domenica 11 agosto 2019

F.G.Parke : La sera della prima (First Night Murder, 1931) - trad. Dario Pratesi. I Bassotti, Polillo, 2011

La storia italiana di questo romanzo è bene che la si sappia.
Per il romanzo tradotto fu usata una copia prestata da Mauro Boncompagni a Marco Polillo, suo amico. Questa copia Mauro non l'aveva acquistata personalmente, anzi gli mancava. Glel'aveva regalata Luca Conti. Luca mi disse tempo fa che aveva trovato due copie dello stesso libro, pagandole anche pochissimo, assieme ad altri titoli di romanzi famosi in lingua madre, presso La Libreria del Giallo di Milano, "La Sherlockiana" come per qualche tempo si chiamò. Le aveva trovate nello scantinato, in scatoloni, di cui neanche la Dozio sapeva molto, tranne che quando lei aveva acquistato il negozio da Gianfranco Orsi e consorte, c'erano già.
Parlo però de La Sherlockiana non di Via Peschiera, ma della prima, ubicata in Piazza San Nazaro in Brolo a Milano, una bella libreria, grande, con ampi disimpegni, illuminata da ampie vetrine, dove spesso gli universitari della Statale che è a due passi, si fermavano.
Probabilmente questi libri Orsi li aveva avuti  da Tedeschi, che negli anni trenta per Mondadori era andato in USA e aveva fatto incetta di molte edizioni di libri mystery che lì avevano già successo, nella speranza che l'avrebbero avuto anche da noi.
Triste la storia di quella libreria perchè i soci erano tre, i due Orsi e una donna, che però morì suicida. Era lei che si occupava della liberia, in un tempo in cui ancora Orsi lavorava presso il Giallo Mondadori. Dopo la sua morte, la liberia si decise di venderla.
Luca ha ancora la sua copia (che immagino sia in stato migliore di quella regalata) fornita di sovracoperta.
Il romanzo non fu pubblicato solo in USA nel 1931 ma anche in Francia nel 1932. Da allora sono passati più di settant'anni perchè fosse tradotto in Italia.
E ora parliamo di F G Parke: chi è? Sicuramente è uno pseudonimo. Lo dico con sicurezza, perchè da un anno sappiamo il suo vero nominativo . Anche qui c'è da dire una storia.
La storia di un sito, Mystery*file (*), dedicato da molti anni alla critica di romanzi mystery noti e meno noti. Il sito è di Steve Lewis, uno scrittore americano, appassionato come molti di noi. Un bel giorno del 2007, Steve tratta questo romanzo. Io leggo la review come si dice in americano, cinque anni dopo: sono il primo a commentare, e Steve mi ringrazia. Steve pensa che si tratti di uno scrittore in incognito, anzi lui dice che il libro , date le forti somiglianze con The Roman Hat Mystery, esordio di Ellery Queen del 1929, potrebbe essere un'opera sconosciuta dei due cugini, scritta e pubblicata in un periodo di vacche magre, da collocarsi forse tra Sorpresa a mezzogiorno e Un paio di scarpe: "between The French Powder Mystery (Stokes, 1930) and The Dutch Shoe Mystery (Stokes, 1931)".
Io, che stavo cominciando a leggere il romanzo, obbiettai che secondo me, pur considerando possibile ma non sicura la sua ipotesi, il prodotto era il frutto di una collaborazione tra un uomo e una donna, perchè per com'era scritto, non mi pareva del tutto frutto del sacco di un uomo.
Successivamente a questo mio commento, discussi con Mauro Boncompagni, che aveva una delle due copie originali, e lui mi disse che secondo lui non si trattava di certo di Ellery Queen ma probabilmente di qualcuno che aveva molta meno raffinatezza nello scrivere pur essendo molto dotato.
Nei giorni scorsi ho finito finalmente di leggere il libro (rimandato non so quante volte) e per un vezzo, sono andato di nuovo su quel sito, e ho scoperto che nel 2017, cinque anni dopo il mio commento, un altro aveva appposto il suo in calce all'articolo: una genetista americana Janet Akaha. La genetista rivelò che F G Parke era lo pseudonimo di ...Rose Pelswick who was the movie critic for the NY Journal American. Scelse lo pseudonimo  Parke, perchè abitava in 67 Park Avenue in New York City, mentre F G sono rispettivamente la 6^ e la 7^ lettera dell'alfabeto inglese.
Pareva ancora a loro che tale critico cinematografico avesse scritto solo questo romanzo. Invece io ho scoperto che non si tratta della sola opera: Rose Pelswick scrisse almeno un racconto, pubblicato su  Five-Novels Monthly [v15 #2, August 1931] ed. John Burr (The Clayton Magazines, Inc., 25¢, 192pp+, pulp): Second Hand Stars.

