mercoledì 22 aprile 2020

Norman Berrow: Le orme di Satana (The Footprints of Satan, 1950) – traduz. Giancarlo Carlotti, prefaz. Mauro Boncompagni – ShaKe Edizioni, Collana Nnoir Sélavy, 2010, pagg. 224.

Norman Berrow è un nome sconosciuto ai più: neozelandese, al pari di Ngaio Marsh, ma meno noto al pubblico degli amanti del giallo classico, conserva però un suo posto nella letteratura di genere, avendo cercato una sua risposta a John Dickson Carr: terreno di sfida è il delitto impossibile e, talora, la Camera Chiusa.
Non si sa quando sia nato, né tantomeno quando sia morto, e dove. La mancanza così vasta di note anagrafiche potrebbe anche far  pensare che il nominativo fosse uno pseudonimo; ma al di là di questo, e del fatto che fosse neozelandese, che si fosse sposato e avesse dimorato a Gibilterra, anche per del tempo, visto che alcuni dei suoi romanzi là sono ambientati, e che avesse combattuto nel secondo conflitto mondiale, al di là della foto, che alleghiamo, non si sa altro. Quello che si sa è che, in determinati ambienti, Berrow e i suoi romanzi furono molto amati: The Bishop’s Sword, Ghost House, The Three Tiers of Fantasy, The Footprints of Satan, sono alcuni dei titoli più rappresentativi dei venti complessivi che fino agli anni ’50 gli furono pubblicati.
Se per alcuni è un nome completamente sconosciuto, ad onor del vero bisogna dire che “Le orme di Satana” non sono il primo titolo in assoluto di Berrow ad essere pubblicato in Italia: infatti, nel lontano 1958, I Gialli del Triangolo, avevano pubblicato di Norman Berrow, “La belva di San Roque”, The Claws of the Cougar. Attualmente tutte le opere di Norman Berrow, sono disponibili presso Ramblehouse, una casa editrice americana, specializzata in opere di autori negletti.
Norman Berrow cercò di emulare Carr, creando una serie di situazioni che spesso lo richiamavano: la sparizione di una strada, in The Three Tiers of Fantasy, ci porta alla memoria l’uguale sparizione di una strada in The Lost Gallows di Carr; la sparizione di un’antica spada da una teca sigillata (The Bishop’s Sword), ci può richiamare la sparizione carriana di una coppa da una stanza (The Cavalier’s Cup)e così via. E’ da dire che però l’inventiva di Berrow non si può dire proprio che fosse povera. Parecchi sono i temi bizzarri che si trovano nelle sue opere: un pollice gigante che uccide (The Spaniard’s Thumb), la stanza che canta (The Singing Room), gli omicidi di un demonio detto “The Black” (Oil under the Window). 
Il romanzo pubblicato da Shake, “Le orme di Satana”, The Footprints of Satan, presenta la spiegazione berrowiana di un fatto effettivamente accaduto nel 1855 in alcuni posti sperduti d’Inghilterra, quando, furono trovate impronte di piede caprino impresse nella neve, e in posti inaccessibili, quali dei tetti molto spioventi o anche sopra gli alti muri di recinzione dei possedimenti. Del caso se ne occuparono illustri giornali britannici quali il Times, che pur prendendo timidamente posizione in tal senso, ammisero la possibilità che Belzebù in persona, non si sa per quale motivo, avesse voluto far visita a quelle sperdute lande nella stessa notte.
Norman Berrow parte dal fatto storico, per costruire la sua storia: nella cittadina di Winchingham, sulla salita di Steeple Thelming, in una notte d’inverno, mentre tutti i compaesani sono lì rannicchiati sotto le coperte e al calduccio, appaiono delle inconfondibili impronte di piede caprino nella neve: possibile che Satana abbia deciso di farsi una passeggiata? Fatto sta che la cosa avrebbe destato solo un certo interesse come un secolo prima, se la cosa non fosse stata connessa alla scoperta di un impiccato. Infatti la comunità locale fa chiamare la polizia per accertare che non si tratti di uno scherzo di pessimo gusto, e i poliziotti testimoniano, fotografandole, che quelle sono proprio impronte di piede caprino. La cosa strana è che le impronte, che in un primo momento sembrano messe a caso, seguono invece un ordine: è come una processione. Di casa in casa, le orme si snodano per tutto il paese: qua e là scompaiono, per apparire a distanza di qualche passo, su tetti e muri (anche in posti inaccessibili), finchè vengono notate impronte umane, seguite da quelle caprine, fino alla collina, laddove in uno spiazzo desolato, vien trovato impiccato ad un albero morto, un uomo morto, Mason, vestito con un completo grigio a doppiopetto con una cravatta vistosa (anche qui possiamo trovare riferimenti carriani: per es. l’uomo trovato pugnalato,vestito di nero, con un cilindro, una barba posticcia ed un manuale di cucina inArabian Nights Murder).
