giovedì 7 agosto 2025

Peter Lovesey : La statua di cera (Waxwork, 1978) - Trad. Mauro Boncompagni. I Classici del Giallo Mondadori N. 1493 del 2025

Peter Lovesey, “La statua di cera”, I Classici del Giallo n. 1493, giugno 2025 

 

Dei tre romanzi pubblicati in Italia della serie Cribb, questo è il terzo, in ordine di uscita (il primo da Sonzogno, La Vacanza del Cappellaio Matto, il secondo "Un fantasma per Cribb" e il terzo, questo, da Mondadori) e anche l'ultimo ad essere stato pubblicato da Lovesey, nel lontano 1978. Una serie quindi che per lui era finita, e non avrebbe potuto avere continuazione. E sempre nel 1978, conquistò il Silver Dagger Award (il secondo premio della Crime Writers' Association).

Glielo chiesi anni fa perchè non avesse continuato la serie, ma non rispose. Evidentemente gli interessava poco. Era servita per lanciarlo, ma poi visto che soprattutto con la serie "Peter Diamond", aveva raccolto unanimi consensi ( e vari premi), doveva aver maturato l'intenzione che era quella la serie da continuare.

Che dire di quest'ultimo romanzo con Cribb? Forse il suo romanzo più denso della serie, e il migliore, anche se rispetto ad altri titoli (penso a A Case of Spirits del 1975), con un minor pizzico di estrosità.

Il romanzo verte su un omicidio e su un colpevole che poi si dubita che sia lui.

Howard Cromer è un rinomato fotografo, ed è sposato a Miriam. Miriam si è invaghita  di Cromer e lo ha sposato anni prima. Ma lo studio da fotografo è grande e conosciuto, e Howard ha un assistente, piuttosto bravo Josiah Perceval. Tuttavia Josiah un bel giorno trova delle foto compromettenti di Miriam, che la donna aveva fato quando era giovane: aveva postato completamente nuda, coperta da veli, assieme a due sue amiche, per una iniziativa culturale. Le foto sarebbero dovute poi essere distrutte, ma invece diventano oggetto di ricatto. La conseguenza è sempre quella: il ricattatore ad un certo punto fa una brutta fine. In sostanza viene avvelenato col cianuro, disciolto in una caraffa di Madera.

Le caraffe erano state preparate da Miriam, quindi è lecito che si sospetti di lei. Per di più era ricattata dalla vittima, e quindi la donna viene incriminata e aspetta nella prigione di Newgate l'inizio del processo, quando lei decide di autoaccusarsi scrivendo una confessione, in cui si accusa plateealmente di avere avvelenato col cianuro Perceval.

Conseguenza di tutto ciò, è la sua condanna a morte: aspetterà nel braccio della morte di Newgate, di essere impiccata.

Discorso chiuso? No, perchè accade un imprevisto. Su un giornale viene pubblicata una fotografia, in cui viene ritratto anche il marito di Miriam Cromer, in cui si nota chiaramente che al panciotto è attaccata una catenella con una chiave, che è quella della serraura dell'armadietto dove sono conservate le sostanze chimiche, tra cui il cianuro di potassio, usato nel processo di stampa delle foto. Ora una chiave ce l'ha Howard ed una ce l'aveva Perceval: siccome non è possibile che Miriam abbia chiesto a Perceval la chiave perchè Perceval non gliel'avrebbe data, deve essersi servita di quella del marito, che però era lontano da casa essenso andato alla riunione di una associazione di cui fa parte: potrebbe essere accaduto che la donna, prima che lui andasse , gliel'avesse sottratta, ma quella foto scombussola le carte in tavola, perchè dimostra che la donna non può aver avvelenato il Madera, perchè la chiave dell'armadietto dei veleni, non era nella sua disponibilità. E siccome bisogna fugare ogni dubbio prima che la sentenza uccida una innocente, viene incaricato l'Ispettore Jowett di Scotland Yard dirisolvere la faccenda. E siccome lui in sostanza è un incapace, arrivato alla sua posizione sfruttando le capacità di altri, soprattutto Cribb, proprio il sergente viene incaricato di svolgere le indagini. Che porteranno a sviluppi imprevisti, e alla scoperta di un altro assassinio, quello di una delle compagne di scatti erotici di Miriam Cromer, accaduto tempo prima, alla scoperta di amanti imprevedibili e di un piano diabolico, pronto a far incriminare anche Howard, per arrivare al suo fine. 

Ci troviamo dinanzi ad un piccolo capolavoro,in cui Lovesey non fa altro che aggiungere di volta in volta alla trama principale, tutta una serie di piccoli tasselli, che fa dubitare del fatto che Miriam possa o meno aver avvelenato il suo ricattatore, con premeditazione. La premeditazione, nonostante nel suo caso ci fossero attenuanti dovute alla natura del ricatto (ricordiamo che la serie di Cribb si ambienta a Londra durante il periodo vittoriano), prevedeva la condanna a morte certa: Lovesey non fa altro che introdurre dubbi che ciò sia accaduto, e lo fa in maniera sapiente, togliendo e aggiungendo di volta in volta, ad una trama di per sè scarna. In sostanza quello che ne consegue, è un continuo gioco di specchi, in cui Miriam ci viene presentata, a seconda degli indizi e di prove nuove acquisite, come un carnefice o come una vittima anche delle sue compagne di scatti, e in questo gioco a rimpiattino di sospetti, si insinuano anche i comportamenti strani o sospetti del suo avvocato difensore e di suo marito, che ad un certo punto della storia viene indicato come il vero architetto dell'omicidio, prima che si giunga in un finale pirotecnico alla soluzione finale.

