Harry S. Keeler ha scritto molti romanzi, anzi è conosciuto in America come uno degli scrittori più prolifici. Casini, nel 1952, pubblicò 3 romanzi (seppure in edizioni parecchio tagliate) che, assieme a 2 pubblicati qualche anno fa da Shake, costituiscono il corpo di tutto ciò che di Keeler è stato pubblicato in Italia.
Poker di Re, titolo non corrispondente all’originale americano, che è “The Fourth King”, rimanderebbe ad una partita a poker, cosa che invece, in questo romanzo, non esiste proprio; The Fourth King, invece, risponde ad una trama molto più intrigante. La storia si ambienta a Chicago nel 1929, ma non è , come potrebbe far sembrare il luogo ed il tempo, una storia di gangsters, insomma un hardboiled. No. E’ una storia con trama classica, molto…direi.
Su un settimanale di finanza di Chicago, viene pubblicato una articolo lungo, corredato dalle fotografier di tredici re della finanza. A distanza di poco tempo, tre di essi ricevono un mazzo di carte francesi segnato ciascuno, da cui mancano dei re: dal primo ne manca uno, dal secondo due, dal terzo tre. I re mancanti sono rapportabili direttamente alla morte di coloro a cui il mazzo è stato spedito: uno è morto avvelenato, un altro per annegamento, il terzo per incidente. Nulla fa presagire, tuttavia, che l’origine della morte possa essere altra. Un bel giorno arriva una missiva, corredata da un mazzo di carte francesi segnato, come quelli inviati agli altri tre, ad un ricco industriale di Chicago, tale J. Hamilton Eaves, che però non era stato indicato nei 13. L’industriale, della Compagnia Nazionale Assicurazioni Industriali, sta perorando la vendita di un nuovo apparecchio, detto “dittatografo”, un complesso macchinario a nastro, una specie di telegrafo, che permette di riversare su nastro il dettato di qualcosa, per esempio una lettera commerciale, rendendo più’ spedito e semplice il lavoro di ufficio, ed eliminando la presenza di uno stenografo. Ha acquisito i diritti di vendita della invenzione da un tale Shanks, che però è morto, lasciando erede un fratello malato, incapace di rivaleggiare con l’astuzia dell’industriale. In realtà, diversamente da quello che pensa Shanks, l’invenzione è un bluff, uno specchietto per le allodole, e di questo è convinto sia Eaves sia il suo dipendente, il disegnatore tecnico Fowell, che è per di più addetto alle dimostrazioni del macchinario e che ne conosce i limiti materiali, e che è a sua volta inventore di un certo tipo di disco fonografico, destinato a far fortuna in seguito, ma ancora di scopo ignoto.
Eaves, sempre più preoccupato, in quanto ha ricevuto una lettera minatoria, chiama Fowell e gli prospetta un singolare piano per avere ragione di colui che lo minaccia di morte: chiede al suo dipendente di prendere il suo posto e dia andare a casa sua, mentre lui, Eaves, aspetterà il ricattatore nel suo ufficio, deciso a smascherarlo. La posta in gioco, per cui Fowell accetta, è la restituzione di una certa dichiarazione firmata in cui Fowell si autoaccusa del furto di 5100 dollari in titoli ed azioni, contenuti in una busta chiusa da sigilli di ceralacca, spariti dalla cassaforte a doppia combinazione di Eaves che solo lui, la segretaria ed Eaves stesso conoscono. Eaves non può esser stato perché il furto lo mette nell’impossibilità di portare a termine un progetto che gli avrebbe fruttato ben oltre 5000 dollari, e quindi, pensa Fowell, che sa di non esser stato, non potrebbe che esser stata la segretaria di cui lui è innamorato, la cui madre è stata truffata da Eaves, e che quindi avrebbe ben avuto la ragione di vendicarsi. Tuttavia il piano non va in porto come sarebbe dovuto accadere: infatti, mentre Fowell prende il posto del suo principale a casa sua e passa la notte col figliastro di Eaves. Lui, Eaves viene ucciso. Lo troverà il mattino dopo, proprio Fowell, recatosi in ufficio. Eaves è stato ucciso con un coltello a serramanico. Particolare che avrà la sua importanza, è che la scatola di mentine che aveva lasciato Fowell è quasi del tutto finita e di menta profuma non il ricevitore del telefono sito nell’uffico di Eaves che può ricevere ma non telefonare, quanto un altro apparecchio.
