lunedì 24 dicembre 2018

Ngaio Marsh: Delitto d’annata (Vintage Murder, 1937) – trad. Oriella Bobba – Il Giallo Mondadori N.2231 del 1991 – 1^ edizione; in Gli Speciali del Giallo Mondadori N.74 del 2014 – 2^ edizione.

Quinto romanzo in ordine cronologico, Vintage Murder, risale al 1937. Appartiene al cosiddetto filone tematico “teatrale” di Ngaio Marsh. Infatti, per chi non lo sapesse, Ngaio Marsh fu, oltre che una grande scrittrice di polizieschi classici, anche una grande regista e scrittrice teatrale. Non solo. Coltivò anche l’arte della pittura. E inserì le sue passioni nei suoi romanzi. Un po’ quello che fece Agatha Christie, soprano mancato, che spesso inserì nei suoi lavori accenni musicali ad operette, opere liriche e musiche per pianoforte. Così anche Ngaio Marsh.
In particolare questo romanzo appartiene al filone del teatro: segue, peraltro, in questa sua originale falsa riga, il primo romanzo in cui l’ambiente teatrale entra di forza, cioè Enter a Murderer del 1935, tradotto in Italia col titolo Delitto a teatro (Eliot Edizioni, 2010). Non ho citato a caso il primo romanzo della “serie teatrale”, inserita in quella più vasta di Roderick Alleyn, perché è come se Ngaio Marsh stessa avesse voluto ricordare qui il suo primo romanzo, quasi creando un percorso obbligato nell’ambito della sua produzione: infatti uno dei personaggi presenti qui riconosce in Roderick Alleyn il protagonista del caso narrato nel primo romanzo di Ngaio Marsh. Tuttavia non è il solo caso in cui Ngaio Marsh abbia unito due romanzi: infatti, posteriormente, sempre nell’ambito della “serie teatrale”, altri due romanzi saranno idealmente uniti : Death at the Dolphin del 1966 (finalista agli Edgard Award) pubblicato  nei Gialli Rizzoli nel 1975 e l’ultimo romanzo, il 32° della produzione della Marsh, Light Thickens. Entrambi si muoveranno dentro il Dolphin Theatre proprietà di Peregrine Jay.

