Margery Alligham è una delle esponenti più famose
della della Golden Age del romanzo poliziesco, formando assieme a Agatha
Christie, Ngaio Marsh e Dorothy Sayers le cosiddette 4 “Crime Queen”
Nacque a Londra nel 1904, in una famiglia in cui il
pane quotidiano era la letteratura: i genitori erano scrittori, una zia
possedeva una rivista letteraria. Durante l’infanzia la famiglia si
trasferì nell’Essex dove lei attese agli studi. Tornata nel 1920 a
Londra, frequentò studi recitazione e conobbe il futuro marito, che la
aiutò sempre nella sua attività editoriale, progettando molte delle
copertine di suoi libri.
Esordì nel 1923 con Blackkerchief Dick,
un romanzo in cui c’erano elementi di occultismo, senza avere un
folgorante successo, e stessa cosa si ripetè più tardi, nel 1928, quando
il suo primo poliziesco fu pubblicato sulla carta stampata a puntate, The White Cottage Mystery. Tuttavia il vero successo lo ebbe quando dette alle stampe il suo primo romanzo, The Crime at Black Dudley,
1929, in cui introdusse il suo personaggio fisso, Albert Campion, una
via di mezzo tra vari personaggi di altri autori : il Lord Peter Wimsey
(della Sayers) e il Roderick Alleyn di Ngaio Marsh (è un personaggio che
oscilla nell alte sfere della nobiltà) e Philo Vance di Van Dine (l’upper
class della borghesia). Dipana misteri, ma vive anche avventure.
Inoltre, confezionando i personaggi di Campion e Lugg, Allingham
dimostra di aver assimilato l’idea base, seguita molte volte dagli
scrittori degli anni venti e trenta, di un investigatore assistito da un
suo collaboratore.
Il primo
come si sa fu Sherlock Holmes col fido Watson. A rompere le scatole
dello schema non fu però Leblanc, che confezionando Arsene Lupin e
mettendolo a confronto con un sedicente Herlock Sholmes, aveva
messo in ridicolo il personaggio di Doyle e lui stesso, ma Chesterton
che inventò il prete-detective Padre Brown dandogli come assistente
collaboratore un ex ladro, Flambeau, diventato poi detective. La
Allingham mi pare che attinga proprio da Chesterton e da questa idea
base, per creare la coppia Campion-Lugg, non dimenticando che Flambeau è
una derivazione stessa di Lupin, ladro e detective (per fini propri)
nello stesso tempo.
Spesso, a
differenza di altre esponenti, che fanno agire i loro personaggi solo
entro contesti ben assestati di alta borghesia (in cui vittime e
assassini rientrano in questo organigramma), l’Allingham non disdegnava
far convivere elementi di criminalità comune nelle sue storie, in questo
ereditando un clichè che era proprio dei primissimi polizieschi quelli
degli anni ’10 ma anche inizio degli anni ’20 (Meirs, Wallace,
Holt, Rohmer, Farjeon, etc..). Proprio in risposta a questa tendenza che
si vede più volte espressa nei suoi romanzi, cioè di far convivere
detection pura e una specie di hard-boiled all’inglese, le sue storie
sono spesso non convenzionali e hanno notevoli punti si sorpresa.
Come appunto nel romanzo “Il giorno del becchino” (More Work for the Undertaker
,1948), un’opera che si situa nella secondà metà della sua produzione (
la prima che va grosso modo sino al 1938, comprende dieci romanzi
scritti in nove anni, in cui il personaggio di Campion è predominante
nella storia e ha caratteri spiccati di whodunnit; la seconda che va dal
1941 al al 1968 comprende 8 romanzi in 27 anni, in cui il personaggio
principale tende a essere sminuito da altri via via presenti, e i
romanzi stessi sono spesso molto più strutturati che quelli dei primi
anni), con le sue più che 200 pagine, molti personaggi, molti subplots, e
anche elementi di criminalità comune che rendono l’orizzonte del
romanzo ancor più variegato e ricco, di quanto non appaia nelle prime
pagine.
Sullo sfondo c’è una famiglia, i Palinode, un tempo il fulcro di un intero quartiere, ridotta
sul lastrico, i cui appartenenti, tutti fratelli, si comportano, alcuni
come se il tempo non fosse passato, cioè con esagerata dignità di
classe, trattando l’ambiente circostante come delle nullità (Evadne e
anche Lawrence), altri con dignità quasi o del tutto assente,
comportandosi come un indigente della massima specie, che viva di
espedienti, mangiando e bevendo cose prese dai boschi o utilizzando le
erbe, solo allo scopo di risparmiare (Jessica), altri ancora vivendo la
propria situazione a metà, facendo parte della casa ma nel tempo stesso
rigettandone le finalità, innamorata com’è di un proprio coetaneo (la
nipote Clizia). Questa famiglia dimora nella propria casa, venduta nel
tempo e di cui ora non sono più i proprietari ma solo dei pensionanti;
condividono la loro vita, assieme ad altri inquilini, tutti un po’
strani: l’ex attore Carrie e l’ex militare, cap. Seaton. A dirigere il
pensionato è Reneé, una conoscente di Campion.