Fowell sa che Eaves ha chiuso la dichiarazione sua di autocolpevolezza nella cassaforte, la cui combinazione era stata cambiata da Eaves dopo il furto, e quindi è virtualmente inaccessibile a meno che non scassino la cassaforte. Quale sorpresa allora, quando viene rinvenuta nelle tasche del defunto! E resa pubblica dalla polizia. Il suo status di ladro potrebbe tuttavia venir meno, perché la sua bella, per cui lui si è messo nei pasticci, sa tutto, e quindi potrebbe testimoniare alla polizia, che un giorno lei aveva visto, nella stanza di Eaves, dopo la pausa pranzo, un finto operaio dei telefoni armeggiare alla cassaforte: era un pericoloso scassinatore e ladro , che aveva compiuto altri colpi simili. Ma anche stavolta il Fato sembra tirare un altro tiro mancino al povero dipendente: infatti la sua bella, viene trovata annegata. Quando però ha perso oramai ogni speranza, ecco che si materializza davanti proprio la sua ragazza: al posto di essa è morta, anzi, pare sia stata assassinata, la sua amica, fidanzata a sua volta del figliastro di Eaves, Pettibon.
Anche Pettibon cerca di adescare Fowell: in cambio della distruzione della famosa missiva, e del ritiro della accusa di furto, Fowell dovrà cercare di convincere Shanks della pochezza dell’invenzione al fine di concedergliene l’uso definitivo in cambio di pochi spiccioli. Ma la cosa non sortisce effetto, nonostante Fowell abbia tentato in tutti i modo di convincere il recalcitrante Shanks, e quindi Pettibon non restituisce la missiva. A questo punto Fowell decide di improvvisarsi detective, per venire a capo della faccenda e salvarsi: va a frugare i documenti nell’ufficio del suo principale e scopre un’obbligazione sospetta ed una lettera ad un tale Jeggs inesistente. Proprio la carta sospetta, intestata ad una ditta di strumentazioni chimiche, lo porterà sulla traccia di un ex grande chimico russo trapiantato in America, che nel 1918 stava per vendere, per centomila dollari, la formula stabilizzata dell’idro cianosine, un gas mortale. Ma la fine della guerra aveva interrotto la trattativa e quindi lui, rimasto senza una lira, aveva trovato lavoro come meccanico in un garage, nel quale parcheggiavano le automobili i magnati dell’Industria di Chicago: lì, oramai affetto da paranoia, aveva concepito l’idea di vendicarsi di chi, invece, aveva fatto fortuna, rubando ad altri; ed aveva utilizzato proprio la sua invenzione come arma. Fowell, recatosi alla Morgue, spacciandosi per poliziotto, ha visto gli occhi spalancati della bella amica della sua fidanzata, stranamente uguali a quelli di uno dei tre capitani di industria assassinati. Riuscirà ad incastrare il russo e a farlo arrestare, dopo una furiosa sparatoria, al termine della quale gli si addosserà l’uccisione dei tre, ma non di Eaves, ucciso da persona al di sopra di ogni sospetto, che sarà individuata proprio da Fowell sulla base della presenza di spazi prima di alcune parole su nastro, tutte contenenti una consonante labiale, come se chi le avesse pronunciate avesse avuto problemi a farlo, per effetto probabilmente di un labbro leporino. In più riuscirà anche a liberarsi dall’accusa di furto, messosi d’accordo con Pettibon che per non far emergere il suo lontano passato e i suoi errori di gioventù che lo perseguitano, sarà d’accordo a distruggere la dichiarazione mendace e a far restituire i soldi truffati dal patrigno alla madre di Avery Reardon, la stenografa di cui Fowell è innamorato e di cui chiede la mano.
