domenica 25 novembre 2018

Nicholas Blake : Le pentole del diavolo (There’s Trouble Brewing, 1937) – trad. Alfredo Pitta – I Libri Gialli, N°208, Mondadori, 1939; Ristampa I Classici del Giallo 1369 del 2015



Le pentole del diavolo (There’s Trouble Brewing, 1937), fu stampato per la prima volta nel 1939 nella collana Libri Gialli con il numero 208 e nel 1958 nella collana “I Capolavori dei Gialli” con il numero 94 (in versione ridotta). Dopo queste apparizioni, il romanzo è stato scordato fino ad oggi. Per questo era imprescindibile che dovesse essere ripubblicato perché sarebbe stato, scusate il gioco di parole, un delitto, lasciare un romanzo di Nicholas Blake, un autore di grande prestigio (oltre che poeta di corte ) inglese, affidato a collane della Mondadori, i cui gioielli sono sempre più irrintracciabili col passare degli anni. Detto questo, bisogna anche dire però che, al di là dell’elogio personale per chi con tenacia  sia riuscito a farlo ripubblicare, parlo di Mauro Boncompagni, chi lega il ricordo di Blake ad un capolavoro come La belva deve morire (The Beast Must Die,1938), si troverà forse alquanto spaesato: il romanzo, che è il terzo avente come personaggio principale Nigel Strangeways è bello, certamente interessante, ma non è certamente un capolavoro. Semmai è fortemente interessante per certe posizioni programmatiche che accomunano Nigel Strangeways ad altri suoi colleghi del periodo.
Il romanzo comincia in sordina: Nigel Strangeways è stato invitato a tenere una conferenza sulla poesia nella cittadina di una coppia di amici: Herbert Cammison e la moglie Sofia. Alla conferenza partecipa una variegata fauna di persone: da Arianna Mellors, una virago esuberante, al poeta Gabriel Sorn, a Eustace Bennet, il padre-padrone che fa il brutto ed il cattivo tempo in quella città, giacchè ha fondato e dirige una fabbrica di birra, che dà lavoro a parecchi cittadini. Subito si crea una particolare tensione attorno ad Eustace, e Nigel si convince che quel personaggio è tutto fuorchè amato da quelle parti. Oltretutto l’industriale fà di tutto per contattarlo, ma non nella veste di poeta e critico, quanto in quella di investigatore (per la quale Nigel è già universalmente noto): dovrà fare luce sulla morte di Tartufo, il suo cane, morto orrendamente.
Eustace Bennet maltratta tutte le persone con cui viene a contatto, egoista ed egocentrico a la massimo grado quale egli è. Maltratta persino il suo cane, che, a fronte di tutti i calci e dei rimproveri che riceve dal suo padrone, sempre gli scodinzola vicino, lieto di poter essere in sua compagnia. Tuttavia, non si sa come, Tartufo è finito nel bollitore a pressione, dove è stato lessato…vivo. Chi pensa tuttavia che anche in un uomo così arido debba esistere un barlume di tenerezza, se dopo i calci che puntualmente gli rifilava, sente ora il bisogno di indagare sulla morte del suo cane, deve ricredersi: Eustace riteneva il cane una cosa propria, e come tale era suo diritto prenderlo a calci, insultarlo, maltrattarlo alla stessa maniera di quanto faceva nei confronti della moglie, altra sua proprietà,  e perciò vuole perseguire chi gli abbia tolto il modo di sfogarsi. Pure a malincuore, Nigel deve accettare quel lavoro che l’industriale gli paga e mettersi all’opera: dovrà interrogare chi abbia visto il cane, ricostruire i movimenti e capire chi possa avere avuto l’idea di fargli fare una morte orribile, bollito vivo nella fabbrica della birra del padrone. Ma nel giorno in cui Nigel avrà tutta la fabbrica a disposizione, ed il padrone della fabbrica ha dato disposizioni che chiunque gli dia una mano perché è previsto che lui non si affacci, verrà fatta una terribile scoperta: nel bollitore di rame, una sfera, con una porta, in cui si mette l’orzo a bollire, viene trovato lo scheletro completamente scarnificato e pulito di un uomo che, dai reperti trovati (orologio, dentiera e qualcos’altro), e dai capelli che ancora il cranio possiede, viene riconosciuto come quello del padrone della fabbrica, Eustace Bennnet.
