Amelia Reynolds
Long nacque il 25 novembre 1904 a Columbia, Pennsylvania. In giovane
età si trasferì con la sua famiglia nella vicina città di Harrisburg
dove visse per l’intera sua esistenza. Dopo aver frequentato
l’Università della Pennsylvania ed essersi laureata nel 1931, trovò
lavoro presso una casa editrice, la Stackpole Publishing Company, che
era stata fondata l’anno prima e vi restò fino al 1951, diventando poi
curatrice del William Penn Memorial Museum. Negli anni ’30 scrisse una
serie straordinaria di racconti di fantascienza che furono pubblicati in
parecchi magazine dell’epoca, prima di rivolgere il suo estro ai
romanzi polizieschi. Ammiratrice di Agatha Christie (pensava che nessuno
meglio della britannica avesse seguito meglio le orme di Poe) e invece
denigratrice delle atmosfere “pugni e gangsters” della hardboiled
school, cominciò la sua carriera letteraria scrivendo Behind the Evidence
nel 1936, con lo pseudonimo di Peter Reynolds, un mystery pubblicato in
sole 75 copie, la cui idea base fu tratta dal rapimento Lindbergh. Nel
1939 pubblicò con il suo vero nome, il suo primo vero mystery pubblicato
in grande tiratura, The Shakespeare Murders, che ebbe un grande
successo. A questo seguirono altri tre romanzi, tutti basati su Edward
Trelawny. Poi scrisse sei romanzi basati sulla figura dell’avvocato
Carter che difende solo chi egli è sicuro sia innocente: tra questi,
Murder by Magic (1947) in cui vi è una Camera Chiusa. Tra il 1947 e il
1952, scrisse altri sei romanzi, con pseudonimo Patrick Laing, basati
sulle gesta dell’omonimo psicologo cieco Patrick Laing. Amelia Reynolds
per parecchio tempo ha pensato che su di lei gravasse una maledizione o
una grande sfiga: il fatto che quando scriveva qualcosa, che fosse
racconto o romanzo non importa, poi capitava qualcosa che aveva
attinenza con quel titolo. Riporto delle sue impressioni, rilasciate
durante un’intervista nei primi anni ’70:
“It seemed that every time I used a
place or a character as a basis for a story something happened. A woman
that I had met in college asked me to write a story placed at her
husband’s old home up in State College called Meadowside. I went up, and
it was a picturesque old place. There was a place on the landing where
there was a little door that led into a back attic, and every time
either my friend or I would pass that door we’d get the cold shivers. We
never heard that anything had happened in that room, we just had the
feeling that something had. I wrote the book, the book came out in the
summer, and late that fall her husband’s mother, in trying to smoke some
ham in the smokehouse, let the place catch fire and burned the whole
house down. Then I wrote MURDER GOES SOUTH placed in New Orleans at the
time of the Mardi Gras. The book came out in the fall — next spring no
Mardi Gras — we were at war. This sort of thing kept up; people that I
would use for models in my stories would drop dead! It had me scared.
The worst thing happened when I wrote MURDER BY SCRIPTURE at the request
of my editor, since THE SHAKESPEARE MURDERS had been pretty successful.
It was based on a series of murders in the Bible in which a reference
to a passage in scripture would appear applying to someone, and within
the next 24 hours that person would die. The book was doing okay, but
shortly after it came out a child was kidnapped in Chicago, and what
happened? The family started to get Bible references. I was scared
silly. I thought, has my book given someone ideas? And I thought if that
child were to be killed I’d quit writing. But it was found that the
Bible references were a hoax and were not sent by the kidnapper at all,
but it was some prankster who may or may not have read my book. Anyway, the child was found and all ended happily.Amelia Reynolds Long condivise lo stesso destino di Cecil-Day Lewis (alias Nicholas Blake), occupandosi oltre della narrativa di genere anche di poetica: infatti gli ultimi anni della sua vita furono dedicati alla composizione di poesie ispirate ai temi della morte, della trascendenza e della storia patria della Pennsylvania, che ella raccolse nell’antologia Pennsylvania Poems, accolta con grande entusiasmo.
La scrittrice è morta nella sua casa di Harrisburg nel 1978.
L’ombra del dubbio ( The Shadow of Murder, 1947) è il quarto romanzo della serie firmata con lo pseudonimo di Patrick Laing.
Thelma Joyce muore avvelenata. Chi aveva movente e anche opportunità materiali per eliminarla? Il marito Stephen Joyce. Che però viene assolto dall’accusa di omicidio di primo grado (per cui c’è la sedia elettrica) perché il suo difensore, Courtney Lane, riesce a far balenare nei giurati, come il sacrificio della vita di un essere umano non possa basarsi sui pochi indizi raccolti dalla polizia. Così, egli viene assolto, da noi diremmo “per insufficienza di prove”. Fatto sta che Stephen Joyce, che per la legge americana non può esser di nuovo giudicato per lo stesso crimine, tuttavia è marchiato, almeno negli affetti personali e nell’ambito di determinate conoscenze, dal sospetto di essere comunque un se non “il” probabile omicida.