La molla su cui Waxwork è stato costruito, è duplice: può esser stato un famoso caso di avvelenamento durante l'Età Vittoriana, il caso di Florence Elizabeth Chandler Maybrick che fu accusata di aver ucciso suo marito James con la stricnina, pur non essendoci prove schiaccianti a suo carico e pur essendosi lei sempre dichiarata innocente (il cognato potrebbe aver falsificato il quadro indiziario, in quanto la morte di James avrebbe lasciato moglie e figli in agiata condizione che invece sarebbe toccata agli eredi se la moglie fosse stata dichiarata colpevole di uxoricidio) e tutto il can can mediatico che ne seguì, causata dalla carta stampata; e poi c'è sicuramente quel procedimento della giustizia anglosassone (anche americana), per cui l'imputato che sia stato giudicato una prima volta e condannato o assolto, non può essere nuovamente processato per lo stesso caso sulla base delle stesse prove (principio processuale del  Ne bis in idem).

Il romanzo ha tante piccole altre cose per essere ricordato: in linguaggio tecnico, diremmo che la vicenda dell'omicidio ha un plot principale e dei subplots, direi almeno tre. Un subplot è quello relativo alle condizioni delle classi inferiori, nell'ambito del discorso generale sulla società inglese: in cui si inserisce bene la vita carceraria della prigione di Newgate, con il peso dato alle secondine, nel braccio femminile, ma a cui non sfugge neanche il buon Augustus Cribb, che in tanti anni di onorato servizio, non riesce ad avanzare di grado, e non arriva alla posizione di Ispettore che gli garantirebbe (anche alla moglie), un'esistenza più agiata. In questo Lovesey fa argutamente una critica che non è stanto al sistema, quanto alla natura umana, rapportandola idealmente a ciò che accade ogni giorno: cioè che gente che se si guardasse al merito non dovrebbe occupare determinate posizioni di potere, e che invece accade ciò perchè si è abili ad adulare al momento giusto e ad allisciare i potenti di turno, stando zitti e non dicendo in pubblico le cose che non vanno.

Un altro subplot è di natura più sottilmente psicologica: è ciò che è accaduto anni prima, quando Miriam e le sue amiche sono state convinte a posare nude e a fotografarle in determinate pose è stato Howard Cromer. Normalmente quando si capisce di aver sbagliato, si chiede che le foto siano distrutte, che siano consegnate a chi ha posato, che i rapporti tra chi ha fotografato e chi è stato l'oggetto della fotografia, si guastino. Invece, nel caso tra Howard e Miriam (e in parte anche con le altre), c'era stata la gioia di aver posato nuda per lui, di aver condiviso l'intimità, nonostante loro fossero ragazze giovanissime e lui fosse già un uomo (con tutto ciò che si sarebbe potuto sussurrare a riguardo). E' un modo per disarticolare i rapporti di convenienza e di buone manietre che dovevano esistere tra ragazze di buona famiglia molto giovani ed il mondo circostante. Lovesey qui sottilmente ( accade soprattutto nel finale) fa fare a Miriam una sorta di confessione, quando dichiara il suo amore per il suo avvocato difensore (conosciuto molti anni prima, quando faceva parte di una società che organizzava conferenze lettararie, e nel cui ambito era nata l'iniziativa delle foto osè) e dichiara di non aver mai amato suo marito, sposato solo per un capriccio giovanile, anche se sempre da lui protetta. Nell'ambito proprio di quiesto strano rapporto non di amore, ma di adulazione, che si trasforma poi anche in protezione per la propria posizione sociale, nasce il piano per salvare Miriam, che è un piano articolato, che vede almeno due persone compiere determinate azioni, che poi Cribb riconoscerà nella loro giusta prospettiva. 

Il terzo subplot è quello che dà il titolo al libro: è relativo alle vicende di James Berry, il boia di stato (che viene contattato in quanto Madame Trudeau, la padrona del Museo delle Cere, ha pensato di dedicargli una statua, accanto a quella della condannata, Miriam Cromer), e di come egli, interessatosi alla vicenda processuale della Cromer, per mettere pace alla sua coscienza, voglia capire se sia innocente o colpevole.

Tutta la vicenda, dico solo questo, potrebbe ad un certo punto condurre al riconoscimento certo dell'innocenza di Miriam, se non venisse scoperto un precedente caso, relativo alla morte di una delle amiche di Miriam, giovane morta mentre era incinta . Proprio questa morte, e quelloche rivela la terza delel amiche compagne di scatti erotici, Lottie Piper, che fa l'attrice di teatro, getta un'ombra sinistra su tutto ciò che Cribb ha scoperto, e allora comincia Cribb a sospettare un'altra verità, più subdola, in cui si inserisce proprio Howard, che a quel punto viene addirittura ricercato per omicidio. Chi sarà l'omicida? Sarà stata Miriam, ad avvelenare la caraffa di vino (ma quando e come)? Oppure è stata la pedina consenziente di un piano elaborato assieme ad Howard  il cui fine era farla franca pur avendo eliminato chi poteva nuocere alla reputazione di entrambi, marito e moglie? Oppure Miriam ha protetto sin dal principio Howard, autoaccusandosi di un omicidio che non avrebbe potuto aver commesso, per via della chiave, sperando nell'assoluzione a seguito di indagine post-giudiziale che avesse voluto evitare di impiccare un'innocente, dopo che un amico avesse portato all'attenzione dell'autorità quella foto rivelatrice riportata da un giornale? E chi ha ucciso Judith, l'indagine sulla cui morte in un primo tempo era stata chiusa con il verdetto, incidente? E perchè? 