A questo punto ci si pone la domanda: giacchè le morti del cane e del suo padrone sono assolutamente uguali, e avvenute nello stesso modo e nello stesso luogo, ci si pone il quesito se siano entrambe state ideate e messe in pratica dalla/e stessa/e persona/e oppure siano il prodotto di due atti distinti, da parte di due volontà diverse.
La seconda domanda è ovviamente quella riguardante chi abbia potuto uccidere Eustace e perché.
Di gente che lo voleva morto ce n’è molta: una lettera anonima in cui si parla di zucchero e di cassette di birra sottratte indicherebbe come responsabile il guardiano dello stabilimento, Lock, che avrebbe potuto mascherare il suo losco giro uccidendo il suo principale una volta che fosse stato scoperto (ma poi si scopre che è un vecchio militare, integerrimo e fedelissimo al suo padrone); la moglie, che non si dimostra molto dispiaciuta della sua morte; il fratello Joe, che è fuori sul suo battello, che vorrebbe la fabbrica per trasformarla ed invece non può farlo per opposizione di Eustace, e che un tempo persino è stato costretto dal fratello a non sposarsi con Arianna; la stessa Arianna, che ha molto livore nei confronti del fratello di Joe, perché gli ha impedito di sposarla e quindi ha reso impossibile a loro due di avere una propria vita insieme;  il poeta Gabriel Sorn, che compone poesie surrealiste, e che è dilaniato dall’antipatia che nutre per Bennet il quale non perde occasione per metterlo alla berlina e nel tempo stesso non può dire nulla contro né difendersi perché Bennet è anche suo datore di lavoro perché per lui ha confezionato motti pubblicitari; gli stessi Herbert e Sofia Cammison che lo odiano, il primo per ragioni inerenti alle condizioni pessime in cui fa lavorare i suoi dipendenti e l’altra perché ci ha tentato anche con lei; persino Barnes, direttore della birreria, ricaverebbe dalla sua scomparsa, perché pare che un’altra ditta di birra abbia offerto di comprare la fabbrica di Eustace, e in quel caso lui si illuderebbe di mantenere il posto (assieme a quello degli altri dipendenti) e di mettere a frutto le sue competenze. E poi, parecchi operai lo vorrebbero morto: il divertimento che prediligeva era camminare con passo felpato, seguendo un determinato operaio, senza farsi accorgere e starlo a guardare in silenzio, da dietro, anche per delle ore, finchè quello al colmo della pressione, sentendosi osservato, sbagliava e finiva così per essere rimproverato ed umiliato
 

Aperto il testamento, si vedrà che alla moglie non è riconosciuto alcun lascito, salvo l’obbligo del fratello a versarle 400 sterline l’anno, mentre un terzo viene lasciato al fratello Joe e addirittura due terzi alla…madre di Gabriel Sorn, che a quel punto viene ad acquisire una grande importanza tra i possibili sospettati, in quanto oltre che per ereditare avrebbe potuto uccidere Eustace per il risentimento di non essere stato accettato neanche come figlio illegittimo (Bennet ha avuto una storia giovanile con la madre di Sorn, Emily, e lui di suo padre ha certi lineamenti).
Importanza ha però anche il modo come Eustace è stato ucciso: perché nel bollitore a pressione e non ucciderlo in altro modo? Per eliminare tracce da cui si sarebbe potuto risalire all’assassino (veleno, pugnale, acido, pallottole, tenuto conto poi che non si è trovato alcun bossolo nel filtro della serpentina)? Oppure per altro?
E il delitto era premeditato o no? Ed è stato attuato nella fabbrica o altrove e poi il corpo ivi portato?
La serie di interrogativi che viene portata avanti nel romanzo non è di poco conto, ma l’originalità del romanzo sta proprio nell’esame di questi aspetti secondari, giacchè il lettore smaliziato, parecchio smaliziato, riesce almeno sessanta pagine prima della rivelazione a capire chi sia il colpevole (anche se il sottoscritto c’è riuscito almeno centocinquanta, e non è difficile che altri alla stessa maniera ci riescano).
