Su Agatha Christie non c’è nulla da dire; semmai lo
possono i suoi romanzi, uno diverso dall’altro.
Quelli che mi restano più impressi,
devo riconoscerlo, sono quelli che trattano di veleni (Se morisse mio
marito, Tragedia in tre atti, Due mesi dopo, La parola alla difesa), ma
uno, fra tutti, è esemplare per come è impostato: La sagra del delitto .Qui
infatti, mentre in altri la struttura del plot è fissa, perché molto spesso si
è partiti da uno spunto di cronaca servito per imbastire il romanzo, qui è
libera. Come dice giustamente Stefano Benvenuti nella prefazione al romanzo (lo
ritengo il più grande critico che abbia avuto la Mondadori), “il delitto in
origine è una finzione letteraria che poi si avvera, seppure in forma di
finzione letteraria, più ampia, quella del romanzo”. In sostanza qui Agatha
Christie può spaziare in lungo e in largo creando un romanzo a sé, giocando coi
ruoli e le testimonianze: ne scaturisce quello che ritengo un romanzo perfetto,
nonostante parecchi lo inseriscano nella produzione secondaria. Forse perché
negli ultimi suoi testi, sovente Agatha Christie sente la necessità di
affacciarsi nel romanzo attraverso un suo avatar, la scrittrice di gialli
Ariadne Oliver, presente anche qui, quasi a sottolineare un approssimarsi della
sua fine e la volontà di lasciare un segno. Agatha Christie quando scrisse
questo romanzo, nel 1956, aveva sessant’anni. Non è quindi un romanzo della sua
produzione esplosiva, ma testimonia quanto, anche sessantenne, la Regina del
Giallo non avesse perduto per nulla lo scettro, anzi.
Comunque sia, la genesi fu tormentata. Infatti anche
in questo caso, il romanzo è l’espansione di un racconto, o meglio di un
romanzo breve: The Greenshore Folly (datato 1954). I proventi della
pubblicazione di tale lavoro sarebbero dovuti essere impiegati, per volontà
della scrittrice, nella realizzazione delle nuove vetrate della Churston
Ferrers Church, la chiesa che frequentava Agatha Christie. Tuttavia, per
l’impossibilità che un tale lavoro potesse essere facilmente pubblicato in
magazine, per saltare l’ostacolo, Agatha Christie realizzò un racconto ex
novo The Greenshaw Folly mentre il vecchio fu usato come canovaccio per
un romanzo, appunto Dead man’s folly (vd. pag. 147 di John
Curran: I Quaderni Segreti di Agatha Christie, Oscar Mondadori, 2010).
Il romanzo nasce – come introduce Benvenuti – da una
finzione, da un gioco: a Nasse House, vasta proprietà di Nassecombe, di
proprietà di Sir George Stubbs, si è voluto fare una festa. Inizialmente
sarebbe dovuta essere una Caccia al tesoro, ma poi qualcuno ha pensato ad una
variazione più elettrizzante: una caccia all’assassino. In sostanza un cluedo,
non giocato in una casa, bensì in una proprietà, all’aperto. Tutto qui niente
di male. E soprattutto come mai Poirot vi capita? Non casualmente. E’ Ariadne
Oliver, famosa scrittrice di gialli, a chiamarlo, perché ha avuto l’impressione
di essere stata manipolata: è a lei che si sono rivolti gli organizzatori per
creare questa originale caccia all’assassino, e lei aveva imbastito gli indizi,
l’assassino e la vittima. Solo che qualcuno, trincerandosi dietro persone
insospettabili, ha fatto modificare delle cose, che poi a mente fredda, hanno
dato modo alla scrittrice di pensare di essere stata usata “per scopi loschi”:
Ariadne in sostanza ha paura, una paura che scaturisce da una sensazione, che
qualcuno al cadavere falso ne voglia sostituire uno vero. Ecco il perché della
presenza di Poirot, annunciato dalla Oliver, da tutti accolto bene, a cui
almeno sulla carta viene offerta, come si fa ad una personalità, la mansione di
consegnare il premio al vincitore. In realtà lui, comincia a parlare, a far
parlare, perché proprio dalle chiacchiere spera di ricavare, come sempre, degli
utili indizi, delle tracce da seguire.
