Yokomizo Seishi, il
primo grande romanziere giapponese, quello che con Edogawa Ranpo è considerato
il fondatore del romanzo giallo giapponese all’occidentale, nacque nel 1902.
Per
molti anni la sua famiglia coltivò la speranza che lui, laureandosi in
farmacia, potesse portare avanti la farmacia di famiglia, mentre invece lui era
maggiormente attratto dalla scrittura creativa, e in particolare da quella
poliziesca.
Conosciuto
Edogawa Ranpo, il maggiore scrittore degli anni ’20 e ’30, venne spronato da
questo a scrivere, ma all’inizio il successo non arrivò. Quando si pensava che
il primo vero successo, Ningyo Sashichi torimonocho, l’avesse lanciato, il Giappone entrò in
Guerra e quindi le sue ambizioni subirono un arresto. Per di più malato di
tubercolosi, dovette rifugiarsi con la famiglia in una zona impervia vievendo
in condizioni misere. Con la fine della guerra, e il ritorno a casa, Seishi
ritornò ascrivere e trovò il successo nel 1946, con i due romanzi Honjin
Satsujin Jiken (本陣殺人事件) e Chōchō
Satsujin Jinken (蝶々殺人事件).
Seguito
da molti lettori e ritenuto uno dei massimi scrittori gialli di sempre
nipponici, definito il Carr giapponese per le molte situazioni impossibili e
soprannaturali o confinanti con l’orrore, raggiunse il massimo della fama dopo
una ventina d’anni, quando pubblicò i romanzi sulla famiglia Inugami.
Morì
nel 1981.
Il
primo romanzo di Kindaichi Kosuke, Honjin Satsujin Jiken (本陣殺人事件) , tradotto nell’italiano Il detective
Kindaichi, è stato pubblicato alla fine di marzo dalla Casa Editrice
Sellerio di Palermo. In realtà il suo titolo, è L’omicidio
Honjin.
La vicenda si svolge alla fine di novembre del 1937.
Un uomo si presenta nel villaggio di Yamanodani ad
Okayama e chiede della residenza degli Ichiyanagi.
Ben preso la notizia si sparge, perché quell’uomo, abbastanza trasandato ha la
mano destra di sole tre dita. IL tempo di chiedere informazioni ed un bicchiere
d’acqua e subito riparte: ha un aspetto inquietante per di più perché dalla
bocca parte una ferita che corre per tutta la guancia, quasi che la bocca fosse
stata aperta in due.
La visita strana fa il paio con la festa nuziale di
Kenzo Ichiyanagi, figlio primogenito, con una ragazza di ben più modesti natali
Katsuko, proveniente da una famiglia che si è arricchita col tempo, senza però
avere la nobiltà degli Ichiyanagi.
La ragazza non è stata proprio molto accolta bene, ma
Kenzo si è imposto. La madre di Kenzo che è quella che ha criticato di più la
scelta del figlio, vorrebbe che la ragazza suonasse il Koto, lo strumento
tradizionale giapponese, che la sposa suona durante la cerimonia di nozze come
è nella tradizione degli Ichiyanagi. C’è un attimo di empasse, poi a prendersi
l’onere è la sorellina di Kenzo, Sukuko.
Intanto è morto il gatto di Sukuko, che è stato
seppellito il 25 novembre, per evitare la credenza che i gatti morti non
seppelliti si trasformino in fantasmi. Seppellito il giorno delle nozze! C’è
chi è inorridito per questo.
In quest’atmosfera strana, in cui una parte dei
familiari sono schierati contro, soprattutto la madre di Kenzo, Itoko e
Ryosuke, un cugino, con sua moglie Akiko, e altri sono indifferenti, come
Saburo e Sukuko, i due gemelli e Takaji, il fratello medico, Kenzo si sposa con
Katsuko. Alle nozze a rappresentare la sposa è lo zio paterno di lei, Ginzo. Ma
la notte del matrimonio si sente suonare , ad una certa ora si sentono delle
urla provenire dalla casa degli sposi, separata dal resto del complesso. E poi
il suono del koto.
Ginzo si veste e con l’aiuto di Genshiki, un
contadino, si recano alla casa, le cui persiane sono tutte chiuse, dal di
dentro. Fuori nella neve, una spada sanguinante è conficcata nella neve, ma
intorno non vi sono impronte.
I due battono nel silenzio sulle persiane, poi con
un’ascia riescono ad entrare e trovano Katsuko morta e sopra di lei accasciato
Kenzo, pure lui, morto. Nessun altro in casa.
In una casa serrata dall’interno, finestre comprese,
eccetto una soprafinestra, ma troppo stretta perché un uomo o anche un bambino
potesse passarvici.