Il fatto inspiegabile è che tutt’intorno all’albero ci siano solo le impronte dell’uomo e quelle del..caprone, e nessun altra. Per risolvere l’arcano mistero, chiamano l’Ispettore Lancelot Carolus Smith, che dovrà dibattersi tra reali impronte caprine, apparizioni di un essere soprannaturale detto “La Dama Blu”, personaggi bislacchi come Jake Popplewell ed il suo vecchio somaro Boomer, la signorina Forbes, Greg Cushing (nipote di Jake), i coniugi Croxley, i coniugi Maltravers
Un bel giorno trovano Croxley, che si era allontanato da casa dicendo alla moglie che si recava al posto di polizia, in mezzo ad un campo, ucciso da una “zoccolata”: anche qui non ci sono altre impronte che le sue e quelle dell’essere con gli zoccoli. Lancelot Carolus Smith che già brancolava nel buio dopo il primo delitto e la scoperta di orme di zoccoli sul davanzale di una finestra della casa di Mason, finestra chiusa e sbarrata dal di dentro, ora rischia di stramazzare, fino a quando, improvvisamente vede la luce. E individua l’assassino.
Diciamo subito che la dote principale di questo romanzo è l’atmosfera: greve e incombente, attanaglia il lettore, almeno fino a quando, il lettore scaltro e rotto ad ogni tipo di soluzione gialla (la minoranza) capisce cosa Berrow ha nascosto; e quando ha capito cosa , per forza di cose si capisce in quale cerchia debba essere trovato l’assassino.
Quello che manca, invece, a mio parere, è l’incastro perfetto tra complessità del plot e complessità d’atmosfera: se l’atmosfera è assai efficace, in virtù di un sapiente mixaggio dei vari elementi, ad essa non corrisponde fino alla fine la complessità del plot; aggiungerei, che il fatto che si rifaccia a Carr, individua anche un’altra pecca, che è di tipo caratteriale-psicologico: Berrow secondo me non doveva essere fino in fondo molto soddisfatto di sé, letterariamente parlando, e quindi cercava sempre di rifarsi agli altri, a quelli che avevano successo oltre Carr : come dice Boncompagni…Quentin, Wallace, Oppenheim, Woolrich (ed io aggiungerei anche Downing).
L’atmosfera di Carr introduce ad un mistero che è tale davvero, e che si dispiega per tutto il romanzo, e che trova la risposta solo alla fine, e questo perché Carr presenta un parco di personaggi relativamente ampio; Berrow, almeno nei romanzi che ho letto io, ne presenta di meno. Ciò se da un lato gli consente di focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla messinscena del delitto, dall’altro, presentando un parco ristretto di sospettabili, finisce per far capire al lettore supersmaliziato (quello principiante e medio non corrono pericoli), molto prima di quanto accada in Carr, chi possa essere il responsabile. Questo accade perché cambia la prospettiva dell’impianto generale della messinscena: Carr guarda a 360°, Berrow a 180°: il primo impianta una storia e sopra ci tesse un romanzo ampio, il secondo impianta una storia ma pur se essa è di grandissima inventiva e qualità, tuttavia non riesce oppure non vuole gestire un parco ampio di sospettati. E quindi il romanzo a mio parere perde in intensità, soprattutto nel finale, laddove il lettore si aspetterebbe un exploit ed invece il tutto finisce con uno sgonfiamento della tensione, non con uno scoppio.
Inoltre, al personaggio di Norman Berrow, manca un caratteristico modo di parlare che lo identifichi (le bestemmie per Fell o Merrivale, le allusioni forbite per Appleby, le frequenti espressioni francesi di Poirot) e lo stesso suo nome può essere nient’altro che una somma di nomi di altri investigatori celebri (il Lancelot Priestley di John Rhode e il Carolus Deene di Leo Bruce.
Al di là di questo, il romanzo si impone per una qualità d’atmosfera rara, e per una spiegazione sorprendente dei due delitti impossibili : io qualcosa l’avevo indovinata, per es. l’assassino. Scoprire invece il movente e la spiegazione della camera chiusa invece è molto più difficile, e  qui Berrow vince. Alla grande.

P. De Palma

domenica 19 aprile 2020

Clifford Orr : La casa sulla scogliera (The Wailing Rock Murders, 1932) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti, Polillo, 2017

Ricordo di averne parlato con Mauro Boncompagni forse quattro cinque anni fa. In precedenza ne avevo accennato sul Blog Mondadori, ai tempi di Altieri: sto parlando del romanzo di Clifford Orr, The Rock Wailing Murders. Il romanzo fa parte di una nutrita schiera che Roland Lacourbe stilò a margine del suo Meeting del 2007. L’elenco è in rete, per opera di uno dei partecipanti a quel meeting, il mio buon conoscente John Pugmire: ricordo che ancora quando non lo conoscevo, mi servivo di quell’elenco come promemoria di tutto quello che avrei voluto leggere. Ecco perché a ogni occasione li rammentavo, quando parlavo sul Blog.
Quando ne parlai con Mauro privatamente chiedendogli  perché mai Polillo non lo pubblicasse, Mauro mi rispose che il romanzo di Orr era un gran bel romanzo. Questo finchè lo stesso non mi ha rivelò “in camera caritatis” che Polillo avrebbe pubblicato il romanzo di Orr, cosa confermatami più tardi dallo stesso editore, con la preghiera tuttavia di non divulgare la notizia finchè non fosse stata sicura.
