Ascoltatemi amici, romani, concittadini…
Io vengo a seppellire Cesare non a lodarlo.
Il male che l’uomo fa vive oltre di lui.
Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa… e sia così di Cesare.
Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso.
Grave colpa se ciò fosse vero e Cesare con grave pena l’avrebbe scontata.
Ora io con il consenso di Bruto e degli altri poiché Bruto è uomo d’onore e
anche gli altri,
Tutti, tutti uomini d’onore…
Io vengo a parlarvi di Cesare morto.
Era mio amico.
Fedele giusto con me… anche se Bruto afferma che era ambizioso e Bruto è uomo
d’onore.
Sì è vero.
Sul pianto dei miseri Cesare lacrimava.
Un ambizioso dovrebbe avere scorza più dura di questa.
E tuttavia sostiene Bruto che egli era ambizioso e Bruto è uomo d’onore.
Sì è anche vero che tutti voi mi avete visto alle feste dei Lupercali tre volte
offrire a Cesare la corona di Re e Cesare tre volte rifiutarla.
Era ambizione la sua?
E tuttavia è Bruto ad affermare che egli era ambizioso e Bruto, voi lo sapete,
è uomo d’onore.
Io non vengo qui a smentire Bruto ma soltanto a riferirvi quello che io so.
Tutti voi amaste Cesare un tempo, non senza causa.
Quale causa vi vieta oggi di piangerlo.
Perché o Senna fuggi dagli uomini per rifugiarti tra le belve brute.
Perdonatemi amici il mio cuore giace con Cesare in questa bara.
Devo aspettare che esso torni a me.
Soltanto fino a ieri la parola di Cesare scuoteva il mondo e ora giace qui in
questa bara e non c’è un solo uomo che sia così miserabile da dovergli il
rispetto signori.
Signori se io venissi qui per scuotere il vostro cuore, la vostra mente, per
muovervi all’ira alla sedizione farei torto a Bruto, torto a Cassio, uomini
d’onore, come sapete.
No, no.
Non farò loro un tal torto.
Oh… preferirei farlo a me stesso, a questo morto, a voi, piuttosto che a uomini
d’onore quali essi sono.
E tuttavia io ho con me trovata nei suoi scaffali una pergamena con il sigillo
di Cesare, il suo testamento.
E bene se il popolo conoscesse questo testamento che io non posso farvi leggere
perdonatemi, il popolo si getterebbe sulle ferite di Cesare per baciarle, per
intingere i drappi nel suo sacro sangue, no…
No amici no, voi non siete pietra né legno ma uomini.
Meglio per voi ignorare, ignorare… che Cesare vi aveva fatto suoi eredi.
Perché che cosa accadrebbe se voi lo sapeste.
Dovrei… dovrei dunque tradire gli uomini d’onore che hanno pugnalato Cesare?
E allora qui tutti intorno a questo morto e se avete lacrime preparatevi a
versarle.
Tutti voi conoscete questo mantello.
Io ricordo la prima sera che Cesare lo indossò.
Era una sera d’estate, nella sua tenda, dopo la vittoria sui Nervei.
Ebbene qui, ecco..
Qui si è aperta la strada il pugnale di Cassio.
Qui la rabbia di Casca.
Qui pugnalò Bruto, il beneamato.
E quando Bruto estrasse il suo coltello maledetto il sangue di Cesare lo
inseguì vedete, si affacciò fin sull’uscio come per sincerarsi che proprio lui,
Bruto avesse così brutalmente bussato alla sua porta…
Stefano nel primo mattino del 6 agosto, si è buttato dalla finestra di casa sua. E ha lasciato tutti noi increduli.
Chi lo conosceva sapeva quanto fosse bravo, chi non lo conosceva ha compreso che si è perduto un tesoro. Nessuno sa per quale reale motivo abbia deciso di farla finita. Io penso e sono convinto che una depressione strisciante abbia causato tutto, abbia ingigantito le difficoltà, abbia trasformato il bianco in grigio e il grigio in nero, e poi abbia causato la fine tragica del più grande scrittore d’avventura italiano. C’è chi dice che nell’ambiente editoriale italiano più d’uno abbia avuto colpe morali, nell’ucciderlo editorialmente, negandogli la fama e la conoscibilità che altri hanno acquisito più facilmente. Io non so se sia vero del tutto. Penso che se si fosse legato più che altro al carro del thriller, forse avrebbe potuto avere maggiore fortuna. Non so. Certo è che..
Al di là di tutto, era una persona gentile e riservata.
Ci eravamo affrontati come capi-bastione di due eserciti contrapposti in quel dibattito sul Blog del Giallo Mondadori, 13 anni fa, che fece punte di 10.000 presenze, dicendocele di tutti i generi. Io pungolavo, sfotticchiavo, poi mi ritraevo, fingevo di essere stato attaccato alle spalle, riattaccavo, sorretto da tanta gente, e lui idem. Per cui pur odiandoci a parole, ci facevamo un sacco di risate.
