esse il portacipria d’oro che lui le ha regalato. Arriva al pianerottolo, ma di lei neanche l’ombra. In casa non può essere entrata perché lui aveva le chiavi non solo della cassetta della posta ma anche dell’appartamento, e quindi si interroga dove possa essere finita. In preda all’apprensione sente una vociona dietro di lui, e si trova dinanzi una specie di balena avvolta in una rendigote, cappellaccio, sovrascarpe con le suole rosse che si qualifica come Senatore Banner, un politico che però aiuta la polizia a sbrogliare casi piuttosto intricati. E’ lui che chiede a Jim dove sia finita la ragazza. Dopo le spiegazioni, i due entrano nell’appartamernto di Rachel, che ovviamente è vuoto.
Mentre sono a pensare, mentre Banner aspetta il Capitano Rector , spiega perché lui seguisse loro due: perché la ragazza è coinvolta in un crimine e lui ignora cosa, sa solo che ha una cosa che deve restituire che vale mezzo milione di dollari, perché mentre era in albergo ha sentito nella stanza vicino la parola crimine e quindi ha deciso di seguire la ragazza, che era con un uomo. Jim non sa capacitarsi, ma immagina chi possa essere: un certo Leonard Slattery, che Banner ha saputo essere interrogando il portiere dell’albergo.
Mentre stanno lì, arriva prima il Capitano con gli uomini, che perquisiscono anche il tetto ( la porta è sbarrata dall’interno) e la cantina, trovandola vuota; poi l’amica del cuore della fidanzata, una certa Evelyn Gunther, arriva e cerca in tutti i modi di tirare su Jim, dicendo che sicuramente la ragazza è lì che sta camminando fuori da qualche parte. Anche lei lavora come Rachel allo Skiff Museum of Art, come anche Slattery. Per cui decidono di andare lì.
Arrivati al Museo, percorrendo strade imbiancate dalla neve che ha formato un manto tutt’attorno ad esso (fuori c’è anche un pupazzo di neve ad altezza d’uomo) e fattisi riconoscere dalla guardia, spiegano che sono lì perché una dipendente del Museo, Rachel Newman è scomparsa. Ed ecco che proprio la guardia, fa la clamorosa dichiarazione che la ragazza lui l’ha vista poco prima nel Museo. Banner fa un salto: come nel Museo? Chiedono alla guardia cosa faccia, chi sia, ed ecco il secondo colpo di scena: lui è Leonard Slattery.  Slattery dice che la ragazza è lì e che lui è il suo fratellastro: ma se così non fosse? E’ solo lui che l’afferma. NO. Terzo colpo di scena: un poliziotto di ronda davanti al Museo, qualificatosi, dice che ha visto una donna con un cappotto blu e un cappello con una piuma entrare nel Museo. Ora sono due i testimoni, uno non attendibile e uno attendibile che dicono la stessa cosa. Ma dove è Rachel? Mentre stanno lì, ecco che vedono Evelyn sbucare da un corridoio: è ritornata al museo per dare anche lei una mano. Ma non ha visto Rachel. E così, chiamato Rector e i suoi uomini, cominciano a cercarla per le sale anche quelle egiziane, ma non trovano nulla. E chiamano anche Kelley, il curatore del Museo. Esaminatolo, Rachel non viene trovata. Banner trova solo il suo cappotto e il suo cappello.
Banner, sa e l’ha detto a Jim come abbia fatto Rachel a volatilizzarsi la prima volta. Non sa come si sia volatilizzata la seconda. Teme solo una cosa. La teme anche Jim che vorrebbe cercarla nei sarcofagi: ormai ne parla inconsciamente al passato. Kelley, intanto ha fato un giro nel museo e ha esaminato tutto, anche la sala dove è esposto il Gran Mogul. Quarto colpo di scena: il diamante è ancora al suo posto, all’interno della teca di vetro al centro della stanza. Ma allora cosa è stato portato via da Slattery? Cosa è stato consegnato in albergo a Rachel? Slattery non vuole rivelare cosa, e quindi viene trattenuto: Banner consiglia il capitano di informarsi su Slattery, ed ecco dopo un po’ emerge che, quinto colpo di scena, è un esperto gemmologo, che ha lavorato in una fabbrica tedesca e conosce benissimo le gemme naturali e sintetiche.