La soluzione di Cribb mette tutte le tessere al loro posto, in questo fenomenale romanzo.

Pietro De Palma


 

 

 


 

giovedì 1 maggio 2025

Jonathan Stagge: Dolce vecchia canzone di morte (DEATH'S OLD SWEET SONG: A Doctor Westlake Story, 1946) - trad.Marcella Dallatorre. I Classici del Giallo Mondadori n. 206, 1974

 


 

Recensione oggi per un altro romanzo firmato Jonathan Stagge. Per questo invero, al di là dei pregi narrativi, basterebbe la copertina, che è un vero capolavoro, di una espressività rara, firmata Roger Barcilon (che firmava le copertine dei Classici del Giallo, all'inizio degli anni 70).

Per quanto riguarda invece il romanzo in se stesso, diciamo subito, prima ancora di introdurlo, che si tratta di un ulteriore capolavoro, forse il massimo cui arrivò la coppia Wheeler-Webb secondo alcuni, per quanto riguarda la serie di Westlake: DEATH'S OLD SWEET SONG: A Doctor Westlake Story. Nell'ambito della produzione firmata Jonathan Stagge, questo è il penultimo romanzo (l'ultimo fu Le tre paure, The Three Fears, del 1951, in cui però non compare il deus ex machina della serie, cioè la dodicenne figlia di Westlake, Dawn) ad essere stato pubbblicato, nel 1946. E' ambientato a Skipton, una fantomatica cittadina nelle Berkshires,  (le colline del Massachusets, dove Webb e Wheeler in effetti risiedettero per una ventina d'anni, posti che quindi loro conoscevano bene).

Il dottor Westlake e sua figlia Dawn, stanno trascorrendo le vacanze a Skipton una piccola località collinare del Massachussets, dove abita la ricca ereditiera Ernesta Brady, il soggetto più chiacchierato del posto per la sua opulenza e munificità. Ernesta non è sola: abitano infatti a Skipton anche sua figlia Lorie, e sua sorella Phoebe Stone, col figlio Caleb. I due ragazzi da sempre si amano, ma su di loro pesa l'eredità difficile da gestire della nonna materna, internata in ospedale psichiatrico per aver tentato di uccidere il marito, durante ripetuti raptus di pazzia. Per questo Ernasta non vuole che la filgia si sposi con Caleb, perchè questa tara familiare potrebbe evidenziarsi sia in Lorie, sia nei figli. Per di più Caleb, è un ex marine, che dopo la Battaglia di Okinawa è stato licenziato dal servizio e rimandato a casa, per una psicosi sviluppatasi in lui: in sostanza ha terrore folle del buio.

Ernesta è andata a New York qualche giorno, e ha raccontato alla figlia che il motivo è legato, ad una splendida collana di giada che ha ricevuto in dono, che vuol far riannodare. In realtà è andata anche per un esame ginecologico, perchè ha scoperto di essere incinta: qualche mese prima, all'insaputa di tutti, si è sposata con Renton Forbes, e sta attendendo di renderlo pubblico.

Renton a sua volta ha fama di donnaiolo, e prima che si sposasse con Ernesta, aveva collezionato avventure con più donne, l'ultima delle quali è una certa Mabel Raynor, pseudonimo Avril Lane, una famosa scrittrice di Gialli. Mabel invero pensa ancora di essere nei pensieri di Renton e fa di tutto per ingelosire il suo devoto maritino, George. A completare l'affresco, c'è anche Love Drummond, organista della chiesa di cui è Pastore Hilary Jessup: Love ha accettato di tenersi per l'estate due pestiferi nipotini, che le hanno rotto le porcellane di casa e continuamente sfottuto il gatto. 

Un bel giorno, mentre Ernesta è via a New York, si organizza un bel pic nic che però viene tenuto in altro posto scelto da Lorie: vicino ad una vecchia segheria, nel bosco, un luogo pittoresco. Al picnic partecipano tutti i soggetti citati. E mentre ciò accade, e già prima , la figlia di Westlake ripete ossessivamente una vecchia ballata, che ha adattato a suo modo, includendovi le due pesti.

Accade dopo il picnic che le due pesti non si trovino, dopo che una delle due, ha regalato una biglia rossa alla fidanzatina, Dawn. Partono le ricerche che coinvolgono tutti. Vanno alcuni persino alla segheria che è stato l'ultimo posto dove sono stati visti i due fratellini. Ma non si trovano. Finchè per caso li trova Westlake, nello stagno di cui si parla nella ballata: qualcuno li ha colpiti violentemente alla nuca, buttati in acqua e lì sono morti per annegamento.

Alla morte dei due fratellini, seguiranno altre: quella di George Raynor, colpito alla nuca e lasciato morire di asfissia da gas nella cucina della sua casa, mentre la moglie era su in soffitta a scrivere il suo ultimo giallo; quella del prete, accoltellato in chiesa, e quella di Love Drummond, soffocata in casa sua.