Quindi, in sostanza, il tema del teatro era uno molto amato dalla scrittrice, e questo lo si nota nei suoi romanzi dedicativi, tant’è vero che Ngaio Marsh divenne popolare presso il pubblico interessato al genere poliziesco, proprio per i suoi thriller di ambientazione teatrale. Ma la particolarità di ambientazione (che ispira l’atmosfera tramite le descrizioni) del romanzo che mi accingo ad analizzare, non è limitata al teatro, ma anche alla natia Nuova Zelanda. Si vede subito che la Marsh, quando parla del suo Paese di origine si trova maggiormente a proprio agio che non quando parla di altri ambienti. Per questo direi che questo romano se non un unicum, è uno dei suoi migliori.
Roderick Alleyn si è preso un anno sabbatico per riprendersi da un’operazione chirurgica. Per questo va in vacanza in Nuova Zelanda, e qui, nel treno, si imbatte ina una compagnia teatrale che si sta recando nella fantomatica città di Middleton. Evidentemente il successo che egli ha riportato risolvendo il caso descritto in Enterer a Murder, e le fotografie che lo hanno ritratto, sono stati ben assimilati dai membri della compagnia se è vero che viene riconosciuto ben presto. Ma, come si sa bene, i detective fanno il loro mestiere anche in vacanza: se Michael Lord di Charles Daly King si trova coinvolto in un caso alle Bermude mentre è in vacanza, se accade a Poirot e Arsene Lupin, se anche Miss Marple trova il mistero quando va al  Bertram Hotel o ai Caraibi, si può esserecerti che anche ad Alleyn capiterà qualcosa. Infatti qualcuno cerca di buttare fuori dal treno in corsa, il produttore della compagnia Alfred Meyer ed è sua moglie, la protagonista Carolyn Dacres a chiedere l’intervento di Alleyn. E quando il viaggio prosegue in nave, ecco che un furto si verifica ai danni di un membro della compagnia. Ma tutti questi antefatti servono solo per accendere l’interesse del funzionario di Scotland Yard, che si trova ancora una volta immischiato in un delitto quando, nel teatro di Middleton, il Royal Theatre, nel mezzo di una festicciola organizzata dall’impresario Meyer per sua moglie, che dovrebbe culminare nell’arrivo, su una tavola posta sul palcoscenico, di una “Jeroboam”, una bottiglione di 3 litri di champagne (una doppia Magnum), in virtù di un sistema di contrappesi, già precedentemente calibrato. Il fatto è però che qualcuno, l’assassino, ha liberato la bottiglia dai contrappesi, per cui, quando viene azionato il meccanismo, il bottiglione piomba sulla testa del povero Meyer sfondandogliela, nel panico e raccapriccio generale, e spruzzando attorno sangue, champagne e ..materia cerebrale.
Alleyn che è lì casualmente, si viene a trovare al centro dell’inghippo e la polizia locale ben presto coglie al volo l’aiuto che il poliziotto figlio di una Lady offre, cosicchè ad operare da quel momento in poi saranno Alleyn e i funzionari di polizia incaricati del caso, sergente Cass e sovrintendente Nixon della Polizia Neozelandese prima, e con il sergente Parker e l’ispettore Wade della Squadra investigativa dopo. Anzi sarà proprio Wade a fare coppia con Alleyn (Wade è più sobrio e serio del suo collega Nixon). Tanto più che proprio Alleyn aveva regalato a Carolyn Dacres un amuleto maori, un tiki, che lo stesso Alleyn scopre sulla graticciata soprastante il palcoscenico, dove qualcuno ha trafficato coi pesi e contrappesi. Che c’è andata a fare lì Carolyn? E’ lei l’assassina? Ma come avrebbe fatto? Infatti un gioco di tempi e di testimonianze sembra escludere non solo Dacres ma anche tutti gli altri membri della compagnia: sembra un delitto impossibile, come se la magnum si fosse librata da sola e sempre da sola avesse deciso di porre fine alla vita sfortunata di Meyer, marito innamorato, ma anche “cornuto”, visto che la moglie se l’intende con un attore della compagnia, tale Hambledon. E’ evidente quindi che la Dacres può aver perduto il suo amuleto solo dopo l’avvenuta tragedia e che si sia recata lì, dove supponeva che qualcosa fosse accaduto, per suffragare la sua ipotesi, sbagliata (ma diventa tale anche agli occhi della polizia locale), che il suo amante, Hambledon, avesse potuto uccidere suo marito, spinto dalla gelosia. Del resto la polizia è portata a sospettare di lei proprio perché qualcuno ha sentito la mattina dell’omicidio, Hambledon fare una dichiarazione di amore e di sposalizio alla bella Dacres, nel momento in cui fosse morto Meyer.
Ma la storia, se confezionata da Ngaio Marsh, non può essere mai troppo semplice. Maestra nel gestire le trame con molti personaggi, infatti la Marsh pone molti tra i sospetti per la morte dell’impresario: certo, potrebbero essere stati la moglie e l’amante; ma anche Liversidge o Broadhead, attori giovani della compagnia, sospettati, ciascuno, di aver rubato i soldi di Valerie Gaynes (Meyer aveva inchiodato il responsabile del furto ma non aveva detto nulla per non insudiciare il nome della compagnia, pagando di persona quanto era stato rubato); o George Mason, socio di Meyer. Insomma..di sospetti ce ne sono. E anche di ruffiani: George Palmer maligna su Broadhead. Ma il furto ha attinenza o no col delitto?
In realtà uno sprazzo si farà strada nella mente di Alleyn, quando proprio il cameriere personale di Hambledon, Bob Parson, in possesso di una memoria eccezionale, si rivelerà il suo asso nella manica, disposto a giurare sull’innocenza di Dacres e del suo amante perché li ha visti uscire entrambi dai camerini e andare sul palco dove è avvenuta la tragedia, senza che nessuno dei due avesse fatto altre strade (cioè non si fosse arrampicato sulla graticciata, prima). Alleyn, a questo punto, eliminati gli elementi impossibili, può convogliare le sue energie verso un’unica direzione e inchiodare il vero assassino.
