Lo
so che è alquanto infrequente leggere l’analisi di un romanzo di
fantascienza in un blog dedicato esclusivamente alla letteratura e al
cinema polizieschi, ma in questo caso la ragione è facilmente
comprensibile: il romanzo in questione, pur essendo apparso su un volume
Urania, è nient’altro che un romanzo poliziesco mascherato da romanzo
fantascientifico.
L’autore è stato un autore esclusivamente
poliziesco, e quindi mal si adatta una collocazione in pubblicazione
fantascientifica del suo romanzo. Ma comunque il tutto lo rende
particolarmente individuabile, magari di più che non fosse stato
pubblicato su una collana più propria.
Edward Dentiger Hoch (scrittore molto versato nel
racconto giallo classico e con all’attivo quasi mille racconti, tra cui
moltissime camere chiuse), che aveva scritto precedentemente altri
quattro romanzi, due mystery (The Shattered Raven, 1969; The Blue Movie Murders, 1972, a nome di Ellery Queen) e due di fantascienza mascherati (The Transvection Machine, 1971; The Fellowship of the hand, 1972), scrive The Frankenstein Factory, 1975, che sembrerebbe derivare direttamente dal capolavoro di Mary Shelley, Frankenstein.
Il romanzo tratta di un’isola in cui sono
conservate capsule di ibernazione, dove molti personaggi hanno disposto
che vengano conservati i propri corpi in attesa che scoperte nel campo
della medicina rendano possibile trattarli con tecniche operatorie e con
farmaci ancora sconosciuti. Il dottor Frankenstein della situazione,
che qui si chiama Lawrence Hobbes, tenta un’operazione senza precedenti:
in una creatura, un soggetto di circa trent’anni morto per un tumore al
cervello, si tenta di impiantare il cervello, il cuore, i reni e il
fegato di altri essere umani. L’operazione è per certi versi segreta,
anche perché lo scienziato “usa” alcuni corpi solo per prelevarvi
organi, corpi che quindi saranno inutilizzabili o quasi..dopo.
Il romanzo per certi versi è parecchio simile ad
uno di Steeman che è stato pure analizzato in questo spazio blog: anche
lì c’è un dottore che tenta un’impresa mai tentata prima, cioè rianimare
un corpo non più in vita attraverso l’elettricità, dopo avergli
inserito nel cranio altro cervello. In entrambi i casi si tratta di
criminali: criminale per amore, quello del romanzo di Hoch (prima di
uccidersi buttandosi sotto un treno, ha ucciso la moglie, che aveva un
cancro) ma in questo caso il cervello di un assassino è messo in un
corpo di un ragazzo morto per un tumore al cervello; criminale invece
allo stato puro, quello di Steeman, in cui il cervello di una persona
normale dovrebbe essere trapiantato nel cranio di un assassino.
Entrambi hanno evidenti punti di contatto col
romanzo della Shelley, ma più ancora Hoch inserisce una citazione che
sgombra ogni dubbio, nel suo romanzo:
“Cos’è questa storia della Fabbrica di
Frankenstein?- Sentite, non è stato lui ad avere per primo l’idea. Louis
Washkansky, un droghiere del Sudafrica, il primo uomo a cui sia stato
trapiantato il cuore, ha detto in televisione: “Adesso sono come
Frankenstein. Ho il cuore di qualcun altro”. Certo, si sbagliava. Il
mostro non si chiamava Frankenstein, e poi lui è vissuto solo diciotto
giorni, molto meno del mostro.- Però…
– Oh, ammettiamolo. Noi siamo l’equivalente
moderno del dottor Frankenstein. Se questa operazione riesce, avremo
creato un individuo nuovo. Nel suo corpo metteremo un cervello e altri
organi provenienti da più persone diverse. Esattamente come faceva il
dottor Frankenstein nel romanzo di Mary Shelley”( Edward D. Hoch, The Frankenstein Factory, “La fabbrica di Frankenstein”, traduz. Vittorio Curtoni, Mondadori, Urania, pag.15).
Se è storia poliziesca, deve esserci un investigatore. E infatti c’è : Earl Jazine, lo stesso detective di The Transvection Machine, “La Macchina Televettrice” e The Fellowship of the Hand,
“Golpe Cibernetico”. E’ un agente del Computer Investigation Bureau,
una sezione segreta che risponde direttamente al Presidente degli Stati
Uniti.