In realtà accumula solo degli interrogativi cui al
momento non sa dare risposta: perché la vecchia Amy Folliat (i Folliat erano
stati i proprietari di Nasse House dall’epoca della Regina Elisabetta I), che
ora vive in affitto nella vecchia portineria, dopo aver venduto la proprietà a
Sir George Stubbs, dopo aver perduto i figli in guerra e suo marito
successivamente, in due occasioni dice a Poirot, prima che “Tante cose sono
dolorose, Monsieur Poirot, e poi che “E’ un gran brutto mondo, Monsieur
Poirot. E c’è al mondo gente ben cattiva. Probabilmente lo sa anche lei”?
Perchè il vecchio del molo (nella proprietà c’è una darsena provvista di
un piccolo molo, ed è proprio nella darsena che dovrà essere trovato il
cadavere), Murdle, quando Poirot riporta l’ultima asserzione della vecchia
Folliat, guardandolo stupefatto, riconosce che l’altro deve aver scoperto
qualcosa? In realtà Poirot sa di non aver scoperto nulla e si chiede come mai
gli altri pensino il contrario.
Perché Lady Stubbs, una ragazza orfana un po’
ritardata di cui si è presa cura la vecchia Folliat, che poi ha convinto Sir
Stubbs a sposarla, aprendo una lettera si mostra sorpresa e anche spaventata
dall’arrivo di un suo lontano cugino, Etienne de Sousa, che arriverà nel
pomeriggio a bordo del suo panfilo? Perché dice a Poirot che Etienne “..è
cattivo. E’ sempre stato cattivo. Mi fa paura. Fa cose cattive”? Quali sono
queste cose cattive? Qualcuno dirà più in là, Stubbs, il marito, che “ammazzava
le persone”, sulla base di indiscrezioni avute dalla moglie. Perché
Marlene Tucker, la vittima designata, una ragazza scout figlia di gente di
modesta condizione, presentata a Poirot, lamenta di non essere stata prescelta
per essere pugnalata ma strangolata, e chiede all’investigatore belga se ne
abbia “..visti tanti di assassinii”?
In realtà Ariadne aveva concepito ben altra vittima:
sarebbe dovuta essere Sally Legge, la moglie di Alec Legge, ad esserlo. I due
che sono degli sposini venuti ad abitare sei mesi prima a Nassecombe, hanno
conquistato tutti, soprattutto lei, mentre lui è schivo e misantropo. Ariadne
aveva pensato a lei come vittima, ma poi siccome la ragazza aveva stupito tutti
con la sua lettura delle carte, qualcuno aveva pensato ad altra vittima, per
poi ancora una volta ripiegare su altra persona, perché lei, Sally, avrebbe
dovuto impersonare Zuleika, una maga lettrice di carte che predice il futuro. E
lo stesso luogo di rinvenimento del cadavere, un capanno per attrezzi di
lavoro, era stato cambiato nella vecchia darsena, a cui si accedeva per mezzo
di una chiave Yale in possesso di sole tre persone: Ariadne, Stubbs (in un
cassetto dello studio), la persona che arriva a trovarla nascosta tra le
ortensie nel viottolo (ma al momento del ritrovamento del cadavere di Marlene,
è ancora nascosta laddove l’aveva nascosta Ariadne Oliver).
Fatto sta che lo spettacolo comincia e tutto sembra
andare nel verso giusto; e Poirot si sente sempre più di troppo, si sente
vecchio, per essere stato chiamato da una vecchia amica a prevenire qualcosa
che invece non sa se e quando accadrà, anche perché dell’ambiente non ha ancora
capito nulla. Sembra un gioco di società come tanti altri: vi sono a corollario
pesche di beneficenza, gare di lancio delle noci di cocco, vendita di
confetture e marmellate, gare di birilli. Ma accadono anche delle cose strane:
intanto arriva Etienne, che vuole riabbracciare la cugina, ma proprio lei non
si trova, mentre avrebbe dovuto presiedere una manifestazione di bambini;
Zuleika, cioè Sally legge, invece di stare nella tenda a predire il futuro
scompare (dice di essere andata a prendere il tè ma è sbugiardata da una
testimonianza di Amy Folliat) e guarda caso uno dei ciondolini d’oro che
pendono dal suo braccialetto, verrà scoperto da Poirot in una fessura della
piattaforma di calcestruzzo della Follia, una sorta di padiglione nel giardino:
perché era andata lì e con chi si era incontrata ? Amanda Brewis, la
governante, segretamente innamorata di Stubbs, che neanche si accorge della sua
presenza, dice di essere stata incaricata di portare a Marlene dei pasticcini e
una bibita, ma a tutti pare una cosa strana perché Lady Stubbs non si è mai
interessata agli altri ma solo a se stessa. E’ vero che è andata lì?