Chiamano la polizia. L’ispettore Isokawa, incaricato
del caso, sospetta di tutti ma non sa che pesci prendere. Il fatto che Takaji,
l’unico a non partecipare alla cerimonia
di nozze perché in missione, sia appena arrivato, ma vi sia qualcosa che faccia
ritenere a Ginzo la sua testimonianza sull’ora dell’arrivo falsa, fa sì che
egli mandi un telegramma in cui si richieda la presenza alla casa degli
Ichnayagi di Kindaichi Kosuke, un giovane che lui ha adottato, e che diventato
un famoso investigatore privato, nonostante la giovanissima età ed una, è verso
di lui riconoscente.
Vengono trovate una serie di impronte, impresse nella
neve dalla parte della casa opposta a quella in cui si è consumata la tragedia.
Come se l’assassino fosse entrato, avesse chiuso dietro di sé la porta, magari
si fosse nascosto nel ripostiglio dover sono state trovate tracce di sangue
fino al momento in cui i due sposi fossero rientrati per la prima notte di
nozze e allora fosse uscito per ucciderli. Ma..da dove sarebbe passato se tutto
risultava chiuso dall’interno?
Kindaichi dovrà subito scremare quelle che sono prove
certe da quelle che lo sembrano e da quelle palesemente false: il suono famoso
del koto, innanzitutto, attribuito al koto ma non del koto; un caratteristico
rumore come quello di un mulino, sentito pressappoco all’ora della morte dei
due sposi; i diari di Kenzo, da cui mancano delle pagine strappate; un
misterioso nemico implacabile di Kenzo; l’uomo dalle tre dita: il fatto che
impronte di tre dita insanguinate siano state ritrovate dappertutto nella
dépendance degli sposi, ma dell’uomo non sia stata trovata traccia; la mancanza
del ponticello del koto; un falcetto, infisso in un tronco intorno alla casa;
la presenza nella camera di Saburo di una fornitissima biblioteca di romanzi
polizieschi ad enigma, con numerosi esempi di Camere Chiuse, e la somiglianza
del caso in questione con quello descritto ne La camera gialla di Gaston
Leroux; la presenza di Sukuko, di notte, nei pressi della tomba del gatto, che
verrà confermato essere stato seppellito in effetti, dopo una prima
ricognizione, e che ad una successiva di Kosuke, verrà ritrovato nella “bara” del gatto anche qualcos’altro, nascosto dopo
la prima; delle impronte presenti nel lato della casa opposta a quella che ha
ospitato il dramma.
Kosuke e Ginzo scopriranno in una carbonaia, i vestiti
e le scarpe che qualcuno ha tentato di bruciare, e il cadavere dell’uomo con
tre dita, anche lui ucciso da qualcosa di estremamente tagliente, seppellito
sotto il pavimento di terra battuta.
Poi ci sarà anche il ferimento di Saburo, avvenuto con
condizioni simili.
Alla luce di tutti questi indizi, e delle prove
trovate, Kindaichi Kosuke, dimostrerà la veridicità della sua ipotesi accusatoria,
risolvendo nel contempo la Camera Chiusa, e mettendo nei guai un membro della
famiglia.
Il romanzo è un piccolo capolavoro.
Di stile armonioso e fluido, rapisce non solo per la
ricchezza di indizi veri e fuorvianti, ma anche per l’atmosfera assurdamente
bizzarra che inventa: un uomo sfregiato dalle tre dita, e le impronte
insanguinate delle tre dita presenti in tutta la dépendance; un’uccisione terribile,
doppia, nella notte delle nozze; una casa del tutto sbarrata; un gatto morto;
una ragazza che soffre di sonnambulismo.
La Camera chiusa è del genere di trappola mortale, e
il metodo per uccidere abbisogna di ciascuno degli indizi indicati: il mulino, il
koto, il falcetto, persino delle canne di bambù, la presenza di una
soprafinestra aperta. Ovviamente in una Camera chiusa spettacolare come questa,
per l’estrema complessità dell’azione c’è bisogno di due persone che abbiano
agito per la realizzazione del piano: uno è complice, e non partecipa in nessun
modo all’azione vera e propria, ma crea un depistaggio di grande effetto, utilizzando
il luogo e alcuni indizi per creare delle false piste, che disturbino l’individuazione
del vero assassino e nel contempo la sua stessa azione disturbatrice; l’altro è
l’assassino.
Nel romanzo ci sono i riferimenti ad alcune camere
Chiuse celebri (La casa stregata di Carter
Dickson e Il mistero della Camera Gialla
di Gaston Leroux o anche Il Problema del
Thor Bridge di Conan Doyle) perché il romanzo è in un certo senso un
tributo a quel sottogenere di narrativa occidentale, attraverso le atmosfere e
gli stilemi tipici giapponesi. E quindi deve pure fare riferimento a qualcosa.