Ottimo romanzo di Keeler, The Fourth King, rifugge da ogni schematica classificazione: non è per esempio appartenente , come tanti altri romanzi del tempo, alla falsa riga dei romanzi vandiniani, ma persegue una proprio disegno, seppure molto bizzarro. Se vogliamo, l’investigazione è di tipo classico, e il detective non è un esteta, o un riccone annoiato o un poliziotto o uno studioso o un letterato, ma una persona chiunque che s’improvvisa tale per fuggire ad una accusa ingiusta e per di più ad una condanna ingiusta. In certo senso, è molto affine a certi romanzi di Mignon Eberhart, in cui c’è una donzella in pericolo che s’improvvisa detective o per la quale qualcuno entra in azione; anche qui c’è la persona in pericolo, ma è un uomo (Fowell) anche se la donna in pericolo esiste: solo per un attimo, perché quasi subito la morte di Avery si ribalta nella morte di Roslyn Van Etten, l’ereditiera amica di Avery. Ma perché l’assassino avrebbe ucciso la donna? La soluzione la si può ricercare nella natura della trama dei romanzi di Keeler.
Infatti Keeler, nato nel 1890 come Agatha Christie, negli anni ’30 godeva di una discreta popolarità, ma poi con la guerra e le vicende post conflitto, morendo negli anni ’60 nel più completo oblio, da cui fu riscattato in seguito ad una serie di articoli di Francis Nevins Jr., il critico che sarebbe diventato più famoso dopo la conquista dell’Edgard per la pubblicazione di importanti sudi critici su Ellery Queen.
Il fatto è che Keeler è lo scrittore più strano che sia mai esistito; e anche il più surreale. La sua immaginazione era quanto di più delirante fosse possibile: ne sono esempio i suoi romanzi, in cui l’orrore, la deformità, l’anomalia fisica, la demenza, la coincidenza, il caso, vengono rivalutati nella letteratura poliziesca, che ereditava pour sempre l’esattezza della deduzione matematica sherlockiana. In questo, l’approccio di Keeler è pur sempre una sorta di rivoluzione, di reazione agli schemi prefissati: ne “L’uomo di Saturno”( The Face of the Man from Saturn, 1933) qualcuno ha ucciso un antiquario solo per poter rubargli il volto; Il corpo di una donna scompare durante l’assunzione di un bagno di vapore, e solo la testa e le dita dei piedi, che spuntano dal gabinetto di vapore, rimangono. (The Case of the Transparent Nude, 1958); in The Spectacles of Mr. Cagliostro, 1929, un testamento costringe un uomo a portare degli orribili occhiali per un anno intero; in X. Jones of Scotland Yard, 1936, un uomo è assassinato in un campo senza che intorno vi siano le impronte dell’assassino ma solo le sue, e la polizia sospetta che questi sia un nano travestito da bambino. Probabilmente proprio le trame così assurdamente concepite, con elementi demenziali o da baraccone e piene di mostruosità circensi, o di soluzione immaginifiche ma al massimo grado, debbono aver sconcertato le masse, abituate a ben altri romanzi. Il fatto è che le trame di Keeler, così bizzarre, così piene di false piste, false, doppie e triple identità, coincidenze, ben si inserivano nella narrativa e nella società degli anni ’30, spensierata e frivola, che non immaginava gli orrori della guerra di lì a pochi anni. Così gli orrori, le deformità, le pazzie di Keeler (internato in un matrimonio dalla madre, dopo che si era laureato in ingegneria elettronica) ben si inserivano nel contesto. Ma di lì a qualche anno sarebbero stati sorpassati da ben altri orrori, e così la vena di surreale pazzia non sarebbe stata più adattabile ad un mondo cresciuto troppo in fretta e molto più plumbeo.
