Innazitutto è uno di quei romanzi di Stout con Nero Wolfe che si pensò fosse necessario rinverdire, affidandolo per la nuova traduzione a Gianni Montanari (traduzione integrale, pertanto). E poi ha una introduzione interessante firmata da William De Andrea, scrittore statunitense vincitore di ben 2 Edgar Awards, di cui la Mondadori pubblicò tutti i romanzi all’inizio degli anni ’90.
Priscilla Eads, giovane ereditiera, per motivi propri sbarca a casa di Nero Wolfe e senza che lui lo sappia, vuole sistemarsi nella sua casa, pagando per vitto e alloggio 50 dollari al giorno per una settimana. Archie Goodwin la metterebbe alla porta, se non si trattasse di una avvenente fanciulla, per cui ne sposa i motivi che l’hanno portata lì e dopo averla sistemata al primo piano in una stanzetta, sottopone semmai la cosa a Nero Wolfe, che vorrebbe in un primo tempo metterla alla porta, salvo poi ripensarci quando si precipita in casa sua, tale Perry Helmar, avvocato e legale della Softdown Incorporated, una industria che crea e distribuisce salviette. Questo Perry Helmar gli chiede di ritrovare una ereditiera, e quando mostra la foto, Archie riconosce in lei la giovane che è al piano di sopra. Dopo averlo liquidato e aver capito chi sia la giovane, Wolfe per accondiscendere alle sue pretese, chiede diecimila dollari, che la giovane si rifiuta di accordargli. Qualche ora dopo Archie viene a sapere che la giovane, al suo arrivo a casa è stata strangolata. Ma prima che ciò accadesse, l’assassino ha prima strangolato la cameriera personale di Priscilla rubandole le chiavi di casa Eads per tendere alla giovane un agguato in casa sua.
Archie si sente coinvolto in prima persona: aveva assicurato alla giovane che Wolfe l’avrebbe ospitata ed invece così non è stato; per di più se l’avesse messa alla porta subito, la stessa avrebbe potuto trovarsi altra sistemazione congeniale e quindi si sarebbe salvata. Nero Wolfe invece non si sente minimamente toccato dalla morte della giovane.
Accade però che sulla borsa abbiano trovato le impronte di Goodwin: aveva aiutato a giovane a portarla quando era a casa di Wolfe. Viene quindi arrestato, anche perchè è andato ad interrogare qualcuno dei consiglieri, dicendo di essere un investigatore e contando che gli altri avrebbero pensato che fosse un poliziotto; però viene poi scagionato. Tanto basta però per Nero Wolfe, a scendere in campo, per il suo cliente: Archie lo ha assunto.
Archie si reca quindi ad interrogare quelli che avevano un qualche motivo per ucciderla: i componenti del consiglio di amministrazione della società alla cui direzione sarebbe andata Priscilla quando sette giorni dopo, il 30 giugno, avrebbe compiuto 25 anni. Alcuni collaborano altri no. C’è anche Sarah Jaffee, la figlia di un altro componente del consiglio, Arthur Gilliam, che però era morto tempo prima e alla quale l’ex padrone dell’azienda aveva lasciato il dieci per cento del pacchetto azionario della società da lui fondata.
Un ulteriore siviluppo si ha quando si viene a sapere che l’ereditiera anni prima si era sposata all’estero e aveva divorziato tre mesi dopo; tuttavia nel frangente dei tre mesi aveva fatto una sciocchezza: aveva firmato un pezzo di carta nel quale autorizzava il marito ad ereditare la metà delle sue sostanze, all’atto in cui le avesse ereditate, e che probabilmente aveva valore anche dopo il divorzio.
Quindi in sostanza, coloro che avrebbero avuto un qualche vantaggio dalla sua morte, sarebbero stati: l’ex marito Eric Hagh (rappresentato dal suo avvocato, tale Albert M. Irby, detto Irby Il Rugiadoso), e i componenti del consiglio di amministrazione, che per un motivo o per l’altro non vedevano di buon occhio la salita di Priscilla “alla direzione della baracca”: Jay L. Brucker, Olivier Pitkin, Perry Helmar, Viola Duday, Bernard Quest. Però il marito avrebbe avuto la sua parter anche se lei fosse stata in vita; anzi, così, diventa più difficile far valere le proprie velleità, perchè chi aveva firmato è morta, e gli altri negano la veridicità dell’atto.
Wolfe,
siccome non ha elementi in mano, per capirci qualcosa, convince la
Signora Jaffee, grazie alla persuasione di Goodwin, ad intentare causa
agli altri affinchè il tribunale, finchè non riesca a catturare
l’assassino delle due donne, posto che probabilmente sia uno degli eredi
(tutti erediterebbero un gran bel po’ di azioni della compagnia), neghi
a tutti di utilizzare anche un solo cent della loro eredità. Lo scopo
di tutto, è riuscire a convincere tutti ad andare in casa sua ed essere
da lui interrogati, per scongiurare la richiesta della Jaffee al
Tribunale. Dopo che tutti hanno risposto alle sue domande, Wolfe dice a
Goodwin che qualcosa l’ha ricavata anche se gli pare una debole traccia.