Clifford Orr: chi mai fu costui? Attingo dalla succinta biografia pubblicata in calce al volume da Polillo: “Clifford Orr (1899-1951), nato a Portland, nel Maine, manifestò una precoce vocazione per la scrittura e, mentre frequentava la Dartmouth University, firmò come librettista diversi musical messi in scena dagli studenti del corso di teatro. Dopo aver lasciato l’università (senza una laurea benché avesse completato i previsti 4 anni), continuò saltuariamente a scrivere testi di canzoni, una delle quali venne portata al successo da Doris Day. Per alcuni anni lavorò come giornalista presso il Boston Evening Transcript e in seguito andò a dirigere la libreria di Wall Street della casa editrice Doubleday, Doran. Nel 1929 esordì con il giallo The Dartmouth Murders, che conquistò vasta popolarità grazie all’ambientazione inconsueta, il campus di un celebre college dove tre studenti vengono ammazzati. A questo mystery piuttosto convenzionale seguì The Wailing Rock Murders (La casa sulla scogliera - I bassotti n. 185), un romanzo ben più originale che per molti versi rimanda all’opera del contemporaneo John Dickson Carr. Nonostante avesse annunciato un terzo libro, Orr abbandonò la carriera letteraria e per i successivi vent’anni fece l’editorialista per la rivista The New Yorker. Omosessuale e alcolista, ebbe una vita privata infelice e morì a Hanover, New Hampshire, sede della sua università, poco prima di compiere 52 anni.”
Aggiungo che sia The Rock Wailing Murders, sia il precedente The Dartmouth Murders, sono disponibili in lingua madre, su Amazon, segno che è un romanziere che ancora si legge.
Comincio col dire che “La casa sulla scogliera” è sicuramente un eccellente romanzo, che deve parte della sua notorietà all’atmosfera che lo pervade, in sintonia coi coevi romanzi di John Dickson Carr: vi è una scogliera che a causa di uno scherzo di natura geo morfologica, emette in particolari momenti un rumore che sembra un grido. Quando in passato è stato emesso questo grido, una morte è avvenuta: la conseguenza diretta è che gli hanno attribuito un nefasto presagio. L’ultima volta che ciò pare che si sia verificato, è stato undici anni prima, quando è morto un marinaio. Il fatto è che la scogliera emette di nuovo il lacerante grido poco prima che sia scoperta una nuova morte. Di chi? Di Garda Lawrence, pupilla e protetta di Spaton Meech, detto Spider per una sua mostruosa deformità : una testa sproporzionata, che pende incurvando la schiena in una gobba, e delle braccia tanto lunghe da arrivare alle ginocchia. Garda Lawrence era stata invitata dai coniugi Farnol, Creamer e Vera e dalla loro figlia Patricia: era un’amica della figlia che le aveva consentito di portare due amici, Philip Masterson e Victor Millard. Nella casa poi c’erano degli altri ospiti, amici dei Farnol: Richard ed Helen St.John. Garda aveva invitato anche il suo patrigno Spaton Meech, che è un famoso detective, che ha aiutato la polizia in casi intricati.
Tutto sembrava andare bene, finchè si verifica l’evento tragico: Spaton va a fare un giro in spiaggia (la casa torreggia sulla scogliera) e vede che la luce nella stanza di Garda, nella cupola posta nella parte più alta della casa, è spenta, mentre nell’altra casa gemella (la casa dei Farnol è separata da circa un chilometro di scogliera, da un’altra casa gemella in tutto e per tutto, pure di proprietà dei Farnol, disabitata da molti anni) vi è una luce accesa. Poi si accende la luce nella stanza di Garda e allora lui comincia a correre volendo parlare con la ragazza prima che essa venga di nuovo spenta: sale le scale, arriva alla porta, bussa ripetutamente, vede dalla toppa della serratura il buio per cui pensa che sia infilata dall’altra parte una chiave: chiama senza risposta. Chiama altri ospiti e decidono di abbattere la porta: la finestra è aperta e il forte vento dell’oceano fa vorticare carte in mezzo a loro. Accesa la luce gli si presenta una scena raccapricciante: qualcuno ha sgozzato la ragazza. E’ avvenuto già parecchio tempo primo come dimostra il sangue già coagulato: eppure qualcuno è ritornato sul luogo del delitto. Dall’altra parte della porta non è infilata alcuna chiave né è per terra.
Spaton viene incaricato delle indagini, in quanto detective esterno che ha collaborato parecchie volte con la polizia: già questo è una stranezza, che avrà delle ripercussione sul corso delle indagini, perché quando l’investigatore è direttamente coinvolto in indagini su questioni personali o familiari, perchè l’indagine sia il più imparziale possibile, viene svolta da altro soggetto. Qui invece è lui che assume direttamente le indagini, coadiuvato dallo sceriffo. Innanzitutto per avere un quadro della situazione interroga i presenti, tra i quali deve esservi per forza l’assassino, che ha operato sicuramente o prima o dopo che Vera Farnol le ha portato il vassoio della cena, giacchè aveva rinunciato a cenare con gli altri: il vassoio viene trovato ancora fuori della porta.