Tanti interrogativi che si porranno poi ampliati a
Poirot dopo che lui e Ariadne, camminando insieme, si saranno diretti alla
darsena per salutare Marlene, e qui, invece di trovare la ragazza in
attesa di essere uccisa per finta, troveranno la ragazza uccisa per davvero.
Per di più strangolata.
Ecco appressarsi e concretizzarsi le paure di Ariadne:
qualcuno, approfittando della sua impostazione, ha ucciso per davvero la
ragazza; qualcuno che ha usato la chiave Yale per aprire la porta, oppure
qualcuno che si è fatto aprire la porta, quindi pur sempre qualcuno che la
ragazza conosceva, uno del suo entourage; qualcuno che dopo aver strangolato la
ragazza l’ha messa nella posizione in cui sarebbe dovuta essere per gioco!
Figurarsi Poirot! Non solo non ha capito gli indizi ma
non è riuscito neanche a capire chi potesse essere la vittima reale! Però
pervicacemente si mette ad investigare,
Intanto Lady Stubbs proprio non vuole rientrare: è
scomparsa. Tutti la cercano, ma nessuno l’ha vista più da quando è stata vista
camminare sul prato con delle scarpe dal tacco altissimo, un gran cappello e un
abito appariscente: dove mai sarebbe potuta andare con un simile vestiario?
Eppure nessuna l’ha vista uscire! Deve essere lì a Nasse House, da qualche
parte. Il marito, Stubbs, è fuori di sé; la moglie del deputato di Nassecombe,
Masterton, vorrebbe che la polizia usasse i segugi. Insomma tutti cominciano a
fare delle supposizioni, che più passa il tempo, più si avvicinano
all’inevitabile: anche Lady Stubbs è stata uccisa. E a questo punto
acquisterebbe un senso anche la morte della ragazza: può essere stata uccisa
perché aveva visto o sentito qualcosa che non avrebbe dovuto vedere o sentire?
Quindi la morte della ragazza avrebbe seguito quella di Lady Stubbs.
Passano i giorni, le settimane, e Lady Stubbs non si
trova, cioè non si trova il suo cadavere. Poirot non si da vinto, e prosegue la
sua caccia, sicuro che se volesse, la vecchia Folliat potrebbe fornire più di
un indizio alle indagini, perché lei sa benissimo che Lady Hattle Stubbs è
stata uccisa. O almeno lo pensa. Ma la vecchia non parla. Fino a quando
Poirot non saprà di un terzo omicidio, la morte creduta incidente del vecchio
barcaiolo Murdle, e lo stesso era il nonno di Marlene. E capirà tante cose:
perché mancava dalla vecchia darsena un fumetto, di quelli che leggeva Marlene,
con annotato in calce un altro indizio, che diceva di guardare dentro un sacco;
perché Marlene aveva ricevuto tanti regali e perché lo stesso Murdle aveva dei
soldi di cui nessuno riusciva a spiegarsi l’origine; perché Lady Stubbs non
voleva incontrare il cugino Etienne; perché Etienne diceva di avere spedito la
lettera che annunciava la sua venuta tre settimane prima, mentre invece
risultava che era arrivata solo la mattina della lettura da parte di Lady
Stubbs; perché nello sguardo infantile e vacuo di Hattle, Poirot aveva
creduto di vedere un lampo di perspicacia; che era Michael Weyman,
l’architetto che stava realizzando un campo da tennis nella tenuta, colui con
cui si era incontrata furtivamente nella Follia, Sally
Legg alias Zuleika
In un drammatico confronto, Poirot rivelerà anche a
Amy Folliat, dopo averne parlato all’Ispettore Bland e al Capo della Polizia,
il nome degli assassini e una macchinazione giunta da lontano, di cui la
vecchia sapeva qualcosa: in un certo senso lei si potrebbe definire colpevole
di favoreggiamento personale, perché non parlando ha in qualche modo causato la
morte di Marlene anche se non poteva prevederlo, e di suo nonno.