Le cose più interessanti a parer mio sono: tra gli indizi, il frammento di pietra verde che Nigel inconsciamente ha raccolto nel congelatore e che rivelerà utile per le indagini, soprattutto quando si capirà che proviene dal castone di un anello che Arianna ha regalato anni prima a Joe, e anche il dolce al cioccolato e le ciambelle che son sparite da casa di Eustace, che un ladro in possesso delle chiavi dello stesso (sicuramente il suo assassino) ha sottratto di notte, disdegnando invece l’arrosto, scelte alimentari che hanno a che fare con la debolezza dei denti e con l’uso di dentiere; invece tra le intuizioni, i quattro segni uguali che Niger trova sul pavimento di casa di Joe, da cui deduce che sia stata messa una sedia, e montatovi sopra, trova nel soffitto una botola che porta ad una soffitta dove qualcuno ha dormito, e mangiato il dolce al cioccolato e le ciambelle. Nel resto della casa di Joe, tutto è abbandonato e coperto da tele, tranne il suo studio dove trovano il cadavere di Arianna, sfigurato dall’attizzatoio del camino. E poi, in seguito alla testimonianza di un vagabondo, rintracceranno il battello di Joe, affondato e bruciato con un cadavere carbonizzato a bordo.
La suprema intuizione di Nigel è quella tuttavia concernente l’identità dell’assassino: oggi come oggi, che tanti romanzi son passati come l’acqua sotto i ponti, quella trovata di Blake farebbe ridere, perché tanti l’hanno usata; ma allora probabilmente era maggiormente originale. Tuttavia è una trovata che trova tutta la sua forza proprio nell’interrogativo che rimane per tutto il romanzo, fino alla fine, ovviamente per quelli che non l’abbiano risolto prima: perché Eustace è stato ucciso in un bollitore a pressione, cosicchè del suo corpo non rimanesse che lo scheletro? Perché?
Al di là di ciò, resta un buon romanzo. Non brilla particolarmente per il numero dei sospettabili, che qui è particolarmente risicato (e questo indubbiamente ha il suo peso determinante nella scoperta del colpevole parecchio tempo prima della fine della storia), ma i dialoghi sono godibili e all’inizio del quarto capitolo si legge una dichiarazione programmatica che Cecil Day-Lewis alias Nicholas Blake fa recitare al suo detective, che per me è una delle cose più interessanti del romanzo perché pone Nigel nella stessa luce di Eustace : “Perché mi dedico a indagini criminali, dite? M’immagino perché esse danno un’occasione unica per studiare le anime a nudo, diciamo. Coloro che sono coinvolti in un delitto, e particolarmente in un assassinio, stanno sempre all’erta, sulla difensiva; ma quando cercano di coprire una parte dei loro pensiero rivelano il resto…la mia è soltanto una curiosità scientifica, non dissimile da quella che spinge il fisiologo alla vivisezione.(pag.64). Se questa ci pare una dichiarazione programmatica da parte di spirito assolutamente positivista, in realtà assolutamente diversa ed ispirata all’educazione classica e umanistica, ci appare altra interessantissima disquisizione che Nigel rende qualche pagina prima: “ V’è mai accaduto, quando andavate a scuola, di dover tradurre un brano di latino senza aiuto di grammatica e di dizionario? Se sì vedrete che c’è una non piccola affinità tra quest’esercizio e il far la luce su un delitto…Nel latino avete una lunga frase tutta a costruzioni indirette e inversioni, che a prima vista sembrano soltanto un raggruppamento di parole, privo di ogni significato logico. Anche un delitto misterioso ha in principio lo stesso aspetto. In questo caso il soggetto è l’ucciso; il verbo è il modo in cui il delitto è stato compiuto; l’oggetto è il movente: Non son queste le tre parti essenziali di una frase? E lo sono pure di un delitto. Dunque, si trova prima il soggetto, poi il verbo, poi l’oggetto. Ma fatto questo non avete ancora il significato dell’intera frase, cioè il colpevole. Vi sono una serie di subordinate, che possono essere indizi veri o indizi falsi, intesi a sviare; e dovete sceverarle nella vostra mente l’una dall’altra, ricostruendole in modo che si adattino all’insieme e che ne chiariscano il significato. In una parola, quest’esercizio di analisi e di sintesi è il più adatto a sviluppare le facoltà investigative.” (pagg. 62-63). Come fa qualsiasi scrittore che abbia