Per evitare che qualcuno possa andarsene Spider rinchiude i presenti nelle loro camere da letto, e così si accorge su un’altra camera che a detta del padrone di casa dovrebbe contenere masserizie e ciarpame e che invece nasconde un’altra bella stanza ammobiliata. Tuttavia in quel frangente è ancora chiusa.
Siccome ci sono anche lo sceriffo ed il vice sceriffo che presidiano la casa, Spider da la sua stanza allo Sceriffo mentre lui ottiene dopo varie insistenze che il padrone di casa gli consegni la chiave del portone di casa, della casa gemella. Che dovrebbe essere disabitata e dove invece ha visto un chiarore. Vi si reca e..trova Philip Masterson, uno degli amici della sua protetta, che dopo un colloquio, inaspettatamente, gli confessa di aver ucciso Garda. E gli da pure l’arma del delitto, un coltello affilatissimo in un astuccio d’argento. Spider vince la sua rabbia e la sua voglia di ucciderlo, ma il suo bastone da passeggio infrange il vetro della finestra della cupola e cade dabbasso. Spider, chiude il giovane nella stanza e va ad avvisare lo sceriffo, e anche a recuperare il bastone. Quando invece…qualcuno con lo stesso legno lo tramortisce. Si sveglia, assistito dallo sceriffo e viene a sapere che qualcuno mentre lui era svenuto, sicuramente il suo assalitore, ha ucciso Masterson. Il fatto è tuttavia che tutti avevano un alibi al momento della morte, in quanto erano nelle loro stanze e Masterson è scappato da una di esse per via di un terrazzino, che non hanno le altre. Sicuramente pensa Spaton Meech che qualcuno è riuscito a uscire con un artifizio dalla sua camera. Viene a sapere anche che c’è stata una sparatoria a casa Farnol, tra il vice sceriffo e qualcuno che si aggirava nei pressi della casa: questa persona è rimasta ferita, come testimoniano delle macchie di sangue. Quindi, siccome l’unico che può essere rimasto ferito, è chi lo ha aggredito e quindi ha ucciso Masterson, gli si mette alla ricerca. Individua del sangue sulla spalla della signora St.John, e partendo dal presupposto che solo il marito l’avrebbe toccata lì, ipotizza che l’assassino sia Richard St.John.  In questo caso si prospetterebbe un tipico caso della Camera Chiusa, per come egli avrebbe fatto ad uscire dalla sua camera al primo piano dei Farnol e poi rientrarvi lasciando inserita dall’esterno finanche la chiave. Ma poi, scoprendo in Sutton l’uomo che l’ha lasciata, si convince della sua colpevolezza.
A questo punto, ecco che l’attenzione viene spostata altrove. E se Masterson avesse mentito per proteggere qualcuno? Chi potrebbe essere?
Tuttavia Spider non trova la sua torcia tascabile, e Sutton giura che non è stato lui. A questo punto il delitto di Masterson diverrebbe un delitto impossibile perché nessuno dei presenti in casa Farnol avrebbe potuto ucciderlo in quanto rinchiusi nelle rispettive camere, e avendo giurato a Sutton a Spider di non essere stato lui ad ucciderlo, né ad aver preso la sua torcia, né il suo bastone da passeggio.
Che vi sia altra carne sul fuco è testimoniato dall’affare del campanello. Un campanello suona in casa Farnol mentre è in casa Spider, e siccome nessuno può aver usato un apparecchio in casa in quanto sorvegliati, è evidente che qualcun altro lo debba aver fatto. Dopo una certa indagine si scopre che nell’altra casa gemella in una camera è tenuta segregata un’autentico orrore di donna, un essere talmente brutto e deforme che solo con Spider potrebbe fare coppia: è la madre di Vera Farnol, Vera Darlow. Che accusa il genero di un delitto perpetrato undici anni prima: il marinaio, era invece  figlio di Vera Darlow, erede della fortuna, di cui si era impossessato Creamer Farnol.
Successivamente si viene a scoprire invece che ad uccidere l’uomo, non era stato Creamer ma la moglie. Ma che al contempo essa era non responsabile dell’atto compiuto in quanto “incapace di intendere e volere” normalmente, in quanto vittima di uno sdoppiamento di personalità: due diverse Vere, una mite, l’altra feroce e assassina, interprete dell’odio che la sorella covava verso il fratello ma teneva a freno.
A questa seconda possibile pista (una persona con sdoppiamento della personalità avrebbe potuto uccidere Garda, se una sua parte del subconscio l’avesse odiata? Tanto più che ella era andata su da Garda lasciando il vassoio. E se questo fosse stato solo una scusa per andare da lei ed ucciderla?),  Spider viene anche portato dalla confessione di Patricia Farnol, coinvolta nell’omicidio di Garda dal ritrovamento si sue impronte insanguinate sulla maniglia interna della porta: sarebbe stata lei ad accendere la luce nella stanza. Assassina o visitatrice? La confessione indirizza le indagini verso la seconda ipotesi, ma nel contempo la ragazza avvalora l’ipotesi che la madre possa essersi macchiata dell’omicidio anche di Garda.