Le coincidenze erano parte del suo sistema: le trame dei suoi romanzi lasciano ben poco alla descrizione, perché sono dense come mai e piene anzi zeppe di falsi indizi e di tracce che paiono di nessuna utilità ma che invece porteranno alla cattura del colpevole. Anche in questo romanzo c’è quella struttura della trama, che Keeler inventò chiamandola “webwork”, romanzo a ragnatela:
“Si trattava in effetti della cosiddetta “struttura narrativa a ragnatela”, fondata su complessi, involuti e ingegneristici diagrammi che prendevano il posto nei suoi appunti preliminari delle più banalmente schematiche scalette. L’arte di Keeler si sfogò in effetti nell’intrecciare storie inverosimili e apparentemente inesplicabili con altre storie altrettanto inverosimili e apparentemente prive di qualsiasi collegamento con l’ossatura centrale del racconto. La vertiginosa abilità dell’autore stava nell’annodare alla fine tutte le fila della trama per realizzare una fantasmagorica ragnatela di fatti o KoinKidenze, come le soprannominava ironicamente l’autore stesso, in grado di spiegare l’inesplicabile e di stordire di fatti e delucidazioni anche il lettore più pignolo ed esigente. Doppie o triple identità, improbabili agnizioni, sostituzioni di persona multiple la facevano così da padrone, in un singolare e caleidoscopico teatro o fiera dell’assurdo, che aveva alla fin fine lo scopo di realizzare un’ironica e singolarissima comédie humaine” (Prefazione di Igor Longo a Il caso Marceau di Harry S. Keeler – Shake Edizioni, Milano, 2009, pagg. 8-9).
Infatti vi sono parecchie coincidenze anche in The Fourth King : l’ereditiera americana, fidanzata di pettibon, è amica di Avery; il viaggio di Avery al posto di Roslyn viene annullato per una novità; l’ereditiera prende la macchina del suo patrigno che era stata truccata in maniera che liberasse il gas; l’assassino fa in modo di bloccare il meccanismo con un vecchio chiodo arrugginito, messo vicino al pedale dell’auto; la ragazza pensa che sia un vecchio chiodo e lo butta via riavviano la trappola che scatta e l’uccide; la ragazza morta ha gli stessi occhi spalancati di altra persona; l’etichetta che porta a tutto il concatenarsi degli avvenimenti, che Fowell vede su un mazzo di carte segnato, è proprio presa dalla busta contenente gli assegni e le azioni che Pettibon consegna al russo pagandogli il silenzio, di cui Fowell si ricorda perché conteneva dei suoi disegni; e così via.
I personaggi dei romani di Keeler non sono mai intensamente descritti ma appena accennati: essi infatti non hanno altra natura se non quella meccanica, sono dei fantocci messi lì a giustificare le trame del Fato, tutta quella messe di coincidenze e di fatti causali che determinano l’andamento strano del plot.
Il finale, in linea con gli altri di Keeler, è qualcosa di inatteso: tutti i fili si collegano nella risoluzione dell’enigma. Il morto che era scampato ad una morte, muore di altra, ucciso però non dall’assassino originario ma di altro, che all’ultimo momento, ha incontrato Eaves e ha deciso di ucciderlo; l’indizio delle mentine, porta ad una soluzione ingegnosa, guidata dalla natura del dittatografo e dalla presenza nel testo trovato, cui stava “presumibilmente lavorando Eaves” prima di essere ucciso, di una serie di labiali: cioè, per meglio dire, tutte le parole del testo contengono labiali. Bisogna dire però che ci si aspetta una novità affettiva, perché la cattura del russo pazzo avviene troppo prima la fine del romanzo, così da far presupporre che ci possa essere dell’altro.
Pietro De Palma
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