Campion a malincuore si trova invischiato nella
storia dei Palinode, invitato ad occuparsene anche dal cognato del suo
maggiordomo e braccio destro Lugg, il becchino Bowlers.
E’ morta Ruth Palinode, ed una lettera anonima
accusa il medico che ha stilato il certificato di morte, di averlo fatto
frettolosamente: è una lettera velenosa, scritta da chi vuol far
credere o è veramente, poco avvezza a scrivere bene. Ruth viene esumata e
i resti degli organi sottoposti ad analisi, rivelano un’esagerata
quantità di scopolamina, un veleno tratto da Giusquiamo, una pianta che
cresce nel parco cittadino. In quest’ottica, si dispone anche
l’esumazione della salma dell’altro fratello Edward, morto
presumibilmente di colpo apoplettico. Ma siccome il certificato di
morte, l’ha firmato lo stesso medico di famiglia che aveva attestato la
causa di morte per ragioni naturali di Ruth, poi scoperta dovuta invece
ad avvelenamento da scopolamina, si
dispone la riesumazione della salma anche di quest’altro fratello, che
però fornisce esito negativo: è morto davvero per questioni cardiache.
Intanto però altri eventi si annodano a quello
principale: in una cantina, i Bowlers fabbricano bare. Cosa trafficano
con le bare, che escono di notte, da quella cantina? Apparentemente sono
puliti, padre e figlio, ma Albert Campion non ci vede chiaro. Ancor più
per il fatto che in fondo lui è stato invitato a occuparsi della
faccenda per interessamento dei Bowlers, di Jas Bowlers, padre.
Tuttavia, questo strano e macabro traffico di bare,
che avviene di notte, neanche che trasportassero morti di peste,
cadaveri in decomposizione, fà da sfondo ad altri eventi che si
sovrappongono, ad esempio eventi di cronaca nera che non c’entrebbero
nulla col tronco principale dell’avventura, ma che qua e là appaiono e
scompaiono; e in aggiunta a ciò, anche l’aspetto patrimoniale della
vicenda, giacchè i Palinode sono diventati poveri anche per le
vicissitudini legate alle disastrose speculazioni finanziarie di Edward
che hanno spremuto le risorse finanziarie di famiglia, destinandole
all’acquisto di azioni reputate da lui ottimi acquisti, ma poi
rivelatesi niente più che carta straccia. Così in definitiva, perché mai
qualcuno avrebbe voluto uccidere la vecchia Ruth, appartenente ad
un’antica famiglia decaduta e in condizioni finanziarie pessime? Fatto
sta che però Campion e la polizia scoprono che proprio pessime non
sarebbero queste condizioni finanziarie, perché, anche se loro stessi
non lo sanno ( o qualcuno invece lo sa?) alcune delle azioni in loro
possesso e gestite dalla banca cittadina, sono legate allo sfruttamento
di determinate miniere, vitali per certi interessi nazionali.
Il ginepraio in cui deve barcamenarsi Campion è
quantomai arduo. A tutto ciò, si aggiunga anche che deve vagliare i
moventi tra i potenziali assassini esterni e quelli interni alla casa,
tra attori falliti e militari in pensione, tra cameriere pettegole e
familiari superbi ma nel tempo stesso ridicoli nei loro tic, tra i quali
emerge per esempio la voglia di economizzare, creando decotti e tisane
che a loro modo dovrebbero fare bene apportando principi utili
all’organismo, ma che invece sono estremamente tossici, quando non
allucinogeni: quando per esempio, per curare un mal di denti, Jessica
propina al malcapitato di turno una tisana a base di fiori di papavero
che sì addormenta il mal di denti, ma che al tempo stesso lo imbottisce
di oppio.
L’assassino, proprio approfittando di questo tic,
cerca di eliminare un altro dei Palinode, Lawrence, facendo in modo che
beva un decotto a base di cicuta, durante una festa, in cui agli
invitati vengono propinati tisane di ortica e decotti di tanaceto o di
erba mate; solo che il fratello, trovandosi dei frammenti di foglia in
bocca e sapendo che la sorella è fissata in merito al filtraggio delle
sue schifezze per ricavare dai residui altro materiale utile e quindi
capendo che quella cosa che ha trangugiato non può esser stata preparata
dalla stessa, fa in modo da vomitare, salvandosi la vita.
