Avrei dovuto scrivere questa recensione da parecchio tempo, se avessi finito di leggere il romanzo prima. Ma ora una cosa ora l’altra, e anche per il fatto che era in digitale o lo leggevo dall’Ipad, è andato a finire che qualcosa è passata davanti.
Il romanzo in pdf mi era stato passato da Bertoni Editore, ai tempi dell’esplosione della pandemia: è stata una delle pochissime case editrici (per non dire l’unica), che abbia messo a disposizione dei lettori gratis un testo, a scelta del lettore si badi bene, non a scelta della casa editrice come ha fatto qualcun altro. E quindi era doveroso che ne parlassi.
“Chi ha spento la luce” è un romanzo scritto a quattro mani, da Sabina Marchesi ed Enrico Luceri. Il fatto che sia il frutto di un lavoro di due persone ha la sua importanza sul prodotto finito: ne parlerò dopo.
In sostanza il romanzo si apre con una sorta di introduzione, in cui uno psichiatra rilegge una lettera ricattatoria che gli è arrivata, che lo ricollega al suo passato: un passato difficile da dimostrare, indimostrabile perché falso, ma suscettibile comunque, in un tempo dominato dai Social, di procurargli strascichi devastanti dal punto di vista professionale. Del resto il ricattatore non chiede soldi, ma solo una cosa: che lui sottoponga l’arch. Gigliotti ad una seduta ipnotica, sulla base della quale egli risponda o meno di sue responsabilità per qualcosa accaduto nel passato.
Il giorno dopo la seduta si svolge e dopo la seduta, dopo che Gigliotti e la segretaria dello psichiatra sono andati via, il ricattatore si fa vivo con lo psichiatra e lo costringe a rivelargli quello che Gigliotti ha detto durante la seduta. Poi, lo uccide, cancella le tracce della sua presenza e spegne la luce.
L’Ispettrice Ada Colonnese e il Commissario Gagliardo sono stati chiamati per un suicidio. Guarda caso proprio Gigliotti si è suicidato, bevendo un micidiale cocktail di alcool e barbiturici. Che fosse in stato maniaco depressivo, si sapeva già, e quindi non fa notizia che si sia ucciso. Piuttosto certe cose strane si insinuano nel cervello della Colonnese: le note strane sono la posizione innaturale sul divano, il fatto che non avesse lasciato nessun biglietto di addio come fanno i suicidi, e il fatto soprattutto che il giorno dopo avrebbe dovuto avere un incontro con la ex moglie per la vendita di un immobile comune. Particolari strani che fanno dubitare del suicidio.
L’ispettrice Colonnese passa al setaccio tutti gli inquilini del palazzo : c’è il vecchio tirchio Rocchi che vive assieme al figlio, c’è l’Ammirati coppia sposata con bambina, c’è la Sig.ra Modesti, che vive da sola, dopo la morte del compagno, assieme ad un gatto; c’è la sig.ra Silvestri che vive assieme alla domestica Mariella, che a sua volta amoreggia col figlio di Rocchi; poi c’era Gigliotti, e all’attico tempo prima c’era stata Marika Leonardi, una ragazza piena di vita che si era innamorata di Gigliotti e siccome lui si era rifiutata di sposarla, un giorno si era buttata dall’attico. Anche in quel caso nessun biglietto di addio.
Insomma due suicidi nello stesso palazzo. Per di più due persone che erano state amanti.
Il primo suicidio..transeat. Ma il secondo.. proprio non va giù a Colonnese. E non le va giù ancor di più quando si viene a sapere di un terzo suicidio, quello dello psichiatra, il dott. Tancredi. Presso il quale Gigliotti era stato nel pomeriggio precedente alla morte. Tre persone collegate tra loro, tre suicidi perfetti, niente che potesse spiegarne la morte, tranne una lettera trovata nello studio dello psichiatra, accanto al corpo, di una ragazza che anni prima lo aveva accusato di averla stuprata durante una seduta psichiatrica: Ma perché mai, dopo tanti anni, proprio la sera che si uccide Gigliotti, si sarebbe dovuto uccidere per qualcosa che era avvenuto (sempre che fosse avvenuto) MOLTI ANNI PRIMA?