Romanzo di stampo iperclassico, segue il modello maggior seguito nelle storie anni ’30: nell’ambito di un gruppo di persone, radunate in un ambiente chiuso, si sviluppa una serie di eventi misteriosi che culminano con un delitto fantasioso.
Francamente, un plot di questo genere è raro: più spesso abbiamo l’uso di pugnali, pistole, fucili, veleni. Una bottiglia di champagne usata come arma non l’avevamo ancora vista. Ed è proprio con essa che si spiega il titolo del romanzo: Vintage Murder, fa riferimento proprio all’annata dello champagne contenuto nel bottiglione.
Molti e gustosi i tratti caratteristici di questo romanzo.
Innazitutto, le descrizioni del paesaggio: Ngaio Marsh dà il meglio di sé nelle descrizioni: là si vede la sua stoffa di scrittrice. Quando descrive l’ambiente del teatro; ma anche quando descrive la campagna neozelandese: gustoso il quadretto per esempio in cui ritrae l’attrice che si asciuga gli occhi (allergia?) motivando il tutto con la fioritura, in quel periodo dell’anno, di cespugli di thè. O quando Roderick Alleyn, Ispettore Capo del CID, Scotland Yard (una volta tanto un ispettore del CID che non fa brutte figure come i compagni di avventure di Fell o Merrivale, entrambi imbranati o quasi), si incanta a guardare gli uccelli cinguettare, o quando Alleyn chiede a Bob Parson, cameriere personale di H. Hambledon, che stava sul palcoscenico in una posizione tale da poter avere sotto controllo l’ambiente circostante quasi a 360°, di relazionargli i suoi tempi, così da stabilire esattamente la tempistica e poter così trovare la discrepanza che inchiodi l’assassino: per questo Parson ripete esattamente quello che aveva fatto pochi minuti prima dell’assassinio, arrotolandosi una sigaretta e fischiando un motivetto, A Bird in a Gilded Cage, abbellito da trilli, gorgheggi e trasportato su un’ottava più alta nel finale. Un quadretto simpaticissimo.
Altrettanto interessante è il dialogo con il dottor Te Pokiha, un maori. Il modo come ne parla la Marsh è interessante: sembrerebbe che se ne servisse per una sorta di colore da riversare nel romanzo. Infatti la descrizione delle terre neozelandesi fatta da un nativo possono risultare infatti più interessanti di quanto lo possa il racconto di un pakeha, un maori di razza bianca. E certo far incontrare un inglese a farlo relazionare con un “selvaggio” del luogo sembrerebbe un atto estremamente coraggioso, uno sdoganamento di una razza ritenuta inferiore a quella bianca (si ricordi che ancora negli anni ’30), ma in realtà qui non c’è in effetti una situazione di questo genere. Infatti, Te Pokiha non è un maori qualunque: è un aristocratico, un maori della classe dominante, coltissimo, educato ad Oxford, che parla orgogliosamente della sua terra e che si relaziona, si potrebbe dire, con un suo pari grado. E la descrizione del tiki, il fatto che esso fosse diventato un tapu, cioè un oggetto religioso, perché venuto a contatto con un ambiente sacro (un po’ quello che accade con le reliquie cristiane) e di come, portato via con un sacrilegio, fosse diventato un oggetto con aura negativa, e gli usi e le tradizioni connesse, sembrerebbero avere la stessa finalità che hanno descrizioni simili, nei romanzi di Carr o di Halter, cioè l’accrescimento della tensione. In realtà qui, questo non accade, perchè per di più posto nella parte finale del libro. Semmai costituisce solo una nota di colore e una descrizione che introduce meglio il romanzo.
Mi preme fare una considerazione sulla soluzione.
Sembrerebbe un delitto impossibile: infatti dalla testimonianza di Parson nessuno degli appartenenti alla compagnia potrebbe aver avuto l’occasione di uccidere Meyer perché lui teneva sott’occhio i camerini. E allora? Qui, come in altri romanzi di altri autori, il perno dell’azione di fonda su una porticina, che nessuno aveva notato, in un piccolo corridoio oscuro dietro il palcoscenico, porticina che comunica con il retro del teatro. Noto che una ambientazione simile (ma non uguale) la si può notare in un altro romanzo in cui l’azione drammatica si situa su un palcoscenico (Death of Jezebel, di Christianna Brand). In realtà c’è un altro romanzo che potrei dire sia derivato direttamente, immagino io, da questo: si tratta di To Study a Long Silence, di V.C. Clinton-Baddeley pubblicato in Italia col titolo di Applausi per un delitto. Anche lì infatti una porticina, con una serratura Yale, come qui, immette nel retro del teatro, all’esterno. Non credo si tratti di una coincidenza: Ngaio Marsh ha influenzato moltissimo il genere e quindi è probabilissimo che anche il romanzo di Baddeley, un autore interessante, pubblicato in Italia solo da Longanesi e Rizzoli, che situa l’azione durante una rappresentazione teatrale, possa avere ereditato qualcosa da Marsh.
Interessanti anche i falsi indizi, seminati allo scopo di giustificare un certo ragionamento che avrebbe salvato l’assassino, che ancora una volta viene condannato solo perché si verificano degli avvenimenti non previsti: la Dacres che sale sulla graticciata e modifica la scena del delitto, appendendo alla corda lasciata libera un contrappeso, troppo piccolo però (se non l’avesse fatto, si sarebbe potuto pensare anche ad un incidente: che cioè la corda a cui era appesa la bottiglia avesse perso il suo contrappeso originale); il dottor Te Pokiha che entra in teatro da una certa parte, nel momento in cui sarebbe dovuto rientrare l’assassino, impedendogli quella via e costringendolo ad altro sotterfugio.
Insomma un romanzo bello, avvincente e interessantissimo.

Pietro De Palma


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