giovedì 15 dicembre 2016

Rufus King: Il Dramma del Florida (Murder By Latitude, 1930) – traduz. Enrico Piceni – I Classici del Giallo Mondadori N.1297 del 10 maggio 2012.


Immagino che parecchi abbiano capito che Rufus King è uno di quegli scrittori che mi piacciono molto. E non solo perché sapeva scrivere molto bene (era uno scrittore nato), ma anche perché è uno di quegli autori, che al suo tempo furono osannati, e poi altrettanto rapidamente, dimenticati. Ma se per altri autori, la cosa si può anche comprendere, nel caso suo, diventa un enigma: perché fu dimenticato?
Rufus King probabilmente io penso ( e l’ho anche scritto nel mio saggio pubblicato  anni fa sul Blog Mondadori) nei primi quindici anni della sua produzione, fu un autore altamente originale, tanto da essere copiato o almeno preso a modello, ma poi pagò il dazio ad altri autori nel frattempo saliti agli onori delle cronache librarie, mutando il tenore delle sue storie e conformando i suoi personaggi a caratteristiche altrui.
Siccome però sono tendenzialmente un romantico, amo ricordare chi è stato dimenticato, secondo me non a ragione: e quindi mi piace ricordare anche Rufus King.
Murder By Latitude, è ricordato da molti, come uno sei suoi romanzi più caratteristici ed emblematici: alcuni vi hanno ravvisato alcune caratteristiche, tipiche di un’opera gay. Su Rufus King, non si sa nulla perché era talmente riservato che, al suo confronto, Derek Smith, altro scrittore le cui notizie biografiche sono frammentarie, “era conosciutissimo”. Anche le sue foto sono poche.
La riservatezza che permea le sue informazioni biografiche probabilmente era una conseguenza della sua volontà di non lasciar trapelare nulla che potesse in qualche modo ammaccare la sua vita. Col tempo, degli articoli di critica in USA hanno contribuito a squarciare il velo che circondava la sua vita e la sua opera, rivelando come Rufus King dovesse essere gay. Infatti di indizi in tal senso ve ne sono a iosa e non  starò ad elencarli. Fatto sta che caratteristiche del genere (amicizie virili, ma non tanto) sono citate nel romanzo a più riprese per diversi personaggi maschili, anche se la più riconoscibile è quella tra Gans e Swithers (ma vi è quella accennata anche tra un personaggio e un marinaio di sala macchine).
Al di là di questo il romanzo ha quella caratteristica che è peculare di Rufus King: l’uso sapiente della tensione, che si insinua dapprima, poi diventa palpabile ed infine spasmodica, con finali sorprendenti e mai scontati. Anche qui, la suspence la fa da padrona.
Gans, il radiotelegrafista (il marconista del tempo avremmo detto) è trovato ucciso, a bordo del Piroscafo “Florida”: perché mai so dovrebbe uccidere un marconista? Per evitare che possa passare un dispaccio della massima importanza, al Tenente Valcour, della Polizia metropolitana di New York, a bordo anche lui, assieme ad altri passeggeri. Si è imbarcato perché, anche se non ne ha i connotati fisici, lui e altre autorità di polizia sanno che tra i passeggeri c’è l’assassino di Larry Lane, un riccone, ammazzato nella toilette di un locale notturno di New York e derubato. Il killer ha anche ferito gravemente l’amico di Lane, che però è sopravvissuto e ha contribuito a fare l’identikit e sottolineare i dati fisici del suo assalitore. Ora il killer è a bordo del Florida, perché vuole arrivare a Cassie Poole, ricca signora del bel mondo, precedentemente sposata in prime nozze proprio a Lane: Cassie dopo aver divorziato da Lane ( e da altri), si è risposata con Ted, un uomo molto più giovane di lei, conosciuto in spiaggia. Il killer vuole ucciderla? La ucciderà davvero? Ma perché?
Si scoprirà che Cassie ai tempi del suo primo marito, aveva adottato per breve tempo una bambina, Toody, che poi aveva, all’età di nove anni, ripudiato, assieme alla zia, pur versando un assegno annuale.
C’è un testamento che Cassie non avrebbe dovuto fare, a favore del suo nuovo marito, che impone al killer di renderla vedova, per rendere nullo l’ultimo testamento, ed invece re-invalidare il precedente. A Valcour spetta una delle indagini più difficili della sua carriera: scoprire l’assassino, in mezzo a falsi sospetti, a sparizioni strane di oggetti (un ditale d’argento, un lungo ago e delle forbicine da ricamo calamitate, della pece), a reticenze, tra contrabbandieri di gioielli e falsi personaggi identificati, mentre il piroscafo è abbandonato a se stesso, in mezzo al mare.
