Steeman non si cimentò nel romanzo giallo come
prima occupazione, ma solo dopo che aveva intrapreso la carriera
giornalistica dal 1928 al 1933 per La Nation Belge ( e prima ancora si
era dedicato essenzialmente ai fumetti). Assieme ad un altro
giornalista, Herman Santini (pseudonimo Sintair), scrisse i suoi primi 5
romanzi, per poi pubblicare romanzi da solo. Tuttavia, ancor mentre
collaborava con l’amico, nel 1930 aveva cominciato la carriera
letteraria individuale, pubblicando tre romanzi ( Péril, Le doigt volé e Six hommes morts) con l’ultimo dei quali aveva vinto il Grand Prix du Roman d’Aventures,
nel 1931. Nel romanzo era stato introdotto il suo personaggio di
maggior spessore, Vorobeitchik Venceslao, detto Monsieur Wens.
Peril è
sostanzialmente un ibrido: un romanzo in cui si mischia atmosfera da
thriller con il mystery più classico. Sin da questo suo primo romanzo,
Steeman si manifesta un innovatore: tenta di svincolarsi
dalla pesante eredità di Leblanc e Conan Doyle e tenta una via
personale. Ancora acerba, direi. Ma comunque, tenta una strada, non
basata esclusivamente sull’enigma, anche se l’elemento avventuroso è
presente in larga parte.
Il ritmo è
sostenuto, soprattutto a causa di un’atmosfera d’effetto e di una
caratterizzazione efficace dei soggetti. Non manca neppure un finale ad
effetto e per nulla scontato!
Vediamo che già in
questo primo romanzo, Steeman inserisce uno dei suoi temi ricorrenti:
una pensione, in cui abitano più inquilini, tra cui si cela un
assassino.
Proprio in Peril, come accadrà più tardi con L’assassin habite au 21,
in un palazzo vi è una pensione, nel cui ambito maturano delle
situazioni poco chiare: infatti, ciascuno degli inquilini, dimostra di
nascondere qualcosa oppure si comporta ambiguamente.
Tutto comincia
quando Michel Aigu vede un negozio dove vendono sigarette: ne ha bisogno
ed entra. Tutto dinostra trasandatezza: polvere, ragnatele, ed una
vecchia che cerca di mandarlo via il più presto possibile. Michel non
fatica neanche un istante di più ad andarsene, non prima di aver
osservato un cartello che è attinente all’affitto di un appartamento nel
palazzo. Il fatto è che dopo essere uscito, per caso fissa lo sguardo
su una delle finestre che si aprono sopra il negozio, e vede una
bellissima giovane donna. Colpo di fulmine! Michel, abbagliato, vorrebbe
chiedersi qualcosa di più, tanto più che l’espressione del viso è molto
turbata. Non vedendola più, un attimo dopo, decide di tentare il tutto
per tutto: rientra nel negozio e si dimostra interessato all’affitto
dell’appartamento. In un primo tempo la vecchia gli fa capire che è
stato affittato, poi gli dice invece che non è ancora stato affittato ma
è in procinto di esserlo perché il proprietario – che non è lei – ha
già ricevuto un’opzione. Michel decide di recarsi dal padrone di casa
per fare un’offerta maggiore di quella che è già stata fatta: fatto sta
che il suo avversario, futuribile inquilino, massiccio e muscoloso, tale
Triboul, agente d’assicurazione, battuto sulla proposta di affitto, lo
minaccia.
Una volta accasatosi
e fatte arrivare lì le sue cose, Michel cerca di rivedere la bella
giovane, ma si trova dinanzi un muro di silenzio e omertà. Nel palazzo
vi sono più inquilini: innanzitutto la vecchia del negozio, Laura
Hamoir; poi abita un’ancora più perfida vecchia, sorella della
precedente, Cécile; la bella Charline; il signor Bonal, uno scrittore; e infine due musicisti.
La polizia è stata
informata che un pericolosissimo malfattore, ladro, assassino,
rapinatore, Albéric Solomon si nasconderebbe in quella casa: solo che il
volto di Solomon è un mistero. Potrebbe essere chiunque di quegli
inquilini maschi (si noti come ancora in questo tempo, in certa parte
degli scrittori, il malfattore non poteva essere una donna, che invece
aveva sempre la parte della vittima, ma doveva essere necessariamente un
uomo): ma perché mai Solomon si nasconderebbe in un miserabile
pensionato? E’ evidente che c’è sotto qualcosa! Si scoprirà che intende
sottrarre una preziosa cassetta, che conterrebbe circa centomila franchi
più un numero considerevole di azioni minerarie di gran valore,
nascosta da qualche parte nel suo appartamento da Laura Hamoir. Laura
Hamoir ha un figlio, Lucien, accusato ingiustamente di furto, che è
stato imprigionato e che sta attualmente per uscire dal carcere. Lucien è
cugino di Charline e oltretutto ne è innamorato. Charline vive assieme
alla zia Cécile Hamoir, una vecchiaccia perfida che cerca in tutti i
modi, vessandola e torturandola psicologicamente, segregandola in casa e
picchiandola anche con la frusta, di evitare che essa abbia contatti
col mondo esterno e nel tempo stesso costringerla a rivelarle il
nascondiglio che la sorella di Cécile, Laura, ha trovato per nascondere i
centomila franchi e che ha segretamente confessato alla nipote adorata,
oltretutto innamorata di suo figlio.