Secondo me un certo punto di contatto c’è per es. con
Ellery Queen: il fatto che il complice dell’assassino nasconda nella cassetta
di mandarini, diventata la bara del gatto, un macabro pacchetto sotto il gatto,
mi fa pensare immediatamente a The Greek
Coffin Mystery, in cui l’assenza del testamento di Khalkis dopo il
funerale, fa scattare l’esumazione del cadavere e nella bara trovano un altro
cadavere, quello di Grimshaw, un falsario.
E ce ne sarebbero altri, indiretti, con altri romanzi,
anche posteriori:
le impronte lasciate dall’assassino sulla neve che
partono dalla parte della casa dove si è consumato il doppio delitto, non
vengono trovate perché ha nevicato: ma perché vengono trovate le altre, se ha
nevicato alla stessa maniera? Perché vi sono degli alberi e le chiome hanno
protetto il terreno. Laddove invece esse vengono lasciate allo scoperto, finiscono
per essere coperte dalla neve. Ora il piano dell’assassino prevedeva che non
nevicasse, che le impronte partenti dalla casa fossero trovate e fosse trovata
anche una persiana aperta, così che si pensasse che l’assassino era scappato.
Ma la nevicata aveva reso impossibile chela persiana potesse aprirsi e quindi
la Camera Chiusa era divenuta una necessità. In questo, cioè in un evento
esterno che modifica lo stato delle cose rendendo possibile il crearsi delle condizioni
per una Camera Chiusa, possiamo vedere un riferimento ad altri romanzi, per es.
al posteriore La Mort vous invite di Halter
in cui qualcosa accaduto alla finestra fa sì che si verifichino le condizioni
per una Camera Chiusa. E la stessa spada conficcata nella neve e come essa vi
sia finita, mi ricorda in qualcosa il metodo utilizzato in Killed on the Rocks di William De Andrea.
Comunque, al di là dei meri riferimenti, o dei
punti di contatto, l’importanza di Honjin Satsujin Jiken è indiscussa,
soprattutto in seno alla narrativa poliziesca giapponese di cui il romanzo di
Yokomizoi Seishi è un caposaldo.
Infatti se Yokomizo prima della guerra scrisse
storie poliziesche che attingevano al grottesco e all’horror e che in qualche
modo recuperavano la tradizione americana ma in un’ottica fortemente e
nazionalisticamente giapponese, dopo la guerra proprio col romanzo in oggetto
si lascia alle spalle la narrativa grottesca e fonda la detective fiction
giapponese che si riallaccia alla grande tradizione della Golden Age americana,
da Van Dine a Ellery Queen, a Carr.
L’importanza del romanzo di Yokomizo è in relazione
alla rifondazione del romanzo poliziesco giapponese. Nella tesi di Satomi Saito sulla Japanese Detective Fiction -CULTURE
AND AUTHENTICITY: THE DISCURSIVE SPACE OF JAPANESE DETECTIVE FICTION AND THE
FORMATION OF THE NATIONAL IMAGINARY , leggiamo che : All of the postwar
debates about authenticities in detective fiction eventually led to the
postulation of Yokomizo Seishi’s Honjin satsujin jiken (1946) as the first authentic detective fiction written by a Japanese
writer… In the devastation after World War II, however,
Japanese writers returned to the general trend of the genre and produced puzzle
stories of the Golden Age constituting what many critics call the first Golden
Age of Japanese “authentic” detective fiction. Although the movement helped
draw new talent to the genre, it soon reached a dead end and was substituted
for the realistic crime novels of Matsumoto Seichō that were latercalled the
“social school” (shakaiha) of detective fiction (pag. 167-168)… Yokomizo first started his career, like Edogawa Ranpo,
as a writer of modern “healthy” detective stories in his award winning
“Osoroshiki shigatsu baka” (Dreadful April Fool, 1921) in Shinseinen. During
his years as an editor of the publishing house Hakubunkan (1926-32), he introduced to Shinseinen what he called the “Shinseinen
tastes”—multifaceted interests in things modern—as well as writing
sophisticated stories of modern urban life such as “Kazarimado no naka no
koibito” (His Lover in the Window, 1926), “Yamana Kōsaku no fushigina seikatsu”
(The Strange Life of Yamana Kōsaku, 1927), and “Nekutai kidan” (A Strange Tale
about A Necktie, 1927). When he became an independent writer in 1932, however,
the bright urban style of his early writings was gradually overshadowed by the
dark dreadful imagery full of grotesque tastes of kusazōshi pulp publication of
the late Edo period. “Omokage zōshi” (The Story of Likeness, 1933) marks the
transition with his effective use of the glamorous design of kusazōshi. The
story recounts in the Osaka dialect the suspicion of
the protagonist about the secret of his birth in the settings of a rich
merchant family, which is also Yokomizo’s “return” to his own childhood memory
of growing up in Kōbe as the son of a pharmacist. “Onibi” is perhaps Yokomizo’s
most famous piece before the war. It is a story of the lifelong hatred between
two men, which is reminiscent of Tanizaki’s “Kin to gin” (Gold and Silver). A
murder and an exchange of identity are decorated by the “grotesque horror” of
an eerie mask one of the two wears after a fatal train accident. In “Kura no
naka,” the masochistic relationships between a boy and his blind sister in the
secluded cellar even outshines its surprise ending as a detective story. As
Edogawa Ranpo indicates, it is not difficult to see in those stories the strong
influence of crime stories by Tanizaki Jun’ichirō. After the war, however,
Yokomizo went through an even more drastic transformation by enthusiastically
writing so-called “authentic detective fiction” (honkaku tantei shōsetsu) and
becoming the central figure in leading the authentic detective fiction
movement. .Yokomizo’s conversion was even taken as a symbol of Japan’s postwar
departure from an inward aestheticism conditioned by fascist ideology toward an
outward modernization suitable for postwar democracy. (Pagg. 169 e seguenti).
