Quando lo scrisse, Rufus King stava percorrendo il suo
viale del tramonto.
Il romanzo breve Anatomy
of a Crime, che fu pubblicato postumo, come “short novel”, sull’Ellery
Queen Mystery Magazine N.277 del Dicembre 1966, dovrebbe esser stato l’ultimo
lavoro: infatti Rufus King morì nel 1966.
Il racconto fu pubblicato nella raccolta mondadoriana
“ELLERY QUEEN PRESENTA” – Autunno Giallo 1976”, assieme ad altri racconti di
Rex Stout, Christianna Brand, Anthony Gilbert, Ellery Queen, John Lutz, etc..,
col titolo abbastanza fedele “Anatomia di un delitto”.
E’ l’ultima avventura scritta di uno dei personaggi
fissi di Rufus King: Stuff Driscoll.
Non è un Mystery e nella fattispecie non è
“Whodunnit”; piuttosto è un thriller, serrato, che è costruito su un delitto
perfetto, il cui responsabile è noto al lettore fin dall’inizio.
Clifford Helber, ricco magnate del petrolio, è morto.
Ha avuto due figli da due matrimoni: il primo dei due fratellastri, Edmund, è
una perla di uomo: elemento in vista della comunità cittadina, benefattore,
senza donne, né vizi di sorta, ha solo un vezzo: scoprire e mettere in luce le
giovani promesse della Pittura; l’altro, Saltus, è un fior di canaglia,
imbroglione, dilapidatore di patrimoni, donnaiolo impenitente, non fa
differenze di sorta, e come Don Giovanni le preferisce sia sante che puttane.
Per non dare nell’occhio, si è procurato una garçonniere dove s’incontra con le
sue fiamme.
Siccome la diversa natura morale e materiale era già
nota al padre prima che morisse, questi ha fatto redigere un testamento,
capestro per il secondo, non capendo che il fatto stesso di esistere metterà
nei guai il primo figlio, quello virtuoso: diviso il patrimonio esattamente in
due parti eguali, il testamento esige che il figlio scapestrato dimostri entro
i trent’anni di aver cambiato vita, cosicché il padre, laddove la sua anima è
andata a cacciarsi, possa dormire sogni tranquilli sapendo che il suo
patrimonio non verrà dilapidato.
Edmund potrà disporre tranquillamente della sua parte
come meglio crede, e nel tempo stesso sorveglierà che il fratello adempia alle
volontà testamentarie del padre. Qualora ciò dovesse o non dovesse avvenire,
esso si baserebbe sulle esclusive facoltà di giudizio del fratello maggiore:
nel primo caso, il fratello minore si troverebbe a disporre liberamente del suo
patrimonio; nel secondo caso, la parte di Saltus verrebbe liquidata in
beneficenza. Purtroppo, però, il padre ha aggiunto un terzo caso, che provoca
lo scatenarsi degli eventi: nel caso in cui Edmund morisse, tutto il patrimonio
andrebbe comunque a Saltus.
E’ evidente che un soggetto come Saltus, in cui
il germe del male ha già preso piede, “faccia di necessità virtù”; e così egli
comincia a meditare la maniera più idonea per togliere di mezzo, dalla faccia
della terra, il fratello maggiore.
Esaminata tutta una serie di possibilità, decide di
eliminare il fratello, simulando un suicidio; tuttavia è basilare che il mezzo
sia il più idoneo. Si decide quindi a documentarsi sui vari suicidi, e si
convince che se deve uccidere il fratello e scamparla, deve eseguire
perfettamente il suicidio di Edmund. Come? Praticando una incisione.
La maggior parte dei suicidi si tagliava la gola. E
facendolo, lasciava sempre dei “segni di esitazione” cioè delle ferite non
mortali che tradivano la titubanza, ultima parvenza dell’autoconservazione, di
non uccidersi. Quindi, Saltus, decide che “il suicidio” del fratello, dovrà
avvenire proprio così:. L’ha letto su un testo di “Medicina Legale: Patologia e
Tossicologia” che ha letto nella Biblioteca Comunale. E pianifica il piano
omicida.
Ma, se il fratello, che è irreprensibile, “deve
uccidersi” è necessario che lo faccia per un motivo: donne? Vizi? Gioco? Tutti
motivo inesistenti. Poi gli viene in mente l’unica cosa che potrebbe in una
persona ritenuta da tutti altamente morigerata, scatenare un raptus suicida: il
fatto di essere gay. Ma perché ciò sia possibile è necessario costruire una
storia; e così pensa all’ultimo protetto di suo fratello, un pugile che ha
smesso di dare cazzotti sul ring e ha invece cominciato a dare pennellate sulle
tele: imbastirà una storia tra i due. Il germe della calunnia e del sospetto
farà il resto.