Ora sta per sposarsi e vorrebbe essere riconosciuto anche moralmente innocente: per questo alcune persone, che furono coinvolte, in quanto parenti o amici, nella vicenda di quindici mesi prima, chiedono al noto Professor Patrick Laing, professore di Psicologia e abilissimo detective, seppure cieco, di investigare sulla base di quei dati e testimonianze che vorrà raccogliere, e di stabilire, con indagine solo privata, se davvero Stephen Joyce sia innocente oppure se non lo sia. C’è in ballo anche la vita di un’altra persona, la futura moglie: Virginia Thorne, che a quel tempo fu anche lei coinvolta nelle indagini. E le convinzioni di altre persone: da Waldo Mercer, fratellastro della defunta e giornalista a Kimball Kent, editore; da Courtney Lane, difensore di Joyce e tutore di Virginia e Thelma a Rosemary Sullivan amica intima di Virginia, alla sorella minore di quest’ultima Doris.
Laing deve operare solo sulla base delle testimonianze, e non può neanche esaminare di persona i luoghi in cui è stato commesso l’omicidio, siccome è cieco, e deve solo affidarsi alla ricostruzione operata dagli altri e basarsi su quanto verrà a sapere dagli altri. Si capisce che, sulla base di ciò, il suo giudizio di escludere o meno una responsabilità di Joyce nella morte della moglie, sarà molto arduo. Sa però che, almeno, esso sarà pari a quello dei giudici e dei giurati che, come lui, hanno dovuto giudicare solo sulla base di quello che veniva loro spiegato, non avendo invece avuto nulla parte della raccolta degli indizi materiali e nella raccolta delle dichiarazioni da parte di coloro che alla tragedia avevano preso parte in quanto spettatori.
Che cosa viene a sapere Patrick Laing? Che Thelma Joyce era stata uccisa il mese di agosto dell’anno prima da una potente dose di bicloridio [1] di mercurio sciolto nella limonata che ella aveva bevuto, e che le era stata propinata in un lasso di tempo che andava dalle 20 alle 20.30. Tuttavia, al di là dell’evidenza, cominciano qui i problemi: innanzitutto chi gliel’aveva propinata? Il marito, che era andato su appuntamento a casa di lei per discutere del divorzio che egli intendeva portare avanti da lei, e di cui lei fino a quel momento si era disinteressata, era rimasto da solo ad aspettarla, dopo che lei era uscita un attimo. Quando era ritornata, ed aveva preso in mano il bicchiere di limonata che era rimasto sul davanzale della finestra laddove lei l’aveva lasciato, aveva comunicato al marito che non intendeva discutere di divorzio e che gli avrebbe reso la vita difficile. Lui era andato via, sbattendo la porta, ma poco tempo dopo, insospettito dalla sorellastra che non rispondeva, il fratellastro Waldo, era riuscito ad entrare e l’aveva trovata agonizzante per terra, piegata con le ginocchia all’altezza del mento. Aveva chiamato il dottore, ma poi, davanti all’evidenza di un avvelenamento, era stata chiamata la polizia. Ora, è ovvio che gli inquirenti, venendo a sapere che lì poco tempo prima era stato il marito a cui la moglie aveva negato il divorzio, e che questi aveva avuto l’occasione e aveva il movente più valido in assoluto per sopprimerla, avessero deciso di incriminarlo. Ma qui era arrivato il colpo del KO: come era stato propinato il veleno e da dove veniva il bicloridio (bicloruro) di mercurio?
Nessuno, tantomeno la polizia, era riuscito a capire da dove provenisse il veleno, e poi, soprattutto, come fosse stato propinato alla vittima, perché nel bicchiere non era stata trovata alcuna traccia, e tantomeno ne era stata trovata traccia nella caraffa piena di limonata. Eppure sul davanzale, attorno all’impronta del bicchiere, piccolissime gocce di veleno erano state osservate. Qui finiscono le evidenze, e cominciano i dubbi. Che l’avvocato Lane, tutore di Virginia e che si era occupato di quella anche di Thelma, dopo che i suoi genitori erano morti tragicamente, si era preoccupato di mettere in evidenza durante il processo, rimarcando come Thelma, molti anni prima, avesse tentato il suicidio ingerendo del calomelano .
Laing, interroga le sei persone che hanno firmato la lettera – in cui lo si invita ad emettere un verdetto personale di condanna o di assoluzione nei riguardi Joyce, nell’ultimo caso in cui dovrà anche indicare l’assassino – e ciascuna di esse dà la sua ricostruzione dei fatti, che sostanzialmente collima con quella degli altri. Patrick sa, tuttavia, che anche solo per il fatto che le sei persone in questione sono quelle che parteciparono ai tragici eventi , con l’esclusione di Doris, che era una bambina e non avrebbe avuto alcun motivo per voler uccidere Thelma, tra costoro è anche nascosto il vero assassino o la vera assassina, giacchè non è escluso che possa essere stata una donna, e che il veleno è notoriamente un’arma femminile.