In un crescendo di tensione, avverrà un suicidio non previsto ed una verità sconvolgente si affaccerà nel finale spettacolare che conclude il romanzo, in cui l’indizio della torcia tascabile di Spider illuminerà un assassino insospettabile, mentre con una piroetta degna di un grande virtuosista, ritornerà ad affermare una verità detta all’inizio del romanzo, sulla base del raffronto tra due esempi di scrittura attribuiti alla stessa mano.
Questo è un vero capolavoro da pochi conosciuto, e grande merito va ascritto alla collana fondata da Marco Poilillo nell’averlo proposto.
E’ un romanzo spettacolare per varie cose.
Innanzitutto  la narrazione in prima persona di Spider in quello che può esser considerato una specie di diario, una rendicontazione di qualcosa che si sia vissuto e che abbia lasciato degli strascichi, in una sorta di “delirio onirico” come si è espresso l’altro giorno Mauro Boncompagni parlando col sottoscritto. In cui, l’elemento fantastico, seppure in secondo piano, diventa il responsabile di una mente malata. Elemento fantastico che accomuna ovviamente Or r a Carr
Non è il solo elemento di interesse però, e anzi ve ne sono molteplici, perché questo romanzo non solo ha utilizzato materiale preesistente ma ha anche influenzato , mi parrebbe di dire, alcuni romanzi successivi: rappresenta cioè una sorta di anello di congiunzione tra alcuni romanzieri famosi ed altri.
Vediamoli approfonditamente.
Innanzitutto vi sono due case gemelle, che erano state date a detta di Creamer Farnol da un padre a due figli. Quale opera vi fa venire in mente? A me una, ovviamente: The Lamp of God di Ellery Queen, 1935. Può aver influenzato Ellery Queen, il romanzo di Orr che è del 1932? Secondo me sì, visto che questo romanzo americano ebbe una vasta eco: anche lì due case gemelle, distanziate da circa un chilometro, e donate da un padre a due figli.
Poi vi è una casa in cui accadono una serie di delitti: a quel tempo, l’opera che sicuramente ha influenzato Orr è stata The Greene Murder Case di S.S.Van Dine del 1928, un’opera che è da sempre uno dei pilasti del romanzo mystery. Dell’opera di van Dine, vari sono gli elementi che vengono ripetuti: il detective che si avvale come spalla di un elemento della polizia (lo sceriffo qui, il Vice Procuratore Distrettuale lì); l’assassino instabile di mente; la presenza di un saggio tedesco di psicologia applicata alla criminologia: lì l’ Handbuch fur Untersuchungsrichter di Hans Gross, qui Das Verbrechen und Die Geistesunterstromung del Dottor Bernd; l’assassino che si suicida.
Due dei tre assassini hanno uno sdoppiamento in due personalità distinte, che è una delle caratteristiche per es. del romanzo di Helen McCloy,  Through a Glass Darkly (1950). E la stessa atmosfera allucinatoria, può aver influenzato The Red Right Hand, del 1945 di Joel Townsley Rogers o anche The Deadly Percheron del 1946 di  John Franklin Bardin.
La rivelazione finale ha l’origine indubbiamente in uno dei capolavori di Agatha Christie; e verrà ripresa anche dallo stesso Joel Townsley Rogers. Anche se qui, il colpevole non sa di esserlo, perché è vittima di uno sdoppiamentro della personalità.
Potrebbe addirittura aver influenzato L’Albergo delle tre rose di Augusto De Angelis, del 1935. E l’ipotesi non mi sembra neanche tanto strampalata: lì una pensione, qui una casa, ma su un piano della quale si affacciano tante camere. E tra le tante, anche una che dovrebbe contenere masserizie e ciarpame, una sorta di ripostiglio. Se De Angelis conosceva The Devil Drives di Virgil Markham e Obelists Fly High, di Charles Daly King, perché non ipotizzare la conoscenza di altri capolavori americani di quel periodo?
Vi sono qua e là delle note un po’ stonate, tuttavia, accanto ad una profusione di indizi e di false piste: c’è un plot principale (la morte di Garda e la confessione di Masterson seguita dalla sua morte), e poi ci sono due subplot distinti: il sonnambulismo di Vera Farnol, che è spiegabile come uno stato di incoscienza in cui il soggetto viva un’esperienza parallela rispetto a quella che vive in ogni altro momento della giornata; e la mostruosità fisica della madre, Vera Darlow, spiegabile come una somatizzazione della pazzia. E accanto ad una soluzione certa, un’altra ipotizzabile ma falsa ed una infine non presa in esame ma esatta. La nota stonata, che è stata rimarcata anche dal mio conoscente Noah Stewart, e che rivela una cerca immaturità di Orr nella realizzazione di piantine in calce a romanzi, è l’assenza di un qualsivoglia bagno anche comune, su un piano su cui si affacciano le camere degli ospiti. Se ci pensate, l’osservazione è quantomai stringente.