Westlake e Cobb, il suo fido amico ispettore si troveranno a mal partito, sospettando si tratti di un maniaco che uccide seguendo i versi della ballata, prima di osservare che il coltello che è stato usato per uccidere il reverendo, proviene da casa Brady, e quindi semmai si tratta di qualcuno della cerchia degli intimi che sta uccidendo seguendo la ballata determinate persone. Non si capisce il movente, finchè prima che uccida anche Dawn, la coppia Westlake-Cobb, riuscirà a venirne a capo, esaminando il caso da una diversa prospettiva e capendo che tutto era cominciato alla segheria, ancor prima che capitassero là i due fratellini ammazzati come cani. Tutto era accaduto per impedire che si conoscesse la verità su quanto accaduto alla segheria. E cosa avevano scatenato la furia omicida,  non di un maniaco ma di un assassino diabolico ? Qualcosa che non è ciò che si pensava fosse. L'assassino verrà presentato nelle ultime pagine, e sarà uno shock (ma io c'ero già arrivato).

Il romanzo è  notevolissimo. 

Al di là del fatto che è scritto meravigliosamente (era Wheeler che scriveva), il romanzo ha una tensione che non accenna a diminuire, dall'inizio alla fine.

Si tratta di un romanzo basato su una serie di delitti, si può dire sette, in cui un serial killer uccide le sue vittime basandosi su una vecchia ballata popolare. Già il tema del serial killer, alla base del più grande bestseller della storia del mystery,  And Then There Were None di Agatha Christie (1939), e di altri: Murder Gone Mad, di Philip MacDonald (1931), The A.B.C. Murders di Agatha Christie (1936), The Invisible Host di Bristow & Manning (1930), poteva rappresentare un soggetto intrigante, capace di catturare l'interesse del pubblico. Se poi ad esso poteva essere aggiunto quello di una ballata (simile ad una filastrocca), il successo sarebbe stato assicurato. E così fu. Wheeler che si trasferì del 1942 in USA mentre Richard Webb pure britannico di nascita, già vi lavorava, doveva conoscere bene Agatha Christie. Nel 1946, quando decisero di pubblicare questo romanzo, parecchie opere di Agatha Christie, e anche di Ellery Queen, che per di più era autore statunitense e quindi di maggior presa diretta da parte di un lettore americano, erano state basate su filastrocche. Se nel caso della scrittrice inglese la cosa è piùttosta acclamata (basti ricordare And Then There Were None, basata su Ten Little Indians;  One, Two, Buckle My Shoe, su cui viene scandita la successione dei capitoli (nel mondo anglosassone è una flastrocca usata per insegnare la numerazione ai bambini) di Poirot non sbaglia (1940); This Little Piggy, usata per contare sulle dita, viene ricordata da Poirot nel romanzo Il ritratto di Elsa Greer; Little Boy Blue, filastrocca comunicata in seduta spiritica nel romanzo Alla Deriva; There Was a Crooked Man, è usata per dare il titolo ad un romanzo, The Crooked House (È un problema); nel romanzo Polvere negli occhi, la filastrocca citata è Sing a Song of Sixpence, etc..), anche Ellery Queen la usa: come non ricordare Double, Double (1949) in cui Ellery Queen investiga su una serie di omicidi basati sulla filastrocca Tinker, Tailor? Ma soprattutto un romanzo pubblicato prima del loro, There Was an Old Woman, 1943, in cui vengono citate almeno due filastrocche: Five Little Pigs e One Two Buckle My Shoe?

La filastrocca, usata nel romanzo, in sostanza è una ballata popolare inglese, che viene canticchiata e in parte adattata da Dawn, la figlia di Westlake, mentre sta al picnic. Si tratta, come ha scoperto Curtis Evans, di Green Grow the Rushes-O. Si tratta di un'antica canzone popolare inglese "Green Grow the Rushes, O" (in alternativa "Ho" o "Oh") (conosciuta anche come "The Twelve Prophets", "The Carol of the Twelve Numbers", "The Teaching Song", "The Dilly Song" o "The Ten Commandments"):

I'll sing you twelve, O
Green grow the rushes, O
What are your twelve, O?
Twelve for the twelve Apostles
Eleven for the eleven who went to heaven,
Ten for the ten commandments,
Nine for the nine bright shiners,
Eight for the April Rainers.
Seven for the seven stars in the sky,
Six for the six proud walkers,
Five for the symbols at your door,
Four for the Gospel makers,
Three, three, the rivals,
Two, two, the lily-white boys,
Clothed all in green, O
One is one and all alone
And evermore shall be so.

Il primo capitolo dell'edizione in inglese si apre con la strofa:

Two, two the lily-white boys,
Clothed all in green-O.
One is one
And all alone
And ever more shall be-O

I primi a venire uccisi sono "i due ragazzi bianchi di giglio vestiti tutti di verde" che quindi troverebbero il loro riferimento nella strofa. Quello però su cui nel romanzo stranamente Westlake non si sofferma ( e che si capisce alla fine del romanzo) è  quella terzina di versi  

One is one
And all alone
And ever more shall be-O
.

Uno è uno, a tutto solo, sempre di più sarà (così). Perchè Westlake non ragiona su questi tre versi? Se vi è una successione di morti, basati sui versi delle strofe, allora sarebbe dovuto partire da questi e chiedersi: perchè i due ragazzi che vengono citati dopo vengono prima, e non si da' giustezza ai versi canticchiati prima? Infatti se si vede la numerazione va dal basso in altro: ciascuna strofa è costruita sulla precedente e a questa aggiunta. Lo si vedrà alla fine perchè. Un piccolo bug nella trama che mi ha fatto riflettere. 