Francamente mai come in questo romanzo, il lettore può
riuscire a capire il filo logico degli eventi e a dare un nome al colpevole,
prima della rivelazione da parte di Poirot, perché – ed è per questo forse che
questo romanzo è uno dei miei preferiti – alla base di tutto c’è una
macchinazione, una messinscena messa a punto nei minimi dettagli: non vi è un
assassino, ma due, che agiscono in comunione di intenti, insieme, anche se uno
dei due è fuori gioco, o almeno sembra esserlo, dall’inizio del dramma. Niente
è come sembra. La stessa sparizione di Hattle Stubbs potrebbe configurarsi in
un omicidio impossibile, perché nessuno l’ha vista allontanarsi dal Nasse
House, eppure è sparita, e non c’è nessun posto dove qualcuno avrebbe potuta
farla sparire così…su due piedi, neanche nel boschetto che confina con la
proprietà, da cui molto spesso delle turiste sconfinano in Nasse House, per
andare più facilmente al fiume.
Per di più uno dei due omicidi precede l’altro di
molto, il che non sembrerebbe in un primo tempo; e la stessa morte di Murdle
acquista una spiegazione quando si capisce che stava ricattando qualcuno, e
doveva aver rivelato qualcosa alla nipote, ragazza un po’ tarda che non aveva
capito la pericolosità delle rivelazioni. Lo stesso Poirot commenterà ad Amy
Folliat che un assassino che ha ucciso tre volte, non è detto che si fermi,
mettendola in guardia su una sua possibile uccisione.
Il luogo della sepoltura di Hattle risulterà essere la
Follia, e in ciò, quando l’ho riletto questo romanzo (lo lessi per la prima
volta quasi quarant’anni fa), ho ricordato qualcosa che quarant’anni fa non
avevo visto: un film di George Marshall con Glenn Ford e Debbie Reynolds, Gazebo
(1959). La storia di uno scrittore di gialli che ricattato uccide il
ricattatore e ne seppellisce il corpo sotto un gazebo, una struttura simile
alla Follia: mi ricordo la scena della tempesta quando il vento distrugge il
gazebo e scopre la tomba improvvisata del ricattatore. Possibile che la
sceneggiatura, basata su un lavoro di Alec Coppel, avesse preso qualcosa
dal romanzo di Agatha Christie?
E assodato questo, ovviamente anche il resto avrà uno
sviluppo diverso: innanzitutto l’identità vera di Lady Stubbs e le sue vere
condizioni economiche iniziali, e quelle di Etienne; e perché fosse stato fatto
sparire il fumetto con l’ultimo indizio alludente al sacco.
Inoltre ancor una volta – sembra davvero essere questo
il leit motive ricorrente nell’opera della Christie – compare un soggetto che
si credeva morto (il ritorno di una persona che agisce sotto mentite spoglie),
a cui qui fa da contr’ altare un’azione del tutto opposta concernente
altro soggetto (una specie di originalità, che complica ancora di più il plot).
Nel momento in cui Poirot avrà scoperto tutto, avrà un senso la battuta del
Capitano Warburton a lui, all’inizio del romanzo quando, interrogato
circa una foto, lui aveva ipotizzato essere una finestra con le sbarre, mentre
era in effetti un particolare ingrandito di una rete da tennis: “Dipende da
come si guarda la cosa”. In altre parole: sotto una diversa prospettiva,
una cosa acquista un significato che prima non aveva.
Cosa che metterà in pratica Poirot.
Anche se i dialoghi non sono il massimo in Christie,
il romanzo è uno dei più sensazionali per plot e soluzione. E anche uno dei più
cattivi di Agatha Christie: gli assassini sono cattivi entrambi, ma veramente!
Uccidono (due omicidi uno, uno ) per avidità, non esitando a farlo nei
confronti di persone ritardate mentalmente (Lady Stubbs e Marlene Tucker, una
ragazzina) e recitano la loro parte così magnificamente, da portare la polizia
e inizialmente Poirot, su una falsa pista: saranno le testimonianze di Brewis
su Lady Stubbs, la sua sparizione, la sparizione del fumetto con l’indizio, le
asserzioni di Murdle, e il suo ricatto e quello che saprà interrogando la madre
di Marlene ad aiutarlo a squarciare il velo degli eventi.
Notevole.
Pietro De Palma
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