creato un proprio personaggio molto amato in cui egli si identifichi (Carr quando mette in bocca a Bencolin una pari dichiarazione d’intenti, o Crispin a Fen o Van Dine a Philo Vance, etc..) anche Blake mette in bocca a Nigel Strangeways una propria dichiarazione su cosa debba fare il detective e come egli operi. In verità la dichiarazione, che tradisce l’origine accademica dell’autore e tutti i suoi studi classici, tuttavia si integra con l’altro brano (che completa il dialogo tra Nigel e Sophie, nelle pagine seguenti) a formare un tutt’uno, in cui le facoltà umanistiche unite alla capacità di analisi, servono a formare una capacità unica, quella del detective di saper interpretare nella maniera più giusta tutte le informazioni di cui egli si impadronisce per metterle a frutto. Ma le facoltà umanistiche, si veda bene, egli le riferisce allo studio del latino, che più di altri linguaggi, ha un fortissimo connotato logico che quindi è vicinissimo a quello matematico-scientifico. La dichiarazione di Nigel prosegue e chiarisce come il detective debba ricostruire la dinamica dell’omicidio per riuscire ad acciuffare il colpevole: “..S’impara, finalmente, a scrivere alla meglio nello stile del tale o del tale altro classico; ma allora ci colpisce subito la circostanza che tutti i migliori  scrittori si sviano costantemente dalle strette regole grammaticali, che ognuno ha locuzioni proprie e via dicendo. Ora, questo è vero anche del delinquente in generale, e dell’assassino in particolare. Per scrivere un buon componimento in latino occorre una buona dose di facoltà imitativa: in altri termini, bisogna entrare soprattutto nello spirito dello scrittore sul quale ci si modella, e sentire come lui. Analogamente, un investigatore deve entrare nello spirito del delinquente, se vuole riuscire in un’esatta ricostruzione del delitto.”
In cosa Nigel è vicino al padrone della birreria, insopportabile e cattivo, che perseguita tutti coloro che gli sono attorno? Nel suo modo di rapportarsi: sia lui che Eustace attendono che l’altro sbagli: lui aspetta che sbagli l’assassino, Eustace il dipendente; entrambi sono all’erta, aspettano il primo errore del debole, per colpire. Nigel ed Eustace praticamente sono uguali, due facce della stessa medaglia, lo yin e lo yang, il nero e il bianco, il male ed il bene, solo che talora il bene può diventare il male e viceversa; basta solo come si veda il tutto. Ma il paragone, può diventare anche tale nell’alternanza fissa dei due momenti, delle due identità, delle due forze, delle due nature.
Del resto, quest’alternarsi di momenti continua per tutto il romanzo: vi sono momenti bui e momenti meno bui. Da notare è che le sorprese avvengono sempre in momenti e in luoghi tali che vi sia un forte contrasto: la scoperta dello scheletro, avviene in un ambiente buio, in cui la luce della lampadina tascabile illumina delle ossa calcinate, cioè bianche; la scoperta del cadavere di Arianna, in una casa vuota, piena di cose vuote, l’unica cosa che non è vuota è la poltrona su cui è riverso il cadavere orrendamente sfigurato di Arianna; nel battello di Joe, “Il Gabbiano”, trovato di giorno, mezzo affondato, spicca il cadavere di Bloxam, un marinaio che Joe aveva preso con sé. Ancora un contrasto: di giorno, in piena luce, un cadavere diventato nero perché carbonizzato.
Inoltre le due uniche donne, presenti dall’inizio alla fine del romanzo , Sophia e Arianna, mi parrebbero essere anch’esse dei rimandi: Sophie  rimanda alla Sapienza, e Arianna al mito di Teseo, al gomitolo, alla riconquista della luce rispetto al buio del labirinto (ossia alla riconquista della verità).
L’edizione italiana presenta la traduzione di Alfredo Pitta (molto buona), approntata in epoca fascista. A meno che non si pongano in essere le condizioni per una ritraduzione del romanzo di Blake,  risulta (e rimarrà così) l’unica versione in Italia. A questo proposito è utile confrontare la versione originale e quella dell’edizione italiana e vedere se effettivamente combacino. Posto che il confronto io lo possa fare solo sul primo capitolo, che un amico mi ha inviato dall’America, già in esso si notano numerose differenze che mi autorizzano a parlare di una edizione italiana privata di alcuni contributi interessanti.