Poi a distanza di tanti anni mi capitò di recensire il suo primo giallo di Bas, a lui piacque moltissimo la mia impostazione, mi contattò. Io ricambiai, per email, finchè lui mi invitò a propormi come amico su Facebook, proponendomi di andarlo a trovare a Milano, dopo che recensii il suo bellissimo Mosaico a tessere di sangue, uscito di nuovo in quest’anno come Il bacio della Mantide. Purtroppo non riuscii a farlo ( e avrei contattato anche altri amici tra cui Luca Conti..) e quindi la mia conoscenza con Stefano è stata solo quasi epistolare. L’ultimo romanzo che recensii fu La torre degli Scarlatti. Mi chiese di recensire L’amante di Pietra quando l’avessi letto, ma negli ultimi due anni son diventato pigro, mi stanco molto per il lavoro e riesco a leggere solo in vacanza. Mi accingo ora a questo compito. Chissà se non mi veda da dove sta ora.
Terzo romanzo della serie Bas Salieri, è il più lungo e il più complesso.
Una introduzione ci parla di un fatto accaduto 10 anni prima di quanto narrato: una donna entra in una villa sul Lago di Garda, si addentra nel sotterraneo dove si trova in un ambiente, popolato da statue incredibilmente reali, di donne in varie pose, su alti piedistalli. Aspetta il suo amante. Quando capisce, lui arriva e..
Dopo 10 anni, ad Amsterdam, dove vive. Bas reperisce un rarissimo manifesto di un film di Demetrio Savini, un regista di horror, dal passato oscuro, lo fa vedere alla sua assistente Zaira e dai commenti che fa, Bas capisce che Zaira sia spaventata. Poi..sparisce dopo aver avuto una telefonata.
Il suo amico, il poliziotto Vorbrek lo convoca per sottoporgli un caso scottante: una donna è stata trovata sgozzata in un giardinetto, messa al centro di un pentacolo illuminato da ceri: vuol sapere cosa ne pensi lui. Bas si accorge da alcuni particolari, che la ferita mortale potrebbe essere stata prodotta mediante un pugnale rituale, un Salmaguda, a lama ricurva. Il bello è che le videocamere hanno sorpreso un’altra donna prima assieme alla vittima: Zaira. Ma poi è andata via, prima che arrivasse l’assassino, un gigante albino.
Bas è preoccupato anche perché Zaira non si è fatta viva. Scopre nel suo appartamento, una stanza segreta e una foto in cui sta ripresa accanto ad altre tra cui la vittima, e al centro Demetrio Savini, una foto di molti anni prima.
Da Amsterdam si va a Praga, alla ricerca di una delle ragazze, in tempo per imbattersi in un gruppo di ex nazisti, “Gli uomini dagli occhi di piombo”, che per varie cause vengono fatti fuori dall’albino; poi si va a Berlino, poi ancora ad Amsterdam. E tutte le volte le ragazze che di voleva salvare, vengono rapite prima che Bas e chi investiga con lui (il commissario Panitta; la figlia dell’ex commissario Scotti, Nieves; Corrado Armale) possano salvarle.
Si arriva, in un crescendo di situazioni (e anche di morti ammazzati), al duello finale, in quella villa sul Lago di Garda in cui era scomparsa la Briggi, una delle ragazze ritratte assieme a Zaira nella foto con Savini, villa appartenuta molti anni prima proprio a Savini, regista horror ma anche Maestro di un Ordine blasfemo, i Supplizianti, arsi dall’Inquisizione nel Medioevo. Savini è morto, questo è sicuro. Ma chi allora, ne prosiegue i piani omicidi?
Dopo che alcune ragazze sono finite come quelle tramutate in statue, cosparse di resina bollente prima e calce e cemento a presa rapida dopo, prima che tutte vengano uccise in tale modalità orribile, in un drammatico duello, Bas e Corrado …..
Romanzo molto affascinante, attira l’attenzione del lettore sin dalle prime pagine e la mantiene alta fino alla fine, grazie a tecniche già consolidate di realizzazione del ritmo, spezzando cioè l’azione del soggetto di cui si sta parlando e riprendendola dopo che si è parlato di altro. E’ un processo di innalzamento della tensione, non relativo all’atmosfera (che era quello degli antichi maestri), ma che si avvale di escamotage stilistici, come fanno molti altri scrittori contemporanei. Al di là del mero tecnicismo, comunque Di Marino riesce sempre mantenere alta l’attenzione del lettore, grazie a continui cambi di registro dovuti ad un vortice inarrestabile di situazioni. L’azione è continua, ma non nel senso di action solo: c’è un’indagine serrata, e indizi, che una volta raccolti non vengono accantonati in attesa di comparire nel finale catartico, ma vengono sviluppati di continuo, cosicchè l’azione è sempre una diretta conseguenza di quello che è accaduto precedentemente. E’ quindi questo un classico Giallo all’italiana, un mystery che nelle intenzioni di Stefano, aveva anche una connotazione movimentista, soprattutto nel cambio continuo di fondali dell’azione: non un unico ambiente in cui avviene tutto, ma un insieme di più ambienti che interagiscono tra loro. E’ ovvio che questa è anche un’abile mossa per allungare il romanzo: ogni volta che parli di una città diversa, viene fatta una certa introduzione, la tratteggi, la illustri la descrivi. E le descrizioni di Sfefano, sono estremamente dettagliate, fatte come per far ambientare virtualmente il lettore in una città che non è la sua. Ne deriva quello che secondo me è il dato più caratterizzante del romanzo: l’atmosfera e le descrizioni, che rispetto anche agli altri due romanzi precedenti, sono massive.