Un giorno Saltus si presenta molto mattiniero, verso
le 5-6 di mattina a casa del fratello e mentre quello sta facendo colazione sul
patio a base di focaccine imburrate, gli taglia la gola e poi, come da manuale,
esegue “i tagli da esitazione”. Poi riflette sulla situazione del momento, e
decide di simulare una decisione improvvisa, per un evento accaduto poco prima,
perché non sarebbe credibile che uno che sta facendo colazione decidesse di
uccidersi: così, scrive un biglietto, lo lega ad un sasso e quindi fa in modo
che i due atterrino proprio sul tavolo della colazione, dopo aver rotto il
vetro: dovrà sembrare che qualcuno dal di fuori lo abbia lanciato. Poi pulisce
tutto: i suoi guanti, le mani e ovviamente il rasoio, lasciandolo cadere sul
pavimento.
Un delitto perfetto. Quasi. Perché? Perché il delitto
perfetto non esiste: più l’assassino pensa a come togliere tracce più i sospetti
degli investigatori si attorcigliano intorno. Va da sé che gli investigatori
devono essere instradati perché pensino a comportarsi come vorrebbe l’omicida:
il fatto è che le indagini vengono affidate a Stuff Driscoll, che conosce la
vittima; anzi, anche sua moglie giura che la vittima non può essersi uccisa per
il motivo di cui tutti parlano, cioè una tresca col suo protetto, perché ella,
frequentatrice del Club fondato dalla vittima che protegge le nuove leve della
Pittura, ha saputo da una sua amica che Saltus, con il caldo infernale che
c’era in quei giorni, ha frequentato indefessamente la Biblioteca Comunale,
richiedendo sempre un grosso libro, con la copertina verde.
Stuff si mette a caccia e capisce quale possa essere
il libro: egli sa già che di suicidio non si è trattato ma di omicidio, e una
sua idea su chi possa essere stato, ce l’ha. Solo che gli mancano le prove.
Come fare? L’aver letto il libro è un indizio, non una prova. Va a trovare
Saltus. E gioca al gatto col topo. Gli fa sapere che Oscar non poteva avere una
tresca con Edmund, perché si era sposato segretamente. Poi gli fa balenare la
possibilità che la moglie di Oscar, Stella, possa averlo visto, la mattina del
“suicidio”. E con Saltus oramai non più tanto sicuro di sé, pensa a come
stanarlo: metterà a punto una trappola. Che verrà organizzata avvalendosi
dell’aiuto di tutti coloro apprezzavano e stimavano Edmund Helber: in primis
l’avv. Wilksby, che è il legale del vecchio padre Clifford Helber e che non “ha
mai potuto vedere” Saltus, poi Oscar e sua moglie Stella.
In pratica Stella dovrà impersonare una ricattatrice e
per farlo Stuff le chiede di imparare a memoria le fattezze della veste da
camera di Saltus, con cui presumibilmente è andato ad uccidere il fratello e
poi..di far capire che lei sa.
Non dico come va a finire. Dico solo che il finale è
sorprendente,
Ancora una volta, direi per l’ultima volta, il grande
Rufus dimostrò quanto fosse grande: con una trovata da grande Maestro, riuscì
negli ultimi righi del romanzo breve, a sovvertire la situazione e a inchiodare
l’assassino. Una trovata che mi ha lasciato a bocca aperta.
Stile fluido, ritmo molto alto e incredibile facilità
nel costruire la trama, King creò un piccolo ultimo capolavoro, puntando
l’apice della tensione non sulla scoperta del colpevole, quanto dell’unica
prova atta ad incriminarlo. Una “inverted story” assai ben costruita, di cui si
sa tutto all’inizio, proprio tutto, e tuttavia non si riesce a capire fino
all’ultimo su cosa Stuff possa basare la propria convinzione che Edmund non si
sia suicidato ma sia stato ucciso: convinzione sì, ma che egli purtuttavia non
ritiene essere bastevole ad incriminare Saltus, tanto da fargli creare le
condizioni perché Saltus si crocifigga da solo, e fornisca le prove,
incontrovertibili davanti ad una giuria, che egli abbia ucciso il fratello.
Ma alla base c’è quella cosa scoperta da Stuff. La
prova è già definita in quel che ho detto, ma solo dopo aver letto la fine, ho
capito la sua portata: eppure è tutto così ovvio! Sì, ma solo dopo che Rufus mi
abbia fatto riflettere. Già.
Mi è capitato già alcune volte, di dire che solo i
grandi maestri riescono ad infinocchiarmi, talvolta. Lui ci è riuscito.
Onore al grande Rufus!
Un lavoro straordinario direi, nella sua semplicità.
Peccato che la raccolta che lo contiene sia difficile
a trovarsi.
Un tempo esistevano antologie che riprendevano i
racconti pubblicati su E.Q.M.M.
Un tempo.
Ora invece..
Pietro De Palma
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