A Roland Lacourbe questo romanzo piace e lo testimonia l’averlo inserito nella sua appendice di  99 Camere Chiuse e Delitti Impossibili, risultato del Meeting del 2007, nonostante in se stesso il crimine impossibile e una pretesa Camera Chiusa che non lo è, non siano il massimo; nondimeno ai suoi amici, gli esperti “tecnici”, Soupart, Bourgeoise e Fooz, lo stesso romanzo non è altrimenti molto piaciuto giacchè gli hanno assegnato il minimo di valutazione in 1001 Chambres Ecloses. La doppia opinione rispecshia l’ambivalenza del romanzo: se lo si vede come un’opera delirante, allucinatoria, piena di vere e false piste, dal fascino unico, ha ragione il primo; se lo si vede invece come un’opera rappresentativa del sottogenere di Locked Room and Other Impossible Crimes, parafrasando Bob Adey, allora il romanzo esce notevolmente ridimensionato.
A me il romanzo è piaciuto moltissimo. E lo testimonia la velocità con cui l’ho letto, segno anche di un livello emotivo e di tensione altissimo.
L’ultima volta che ho letto un libro con una tale velocità, è stato trentaquattro anni fa, quando lessi Il nome della rosa di Umberto Eco.

Pietro De Palma

giovedì 9 aprile 2020

Paul Doherty : Il pittore di Canterbury (The Merchant of Death, 1995) - trad. Elsa Pelitti, Il Giallo Mondadori 2528 del 1995


E' da molto tempo che non parlo di uno degli autori da me preferiti, almeno per quanto riguarda il cosiddetto  "Giallo storico": Paul Doherty, scrittore, storico laureatosi a Oxford in Storia, Preside per trent'anni del celeberrimo Trinity Catholic High School, Woodford Green, Essex. E anche OBE (Official British Empire) da qualche anno, per meriti artistici.
Fino a sette otto anni fa era nome comune tra gli autori tradotti da Mondadori per le sue pubblicazioni da edicola , anche se altri suoi libri in ordine sparso, con soggetto vario, erano stati tradotti da altre case editrici in libreria. Comunque le sue serie più famose, erano appannaggio di Mondadori.
In passato abbiamo parlato della sua serie più seguita in Italia, quella di Fratello Athelstan. Oggi, parliamo di un'altra serie, quella della speziale e medico municipale, Kathryn Swinbrooke, firmata con pseudonimo C.L. Grace.
La serie si situa in un periodo storico immediatamente seguente alla fine della Guerra delle due Rose, la faida che divise il meglio della nobiltà e cavalleria inglese, portando i due partiti contrapposti degli York e dei Lancaster, rappresentati da una rosa bianca e da una rossa, a guerreggiarsi per portare il proprio capo a cingere la corona reale: è quindi collocabile durante il regno di Edoardo IV York.
I titoli che compongono la serie ad oggi sono 7, tutti tradotti in Italia:

A Shrine of Murders (1993)           Il santuario dei delitti      (2004)
The Eye of God (1994)                  L'Occhio di Dio               (2004)
The Merchant of Death (1995)       Il pittore di Canterbury    (1995)
The Book of Shadows (1996)         Il libro delle ombre         (1998)
Saintly Murders (2001)                 Il segreto del convento    (2003)
A Maze of Murders (2002)             L'occhio del labirinto        (2005)
A Feast of Poisons (2004)              Il libro dei segreti           (2006)


Non a caso, mi pare di poter dire dopo averlo letto, venne pubblicato per primo, in Italia, il terzo della serie, in quanto mi sembra il migliore.
Nel nostro caso, siamo nel 1471, qualche mese dopo la vittoria nella Battaglia di Tawkesbury, che portò Edoardo IV al trono.
Come spesso nei romanzi di Grace, le vicende delittuose sono due, talvolta intrecciate, talvolta no. In questo caso sono addirittura tre: quelle dell'assassinio della moglie di Blunt il pittore e dei due suoi amanti, e della sparizione di Colin Murtagh nella tormenta, hanno funzione di corollario; l'altra quella centrale, concerne l'assassinio di Sir Reginald Erpingham.
E' dicembre, ma prima di Natale. La neve ha fatto la sua prematura comparsa, e tutto a Canterbury è innevato. Il re, dopo la fine delle ostilità, ha inviato i suoi Lord esattori, a esigere le tasse reali, e una delle sue prime attività, è stata quella di acquistare con le ricchiezze confiscate alla parte avversa dei Lancaster dei lingotti d'argento dai mercanti genovesi, e battere nuova moneta, pesante e pregiata. Le monete ora hanno un riacquistato valore, e il re vuole rimpinguare le casse erariali con le tasse.
Sir Erpingham è l'esattore che si occupa di Canterbury, città che ha appoggiato i Lancaster e che quindi deve fare di tutto per compiacere il nuovo re, della casata avversa.