Per quanto attiene alla tecnica, il romanzo si divora, perchè ha il merito di variare continuamente lo stato dei fatti, e delle situazioni che avvengono: possiamo distinguere un plot ben definito su cui agiscono vari subplots quasi tutti falsi o comunque che  hanno il compito di distogliere il lettore, dall'unica strada che si dovrebbe percorrere per giungere alla verità . I subplots ingannevoli sono;

la ballata canticchiata da Dawn e poi commentata da Westlake; il maniaco omicida che venendo dall'esterno ha sentito enunciare la ballata e l'ha seguita fedelmente; la successione delle morti; quanto viene raccontato sulle tresche che hanno luogo nella cittadina; i disturbi psicotici ereditati dai Brady e quelli acquisiti in guerra.

I personaggi non sono solo abbozzati, ma descritti vivamente, nelle varie sfaccettature delle loro figure: Renton, il donnaiolo che ha messo la testa a posto sposando Ernesta; George, il marito fedele ad  Mabel, che giunge a fare da sguattero a patto che il genio della moglie trionfi; Ernesta, che ha fatto mugnifici regali alla comunità in cui vive (tra cui l'organo Hammond alla chiesa), ma la gente del posto spettegola sui suoi reali scopi; Westlake che non è tanto il medico condotto vedovo (padre della piccola Dawn, vero deus ex machina della storia), ma il vero detective, al di là delle doti del suo amico Cobb, con le sue illuminanti abduzioni; Lorie, ragazza timida e vissuta all'ombra della madre, che diventa un'altra quando vede la madre in altra luce; e Caleb, io direi il soggetto maggiormente analizzato, soprattutto per la sua fuga dalla guardia alla chiesa che costa la morte al reverendo Jessup, che rivela i suoi gravi problemi psicotici. La figura di Caleb, ricalca nella sua figura e nei suoi problemi traumatici post-guerra, un determinato soggetto, preso a prestito da molti autori, in romanzi scritti dopo la prima e seconda guerra mondiale, non solo quindi da Webb-Wheeler, ma anche da altri, primo fra tutti Ellery Queen: come non ricordare The Murderer is a Fox, il cui protagonista il Cap. Davy Fox torna dalla guerra con l'impulso di uccidere?  Oppure The Unpleasantness at the Bellona Club di Dorothy Sayers in cui si parla di Shell-Shock a proposito di certi atteggiamenti di Lord Peter Wimsey; o anche A Test of Wills di Charles Todd, in cui si parla dei problemi da PSTD o Shell-Shock dell'Ispettore Ian Rutledge? 

Come si vede, di false piste ce ne sono in abbondanza. E come sempre tra tanti indizi ingannevoli, l'unico che avrebbe portato alla verità, è bene occultato, perchè non viene svolto nella sua semplicità, anche se è presente fin dall'inizio: se venisse preso nerlla giusta luce all'inizio, ci si chiederebbe: ma se è davvero quello che parrebbe essere, significa che una certa persona, non è dove si pensa che sia. Uno potrebbe pensare a questo punto: l'unico soggetto che è assente dall'nizio del romanzo è Ernesta Brady. Che ha ereditato la malattia tara della madre e ha paura che si possa rivelare nella figlia, e quindi quale miglior assassino può essere uno che sino dall'inizio del romanzo si afferma che sta a New York ? Un po' quello che accade in Dieci piccoli indiani, o ne L'assassino invisibile.. No, lo dico qui, ed è quello che chiunque leggendo il romanzo saprà: Ernesta non è l'assassino, anche se ad un certo punto sembra che lo sia. 

E allora? 

Non resta che leggere questo straordinario romanzo, per capire come determinate cose, analizzate nella giusta luce, rivelino storie che non sono quelle che si riteneva che fossero.

 

Pietro De Palma

 



 

 

giovedì 17 aprile 2025

Michael Innes : Delitto ad Elvedon Court (Appleby’s Other Story, 1974) – trad. Anna Ponti; I Gialli di Qualità N.21, Rizzoli, 1975.