Tre suicidi sono troppi, per di più collegati tra loro. Nonostante non si trovi neanche nello studio dello psichiatra una sola prova o una sola impronta che faccia pensare ad un’altra presenza con lui prima che si uccidesse. Solo il pc c’è ma in cui non si trova nessun file che faccia cenno alla seduta ipnotica del pomeriggio, un tipo di prestazione a cui lo psichiatra non ricorreva mai se non in casi estremi e Gigliotti per lui non lo era un caso estremo. E allora, perché quella seduta ipnotica? Troppi se e troppi ma.
Colonnese e Gagliardo indagano, e più indagano, più trovano indizi che sembrano orientarli verso quel caseggiato di Roma. E verso la possibilità, sempre meno possibile e sempre più certa che si sia trattato di un duplice omicidio: chi ha spento la luce? Per quale motivo un suicida dovrebbe spegnere la luce prima di uccidersi? Se la segretaria avesse trovato la luce accesa dopo essere uscita, aveva detto al dottore che sarebbe salita per finire un lavoro. L’aveva detto sul pianerottolo prima di andare via, un pianerottolo, detto per inciso, buio per metà, e ancora ricordava che aveva avuto l’impressione che lì al buio, ci fosse qualcuno che li stava osservando: Ma perché qualcuno avrebbe spento la luce dopo aver ucciso il dottore? Colonnese è sicura che sia questo l’indizio lasciato dall’assassino: un suicida non si uccide al buio, e spegnere la luce avrebbe significato impedire alla segretaria di salire e scoprire la morte, e quindi poter uccidere Gigliotti secondo un piano già premeditato.
Indagando nel passato del dottore, si indaga ovviamente sull’unica cosa lasciata nello studio: la dichiarazione della paziente. E si scopre che era stata ricoverata anni prima a Villa Rapidi, e che una infermiera aveva con lei intrattenuto dei rapporti di vicinanza e l’aveva anche visitata altre volte, prima che morisse. E’ quell’infermiera l’assassina? Si sarebbe fatta rilasciare magari lei, una dichiarazione dalla ragazza che compromettesse lo psichiatra per indurlo a sottoporre Gigliotti a seduta, e poi una volta ottenuta la prova nel coinvolgimento di Gigliotti nella morte di Leonardi, avrebbe ucciso lo psichiatra divenuto scomodo?
Secondo proprie congetture, Ada Colonnese si convince che tutto ruota attorno al caseggiato. E si convince maggiormente quando viene a sapere che la serva della sig.ra Silvestri, Mariella, stende il bucato sul terrazzo del palazzo eche stava stendendo quando proprio la Leonardi si buttò giù. E’ possibile che abbia visto qualcosa? La ragazza nega, però facendo capire di saper qualcosa. A che pro? Un ricatto? Sappiamo tutti come un assassino che abbia ucciso due volte, non si faccia pregare ad uccidere una terza volta se ricattato. Ed infatti così accade alla ragazza, che viene soffocata con una tovaglia. Tre omicidi? No, quattro. Ma compiuti da due persone distinte. E chi uccise Gigliotti non era chi aveva ucciso la Leonardi. Cosa si era ricordata di aver visto la ragazza? Un braccio ritrarsi dopo che la ragazza era caduta dalla finestra, e qualcuno che aveva visto scendere di soppiatto dal pianerottolo di casa Gigliotti.
Colonnese riuscirà a collegare gli eventi ed arrestare l’assassina, dopo che un gatto l’avrà denunciata, andando a trovare una bambina che mai avrebbe potuto visitare se…
Bel romanzo di Luceri & Marchesi, che tradisce tuttavia il fatto di essere un prodotto costruito da due persone diverse. Perché dico questo? Conoscendo Enrico e avendo letto alcuni suoi romanzi, so come procede: i suoi romanzi sono diretti, taglienti; le descrizioni sono efficaci ma non ridondanti e il ritmo è veloce (non velocissiimo). Qui invece assistiamo ad una trama che si avvale di una caratterizzazione estremamente studiata: il ritmo è più lento dei romanzi scritti solo da Enrico, le descrizioni più accurate (quasi barocche). Per cui ho chiesto a lui direttamente chi avesse materialmente scritto il romanzo, e la sua risposta mi ha confermato la diversità con gli altri romanzi, e la mano femminile nella caratterizzazione delle scene.
In questo romanzo la caratteristica principale è una serie di tre suicidi perfetti, che poi diventano tre omicidi perfetti. Tre omicidi che solo apparentemente sono riconducibili alla medesima mano, ma che invece tradiscono due mani differenti. Difficile è capire, e bisogna arrivare alla fine del romanzo, per risolvere che la Leonardi è stata uccisa da qualcuno, che non è chi uccide Gigliotti e Tancredi. Per quale motivo essi vengono uccisi? La risposta è in qualcuno che abita nel caseggiato.
