venerdì 26 agosto 2022

Elizabeth Ferrars: Assassino allo specchio (Furnished for Murder, 1957) - trad. Eliana Trinchero. I Classici del Giallo Mondadori n.1194 del 2008



Morna Doris MacTaggart  (1907-1995), nacque a Rangoon in Birmania da padre scozzese e madre tedesco-irlandese. Diplomata in giornalismo, nel 1932 scrisse il suo primo libro, Turn Single, seguito da un altro, senza riscontro di pubblico. Il successo invece,con un mystery, avvenne nel 1940 con Give a Corpse a Bad Name, che fu pubblicato, come tutti quelli che seguirono, con lo pseudonimo di Elizabeth Ferrars (utilizzando il cognome della madre da nubile). Sposata in seconde nozze con Robert Brown, un professore universitario di botanica, nel 1951 seguì il marito in giro per università, spostandosi a New York, poi a Londra e infine a Edimburgo. Autrice estremamente prolifica, la Ferrars scrisse 71 romanzi rimanendo in attività fino alla morte avvenuta nel 1995. Nel 1953 era stata uno dei fondatori della Crime Writers’ Association (che presiedette nel 1977) e nel 1958 era entrata a far parte del Detection Club.

Dette alle stampe tre serie con personaggio fisso e moltissimi romanzi senza:

Serie di Toby Dyke ( da 1940 a 1942: 5 romanzi)

Serie di Virginia e Felix Freer ( da 1978 a1992: 8 romanzi)

Serie di Andrew Basnett (da 1983 a 1995: 8 romanzi)

Senza personaggio fisso (da 1945 a 1995 : 53 romanzi)

Nella marea di romanzi, la Ferrars forse unica rivale per numero della Christie ( dovrebbe averla superata di un romanzo), e per molti anni sottovalutata, è in costante rivalutazione: nonostante l’enorme numero e quindi comprensibilmente la presenza di romanzi non ben riusciti, mantenne rispetto ad altre sue colleghe (per la Christie il riferimento è d’obbligo), un atteggiamento molto più aperto al nuovo, e verso taluni aspetti “nuovi” : la musica rock, il sesso, la beat generation. Anche le sue opere, fino alla fine, mantengono una buona tenuta di fondo, nonostante l’età: cosa che per esempio non avviene nel caso di Agatha Christie, le cui opere degli ultimissimi anni, dimostrano evidenti segni di affaticamento e di mancanza di lucidità. Per la Ferrars, il livello costante delle sue opere anche in vecchiaia, era il risultato di un modo di vivere, molto rigoroso, su cui anche le sue origini, in parte tedesche, avevano avuto evidenti ascendenze. Le sue opere migliori, a detta di molti, sono pressappoco quelle che vanno dalla metà degli anni ’50 alla metà degli anni ’80. Nonostante ciò, i suoi primi 5 romanzi, quelli di Toby Dyke, giornalista a contratto, & il suo amico George, ex criminale, sono molto buoni. Riecheggia, solo nella inusuale accoppiata, Padre Brown & Flambeau di Chesterton. Toby è il classico investigatore dilettante, di Vandiniana memoria, ma chi è determinante per risolvere i casi è George: una specie di rivincita del proletariato (e della “spalla”).

Mondadori ha pubblicato molti romanzi, della seconda e terza serie e senza personaggio fisso.

Assassinio allo specchio (Furnished for murder) è del 1957.

Il romanzo, come si aspetterebbe da una autrice britannica, sarebbe dovuto cominciare con una introduzione, come di prammatica nei romanzi della Christie, in cui i vari personaggi vengono presentati, prima dell’avvenimento del delitto: questa prassi anche se non è presente in tutta l’opera christiana, ha comunque un’evidenza molto marcata. Invece in questo romanzo della Ferrars, un romanzo che come abbiamo detto appartiene agli anni 50, cioè uno dei periodi più fecondi e ricchi di ispirazione, non avviene nulla di tutto ciò. Innanzitutto il delitto avviene almeno 100 pagine dall’inizio della storia, e in queste 100 pagine, i personaggi appaiono uno dopo l’altro senza un preciso ruolo; sono personaggi sfuggenti, di cui per molto tempo non si capisce bene l’inquadramento nel plot tragico.

Meg e Marcus sono una coppia che abita in una casa troppo grande per loro, in quanto senza figli: lui è scrittore, ma non guadagna tanto e quindi lei affitta un appartamento nel villino ad un tale che arriva in Jaguar e che si chiama Gerald Chilby. Questo tale ben presto comincia a fare strane domande sul Priorato, una casa che in origine era un convento poi distrutto durante la Riforma, e su chi ci vive.