 
Di John Innes Mackintosh Stewart abbiamo già parlato quando abbiamo analizzato l’unico romanzo pubblicato da Mondadori, “Meglio erede che morto” (The Gay Phoenix, 1976). Quindi..tireremo innanzi. Tuttavia, rimarchiamo la pochezza dei romanzi di questo straordinario autore britannico pubblicati in Italia a fronte dei molti invece tradotti di Nicholas Blake (pseudonimo di Cecil Day-Lewis, e come lui, cattedratico: solo 5.  Un po’ poco, se si considera la grande qualità di questo romanziere.
Nel 1975 fu pubblicato da Rizzoli, nell’ambito della sua collana “I Gialli di Qualità” (comprendente tra l’altro, oltre a Innes, altri ottimi scrittori, talora assolutamente sconosciuti in Italia), “Delitto ad Elvedon Court” (Appleby’s Other Story, 1974). E’ un’altra avventura di Appleby, anche questa volta piuttosto tarda. E’ curioso rammentare come i romanzi di Innes siano stati pubblicati in Italia solo a partire dagli anni settanta, e, cosa ancora più curiosa, sono stati pubblicati suoi romanzi allora relativamente recenti, come se i precedenti romanzi della sua produzione, quelli più rinomati, soprattutto i primi quattro, Death at the President’s Lodging (1936) conosciuto anche come  Seven Suspects; Hamlet, Revenge! (1937); Lament for a Maker (1938); Stop Press (1939; anche come The Spider Strikes), e i molti ottimi, tra cui altre eccellenze, non fossero mai stati stampati. Una cosa ben strana!
Il primo romanzo di Innes ad essere pubblicato in Italia, nell’agosto 1966, fu “La moglie immortale” (The New Sonia Wayward,1960), nell’ambito della collana Feltrinelli “Il Brivido e l’avventura”. Seguirono “Per quarantott’ore silenzio” ( Silence Observed, 1961) pubblicato nel 1972 dalle Edizioni Paoline; poi quello che presento oggi; ed infine il romanzo pubblicato da Mondadori nel 1976, “Meglio erede che morto” (The Gay Phoenix, 1975). Qualche anno fa, anche Polillo ha voluto dire la sua, pubblicando l’opera prima di Innes, “Morte nello studio del rettore”, Death at the President’s Lodging (1936).
“Delitto ad Elvedon Court” comincia con un omicidio.
John Appleby ex Commissario Capo ora in pensione, assieme al suo amico Colonnello Tommy Pride, Capo della Polizia di Contea, si sta recando ad Elvedon Court, antica residenza di campagna, di proprietà di Maurice Tytherton, uomo d’affari e grande collezionista di quadri. Il segreto intendimento di Pride, che ha allegramente coinvolto Appleby, ben contento di risvegliarsi dal torpore della pensione, è quello di ottenere un parere dall’amico in merito ad una faccenda avvenuta qualche anno prima: la scomparsa di alcuni quadri di valore dalla magione di Elvedon Court, ben pagata dalla assicurazione di turno. Comunque a Pride qualcosa non quadra in quella sparizione e così i due si stanno recando dal collezionista. Sfortuna vuole che lo trovino già morto e stecchito: è stato ammazzato nella notte con un colpo di pistola, all’interno del suo studio.
Pride, chiede ad Appleby, con la benevolenza dell’Ispettore Henderson, ben contento di ottenere una consulenza prestigiosa come quella dell’ex Commissario, di occuparsene discretamente.
L’ambiente in cui la polizia deve muoversi è nebuloso, ben oltre le più rosee aspettative: gli abitanti della casa, dai familiari ai domestici, sono quanto di più infido possa esistere.
La moglie di secondo letto di Maurice Tytherton, Alice, è bellissima ma gelida e distante: è interessata al buon nome della proprietà, ad essere ben considerata dalla società, e sfrutta le sostanze del marito in maniera considerevole, vivendo agiatamente. Per quanto si sappia i suoi rapporti col marito sono freddi: il marito ha un’amante, Cynthia Graves, una tipa di assai dubbia moralità, una cortigiana di lusso, una mantenuta insomma, che non disdegna di riscaldare il letto non solo dell’amante ma anche del nipote di questi, Archie, altro tipo debosciato, la cui attività preferita è quella di fare sesso con chiunque tizia gli capiti a tiro, comprese le cameriere; ma anche lei, Cynthia, in fondo, non ha perso tempo: ha una relazione extraconiugale col Dottor Carter, eminente chirurgo. Insomma una famiglia in cui “le corna” sono vicendevoli e anche ben conosciute.
Oltre agli stretti familiari, altri personaggi strani si muovono nella casa: Raffaello, strano mediatore di opere d’arte, dalla fedina penale non proprio immacolata, coinvolto nel passato di Appleby in inchieste riguardanti sparizioni di opere d’arte e ricettazione, che si aggira nelle enormi e molteplici stanze della villa, pare invitato dallo stesso padrone di casa; Miss Kentwell, altro strano personaggio, la cui occupazione sembra essere quella di spillare soldi per beneficenza; e infine il maggiordomo, Catmull, e la sua consorte, entrambi viscidi, molto interessati alle proprietà di casa, e pettegoli. Infine c’è anche il figliol prodigo, appena tornato a casa, Mark, unico figlio di Maurice, che Appleby trova nel bosco attorno alla casa, e che pare sia stato a casa la sera prima poco prima che suo padre fosse ucciso, e che avesse avuto con lui una furiosa lite, conclusasi con la fuga nel bosco. Il motivo di tanto astio? I gioielli della madre, prima moglie di Maurice, monili di gran valore, tra cui una parure di diamanti, che in quanto di sua proprietà e non donategli dal marito, dovrebbero essere propri del figlio ed invece sono finiti, nonostante le aspirazioni a possederli da parte di Alice, nelle mani della puttana di Maurice, Cynthia, che in ogni occasione non perde mai occasione di far capire come per lei il sesso sia un’occupazione e una possibilità di successo.
Oltre a questi “esempi di moralità”, altri due personaggi girano nel tourbillon dell’entourage: il vicario Voysey, e il segretario di Maurice, Ronnie Ramsden, altro personaggio alquanto ambiguo.