Tuttavia, rapportando questo agli altri due, mi vien da dire che in una classifica ideale, l’Amante di pietra io lo collocherei al secondo posto, dopo Il Palazzo dalle cinque porte che ha qualcosa in più, qualcosa di sospeso e di magico, di fantastico che gli altri due non riescono ad emulare. Il tutto al di là degli sforzi dell’autore di rifarsi a vari suoi modelli, primo fra tutti – a suo dire – Carr . Carr è presente di più nel primo romanzo, mentre gli altri due prendono spunti da film e da sceneggiati famosi: l’idea di Carr che Stefano voleva sviluppare è quella secondo cui, preso un certo plot in cui a prima vista ci sarebbe una connotazione sovrannaturale o comunque connessa al mondo dell’occulto, quando si arriva alla fine ci si trova con un assassino normalissimo, magari anche folle, ma che di sicuro non ha nessun contatto col mondo del soprannaturale. Un rimando ad un celebre sceneggiato italiano, mi sembra la scena a Praga nel vecchio covo degli Uomini dagli Occhi di Piombo: la sala piena di manichini, rimanda direttamente alla stessa della sartoria teatrale in Il segno del Comando.
Ci sono tantissimi rimandi alla cinematografia italiana horror, citati ( Dario Argento, Aldo Lado, Bava), ma anche celati, e a ragione: infatti la trovata che da il titolo al romanzo, L’Amante di pietra, che sarebbe in definitiva una donna cosparsa di materiale a presa rapida che la uccide, congelandola in un certo modo per l’eternità, con l’espressione e la postura che aveva nel momento in cui veniva inondata di questa materia fluida, non è un’idea originale di Stefano, ma presa (e opportunamente trasformata) da House of Wax (La maschera di cera, 1953) di André de Toth, un enorme successo commerciale degli anni ’50, a sua volta remake di Mystery of the Wax Museum del 1933 di Michael Curtiz : in sostanza il folle Jarrod, scultore che ha subito ustioni gravi tali da impedirgli di poter modellare nuovamente statue su modelli storici, si serve di corpi umani che egli inonda di cera fusa, fermandoli in determinate posture. Così l’erede di Demetrio Savini, è in un certo senso l’alter ego di Vincent Price.
Da dire inoltre che in questo, come in altri romanzi di Di Marino, trovano spazio alcuni personaggi del sottobosco della narrativa italiana quando non della critica anche cinematografica, tutti sui amici: del resto, lui stesso lo aveva affermato in un’intervista anni fa, che se non si era suo amico, non si entrava nei suoi romanzi. Così per es. Gianni Luparo è Franco Luparia, autore Spy di Delos e Segretissimo; Corrado Armale, amico di Bas ed esperto di occultismo è Corrado Artale, esperto cinematografico, amico di Di Marino; Riccardo del Piero, esperto cinematografico e collezionista di film, sono io; Stefano Barcissi, oscuro scrittore, autore di una Storia dei Supplizianti, è molto probabilmente Giancarlo Narciso, scrittore italiano, vincitore del Tedeschi e del Scerbanenco, oltre che anche lui autore Spy su Segretissimo; Karlutz Rolachek è indubbiamente Carlo Andrea Cappi, stessa fisionomia: capelli raccolti con una crocchia sulla nuca, baffi, cappello, panciotto. Solo che Stefano, lo fa basso mentre Andrea non lo è certo; Aurelio Giobbi, l’impresario della Briggi, una delle 5 ragazze, scomparsa 10 anni prima (è quella che compare nell’introduzione), è Silvio Giobbio, illustratore milanese, mentre Manuel Cavenaghi è riportato tale e quale come editore di “Cripte e Incubi”. E così via. Ci si può sbizzarrire se uno ha il tempo di cercare.
Infine, un piccolo appunto che sarà sfuggito ai più che avevano già recensito questo romanzo: il Salmaguda, citato come un pugnale sacrificale del XIII secolo, in realtà non esiste. Esisteva solo nell’immaginario di Stefano, che lo aveva già usato in qualche avventura di Montecristo. In realtà , come lui stesso aveva affermato nel suo Il Manuale delle armi bianche, al Salmaguda aveva attribuito un nome e un’origine inventata mediorientale, mentre in realtà è una derivazione del Kujang indonesiano, un pugnale dalla forma strana e bizzarra, damaschinata , con scritte in Corano.
Insomma un romanzo, che non finisce mai di stupire.
Pietro De Palma
Nessun commento:
Posta un commento