Non ripeto quello che dissi in Le notti della luna rossa, sulle note già presenti in tanti altri gialli classici riguardanti omicidi in pensionati o palazzi. Qui osservo solo una cosa: che rispetto al passato, i delitti in un palazzo, si sono caricati di maggior note di mistero. Prima infatti, in un palazzo tutti si conoscevano, le case degli uni erano in sostanza cade di altri, ci si aiutava; ora siamo diventati molto più chiusi, ognuno è chiuso nella propria individualità che non condivide facilmente con altri, salvo aprirsi nelle realtà virtuali dei social, che proprio perché virtuali, tradiscono la nostra solitudine esistenziale. E quindi, cosa accade in un appartamento è proprio solo di chi vive, non è condiviso con altri; e per questo è ancora più difficile penetrare nei recessi e renderli manifesti. In questo romanzo, la verità rivelata viene affidata con un colpo di scena, ad un testimonio muto: un gatto, che non può parlare, ma che inguaia con la sua presenza inopportuna a casa di chi non dovrebbe stare, una persona che aveva testimoniato di esser stata sempre a casa propria col suo gatto, ed invece..
Mariella l’aveva vista scendere, e solo dopo collega questo fatto con la morte di Leonardi. Ora evidentemente lei capisce quello che altri non avevano compreso e che Ada capisce alla fine: un collegamento parentale con la falsa suicida. Che non ha ucciso, si badi bene. E allora, il ricatto?
Beh, a parer mio questo è il punto debole della ricostruzione, che si può capire solo facendo un certo ragionamento, e non è facile: Mariella ricatta l’omicida non per l’omicidio di Mirka, che è quello che innesta tutta la spirale, ma per quello di Gigliotti. Ma Mariella ha visto ritrarre un braccio e non è quello dell’assassino di Gigliotti. Quindi Mariella può solo ricattarla per il fatto che l’abbia vista scendere, la sera dell’omicidio di Gigliotti. Ma chiunque avrebbe potuto dire che Gigliotti non aveva aperto. Se questa scusa non si sostanzia è perché Mariella sa chi è l’assassino in confronto a Mirka Leonardi. E allora, se lo sa lei, perché anche Gigliotti non avrebbe potuto saperlo? Perché l’assassina lo uccide sulla base di quello che Gigliotti andava dicendo, che non era vero. Se Gigliotti avesse capito l’identità dell’omicida, non le avrebbe mai aperto la porta. E allora come mai lo sa solo Mariella? Questo è il punto non risolto. Un altro punto riguarda la morte di Tancredi. Perché se fosse una vendetta, una pura e semplice vendetta, nata da un processo logico, Tancredi non sarebbe dovuto morire. Se muore, ed è in pratica una vittima innocente, l’assassina non è piu’ qualcuno che ha solo sofferto e per questo può essere scusato (e nel finale i due poliziotti vorrebbero non aver capito chi fosse l’assassina) ma è un’ assassina e basta, che non può essere vista sotto un aspetto pietoso. Semmai, pietoso è il commento che chi ha ucciso è stato talmente folle nei suoi propositi da considerare la morte di un innocente un ingranaggio necessario per la riuscita dell’intero piano omicida.
Ecco allora che si riaffaccia il tema della follia, ed il tema del dolore, che non abbandonano mai i romanzi di Luceri.
Moltissimi i
riferimenti e i rimandi a films e romanzi, com’è consuetudine in Luceri (perché
la trama è sua, e la scrittura è della Marchesi): da Agatha Christie (presenti
e citati all’inizio delle parti del romanzo) scrittrice amatissima dallo
scrittore romano, a films di Dario Argento, a sceneggiati televisivi, che il
lettore smaliziato saprà riconoscere. L'idea del gatto è sua: del resto i gatti son amati dai romani, ed Enrico è "romano de' Roma". Per di più, essendo per lui amatissima Agatha Christie, il gatto che provoca la soluzione, mi fa venire in mente il gatto che origina la soluzione di A Murder is Announced, facendo cadere il bicchiere sul filo elettrico scoperto e quindi facendo saltare i fusibili. La citazione mi sembra del resto possibilissima.
Da leggere.
Pietro De Palma
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