Le indagini di Appleby e Harrison si presentano subito alquanto complesse: Ramsden e Miss Kentwell, hanno la sera prima fatto un giro nella casa, con destinazione i tetti, salendo e discendendo scale interne, per godersi la luna piena. Prima si sono affacciati nello studio al primo piano, non trovandovi Maurice Tytherton, poi, quando sono ridiscesi, lo hanno trovato morto: particolare curioso è il vassoio col brandy che invece di trovarsi sulla mensola del caminetto è in altro posto come se Maurice avesse ricevuto una visita. Inoltre, la prima volta che sono entrati nello studio, si è sentito l’urlo di un pavone, e affacciandosi lo hanno visto stazionare sulla testa della statua di Ermete, proprio sotto la finestra, mentre la seconda volta non l’hanno sentito.
Il lasso di tempo è di venti minuti, in cui chiunque della casa avrebbe potuto compere il delitto senza essere visto: i due che verosimilmente, per quanto detto, sono esclusi a priori sono Ramsden e Kentwell, che in quanto assieme, forniscono ognuno all’altro un alibi inattaccabile (sempre però che non l’abbiano ucciso assieme!). Comunque sia non si capisce per quale motivo avrebbe dovuto sopprimere il suo padrone Ramsden, e ancor più la Kentwell che è apparentemente in quella casa per reperire fondi di beneficenza: avrebbe dovuto uccidere “la sua gallina dalle uova d’oro”. Per quale motivo?
Appleby comincia ad indagare. E ben presto capisce che ognuno dei soggetti di questo dramma presenta due o tre diverse facce, ognuno mentendo e nello stesso tempo presentando le verità che più fanno comodo. E capisce che tra i vari moventi: gelosia (nei confronti del nipote o della moglie: Maurice aveva chiesto il pomeriggio stesso della sua morte, al suo legale, di cambiare il testamento), cambiamento del testamento (nipote, moglie, figlio), possesso dei gioielli della moglie (figlio, moglie, amante), quadri rubati (Raffaello), icone sottratte all’URSS e finite nelle mani di Maurice, e del cui ritrovamento si occupa Miss Kentwell, detective privata sotto mentite spoglie, la cui doppia occupazione in quella casa era quella di controllare Alice per parte del marito, per comprovarne il tradimento e nel tempo stesso cercare le icone rubate, di nascosto a Maurice, una doppiogiochista scaltra e furba, il movente determinante è quello delle opere d’arte. E nell’arco di un giorno perviene alla soluzione del caso, dopo aver fatto il giro dell’immensa villa e aver visitato tutte le stanze e i piani e persino esser stato nelle soffitte; dopo aver trovato della carta stracciata, nel locale deputato alla spazzatura; dopo aver sentito del grido di un pavone, nella notte dell’omicidio; dopo aver trovato le icone rubate, dietro a degli innocenti quadretti.
Ci troviamo dinanzi ad un romanzo di altissima classe, con una tensione che non si allenta un attimo. Varie sono le caratteristiche che individuo.
Innanzitutto l’assenza di un prologo, di una parte introduttiva al delitto: Innes, pur essendo un puro britannico, e quindi inserito nel filone della detective story di marca anglosassone, alla Christie o alla Heyer insomma, si comporta invece come soleva fare Carr: inserire il proprio personaggio a delitto avvenuto, il più delle volte, estraneo al contesto in cui è maturato il delitto, imparziale, “super homines” e quindi in grado di valutare le mezze verità anche come mezze bugie.
Poi la presenza di figure retoriche sparse qua e là, tra cui alcune rappresentazioni allegoriche molto efficaci.
 John Innes Mackintosh Stewart era un cattedratico di grande cultura umanistica, qualità che si poteva apprezzare nella tendenza più volte espressa nei suoi romanzi, al riferimento letterario di opere di autori latini e britannici del passato: anche qui, ogni tanto, emergono le sue conoscenze letterarie.
All’inizio del romanzo, c’è un passo emblematico: “Il boschetto ammicca al boschetto, ogni sentiero ha il suo gemello, e metà della piattaforma rispecchia l’altra metà”, che il lettore non molto curioso, potrebbe falsamente attribuire a William Blake che viene citato qualche rigo più sotto, e che soprattutto potrebbe attribuire ad uno sfoggio assolutamente vanitoso di cultura poetica.
In realtà, “Grove nods at grove, each alley has a brother,
And half the platform just reflects the other”
, che è un passo tratto da “Epistles to Several Persons: Epistle IV, To Richard Boyle” (Moral Essays, ep.
IV, l. 117) di Alexander Pope, a parere mio sottende ad altro ragionamento.
Come avevo supposto per The Gay Phoenix, anche qui Michael Innes sfrutta le sue conoscenze umanistiche utilizzandole anche in preziosismi lessicali ed enigmatici riferimenti, che, quando inserite nel dialogo, mai sono avulse dal contesto del plot ma anzi anticipano la natura della rivelazione e le deduzioni successive. Così, se il titolo del romanzo del 1975 alludeva non tanto ad una qualità della Fenice quanto ad una sottile allusione alla natura omosessuale di uno dei protagonisti, così anche qui in più occasioni, Innes si serve di figure retoriche per rivelare talune caratteristiche del plot. L’allegoria che è insita nel distico di Pope, può esser riferita oltre che alla doppiezza psicologica dei personaggi, anche alla doppia natura di una caratteristica del plot che sarà alla base della rivelazione finale. Non credo proprio sia una mia personale supposizione, tant’è vero che l’inizio del distico “Grove nods at grove” viene ripetuto più in là nel prosieguo del romanzo, quasi a cadenzarne il significato nascosto.