Martin Ellis è uno scrittore di gialli che scrive anche riduzioni per il teatro: Dita Fantasma, il suo ultimo lavoro,  promette emozioni e suspence al pubblico fino alla scoperta dell'assassino. Quello che non sanno i presenti è che durante la Prima del lavoro teatrale all'Olimpyc Theatre, nel terzo atto, mentre il colpevole è stato arrestato dal detective e tutto sta per concludersi degnamente, un urlo lacerante si leva dlala platea. Lì per lì i presenti pensano ad un'altra trovata, poi si accorgono che qualcosa è successo: Julius Brandt, uno dei produttori dei maggiori spettacoli di Broadway, è stato trovato agonizzante con la gola squarciata nella sua poltrona in platea. Il tempo di accendere le luci, e un dottore arriva da Brandt, che muore davanti a lui. Che si tratti di un delitto è certo, perchè l'arma non si trova. Chiudono le uscite, e aspettano che arrivi qualcuno: L'Ispettore Gradey della Squadra Omicidi, comnincia gli interrogatori, di chi era più vicino al produttore.
L'autopsia rivela che Brandt è morto troppo presto per essere solo stato sgozzato, e infatti le analisi rivelano che nelle ferite c'era cianuro di potassio e lo stesso veleno era stato addizionato al Brandy che Brandt portava nella fiaschetta appresso e che non aveva consumato.
Prima viene sospettato un certo Billings che ha il fazzoletto sporco di sangue, e che nel passato aveva avuto a che fare con Brandt: da una versione dei fatti che lo scagionerebbe, e del resto il gruppo sanguigno suo e di Brandt è lo stesso, e quindi non si può attribuire con sicurezza il sangue del fazzoletto a Brandt. 
Poi è la volta di un certo Gas Perino, un gangster: era in compagnia di una stella del cinema, Bonnie Adaire, che giura che il suo uomo non si è mosso, anche se con mosse acrobatiche, date le lunghe braccia, avrebbe potuto sgozzare Brandt pur rimanendo al proprio posto: ma le prove non ci sono.
E intanto il lavoro di investigazione procede. Gradey si avvale della collaborazione di Ellis, che essendo dell'ambiente, potrebbe facilitargli le indagini. Che subito si presentano complesse: troppe le persone coinvolte, nessuna prova a carico, solo un sacco di elementi e di indizi anche fuorvianti, in una continua guerra sotterranea degli e tra gli stessi indiziati.
La signora Manning, presente in sala, era stata l'amante di Brandt, ma poi messasi con un attore Belloc Manning, si era sposata con lui: tuttavia mentre era incinta, una sera il marito ubriaco era caduto forse accidentalmente dal balcone sfracellandosi quattordici piani sotto, in una sera in cui c'erano anche Brandt e l'altro socio Matthew Burton. La Manning aveva avuto il giorno stesso della morte del produttore un litigio molto forte con lui, minacciandolo di morte se lui avesse continuato nel suo piano: in sostanza lei non voleva che Brandt sposasse sua figlia Sheila: non era gelosia ma protezione;  la signora Milo, cantante, odia Bonnie Adaire che è anche l'amichetta del banchiere Sterne, a sua volta ex amico del soprano. E pertanto invia una lettera anonima in cui insinua che per il fatto che la Adaire non fosse stata presa per una produzione, avrebbe potuto uccidere Brandt.
Nel frattempo si viene anche a sapere che il testamento del produttore era stato cambiato all'ultimo momento: Cora Brandt era stata estromessa da lasciti, anche avendogli concesso il divorzio, e il testamento era stato girato a favore di Sheila, che giura a Martin (i due sono innamorati) che se avesse potuto, non avrebbe mai sposato Brandt, perchè non lo amava. Il fatto è che Brandt aveva delle carte che avrebbero messo in cattiva luce la madre di Sheila, diventata poi una grande attrice cinematografica, ma con un passato torbido alle spalle.
Poi inaspettatamente avviene il secondo omicidio: Bonnie Adaire viene trovata uccisa in casa sua in pieno giorno, accoltellata nel bagno; e in seguito anche un terzo: resta avvelenato a morte dal cianuro, Sam, il maggiordono di Martin, che aveva osato bere il Brandy che Martin gli aveva chiesto  di portargli, che si riscontrerà essere stato avvelenato col cianuro. Perchè mai qualcuno avrebbe cercato di uccidere Martin?
La cassaforte che nessuno aveva trovato, era stata nascosta da un marchingegno, tra gli scaffali della libreria. Burton dichiara che a lui non manca nulla , ma che mancano certi buoni del tesoro, che lui sospetta Brandt abbia dato all'agente di cambio Dudley Moore, ma che lui nega di aver ricevuto. Anche Moore era in sala alla morte di Brandt. Moore, anche lui, fa le corna alla moglie avendo una giovane amante, una soubrettina, Loretta Young a cui regala gioielli costosi, pur essendo quasi sul lastrico.
Martin dopo aver riflettuto, coinvolge polizia e sospettati in una ricostruzione del delitto in sala, assegnando nella sala del teatro ad ognuno i propri posti, con la sola esclusione di Burton - che quella sera era alla radio - a cui viene data la poltrona di Brandt, e poi procede dopo una ricostruzione, alla incriminazione dell'omicida, costretto ad autoaccusarsi per non cadere vittima della stessa trappola che lui aveva architettato per il socio, che poi decide di uccidersi.