Tuttavia quella notte anche Sarah Jaffee, nonostante si sia rivolta in
extremis nel cuore della notte a Goodwin per avere aiuto (si è accorta
che qualcuno nello studio di Wolfe gli ha sottratto le chiavi di casa e
teme che anche lei possa essere in pericolo di vita), viene uccisa.
Questa volta sono gli organi di polizia a rivolgersi a Goodwin, che
ha chiesto di collaborare con l’Ispettore Cramer, perchè acconsenta a
prestare casa sua per una ripetizione dell’incontro della sera prima con
tutti coloro che erano lì presenti (compreso Andy Formos, il marito
della cameriera che Priscilla voleva entrasse in un nuovo consiglio dia
mministrazione che lei avrebbe presieduto dopo la sua elezione, che
pertanto vuole ricavarci qualcosa, oltre a capire chi abbia ucciso la
consorte). In quell’occasione Wolfe, con un ragionamento sbalorditivo,
inchioderà l’assassino delle tre donne.Almeno questo romanzo un dubbio me lo ha eliminato: avevo ben impressa in mente la figura di Archie Goodwin, interpretata da Paolo Ferrari (sornione, accattivante, attratto dalle belle donne) e la applicavo all figura di carta dei romanzi di Rex Stout. Francamente, non ero ben sicuro che tale decalcomania fosse ben adatta a lui, ma dopo aver letto questo libro, posso dire di no: Archie Goodwin segretario, factotum di Nero Wolfe, non è minimamente conformabile alle altre spalle della letteratura poliziesca. L’unico che supera in sagacia è il Capitano Hastings, ingenuo compagno di Poirot, ma per il resto…Qui ne combina di tutti i colori per esempio, e per giunta la sua improvvisazione e la sua mancanza di ragionamento hanno un effetto nel primo delitto mentre favoriscono il secondo. Neanche a farlo apposta, ne pagano le conseguenze due avvenenti donne: una di venticinque, l’altra di ventinove anni. Inoltre, per troppa implicazione personale nei fatti, non riesce a dare il contributo che in altre occasioni avrebbe assicurato.
Wolfe invece è al top della forma. E nonostante in questo romanzo manchino alcune caratterizzazioni presenti altrove (la parte del cuoco Fritz Brenner è ridotta all’osso, e siccome non si parla di orchidee, manca del tutto quella di Theodore Horstmann, giardiniere di Wolfe), tuttavia Saul Panzer, investigatore privato fidato di Wolfe ha una parte rilevante perchè grazie a lui Wolfe acquisisce le informazioni vitali che gli servono per smascherare l’assassino.
Tuttavia è bene indicare che qui, come ricorda De Andrea nella Prefazione, è presente uno dei rari casi di finale fenomenale, nella carriera di Wolfe, in cui in virtù di un ragionamento scoppiettante, tutti i tasselli vanno al loro posto, e l’assassino viene smascherato cin una trovat geniale: tutto si incentra sul furto delle chiavi. Perchè nel caso dello strangolamento della cameriera, non aveva rubato la borsa ma aveva sceltro la strada più difficile andando a rubare le singole chiavi? E perchè l’aveva uccisa? Non perchè lei l’avesse riconosciuto, e quindi lui si fosse trovato nella necessità di ucciderla, ma per il motivo opposto, cioè perchè lui sapeva che lei non l’avrebbe riconosciuto.
Ragionamento non capibile? Sì è vero, ma lo è anche perchè non si è letto il romanzo. Ecco perchè qui è necessario procacciarselo. Per gustare cioè la rivelazione finale che è davvero sbalorditiva, in funzione di quello che abbiamo riferito.
Al di là di questo, l’andamento del romanzo mi è sembrato, stilisticamente troppo lento e talvolta anche tedioso, fatto anche di una inutilità di dettagli che mi sono parsi più rallentare che velocizzare l’azione; a questo contribuisce anche il fatto che l’azione è portata avanti in prima persona, da parte di Goodwin, che ha una parte rilevante nella tenuta del romanzo. Tuttavia, l’incentrare quasi tutta la sostanza e il movimento del romanzo sulla sua persona – con movenze che talora ricordano il romanzo Hard-Boiled -che nel romanzo peraltrò è insignificante per la sua risoluzione, anzichè su quella di Wolfe, che nei suoi gusti culinari e nelle sue passioni connesse alla floricultura, costituisce un personaggio da gustare ogni volta nelle sue sfaccettature, toglie nerbo alla storia; e l’azione molto spesso è solo una ripetitività di gesti e di situazioni, che hanno sì la funzione di testimoniare lo svolgimento delle cose accadute in giornata, ma anche tolgono talora mordente all’azione vera e propria.
In sostanza, forse qui, una traduzione più snella, sarebbe stato un montaggio più efficace mi sembra allo svolgersi della storia.
Pietro De Palma
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