Tuttavia Innes inserisce altre figure retoriche nella tessitura narrativa del romanzo: una similitudine tra il modo di sbucciare la mela del reverendo Voysey e la leggiadria con cui sale la rampa delle scale di Elvedon Court: “Gli rammentava assurdamente il modo in cui il reverendo Voysey aveva sbucciato la mela, con tanta delicatezza, tanto elegante era la sua aggraziata spirale in pietra di Bath finemente intagliata” (cap.4 pag 75); oppure un’altra allegoria, quella riferita al sogno di Archie: “Il tavolo da biliardo diventava sempre più grande e così le stecche. E le palle alla fine erano come palle da cannone, e lui doveva continuamente farle sbattere di qua e di là, freneticamente” (cap. 3 pag. 41). In questo caso l’allegoria è chiara, a parere mio: alluderebbe ad una rappresentazione dell’amplesso, in una figurazione anche piuttosto oscena: il tavolo da biliardo potrebbe essere l’amante o il letto, le stecche sono spesso rappresentazioni figurate del membro maschile,le palle dei testicoli. Il loro movimento frenetico figurativamente esprime proprio la foga di un amplesso, in una rappresentazione estremamente plastica.
E anche descrive meravigliosamente la figura di Archie, legando la comprensione della sua natura psicologica ad una rappresentazione che è anche visiva, esplicativa nella sua volgarità e associabile ad un tipo di persona particolare.
Un passo celebrativo è quello presente nel cap.4 della traduzione italiana del libro, pag.92:
“Tenete alte le vostre spade lucenti o la rugiada le farà arrugginire”. Il distico è riferito al celebre discorso che l’Otello di Shakespeare fa e che in inglese recita: “Keep up your bright swords, for the dew will rust them” (William Shakespeare : Othello, Atto 1, Scena II, verso 60).
Il matterello levato in aria dalla moglie del maggiordomo Catmull e pronto a colpire, richiama la spada levata in aria da Otello. Qui l’immagine epica del discorso shakespeariano, assume un tono assolutamente e volutamente più ruspante: perché al guerriero del mare è contrapposta una guerriera della cucina. La rugiada, che come si sa si posa sui fiori e sull’erba, quindi su qualcosa che è in basso. Se non si usa sovente la spada, quella resterà inoperosa, infilata nel fodero, e potrà correre il rischio di arrugginirsi. Se invece la si usa, combattendo, essa non potrà arrugginirsi, perché sarà sempre usata, e quindi pulita e affilata.
Altra figura retorica che mi appare è la circonlocuzione: la frase presa in esame è “L’assoluta inutilità dei regni sommersi”, a pag. 114 del cap. 6^ del romanzo nella versione italiana, con cui Appleby commenta tra sé e sé il suo errare nelle soffitte di Elvedon Court. Comunque sia, la frase nella sua versione originale è “The superannuations of sunk realms”, ha significato ben diverso dalla sua resa in italiano, direi alquanto strana: infatti, se volessi letteralmente tradurre il verso inglese, che è tratto da “The Fall of Hyperion – A dream” di John Keats (1, 66), scriverei “L’obsolescenza (o il pensionamento) di reami irrecuperabili”. Solo in questa resa si potrebbe apprezzare il senso della perifrasi citata da Innes perché in questo caso meglio si accorderebbe con una soffitta polverosa in cui sono accatastate tante cose oramai messe in pensione perchè non più utilizzabili oppure passate di moda.
Tuttavia queste figure retoriche ed espressioni, che ogni tanto si incontrano, hanno tutte un’aria molto ironica, classica estrinsecazione dell’humour britannico, una risata a denti stretti, che sgrava la tensione, mitigandola con la battuta dell’uomo colto.
Il risultato nella sua complessità, è una scrittura non molto facile da interpretare, preziosa nei suoi giochi di parole, nei suoi significati, molto spesso doppi, difficile e quindi anche lenta nel suo incedere, assimilabile a quella lentezza dell’incedere con cui una persona anziana, come Appleby, si muove e parla: insomma una similitudine nascosta nella stessa natura stilistica del modo di scrivere..
Altro significato nascosto mi parrebbe essere il riferimento all’urlo del  pavone appollaiato sulla testa della statua di Hermes: come lo stesso Innes dice, citando la natura di Psicopompo di Hermes: “ E’ Ermes, signorina Kentwell. Conduce le anime dei morti nell’Ade, ed è perciò indicato con l’attributo di psychopompos dagli antichi greci…con un chiaro di luna come quello vedemmo subito di che si trattava: il grido era stato lanciato da un pavone, appollaiato sulla testa della statua.” (pag.101, cap.5). Infatti Hermes era l’accompagnatore degli spiriti dei morti, nel viaggio per il mondo sotterraneo dell’aldilà: quindi, il riferimento di Hermes e del pavone, sarebbe un’allusione ricercata: il pavone che urla (di notte, anche l’upupa urla, ed è un simbolo di morte), appollaiato sulla testa di una divinità , con valenza di divinità dell’oltretomba, alluderebbe alla morte di qualcuno, in questo caso di Maurice. In altre parole, quando il pavone urla appollaiato sulla testa della statua di Hermes, Maurice è già morto e Hermes lo sta conducendo nel Regno dei Morti.
Tuttavia, la classe di Innes sta nel servirsi di queste sottigliezze della pratica poetica, e di queste citazioni dotte, non come abbiamo detto prima, per sfoggiare solamente la propria cultura, ma soprattutto per sottolineare talune caratteristiche del romanzo. In questo, quindi, ancora una volta, il romanzo rivela dei tesori, non così palesi alla prima interpretazione.
Il romanzo infine possiede anche delle citazioni molto significative, di autori polizieschi: esse sono manifeste, quando cita “Il problema sul ponte della Thor” di Conan Doyle da Il taccuino di Sherlock Holmes, e celate, quando molto probabilmente si rifa nella soluzione, ad un celeberrimo racconto di John Dickson Carr.
 
Pietro De Palma