Seconda puntata delle avventure di Bas Salieri, targate
Stefano Di Marino.
Questa volta Bas opera in Toscana, nelle campagne di
Volterra. E’ stato invitato ad operare nella villa degli Scarlatti, nella veste
di bibliotecario, da tale Cocci, maggiordomo e depositario dell’unica chiave
che possa consentire di accedere alla biblioteca, posto che racchiude segreti
secolari, misteri e ombre, con i suoi trattati di magia, occultismo,
demonologia.
La sua amica Zaira, cartomante, lo ha sconsigliato
dall’accettare la proposta, perché nei tarocchi ha visto che il viaggio di Bas
potrebbe avere risvolti pericolosi. Bas però accetta e arriva in Toscana, a san
Girolamo.
Appena arrivato, conosce Priscilla, uno dei misteri di
casa Scarlatti: una figlia illegittima di Giacomo, erede diretto di Cosimo,
negromante, mago, studioso. Una leggenda vuole che avesse trovato il segreto
della cosiddetta Torre degli Scarlatti, il viatico che conduceva ad una
misteriosa necropoli etrusca, dedicata al culto del demone blu, una divinità
minore di Tuchulcha, dio degli inferi etruschi ma anche una specie di
attendente della Grande Dea Mater, la nera Cibele, la dea sanguinaria. Questa
necropoli nasconderebbe un tesoro ma anche innominati misteri e la possibilità
di accedere ad informazioni e segreti del mondo dell’occulto.
Si accorge ben presto il nostro eroe che quella parte
della Toscana in cui opera, di segreti deve averne e ben nascosti, e
soprattutto non vuole che siano rivelati. A pagarne le spese è Danilo, un suo
amico che gestisce una galleria di arte e di curiosità archeologiche. Tra le
sue meraviglie, anche una rara raffigurazione del Demone blu. Fanno in tempo a
vedersi una sera, ma Danilo è spaventatissimo: crede di vedere qualcuno, e non
vuole dire più di quel che ha detto all’amico mettendolo in guardia. Gli ha
suggerito di rivolgersi a Gigi Montero, un giornalista caduto in disgrazia e
che campa per un oscuro giornale cittadino, che arrotonda vendendo notizia di
prima mano. Danilo è il primo a cadere, tra i vicoli in penombra.
Alla galleria di Danilo, Bas ha conosciuto Priscilla.
La rivede a casa Scarlatti. Qui fa la conoscenza di Mirella e Luca, i
fratellastri di Priscilla; e di sbieco, di Livio, un amico di casa Scarlatti.
Priscilla è molto vicina a Mirella, ma diffida fortemente di Luca, credendolo
un impostore: è riapparso dopo molti anni che lo si credeva morto in uno
spaventoso incidente. Il suo corpo però non era mai stato ritrovato. Luca è
stato portato a casa da Livio, che lo ha convinto a ritornare, sempre a patto
che egli sia davvero il figlio di Giacomo Scarlatti e Cecilia Augenti -
entrambi di nobili casate e entrambi appassionati di occultismo – come Mirella;
Priscilla è invece il prodotto di un’avventura extraconiugale di Giacomo, che
aveva sancito la fine del rapporto con Cecilia. Era lei che si era accaparrata
il segreto della Torre, e di cui aveva eretto custode un notaio, che un giorno
leggerà il testamento, e anche ciò che riguarda la cosiddetta Torre.
Sullo sfondo si muovono però altri personaggi: Livio è
ricattato da Gisella, una cameriera a servizio di casa Scarlatti, per conto di
una persona, una donna che abita a San Girolamo. Uno degli avventori presenti
in una locanda, in cui Bas incontra il suo amico, il vicequestore Panitta, prima
di sorprendere l’uditorio coi suoi discorsi sugli Scarlatti, lo segue a
distanza, lo pedina: dapprima in un cimitero di campagna, presso il quale Bas
scopre degli oscuri simboli esoterici che rimandano al Demone, e poi in un
antico cimitero di epoca settecentesca in cui Priscilla è inginocchiata presso
una tomba senza nome.
Segreti inconfessabili, e misteri: Bas sospetta che
qualcuno disponga della biblioteca senza esser stato invitato a farlo, in virtù
probabilmente di qualche entrata segreta, visto che la biblioteca è posta nella
parte più antica della villa.