Che ci fa qui Earl? Agisce sotto copertura:
apparentemente è un tecnico video incaricato di riprendere in audio e
video le fasi di un’operazione rivoluzionaria da tenersi in un’isola
segreta; in realtà deve investigare su ricerche di criogenia e sui
relativi finanziamenti, non tutti alla luce del sole. Esce dalla
copertura quando Vera Morgan, una ricercatrice chimica, ne rivela
l’identità. E questo accade quando scompare Emily Watson, una filantropa
che vive nel centro e che lo sovvenziona coi suoi soldi; e soprattutto
dopo che il Dottor MacKenzie, uno degli scienziati dell’equipe viene
ritrovato strangolato. Scompare anche “la Creatura”, e quindi si pensa
che possa c’entrare con gli omicidi. Poi vengono uccisi tutti tranne
Vera Morgan e il dottor Armstrong un’ecatombe: Tony Cooper (amante di
vera), Freddy O’Connor, Hobbes, Whalen, Emily Watson.
C’è un duello nelle sale delle capsule tra Earl e
la Creatura chiamata Freddy, poi ancora in agguato sulla spiaggia:
l’intervento non è riuscito alla perfezione e così il cervello ha subito
dei traumi: la Creatura non parla, ha il braccio sinistro non
funzionante ma l’altro, come tutto l’essere, è dotato di una forza
sovrumana. Eppure soccombe opposto ai tre superstiti: Jazine, Armstrong e
Vera.
E’ stato lui ad uccidere gli scienziati? Oppure
anche lui non c’entra nulla, e la scelta è tra Armstrong e Morgan? Sarà
Jazine a scegliere e a fornire la soluzione, dopo aver bevuto un caffè,
che avrebbe potuto essere avvelenato se il suo preparatore fosse stato
in effetti l’assassino.
Nel fatto che la location scelta per l’operazione e
poi..per gli omicidi il romanzo sia un’isola, e che le varie persone
convenute lì per il compimento dell’operazione chirurgica muoiano tutte,
dopo che una sia scomparsa, fa richiamare alla mente il romanzo di
Agatha Christie, And Then There Were None, “E poi non rimase
nessuno”: un’isola trasformata in una trappola senza uscita. Una
somiglianza sfacciata, tanto sfacciata, da avere anche qui la persona
creduta morta, che non lo è; e per di più un personaggio, presente tra
quelli del romanzo christiano, che è pure presente qui tra gli
scienziati sull’isola. C’è anche una persona dalla doppia identità, ed
una tensione non indifferente, che Hoch instaura con sapienza,
travisando i lettori con false piste: la prima, quella della persona
scomparsa; la seconda, quella della Creatura; la terza, quella del vero
omicida.
“Questa situazione mi ha ricordato un romanzo
della scrittrice inglese Agatha Christie, un’opera di settant’anni fa.
Parlava di dieci persone costrette a restare su un’isola che vengono
uccise una per una, esattamente come qui…Alla fine si scopre che una
delle presunte vittime è ancora viva”(Edward D. Hoch, op. cit., pag.122)
Inutile dire che anche qui il colpevole, come nel
romanzo della Christie, è uno dei presenti, ma, se nell’opera originale
della Christie era uno ritenuto precedentemente morto, qui non è così:
il romanzo di Hoch ha cioè una identità ed una variazione interessanti.
Vi è chi viene ritenuto morto in virtù di sangue trovato nel suo letto
ma non lo è, ma che muore davvero, poi.
Anche nella soluzione Agatha Christie entra di
prepotenza, perché si viene a sapere che proprio al suo romanzo
l’assassino si era ispirato.
Tuttavia le somiglianze finiscono qui: infatti il
finale non è catartico, non muoiono tutti con l’isola deserta e poi
mentre ci si domanda: “Ma chi è l’assassino?”, ecco spuntare uno di
quelli che si riteneva essere morti, che morto non era e che ha ucciso
gli altri.
No.
Il finale del romanzo di Hoch, ricorda il finale di
René Clair “Dieci piccoli indiani”: due dei convenuti (ma uno è qui
l’investigatore) riescono a salvarsi e a mettere fuori gioco l’omicida.
Pietro De Palma
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