Ad aggravar il quadro della vicenda, di per sé caotico, si deve aggiungere il tentativo di omicidio del giovane Dunning,
amante di Clizia, colpito pesantemente al cranio da un corpo
contundente, di cui non si capisce il fine, fino a che non viene
acciuffato l’assassino, e scoperto un’ incredibile ridda di submoventi,
che abbracciano la criminalità comune, le azioni ritenute nulle ed
invece ricchissime, e i traffici notturni di bare e becchini. E che si
collegano persino alla scopolamina usata dal dottor Crippen.
All’assassino Campion arriverà, ricordandosi dei
bicchieri di sherry in cui erano inseriti dei fiori finti che aveva
visto da qualche parte, e di cui qualcun altro ne conservava altri,
assieme allo sherry e ad una boccetta contenente il veleno, perché
costituiva attrazione per i visitatori, interessati alle vicende
delittuose del dottor Crippen.
A differenza dei primi romanzi in cui il sentiero è
dritto e definito, e quindi più classicamente il lettore ha in mano
quasi tutti gli elementi per riuscire a valutare la vicenda nel suo
insieme, qui, al lettore molto spesso vengono taciuti importanti
elementi che poi portano o a scoperte nel corso del romanzo o
addirittura alla scoperta finale dell’assassino, dei suoi complici e dei
moventi. In questo, la Allingham si discosta palesemente dalle 20
regole elaborate da Van Dine, che erano state pedissequamente seguite
nel corso degli anni ’30.
Anche lo stesso assassino arriva come un fulmine a ciel sereno, perché seppure sorprendente, forse lo è troppo, perché non è stato mai messo in rilievo nel corso del romanzo. Semmai lo è stato l’impiegato di banca, che al pari dei becchini, ha apparizioni oscure e spettrali, mischiandosi alle ombre: Congreve, fratello di una sedicente medium (amante di uno dei pensionanti) che ha inviato lettere anonime a vari personaggi della vicenda, tra cui il farmacista, un’altra delle vittime della mattanza, suicidatosi col cianuro. Ma Congreve, pur avendo conosciuto alcuni particolari della vicenda, non è l’assassino ma solo un volgare ricattatore: l’assassino è impalpabile nel corso del romanzo, fino alla sua scoperta finale: sembrerebbe che la Allingham volutamente l’abbia taciuto così da accrescere il suo ruolo nel finale.
Anche lo stesso assassino arriva come un fulmine a ciel sereno, perché seppure sorprendente, forse lo è troppo, perché non è stato mai messo in rilievo nel corso del romanzo. Semmai lo è stato l’impiegato di banca, che al pari dei becchini, ha apparizioni oscure e spettrali, mischiandosi alle ombre: Congreve, fratello di una sedicente medium (amante di uno dei pensionanti) che ha inviato lettere anonime a vari personaggi della vicenda, tra cui il farmacista, un’altra delle vittime della mattanza, suicidatosi col cianuro. Ma Congreve, pur avendo conosciuto alcuni particolari della vicenda, non è l’assassino ma solo un volgare ricattatore: l’assassino è impalpabile nel corso del romanzo, fino alla sua scoperta finale: sembrerebbe che la Allingham volutamente l’abbia taciuto così da accrescere il suo ruolo nel finale.
Molti buoni propositi in questo romanzo, e tracce
ereditate da altri autori: potrei citare La Rovina di casa Usher di Poe o
anche La fine dei Greene di Van Dine o anche La Tragedia di Y di Queen,
per quanto riguarda la serie di morti più o meno sospette tra i
Palinode. Al di là di questo,
il romanzo è molto difficile da leggere, prolisso,
pieno di giochi di parole, riferimenti, citazioni: non è certamente il
romanzo che un lettore alle prime armi che si avvicina al genere,
dovrebbe leggere. Per di più, parecchie delle citazioni e dei giochi di
parola, che si perdono talora nella traduzione italiana, finiscono per
appesantire la vicenda, già di per sé difficile da inquadrare. E alla
fine si arriva più per forza di inerzia, e per voler davvero capire chi
cavolo sia il responsabile e cosa c’entrino tutti questi subplots e
submoventi, che per una effettiva tensione generata consapevolmente
dallo stile della scrittrice.
Un romanzo estremamente affascinante per la trama e
i personaggi surreali, ma poco adatto a chi lo voglia leggere per
passare un pomeriggio: spesso, bisogna rileggere per riuscire a capire i
nessi.
Un capolavoro (in inglese, la qualità stilistica dell’opera è altissima) per giallofili.
Pietro De Palma
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