Ma ci sono anche altri personaggi pericolosi che si
muovo nell’ombra: i tombaroli comandati da Nino Zenobia, fratello di quel
potente Zenobia che era morto anni prima in circostanze sospette. E poi ci
sarebbe anche un illusionista, il Mago Zarolfo, che era stato costretto ad
abbandonare la professione per opera di Giacomo Scarlatti, illusionista anch’egli,
che pare potesse aver concepito un forte desiderio di vendetta, nei confronti
degli Scarlatti. Poi c’è Camozzi, il proprietario di un frantoio. E ancora
Perti, un vecchio che sta sempre dovunque. E infine Angela, la proprietaria del
ristorante Lo Scavatore, che sembra un personaggio ambiguo.
I veri attori di questa tragedia sono proprio loro,
quelli che si muovono dietro le quinte, quelli che si muovono di notte, col favore delle tenebre e
delle ombre. Così come qualcuno aveva ucciso Danilo, l’amico di Bas, così
qualcuno uccide Gisella, spezzandole il collo. Bas, capisce che deve fare
qualcosa: non sa cosa di preciso, ma si mette in moto. E riesce, presso
l’ordine di suore nel cui ospedale era nata Priscilla, a sapere che la vendetta
di Cecilia, madre e amante tradita si era appuntata anche contro di loro,
magari praticando arti oscure; e che la madre segreta di Priscilla era stata
tale Virginia Landi.
Il prosieguo della storia vedrà scoprire che Landi era
stata l’assistente del Mago Zarolfo, e che Giacomo Scarlatti gliel’aveva
portata via, provocando l’odio di Zarolfo. E’ lui che si scoprirà aver attentato
alla vita di Luca, come più tardi farà con altri. Ma non è il solo
responsabile. Di assassini ce ne sono almeno quattro, ognuno dei quali agisce
per sé. Il risultato è una strage finale, in cui si troveranno tutti contro
tutti: colei che aveva usato Gisella per i ricatti, morirà accoltellata, da chi
in passato era stato complice di Scarlatti e ora di altri, in un traffico di
reperti antichi; questi a sua volta sarà ucciso dal capo dell’organizzazione
dei tombaroli per un vecchio fatto di sangue; e verranno uccisi anche Gigi
Montero, per aver tentato di vendere compromettenti segreti a Salieri, e anche
nel finale convulso, si saprà che Cecilia Augenti non era morta naturalmente ma
era stata avvelenata, poi si troveranno in un sarcofago i resti del vero Luca,
mentre l’impostore sarà ferito da Perti (che è il….), poi saranno uccisi in
successione Cocci, poi Livio Bermani, poi infine Priscilla. Insomma questo
romanzo non si sarebbe dovuto chiamare La
torre degli Scarlatti, ma La mattanza
degli Scarlatti. Altro che La fine
dei Greene ! lì morivano due –tre persone, come anche in The Tragedy of Y, qui una decina tra
passato e presente.
La Torre verrà rivelata essere una stele con scritto un
codice da Apollonio Tarquinio, che rivelerà come la sua villa da lui era stata
fatta costruire al tempo dei Romani per chiudere la necropoli maledetta: l’ingresso?
Una panca di pietra con un intarsio da girare.
Ma dopo le peripezie che seguiranno e che riveleranno
il vero volto di due persone nell’ombra, mentre Salieri & Co. Staranno per
essere uccisi, interverrà chi aveva ucciso Camozzi per vendetta e salverà i
malcapitati, uccidendo l’assassino folle e facendo crollare le volte della
necropoli.
Il romanzo è un thriller esoterico, che poi diventa nel
finale quasi un Hard Boiled, tanto vi è azione!
Di Marino non è uno scrittore specializzato in thriller
di tipo esoterico-religioso, ma pur sempre è il miglior scrittore italiano di
letteratura di genere: di saper scrivere, sa scrivere. E quindi imbastisce un
romanzo, dalle tinte fosche, neanche tanto sforzandosi. Prende qua e là delle
notizie attinte sulla civiltà etrusca, soprattutto sulle credenze
sull’Oltretomba, e le unisce ad altre tipiche della civiltà greca, ottenendo un
minestrone saporito, anche se bizzarro: Tuchulca, demone infernale etrusco,
diviene uno scudiero della divinità infernale per eccellenza, la Cibele Nera,
la Magna Mater Dea. Ora, che Cibele fosse una dea pagana adorata, una delle più
importanti da quando i romani convinsero Attalo a consegnare la Pietra Nera
(Lapis Niger), un meteorite, su cui era scolpita l’immagine della dea, e a
fondare il tempio sul Palatino, è un fatto; e anche che fosse una dea sanguinaria,
legata al mito di Attis, il suo grande amore, che per averla tradita si era evirato
e ucciso. Ma che poi fosse diventata una dea etrusca, beh è un’invenzione.