Il finale è veramente a sorpresa: per certi versi, è molto simile al finale catartico di Il Caso dei Fratelli Siamesi, di Ellery Queen, altro autore (due cugini) vandiniano, come Rufus King. Alcuni critici sostengono (io penso che possano aver ragione) che il nome Queen potrebbe essere la risposta a King (Rufus. Daly sarebbe venuto più in là). Del resto Rufus King non si sa nemmeno poi del tutto se abbia seguito di poco, con il suo primo personaggio, Reginald De Puyster, il Philo Vance di Van Dine, o se da questi sia stato copiato, tanto contemporaneamente i due uscirono nel 1926.
Nel romanzo dei Queen, Ellery ed il padre sono in una villa, dove si consuma un’oscura tragedia, che si trova in cima ad una sporgenza montuosa, mentre al di sotto le fiamme divorano i boschi e sono lì quasi per aggredire la casa; qui i personaggi sono su un piroscafo che si trova in mare, che è isolato in mare (perché il marconista è morto), e il cui timone è stato danneggiato e la cui strumentazione (la bussola) è stata volutamente alterata, in modo che vada alla deriva, sino a che non si infrangerà sugli scogli: qui il finale catartico è lo schianto sugli scogli (che consente al piroscafo di incagliarsi), mentre fino a quel momento ci si è interrogati (Valcour, il capitano Sohme e..il lettore) sul perchè il cielo che dovrebbe mostrare la rotta, non è quello solito: le stelle non sono quelle che il capitano ha visto tante altre volte; lì era la pioggia che salvava la villa dal fuoco, che per tutto il romanzo aveva fatto da sfondo sempre più presente, al dramma della villa. In entrambi i casi, i personaggi dei drammi si salvano; in entrambi i casi, gli assassini si suicidano.images?q=tbn:ANd9GcQFSNduXnj04ZvZocoorleAPMn6-yqYttjaw2HF7_pPFs2Jbj3lyg
Non si capisce chi possa essere l’assassino o l’assassina (è la grandezza dello scrittore), sino a pochi righi dalla fine, perché Rufus King, nasconde e dissimula a suo piacimento gli indizi, generando tensione, modificandola e accrescendola, attraverso svariati interventi: per esempio quando fa notare ad uno dei personaggi, come Dumarque insolitamente per la sua altezza, porti i tacchi alti. I capitoli sono volutamente assai brevi, così da fratturare a più riprese il discorso; vengono presentati volutamente dei falsi sospettati, così marchianamente da far più volte riflettere: ma perché lo fa? Se davvero lo sono, perché li fa già scoprire? E se non lo sono, perchè li evidenzia?
L’omicida è un grande attore, ha una volontà forte, generata dall’odio, dal risentimento e dall’avidità. E quindi il finale sarà tragico.
E vengono presentati degli oggetti trafugati, alcuni dei quali vediamo che hanno attinenza con uno degli assassini, ma altri no:  a cosa servono? Servono a generare tensione, perchè porteranno a degli imprevisti della trama, che agiranno da sfondo all’azione vera e propria.
Prima l’assassino è uomo, poi si sa che è donna, poi che potrebbe essere una donna travestita da uomo, poi altro; prima si dice che l’asssino quando era bambino era bambina e stava con una nutrice, poi che la nutrice era sua zia, poi che questa somiglia stranamente ad un certo personaggio della rosa dei sospettabili, poi.. insomma una serie di falsi sospettabili che generano scompiglio.
Mani affusolate maschili, mani e torsi villosi virili, amicizie etero e gay, uomini dal viso femmineo, donne dalle espressioni dure maschili, uomini che usano tacchi alti, come le donne: si potrebbe dire che questo romanzo, sia un classico dell’ambiguità.
Per certi versi, la nave isolata in mezzo al mare, su cui sono perpetrati due omicidi (il secondo, quello con l’ago, richiama di nuovo un Ellery Queen della serie di Drury Lane, solo che lì l’ago è intinto nel curaro mentre qui è inserito a forza nella nuca e spezzato dentro), prefigura una specie di Camera chiusa allargata; e gli elementi che si scatenano sul mare, se accelerano la tensione, servono anche a isolare l’azione a bordo della nave, e a impedire che l’assassino possa mettersi in salvo (assieme agli altri, s’intende). E la presenza di latitudini diverse, ognuna a intitolare un diverso capitolo, sta a significare che la nave pur muovendosi, è indiduabile solo a mezzo del calcolo della latitudine e non già attraverso altri mezzi, per cui propriamente è isolata in mezzo al mare. Il ricorso alle varie latitudini, serve anche a concentrare ancor più l’attenzione del lettore sugli eventi a bordo del piroscafo. Del resto il tiolo originale del romanzo è Murder By Latitude. Questa simbologia tuttavia, che nell’edizione delle Palmine , esisteva, successivamente è stata abbandonata, come spesso accaduto nel passaggio da I Libri Gialli a ristampe Mondadori posteriori; e anche nel romanzo in edicola in questi giorni (maggio 2012), manca, secondo me, in maniera inappropriata.
Per il resto…un capolavoro.

Pietro De Palma

Nessun commento:

Posta un commento