Nel risvolto della copertina, Martin Ellis viene paragonato a Philo Vance, e anche nello stesso romanzo, il paragone è ripetuto. Ma a me sembra che di vandiniano ci sia molto poco se non nulla: Ellis così come viene presentato non ha alcuno dei caratteri di Vance (onniscienza, appartenenza a classe altolocata, amicizie nell'ambito della procura distrettuale, snobismo), ma piuttosto potrebbe essere stato creato guardando a Ellery Queen, se è vero che si dice nel romanzo che egli scriva gialli. Però al di là di questo non c'è altro, se non che il delitto avviene anche questo in un teatro. 
Il fatto che il romanzo sia stato approntato due anni dopo La poltrona n.30, è chiaramente un tentativo di imitarne lo stile. Al di là del tentativo, tuttavia, non c'è nulla: quando scrissi il commento, il libro non l'avevo ancora letto del tutto, e quindi mi basavo su congetture di altri anche se intriganti; detto questo, lo stile è chiaramente femminile, come mi parve allora: cè un tale fumo, e un tale cicaleggio, un parlare di ambienti e di stelline, un'atmosfera di gossip e di malcelate invidie e gelosie, che solo una donna avrebbe potuto rendere in maniera così vivida, mancando peraltro tutti quegli indizi bizzarri e quei ragionamenti concettuosi che sono propri dei primi romanzi di Ellery Queen (e anche di altri veri vandiniani, come Daly King, Rex Stout, il Rufus King di De Puyer, Anthony Abbot). Qui c'è solo fumo, tanto fumo. Nessun indizio vero e proprio, tant'è vero che la scoperta del colpevole avviene  solo dopo che viene rivelato l'affare dei titoli, e non per una conseguenza logica ma per analogia, senza che vi siano prove, basandosi nell'individuazione del colpevole sulla sua costrizione psicologica che lo induce, in una determinata circostanza ad autoaccusarsi per non essere dilaniato.

E lo stesso finale, con la scoperta del modus agendi dell'assassinio - che si badi bene è un piccolo capolavoro di Ellis, che ricostruisce le varie fasi dell'assassinio, che illustra la paura del buio della vittima, e come l'assassino la conoscesse e avesse predisposto che Brandt si sedesse proprio lì, che preso dalla paura stringesse i braccioli, è che è non solo un saggio di introspezione psicologica ma anche testimonia la fantasia della scrittrice e la sua sottile perfidia - non è certo un qualcosa che ci porti a Van Dine o ai suoi seguaci, in primis Ellery Queen: in nessuno dei loro romanzi, tranne un racconto con De Puyer di Rufus King, e Tragedy of X, si ha il ricorso a meccanismi strani per uccidere, che sono  il retaggio di tempi precedenti (vedasi per es. il letto di The Grey Room di E. Phillpotts). Per di più qui, ricorrere ad un meccanismo assassino, significa a parer mio imbrogliare il lettore, tanto più che si è infarcito il libro di una serie fumosa di indizi che non hanno nulla a che fare col romanzo un altro e poco: non c'è una progressione sistematica delle indagini con la scoperta di indizi che possono essere variamente interpretati, ma un colpevole che letteralmente cade dal cielo. Può venire in mente ripeto per associazione di idee o per analogia che qualcuno abbia inventato qualcosa paragonabile al meccanismo di apertura della cassaforte, destinandolo ad uccidere, ma è purtuttavia solo un pensiero peregrino, perchè in tutto il romanzo l'assassino, pur comparendo qua e là, non viene minimamente interessato da indagini.
E il modus agendi dell'assassino, scollegato assolutamente dalle indagini svolte e ricostruito solo nella mente dello scrittore, per qualità solo sue, la indica come un'autrice non inseribile nella scuola vandiniana.

Pietro De Palma

(*) http://mysteryfile.com/blog/

Nessun commento:

Posta un commento