Colin Murtagh, Commissario del Re a Canterbury, va a fare provviste nei paraggi della città, assieme ad un suo aiutante, ma, sorpresi dalla tormenta di neve, prima scappa il suo aiutante, poi di lui di perdono le tracce. Lo speziale e medico municipale, Kathryn Swinbrooke, benvoluta dal re, che è innamorata di Murtagh, è preoccupata della sua scomparsa, ma nel mentre è chiamata ad occuparsi prima dell'assassinio di Alisoun,  moglie del pittore Blunt di Canterbury, donna giovane che a differenza del marito, di età molto più anziana, ha appetiti sessuali al di là di quello che può offirgli lui, che vive da molti anni col figlio Peter e la governante Emma Darryl. La donna mentre si trastullava insieme con due giovani ed erano già mezzi nudi, era stata sorpresa dal marito che armato di arco e frecce l'aveva fulminata assieme ad uno degli amanti, trapassandone il collo con un freccia, mentre il secondo dei due uomini era stato trafitto alla schiena, mentre cercava di porsi insalvo gettandosi dalla finestra.
Sulla responsabilità del marito non pareva esserci alcuna riserva, visto che lo stesso aveva ammesso la propria responsabilità e pertanto era stato rinchiuso nel carcere comunale in attesa del processo che molto probabilmente l'avrebbe condannato all'impiccagione. Kathryn tuttavia viene inviata su richiesta del Segretario Municipale Messer Simon Luberon ad esaminare i corpi delle vittime, onde confermare l'esatta dinamica della vicenda, cosa che Kathryn fa, accorgendosi però stranamente come le frecce siano penetrate troppo in fondo, come se fossero state scagliate da un uomo, valente nel tiro con l'arco come Blunt, ex bracconiere, ma più forte, sia di lui, che del figlio Peter, giovane ma di salute cagionevole e flaccido.
In attesa di riflettere meglio e parlare con Peter, la speziale è inviata a sbrogliare una matassa ben più intricata, quella della morte di Sir Reginald Erpinmgham, esattore del re, e della sparizione delle sterline reali, che sarebbero dovute essere incamerate dall'erario.
Sir Reginald Erpingham, Lord esattore, è un uomo spietato, che non ha rispetto nè per Dio nè per gli uomini, e mira solo ad accrescere il suo potere, confiscando per ordine del re, e rubando e approfittando della sua posizione, per ottenere da vedove senza soldi, sesso in cambio di esenzione dai contributi. Proprio per questi fini, ha riunito nella Locanda Wicker Man, un nutrito gruppo di persone di estrazione sociale diversa: il frate Ealdred, il soldato signorotto di campagna Sir Gervase Percy, il soldato di ventura Standon, Alan de Murville e sua moglie Margaret, nobili di piccolo lignaggio, e Vavasour, l'attendente di Sir Reginald Erpingham.
La locanda ha fama rinomata, per la pulizia, l'ottimo cibo e l'ottima birra e per i vini pregiati. A gestirla, Tobias  e Blanche Smithler.
Sir Reginald è morto nella sua camera. La morte farebbe pensare a morte accidentale o naturale, perchè la camera da letto era sprangata dal di dentro. Ma a fugare i dubbi, ci pensa proprio Kathryn Swinbrooke, che esaminando il corpo, formula il verdetto di assassinio: avvelenamento, con vino avvelenato da Belladonna: solo che nella camera non si trova traccia di vino avvelenato, e si sa che la Belladonna agisce rapidamente. E non può essere neanche che sia stato avvelenato durante la luculliana cena, perchè quello che ha bevuto e mangiato Erpingham è quello che hanno mangiato e bevuto gli altri commensali; e del resto le coppe di vino andavano e venivano e nessuno aveva la sua dall'inizio alla fine, per cui sarebbe stato impossibile avvelenarne una sapendo che ne avrebbe bevuto Erpingham. Eppure lui ne ha bevuto. E non si trova traccia di veleno nella coppa presente nella sua camera. Nè si trova traccia delle ben più ingombranti sterline d'argento, fresche di conio, sparite dalle bisacce, trovate invece piene di sassi, all'interno della camera. Due sparizioni impossibili quindi. Tanto più che dopo che l'esattore si era già rinchiuso in camera per dormire, era andato la sua guardia del corpo, Standon, che aveva dormito a guardia nel corridoio, a bussare e sentire se si sentisse bene: infatti la sera prima, Erpingham si era sentito male, sudato freddo, aveva avuto tremori ed incubi.
Nessuno quindi che sia passato per il corridoio, nessuno che può avere avvelenato una coppa trovata con del vino non avvelenato, nessuno che può aver portato via l'ammontare pesante delle sterline dlla camera. Eppure qualcuno deve averlo fatto. Spiriti?
L'ipotesi di un evento soprannaturale fa anche la sua comparsa quando si comincia a parlare di un antenato di Erpingham, un prete dedito a culti diabolici, che nella stessa camera era morto secoli prima; e quando Kathryn, Murtagh (che nel frattempo è ritornato, senza il suo attendente scappato via) ed altri, scoprono sulle pareti della camera delle vecchie pitture raffiguranti, un prete, un diavolo ed una donna, il ricordo prende corpo. E si fa più radicato quando, nella smania di trovare le sterline mancanti, sotto al letto, tolte le assi, si trovano il cranio aperto  e la mano mummificata di un impiccato, usati in riti demoniaci.