Ad ereditarlo sarebbe dovuta essere Kate Hawthorne, una giovane che era stata adottata dalla signorina Velden, padrona del Priorato e di altre proprietà. Solo che la vecchia morendo, aveva cambiato il testamento e nominato erede il nipote Richard estromettendo la giovane dall’eredità. La ragione? L’amore tra Kate e Roger Cronan. Roger era sposato a Daphne che lo aveva lasciato per una tale, e così lui aveva trovato l’amore nelle braccia di Kate. Ma poi Daphne era ritornata, e capito che il marito aveva deciso di divorziare da lei, aveva minacciato di uccidersi. Roger si era tenuta Daphne, e Kate era andata via. Ma prima era morta la zia, e il testamento era stato cambiato. Ora tale Gerald Chilby, va in giro chiedendo lumi sul Priorato: perché? E sono domande non certo prive di finalità, se è vero che proprio lui – prima che gli si attribuisca un ruolo nella vicenda, quando si pensa sia solo un tipo losco o comunque ambiguo – insinua che la morte della Signorina Velden non sia stata una bronchite come tutti hanno accettato essere stata e si stupisce che non ci sia stata un’inchiesta: “..Una vecchia signora, un medico di campagna, e tutti pienamente soddisfatti”(cap.6, pagg 66-67), quando ancora nessuno ha pensato di esumarne la salma. Chi è, e perché va facendo queste domande?

Oltretutto la vicenda già di per sé ambigua , lo diventa di più quando si viene a sapere che qualcuno ha messo in giro che Richard Velden, cioè colui che ha ereditato il priorato con le proprietà annesse, sia un impostore. Il fatto è che Richard andò via che era un ragazzo, ed è tornato già uomo. Però lui propone un patteggiamento sulla proprietà a Kate che non se l’aspetta, e sempre lui a domande interessate risponde con precisi ricordi che si intersecano a quelli di Kate e che rispondono a verità. Ma allora è lui o non è lui? Il dubbio si insinua nel lettore, e coinvolge un altro di cui non si sa nulla, Chilby: non sarà mica lui ? Chilby non dovrebbe conoscere Richard, ma poi , da congetture fatte e che si vede poi rispondono a verità, si accerta che è stata proprio una telefonata di Chilby a Richard, a provocarne lo sconvolgimento, telefonata che è stata intercettata da Daphne, che nessuno aveva invitato al Priorato, ma che vi era entrata.

Perché Richard è impallidito mortalmente? Cosa Chilby sa di così importante?

E’ in seguito a questa telefonata che l’infernale macchina si muove: mentre Chilby è fuori di casa, qualcuno vi accede e gli sottrae qualcosa che ha per lui importanza vitale. Chilby pensa sia stata Kate, ma invece è stata Daphne. Dal momento in cui questo documento sottratto gli perviene, la sua vita non vale più nulla e viene uccisa. Poco dopo verrà ucciso anche Chilby, con la sua pistola.

Daphne verrà trovata proprio da Richard in acqua, e lui avviserà la polizia a casa della vedova Thea Arkwright, che è sua innamorata.

A questo punto le indagini vengono affidate all’Ispettore Wylie che con doti non comuni di sagacia, riesce a venir fuori dal pantano di cose dette e non dette, e attraverso ipotesi sempre più ardite che toccano tutti i personaggi del dramma, riesce a dare un senso alle cose e ad inquadrare un piano criminoso premeditato, che aveva avuto come fine uccidere la vecchia signora, e a rispondere ad alcune domande: perché Kate aveva distrutto il testamento che la nominava erede, e che giaceva mezzo bruciato per terra vicino al caminetto? Chi l’aveva bruciato se non era stata la signorina Velden come in un primo tempo si era ipotizzato? Chi aveva avvisato l’avvocato della volontà di cambiare il testamento, se la telefonata era avvenuta quando la signora era passata a miglior vita? Cosa aveva in mano Chilby che era costato la vita a lui e a Daphne? A chi faceva riferimento un appunto di Chilby circa un suo appuntamento alle 7,30 con tale D.V. ? si potrebbe ipotizzare che sia stato Richard Valden perché (lo avevo ipotizzato prima che se ne parlasse) in inglese Dick è diminutivo di Richard. Ma.. lui accusato dei delitti, sa tirarsi fuori grazie ad alibi inattaccabili.