Innanzitutto il primo capitolo, oltre che con il periodo 23 aprile – 16 luglio, si apre nell’edizione originale con un proverbio in inglese che manca nell’edizione italiana: Dogs begin in jest and end in earnest, che significa in italiano “i cani cominciano per scherzo e finiscono sul serio”. In questo caso mi sembra un riferimento caustico alla sorte di Tartufo, il cane di Eustace (Tartufo oltre che essere un nome che indica la capacità di annusare, può essere anche un rimando all’opera di Moliére, Tartuffe) che se voleva solo giocare è finito bollito vivo. Il primo capitolo ci riserva tuttavia un’altra sorpresa: alla fine della prima pagina del primo capitolo c’è il periodo in italiano: “La sua pusillanime e furbesca faccia di terrier apparve infatti in tutti i giornali illustrati del Regno Unito, facendo passare in secondo piano quelle delle personalità del giorno e le non dissimulate grazie delle belle bagnanti”. Ma in inglese notiamo che il periodo è più lungo e contiene anche accenni caricaturali a Hitler, Mussolini, e Mr. Baldwin (molto probabilmente, anzi sicuramente, si riferisce a Stanley Baldwin, Primo Ministro inglese dal 1935 al 1937) che ovviamente nell’edizione non possono esservi, per la censura, che veniva applicata talvolta direttamente dal traduttore che, per evitare di incorrere in quella del partito, si occupava lui di epurare le parti che sarebbero state contestate. In questo caso l’espressione inglese originale è: His pusillanimous and shifty-looking terrier face appeared in every illustrated newspaper in the united kingdom, ousting from the front page the not altogether dissimilar features of Hitler, the neurotic-bulldog expression of Mussolini, the sealed lips of Mr. Baldwin, and the unconcealed charms of bathing beauties che in italiano potrebbe rendersi con “Il suo viso pusillanime e sfuggente aspetto da terrier apparve in tutti i giornali illustrati nel Regno Unito, spodestando dalla prima pagina le caratteristiche non del tutto dissimili di Hitler, l’espressione nevrotica-da bulldog di Mussolini, le labbra sigillate di Mr. Baldwin, e il non celato fascino di bellezze al bagno”. Inoltre, si perdono nella traduzione, alcuni rimandi letterari, così presenti nelle opere anche di Blake, che Pitta non ritenne di inserire al pari di altri. Infatti, se esistono espressioni come “mutano i tempi e noi mutiamo con essi”, che Nigel pronuncia appena arrivato a casa della coppia degli amici; e poi il motivo dell’ Ode Saffica di Brahms che Nigel fischietta ritornando a casa dalla conferenza mentre accompagna Sophie Cammison (entrambe, cose che non si trovano nell’ancor più epurata edizione de I Capolavori del Giallo), invece si perde “Spare us the reminiscences, please. Keep them for Three Thousand Miles Through the Bush on a Trycicle, or whatever you’re going to call your travel book”, che, tradotto, significa : “Risparmiami le reminiscenze, per piacere (viene usato il pluralia majestatis). Tientele per Tremila miglia attraverso la boscaglia su un triciclo, o qualsiasi altra cosa tu stai andando a intitolare il tuo diario di viaggio” . Si perde nell’espressione italiana già riportata “mutano i tempi e noi mutiamo con essi”, quella latina originale citata nell’edizione inglese originale “Tempora mutantur, nos et mutamur in illis”. C’è anche un riferimento ad un precedente romanzo: nel colloquio tra Nigel e Sophie a casa loro, lei esclama: “ I read the newspapers. They were full of you last year over that Chatcombe case” (si riferisce a "Quando l'amore uccide" che nell'originale inglese è Thou Shell of Death).
Insomma abbastanza per dire che, analizzando il romanzo capitolo per capitolo, probabilmente si troverebbero altre cose tralasciate, che tuttavia completerebbero il quadro del romanzo, quale ci ha consegnato originalmente il suo autore.

Pietro De Palma

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