Alcuni ancora ipotizzano che gli Etruschi fossero un popolo che proveniva
dall’Asia Minore, dove dal monte Ida, vicino Troia, si era diffuso il culto
della dea, ma oggi è sempre più forte l’ipotesi che gli Etruschi fosse un
popolo nato dalla fusione di più ceppi e che deriva in gran parte dalla civiltà
villanoviana. Che Persefone fosse legata a Cibele (alias Rea o Demetra) è cosa
risaputa, perché nella mitologia ne è figlia; ma da qui a farne una dea
infernale succuba della grande divinità infernale, è altro. Cibele non era una
dea infernale: era una dea solo gelosissima, che aveva donato se stessa ad
Attis, che quando la tradì con una ninfa, lo fece impazzire e suicidarsi
evirandosi. I genitali del dio, sepolti, fecero sì che egli diventasse il dio
della vegetazione, che ogni anno muore e si rinnova.
Queste credenze le mischia con altre: il Demone Blu ed
una misteriosa necropoli.
Il Demone Blu sarebbe un’estensione dei cosiddetti Demoni
azzurri, la tomba dei quali si trova a Tarquinia (io l’ho vista). Di Marino,
crea sulla base di tali credenze, un canovaccio formato da credenze magiche, da
riti occulti, e ci mette pure “I Custodi”, persone deputate ad impedire la
scoperta di questa necropoli misteriosa, e i tombaroli. Aggrega il tutto,
parlando di una famiglia antica di negromanti. Mischia sapientemente,
aggiungendo al tutto il profumo della campagna di Volterra, le ombre ed una
biblioteca avvolta nel mistero, la sparizione di certi volumi di Apollonio
Tarquinio (personaggio inventato) trovati dietro un quadro, certe fiale di un
allucinogeno. E ottiene un bel romanzo.
Un romanzo che è un thriller d’avventura. Del tipo di
quelli di Glenn Cooper o Eliette Abecassis o Dan Brown, ma meno forte.
Diciamo…”all’italiana”. Come i film polizieschi anni ’70. La ragione è che
secondo me, per ottenere un prodotto potente, devi necessariamente perseguire
quel sottobosco dall’inizio alla fine: se parli di mondo magico, di credenze
demonologiche ed esoteriche, devi sempre andare in quella direzione (come non
so..Il marchio del diavolo di Glenn
Cooper o come la prima avventura di Bas Salieri, Il palazzo dalle cinque porte). Il rischio è scocciare, ma a tener
viva l’attenzione e la tensione deve pensarci lo scrittore con la sua arte. Nei
tempi contemporanei, la tensione si attua con metodi artificiali: frammentando
cioè il fiume principale in più torrenti, ognuno col proprio cammino, con le
proprie asperità e le proprie amenità, che possono congiungersi e separarsi anche al fiume principale, fino a
convergere in esso e riformare quello originario prima della fine. Non si
allontana da questa tendenza Di Marino, anzi in lui la frammentazione è
accentuata: paragrafi che sono lunghi massimo dieci pagine e minimo..una
pagina: un po’ poco! Questa tendenza a frammentare, a mio parere sfilaccia
troppo il discorso, quando invece accade che quando il paragrafo è poco più
lungo e le cose vengono sciorinate, la tensione aumenta. Il fatto è che d’altronde,
il romanzo è molto più lungo del primo, più denso di vicende collaterali e
quindi per contemplare le diverse anime del romanzo, deve anche frazionare il
discorso.
Il plot è ottenuto, oltre che con l’inventiva e
mischiando notizie qua e là prese dal mondo dell’oltretomba etrusco, anche
attingendo a sceneggiati e film italiani. Si sa che Di Marino è un fissato di
film. Il bello è che lo sono anch’io. L’etrusco
uccide ancora, di Armando Crispino, è uno di questi (chi l’ha visto si
ricorderà il leit-motiv che annunciava una nuova morte: il motivo del Dies Irae
della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi). A questo possiamo aggiungere
sicuramente “Ritratto di donna velata”, famosissimo sceneggiato televisivo, da
cui Di Marino ha tratto molto: innanzitutto l’ambientazione (tra Firenze e
Volterra); poi una famiglia antica, il cui avo era un famoso negromante (qui
sono gli Scarlatti, lì i Certaldo); la passione dell’avo per il mondo
dell’oltretomba degli etruschi; la scoperta di una necropoli segreta; l’accesso
a questa necropoli direttamente dalla Villa;
una serie di morti e di eventi che fanno da corollario;
la presenza di tombaroli; e ancor di più un certo evento che accade quando si
penetra nella necropoli: nel romanzo di Stefano, un pozzo che si apre nel
pavimento e che comunica con un torrente sotterraneo; nello sceneggiato degli
anni ’70, una frana che si apre nel pavimento e porta ad un’altra serie di
gallerie. L’indizio che mi permette di collegare queste due sceneggiature
(quella televisiva con quella di Di Marino) è una scultura etrusca, “L’ombra
della sera” che si trova nella sigla di apertura dello sceneggiato, mentre il
riferimento ad una che le assomiglia, si trova nel romanzo.