Aspettano la notte. E intanto la polizia cerca Rachel dappertutto: ospedali, prigione, obitorio. Niente. La mattina all’apertura, sono ancora lì. Aspettano notizie. Kelley da inizio alla mostra: due guardie armate sorvegliano i presenti nella sala del diamante, poste alle due uscite della sala, una di fronte all’altra. D’improvviso nel museo si sente un’esplosione e un puzzo di bruciato: Banner e Rector riconoscono dall’odore l’acido picrico e il clorato di potassio. Una bomba. Ha fatto esplodere la teca. Ma, il diamante? Sparito! Eppure le guardie alle due uscite giurano e spergiurano che nessuno è entrato e ha rubato il Gran Mogul, che però non è più lì. Come ha fatto a svanire il Gran Mogul e prima Rachel di nuovo? Ora Banner ha capito come, e in uno sbalorditivo finale, risolve la sparizione di Rachel e del diamante, e intrappola due criminali.

Diciamo subito che qui la parte principale non la fa Banner ma Jim Morgan: con la sua carica umana e passionale, con la sua disperazione, temendo il peggio, permea tutto il racconto ed eleva la tensione, laddove i due autori furbescamente lo fanno agire: per esempio quando prende a calci il pupazzo di neve ad altezza d’uomo, presente sul selciato davanti al museo, covando la paura irrazionale che dentro vi possa essere il corpo dell’amata; o quando corre nel palazzo, piano per piano non trovando Rachel, finanche in cantina. Il racconto è scritto assai bene e pieno zeppo di colpi di scena, che riescono a non far calare la tensione. Anche le impossibilità lasciano soddisfatti: qui ce ne sono tre, tre sparizioni impossibili, due di Rachel e l’altra concernente il diamante. E’ ovvio che anche qui c’è una messinscena assai elaborata, non tanto per le sparizioni di Rachel (la seconda sì), quanto per la sparizione del diamante: nella prima sparizione è coinvolta una persona, nella seconda sempre una, in quella del diamante..due. E vi sono vari momenti in cui essa si sostanzia, che non sono ristretti solo al momento in cui sparisce, ma anche ad uno precedente in cui è creato l’artificio che poi si compierà in un secondo momento.
La scrittura è lineare, ma sempre se si parla di americano, e per di più slang. Non è paragonabile cioè all’inglese classico, più semplice da leggere: l’americano di cui fa uso Commings è pieno di forme contratte e di termini e di forme difficilmente comprensibili se tradotte letteralmente. Pertanto è agevole leggerlo solo se ci si è impratichiti nell’uso della lingua americana. Per esempio,  yunnerstand  è forma contratta di “you understand”; have you getting the willies significa “mettere I brividi”; ancora, l’intraducibile Let’s take a hinge at her apartment (che normalmente dovrebbe significare, mettiamo un cardine nel suo appartamento) significa “Diamo un’occhiata”; Dunno è forma contratta di “I don’t know”, e così via.
Per quanto riguarda la nuda e cruda impossibilità, si nota qui un’ influenza molto netta, che è tale anche in altri racconti di Commings, che è quella di John Dickson Carr. In questo racconto poi, questa influenza è per così dire sublimata, perché Carr era amico di Commings e Commings di Hoch: la risultante è che Carr è presente in maniera netta e fortissima nella prima sparizione di Rachel. Qui viene riproposto con una idea assolutamente geniale, il trucco di The Unicorn Murders. E una parte rilevante, di tipo psicologico, ce l’ha il gold compact, altro termine americano per designare il portacipria da borsetta, in questo caso di oro.
 La seconda sparizione di Rachel si avvale di un elemento per così dire psicologico rispetto a quello più tecnico della prima, anche se lì c’è pur sempre, come c’è in qualsiasi: far capire una cosa ed invece farne un’altra. Ma nella seconda sparizione nel museo entra in scena una persona diversa da Rachel e quindi è una messinscena fatta a posteriori utlizzando un escamotage che si trova utilizzato in molti romanzi. La sparizione del diamante, come ho detto, si avvale di due momenti più propriamente ristretti alla sala in cui esso è esposto, e a vari altri, relativi al cambio di mani, in ragion dei quali prima esce dal museo (Slattery), poi entra in possesso di Rachel e poi è riportato nel museo, ma non per essere esposto: è propriamente la messinscena più articolata, perché fa uso di due diamanti, non uno, e di conoscenze di sostanze esplosive (Il clorato di potassio elemento fortemente instabile in presenza di un acido forte, in questo caso l’acido picrico che è a sua volta un esplosivo, deflagra). L’uso di acido picrico, e la sua tendenza a colorare la pelle di giallo, sarà determinante per inchiodare uno dei due criminali.
Appassionante, e con soluzione pirotecnica.
Bel finale anche romantico, tipicamente americano (la donna prepara la colazione al marito).
Pietro De Palma