Nessuno degli altri avventori parla, nonostante tutti odiassero Sir Erpingham per un motivo o per l'altro. Nessuno sa nulla. Eppure anche messer Vavasour, l'aiutante di Erpingham trova la morte per un tranello teso dall'assassino (il ghiaccio dello stagno si spezza sotto il suo peso, e Vavasour muore affogato nell'acqua gelata) in una notte in cui Vavasour avrebbe dovuto intascare parte del prezzo del silenzio. Anche in questo caso non si trovano altre impronte oltre quelle di Vavasour, nella neve: eppure qualcuno deve aver portato la lanterna che indicava il punto dell'appuntamento nella notte, sul lago ghiacciato. E come ha fatto l'assassino a non finire egli stesso nel lago, e ad andare avanti e dietro senza che gli altri se ne accorgessero? A questo aggiungasi le brame lussuriose di Erpingham e di Vavasour, nei riguardi delle donne lì presenti (Margaret de Murville; Blanche Smithler, la locandiera) e assenti (la vedova probabilmente amata dal frate Ealdred).
Tutti negano di essersi allontanati, e anzi parecchi coprono con la loro testimonianza altri. Eppure è sicuro che lì non si siano radunati per coincidenza, perchè Kathryn scopre nella lussuosa casa di Erpingham a Canterbury, un baule in cui oltre ad altri oggetti per riti diabolici, trova un libro pornografico, e una pergamenta dove tra i giunchi di un uomo (Wicker Man) si trovano le iniziali di varie persone presenti alla locanda.
Perchè mai Erpingham per passare una notte avrebbe scelto una locanda seppure rinomata, quando aveva una casa ben più lussuosa e confortevole? La scelta del lugo dove troverà la morte è connessa strettamente al suo assassinio e a qualcosa che sarebbe dovuto avvenire e non è avvenuto.
Kathryn riuscirà a trovare il bandolo della matassa e risolvere gli assassini di Erpingham e Vavasour, riuscirà a trovare il vero assassino di Alisoun e dei altri due giovani trafitti da frecce in quanto Blunt il pittore non sarebbe potuto essere, in quanto quando Kathryn e Murtagh lo visitano in carcere, Blunt tossisce e sputa sangue (tisi allo stadio terminale) e in quello stato, non avrebbe mai avuto la calma per trafiggere in meno di un minuto tre persone con  tre frecce, scagliandole per di più con una forza non comune dall'altra parte del salone, e quindi è evidente che abbia coperto qualcuno, trafiggendo con delle frecce dei cadaveri. Non a caso in ambedue i casi, di Erpingham e di Blunt, Kathryn arriva alla soluzione dopo aver eseguito l'esame dei corpi delle vittime: in entrambi i casi veleno: nel primo Belladonna, nel secondo Amanita.
Gran bel romanzo che si legge molto piacevolmente. Come detto tante volte altrove, Doherty è maestro nel ricreare le atmosfere del tempo passato: le coppe di chiaretto, e ippocrasso; gli arrosti; le salse; gli avvelenamenti; le locande con i loro profumi, coi topi, con i secchi dell'acqua nei corridoi per prevenire incendi devastanti; le città frenetiche nelle loro attività; la protervia dei ricchi e l'avidità; la lussuria; i fumi della città silente; i frati santi, e i frati indegni. Ma è maestro anche negli intrighi e nell'elaborare plot ben riusciti, con enigmi non facili a risolversi.
In questo caso mettono l'intelligenza alla prova e gli assassini non sono così scontati. Anche qui gli eventi impossibili non vengono messi in atto da una sola persona ma da più persone, di volta in volta diverse. E nel caso della sparizione delle monete, esse vengono fatte sparire prima della morte dell'esattore in un modo ingegnoso: ricadiamo cioè, sia nella sparizione delle monete sia nella somministrazione del veleno, alla casistica della temporalità prima che si realizzi la Camera Chiusa (le altre sono: durante, e dopo).
Insomma se in un primo tempo sono stato tentato dal pensare che data la presenza di più persone tutte astiose nei confronti di Sir Reginald, e data l'impossibilità di qualcuno di allontanarsi senza allertare Standon (e Percy nella camera vicina, dati gli scricchiolii e stridori dei cardini delle porte delle camere), essi fossero tutti responsabili e si coiprissero l'un l'altro come in Assassinio sull'Orient Express, in un secondo tempo sono stato sorpreso dalla facilità del trucco. Devo dire che quello per mettere la lanterna al centro dello stagno ghiacciato, e non rischiare di cadere e morire nell'acqua gelata sotto al ghiaccio della superficie, è veramente geniale.
Insomma un bellissimo romanzo, che nel finale per nulla scontato (gli assassini la fanno franca, in cambio delle sterline, vero fine del re, potendo rifugiarsi in una chiesa per 40 giorni per poi imbarcarsi per Dover), lascia la possibilità di un futuro scontro tra uno degli assassini e la Swingbrooke.
E ovviamente la collocazione storica è perfettamente centrata, nella parte iniziale del regno di Edoardo IV dopo la conclusione della guerra, con la caratterizzazione dell'esattore, figura centrale al centro delle più grandi sommosse inglese, da quella dei contadini sotto John di Gaunt (se ne parla nei romanzi con Brother Athelstan del 2016 The Herald of Hell, e del 2017 The Great Revolt) nel 1381, a quella di Cromwell.


Pietro De Palma