In un parco di possibili sospettatibili che vanno da Roger, il marito che non amava più sua moglie, a Kate, la rivale in amore, a Marcus, che a volte rasentava istanti di follia, a Richard, di cui non si capisce il ruolo, importante anche se lui era lontano in tutti i delitti anche della sua zia, a Thea che è innamorata di Richard e per lui avrebbe potuto uccidere, ma che quando era arrivata al villaggio, Richard ancora non era ritornato dall’estero e quindi non lo conosceva, Wylie inchioderà l’omicida diabolico.

Il romanzo è bellissimo, è ben dirlo. Direi un piccolo capolavoro.

Le descrizioni dei personaggi sono a tutto tondo, fulminanti. E i rapporti tra di loro non sono solo accennati, ma sviscerati in tutte le loro possibili caratteristiche. E’ sì un romanzo deduttivo, ma lo è soprattutto dal punto di vista psicologico: se fino alla morte di Daphne, le 100 pagine sono esse stesse un’introduzione, una lunghissima introduzione, da quel momento in poi, tutto cambia prospettiva, e sono gli stessi personaggi, man mano che la storia va avanti, a definire il quadro della situazione: mentre nell’indagine classica, il testimone è reticente e al detective tocca scoprire, attraverso tutta una serie di domande, la verità, quei essa viene a galla poco alla volta, e sono gli attori del dramma principali, Roger e Kate e la signorina Harbottle, la zitella del villaggio che tutto sa, a dissipare il velo almeno nelle sue verità più nascoste, che non inquadrano l’assassino, ma almeno aiutano a rendere il quadro più delineato: la vecchia signora pur essendo contraria all’amore tra Roger e Kate, non voleva diseredarla; il testamento nuovo non esisteva né era stato mai pensato; Kate aveva trovato il foglio del testamento mezzo bruciato e lo aveva lei stessa bruciato del tutto, dopo il rinvenimento del corpo della zia, perché attribuendole una volontà di diseredarla che non aveva avuto, per correttezza etica aveva voluto rispettare un volere della zia, che però non c’era stato. Così solo per questo Richard era stato coinvolto mentre era all’estero. Insomma, un gran macello!

Elizabeth Ferrars si rivela scrittrice di razza, molto sottovalutata, rispetto a tanti altri autori del suo tempo. Certo, come ho detto nell’introduzione, avendo scritto più di settanta romanza, inevitabilmente qualche romanzo può non esser riuscito bene, ma, se per trent’anni ha sfornato grandi romanzi, ci sarà stata pure una qualche ragione! Questo però è un piccolo gioiello.

La ragione risiede, anche e non solo in se stesso, quanto nell’idea base della Ferrars che polarizza tutti i romanzi a partire dalla fine degli anni 40, quando cioè abbandonando la serie di Toby e Dyke, che è direttamente connessa all’età dell’oro, del detective dilettante, Ferrars evolve la struttura del romanzo poliziesco britannico, molto più di quanto abbia fatto la Christie: in sostanza, ambienta i suoi drammi in case di campagna, dove non agisce la piccola nobiltà, come nei romanzi tipici della Christie (ma anche della Heyer), ma persone normali, come Curtis Evans dice : “..regular people" (in practice this means white, college educated professional types)”. Curtis aggiunge: “One Fifties crime fiction critic referred to these books as "country cottage" mysteries, distinguishing them from the country house mysteries of the Golden Age.  Here you tend not have stuffy gentry and comic servants and great mansions and weekend house parties and stolen jewels and bodies bludgeoned in libraries, but college-educated, middle-class commuter professionals, modernized cottages and bungalows, and grumbling women from the village who come in once week to clean”.  In sostanza  “I misteri delle case di campagna” di cui parlavano dei critici anni ’50 opponendoli a quelli dell’età dell’oro (che sono presenti ancora nei romanzi anni 50 della Christie) in cui agiva la classe dell’antica aristocrazia terriera, collegata a figure militari, al curato del villaggio, a signore della buona società impegnate in azioni di beneficenza, sono quelli tipici dei romanzi della Ferrars in cui agisce una società che semmai si basa su gente laureata, che si fa largo nella società: la piccola borghesia che diventa media, raffrontata all’antica piccola aristocrazia terriera molto conservatrice. E’ in sostanza la classe media, quella già usata da Ellery Queen. E’ come se la Ferrars, pure usando i mezzi tipici del giallo british (l'omicidio in una casa di campagna o cottage che dir si voglia, il ritorno dell'erede, il passato all'estero di alcuni personaggi di cui si sa poco) abbia voluto rinnovarlo attingendo alla grande tradizione di quello yankee.

Pietro De Palma

 

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