Interessante
è la struttura del romanzo.
C’è
prima un Prologo in cui lo scrittore parla del caso in generale e perché lui l’abbia
scelto come materia del suo romanzo, e le relazioni tra i romanzi della camera
Chiusa già da lui letti; poi c’è la storia di investigazione divisa in due
parti: la prima è la storia vera e propria, la seconda è la spiegazione di Kindaichi;
poi infine vi è l’epilogo. E’ interessante perché anche in questo si vede come
lo scrittore abbia davanti agli occhi i più eclatanti esempi di Mistery della
Golden-Age. Infatti egli presenta il narratore come un elemento neutro,
imparziale, che narra la storia adattando il resoconto del Dottor F che
partecipò come osservatore alla vicenda. Un po’ come in Ellery Queen o in Van
Dine. E ci tiene a esporre in fatti esattamente come vennero esaminati così da
non cadere nel presupposto base del narratore direttamente coinvolto nel caso
come “Injū” di Ranpo, o addirittura di quello che ha imbrogliato il lettore
come in The Murder of Roger Ackroyd di Agatha Christie.
Non è un caso che nel romanzo vengano ricordati
vari esempi di Camere Chiuse, e addirittura il cap. 10 Tantei shōsetsu mondō”
(The Dialogue about Detective Fiction) “Dialogo sui romanzi di investigazione” è
un riferimento palese alla Locked Room Lecture di Carr in The Three
Coffins.
Addirittura nel corso del romanzo, Kindaichi,
afferma che è arrivato a capire la modalità di esecuzione dell’omicidio dopo
aver visto su uno scaffale di Saburo, un famoso racconto di Conan Doyle
(lui lo cita ma io no, altrimenti faccio capire come sia potuto accadere).
Nel
Prologo, Yokomizo cita tutta una serie di scrittori, alcuni addirittura ancora
non pubblicati in Italia, ma in Giappone noti: “In the beginning, the narrator who the reader would be likely to associate
with the author himself introduces the classic case of a “locked room mystery”
he heard about during his stay in a country village. Referring to foreign
locked room mysteries such as Le Mystère de la Chambre Jaune (1907) by Gaston
Leroux (1868-1927), Les dents du tigre (1920) by Maurice Leblanc, The Canary
Murder Case (1927) and The Kennel Murder Case (1931) by S. S. Van Dine
(1888-1939), The Plague Court Murders (1934) by John Dickson Carr (1906-77),
and Murder Among the Angells (1932) by Roger Scarlett, the narrator recounts
that the “real” murder case is different from any of those “fictional” (and
understandably “foreign”) cases.” Infatti se di Roger Scarlett è annunciato un titolo che
sarebbe dovuto essere stato già pubblicato da Polillo e che comunque è in corso
di pubblicazione, e quindi l’autore ancora da noi è inedito, in Giappone non
era sconosciuto in quanto: “Roger Scarlett is a pen name of Evelyn
Page(1902-1977) and Dorothy Blair(1903-1976?). This somehow forgotten piece
in America is comparatively well-known in Japan thanks to Edogawa Ranpo’s famous
top ten lists in Gen’eijo. Ranpo even adopted it later as Sankakukan
no kyōfu (The Horror of the Triangle Mansion, 1951)”
(nota 362 a pag 173).
E conclude che proprio una tale abbondanza di testi di
Camere Chiuse in una casa in cui era avvenuto proprio un delitto di camera
Chiuse lo convinse che forse si trattava
di un sofisticato piano architettato da una mente diabolica il cui canovaccio
era stato ispirato proprio da quei romanzi (pag 107, ed. Sellerio).
Insomma, come si vede, un romanzo cardine della prima
detective fiction della narrativa giapponese.
Pietro
De Palma
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