Del resto, qualche
tempo dopo che Michel abita nel pensionato, Laura muore e quindi la
povera Charline si trova alla completa mercé della zia perfida e
cattiva. Intanto Lucien, uscito dal carcere è stato ucciso, non si sa
bene per quale oscuro motivo da un cavapietre.
Michel è l’unico cui
Charline possa chiedere aiuto, in quanto s’è accorta di essere da lui
amata (e dal canto suo ricambia il sentimento) e lo fa affidandosi ad
uno dei due musicisti, inquilini in quel palazzo, Paul Simon, che come
lei lavorava, prima di essere licenziato, in un cinema, suonando musica
di sottofondo: proprio Paul Simon diventerà il suo tramite, amico e
confidente, e nel tempo stesso l’unico amico di Michel nel pensionato.
La polizia, nella
persona dell’ispettore Malaise, è convinta che Solomon abbia fatto
uccidere Lucien e probabilmente lo abbia anche fatto imprigionare
ingiustamente, dicendo a qualcuno dei suoi accoliti, di giurare il falso
davanti al giudice, per toglierlo di mezzo ed evitare che si
appropriasse dei soldi di sua madre, quando avesse ereditato. E che ora
che la vecchia madre Laura è morta a sua volta (accidentalmente o per
causa di Solomon ?), trama con maggior virulenza nell’acquisire il
bottino prezioso. E che quindi bisogna far presto, perché prima o poi
minaccerà direttamente le uniche persone che possano saperne qualcosa,
cioè la vecchia Cécile e la nipote Charline.
Ma la polizia
sospetta di tutti, e quindi anche di Michel, che si trova quindi tra
l’incudine ed il martello; che sa di Solomon, ma non sa chi possa
essere, perché Solomon trama nell’ombra.
Solo il finale
renderà giustizia al tutto, smascherandolo dopo che ha torturato la
giovane Charline, (salvata in extremis da Michel, narcotizzato a sua
volta) e l’ha indotta a rivelargli il nascondiglio dei soldi.
Che accadrà a
Solomon e sotto quali spoglie si nascondeva? Non lo dico. Dico solo che
il finale beato (Charline e Michel sposi) ne nasconde uno più tremendo:
una persona si vendicherà ed ucciderà uno dei due cattivi della vicenda:
Steeman,secondo voi, chi mai avrà fatto morire? Solomon o la
vecchiaccia perfida? E chi li avrà uccisi per vendetta? Saperlo, recherà
con sé anche la spiegazione della morte di Laura Hamoir.
Tutta l’atmosfera, poco definita, molto nebulosa,
che pervade il pensionato, e in cui noi conosciamo solo la posizione
chiara dei due innamorati, contribuisce a generare e favorire il
sospetto. Persino Triboul, colui che voleva affittare l’appartamento in
cui si insedia Michel, si dimostrerà persona diversa da quella dietro
cui nascondeva la propria vera identità.
Mi pare interessante sottolineare come Steeman, se
nella strutturazione del plot, si rifà indubbiamente a Gaboriau e
Leblanc, per come porta avanti l’indagine e per le false identità che
connotano il romanzo di un’aura tipicamente da feuelliton, anche se
intensamente tragica, dimostra di avere, differentemente da altri
scrittori francesi del periodo che si rifanno quasi esclusivamente alla
tradizione poliziesca francese, un afflato più internazionale: non a
caso, infatti, Steeman paragona l’aria malsana che si respira
all’interno del pensionato, a quella presente in un celeberrimo racconto
di Poe, The fall of the house of Usher. Il fatto di riferirsi a
Poe, citando un suo racconto, lo avvicina ad altri romanzieri di area
anglofona, come Carr per esempio, anche lui debitore, all’inizio della
carriera, alle atmosfere di alcuni lavori di Poe; e nel tempo stesso lo
discosta dalla tradizione prettamente transalpina, manifestandosi come
il più originale, assieme ad Aveline, degli scrittori di area francofona
del periodo, soprattutto per il taglio psicologico delle varie
personalità degli indiziati, per i continui ribaltamenti che creano
sorpresa e variano il ritmo narrativo, e per l’imprevedibilità della
storia, che fino all’ultimo consegna imprevisti e nuove certezze.
E manifesta anche un certo coraggio, nello
svincolarsi dalla comoda camicia di forza del provincialismo nazionale,
tentando una propria strada.
Pietro De Palma
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