Altra fonte di questo romanzo è sicuramente “Chimaira”
di Valerio Massimo Manfredi, che si ambienta nella zona di Volterra e tratta,
prima di Di Marino, di una storia di morti e credenze soprannaturali relative
alle divinità infernali del mondo dell’oltretomba etrusco. In realtà i gialli
con Bas Salieri, se hanno un modello da cui traggono ispirazione, al di là di
quelli americani di Glenn Cooper, proprio per l’ambientazione e per il modo di
approcciarsi alla realtà e al mondo della finzione, mi pare che questo sia
proprio Valerio Massimo Manfredi e i suoi romanzi gialli di ispirazione
archeologica( Palladion, l’Oracolo, La torre della solitudine, Il
faraone delle sabbie, L’isola dei
morti, Chimaira), anche per
effetto dell’unione di modelli fantastici con altri reali, grazie
all’interazione di archeologi, con religiosi, e poliziotti.
Se proprio vogliamo, il thriller fanta-archeologico di
Manfredi è molto più forte in termini di tensione, perché Manfredi oltre che
essere un eccellente scrittore è anche un eccellente archeologo e storico, la
materia la sa approfonditamente e quindi può spingersi laddove Di Marino non si
approssima se non con l’arma del mestiere di scrittore.
C’è anche un riferimento ad un altro sceneggiato. “Il
segno del comando”, sceneggiato in cui i temi esoterici, occulti, spiritisti la
fanno da padrone: il potente talismano che il protagonista ha per tutta la
durata del romanzo, che lo metterà al riparo da una serie di eventi nefasti che
avrebbero potuto interessarlo. Nello sceneggiato gli era stato donato da Lucia
(spirito o donna?), nel romanzo da Zaira.
I Custodi…anche quella è una reminiscenza per me,
cinematografica: in Indiana Jones e l’ultima
crociata, c’è un ordine che mira a proteggere il luogo del Santo Graal e ad
impedire che vi accedano malvagi: la “Fratellanza della Spada Cruciforme”; nel
nostro caso, lo stesso fine per evitare che dei malintenzionati accedano alla
necropoli maledetta, la svolgono “I Custodi”.
Ci sarebbe anche una reminiscenza Mystery. Il romanzo
comincia con un prologo: un giovane si schianta con la sua auto nella notte.
Questa morte è importante per uno dei filoni del romanzo. Ora c’è un giallo
classico di una grande scrittrice neozelandese, Christianna Brand, per di più
uno dei suoi capolavori, Death of Jezebel
, che comincia con un prologo, in cui
un giovane si schianta con la sua auto nella notte, a causa di una strega, una
donna perfida. Anche nel nostro caso è a causa di una strega. Una coincidenza?
Non credo.
Tutto sommato abbiamo un ottimo romanzo, con una buona
tensione ricco di suggestioni e di elementi caratterizzanti che si snoda tra
cimiteri, tombe, vie di Volterra e San Girolamo (cittadina inventata),
casolari, taverne: le prime pagine non sono granchè, ma quando si comincia a
leggere il ritmo aumenta fino alla conclusione.
Attendiamo la terza avventura, che Stefano avrà già
scritto probabilmente: in una mappatura dell’Italia, giacchè è passato da
Venezia a Firenze e Volterra, la prossima meta saranno le catacombe romane?
Pietro
De Palma
Io avevo pensato che il prologo avesse una più diretta corrispondenza col prologo del romanzo della Brand. Invece Stefano sul Blog Mondadori ha fatto riferimento ad un film con Oliver Reed che non può essere altro che Il rifugio dei dannati (Paranoiac). Francamente l'ho anche visto anni fa. Però a me il riferimento più diretto era un altro
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