Dalle testimonianze, ossia dalle sei storie, emerge:
– come il matrimonio tra Stephen e Thelma fosse stato solo uno scherzo del destino: infatti a seguito delle pretese di matrimonio di Kent, Waldo l’avrebbe promessa in matrimonio, ma Thelma non sapeva come evitare la cosa; nel frattempo, una notizia falsa su Stephen era stata riportata dal giornale e il fidanzamento con Virginia si era rotto, per cui Stephen, che sarebbe dovuto partire per la guerra, aveva offerto all’amica la possibilità di sposarsi con lui a patto che dopo la guerra lei l’avrebbe lasciato libero di sposarsi. Ma poi, ritornato vivo e vegeto, Thelma aveva cambiato parere e non aveva voluto più adempiere alla promessa. Cosicchè lui aveva deciso di divorziare unilateralmente in Messico e far valere la decisione in America.
– che Kimball Kent era stato toccato dall’omicidio di Thelma, perché avrebbe voluto sposarla se lei non si fosse legata a Stephen, e che comunque era stato sempre legato come amicizia a lei, e sempre lui era stato a fornirle la prova che un matrimonio annullato unilateralemnte in Messico non aveva alcun risultato legale in America, in quel lasso di tempo in cui lei si era allontanata dalla stanza dove stava discorrendo con Stephen.
– che nessuno fosse entrato in casa o ne fosse uscito in quel lasso di quindici minuti da quando lei si era allontanata, che Stephen fosse rimasto sempre nella stanza, e che lui escludeva che altri si fossero avvicinati.
– che un misterioso uomo con la rivoltella, di cui nessuno sa nulla e che viene citato solo dalla piccola Doris, si fosse avvicinato alla finestra, senza che fosse visto.
– che strano a dirsi, in tutta quella successione di eventi che si era avuta nella serata fatale, qualcuno avesse osato anche rubare dei giochi della piccola Doris.
Dalle testimonianze emerge una successione dei vari momenti significativi, tale che i singoli minuti acquistano una straordinaria importanza: qualcosa deve pur essere accaduta senza che gli altri ci abbiano fatto caso!
Ecco la serie dei fatti:
alle ore 19.30 Kimball Kent arriva a casa Joyce, dove c’è Thelma ma anche Virginia e Lane che è di lei tutore ma che ha anche allevato Waldo e Thelma; alle 19.45 Lane e Virginia escono sulla terrazza (intanto la piccola Doris gioca nel prato); alle 19.50 Virginia raggiunge la piccola e alle 19.55 entrambe sono raggiunte dall’amica di Virginia, Rosemary Sullivan; alle 20 arriva Stephen che raggiunge in casa Thelma per parlare del divorzio; alle 20.15 Thelma lascia la stanza e rimane da sola con Kent; cinque minuti dopo Kent va via e alle 20.22 esce di casa; alle 20.20 Virginia è rientrata in casa, mentre Rosemary va nella serra e vi attende Virginia; mentre Kent esce di casa, Virginia con la piccola Doris entra in casa Lane (che è attaccata); un minuto dopo, alle 20.23, Virginia va nel bagno a prendere le tavolette di mercurio e le discioglie nell’acqua (infatti la piccola Doris si è fatta male al ginocchio e il medico ha raccomandato di farle ogni giorno delle medicazioni utilizzando del mercurio sciolto in acqua); alle 20.24 suona il telefono: è Thelma che vuole parlare con Virginia. L’avvocato Lane risponde dal pianterreno mentre Virginia prende la comunicazione dal primo piano. La telefonata dura cinque minuti; alle 20.25 Lane da casa sua ritorna in terrazza; Thelma torna nel soggiorno per parlare con Stephen alle 20.30; infine quattro minuti dopo, Stephen sconvolto va via di casa.
Laing capisce che a uccidere Thelma è stato il mercurio di quelle tavolette sciolte in acqua, contenenti proprio Bicloruro di mercurio: ma come l’acqua di quella soluzione sia andata a finire nella limonata è un mistero. Comunque sia, dalle testimonianze avute precedentemente, è riuscito a sapere che probabilmente nel bicchiere qualcosa era finito, ma Virginia e Rosemary avevano risciacquato e pulito il bicchiere perché se ne erano servite per tentare un rimedio di urgenza per salvare la vita di Thelma: avevano mischiato acqua a mostarda e avevano tentato poi di farla ingurgitare a Thelma per provocare il vomito. Poi, avevano ripulito il bicchiere e lo avevano riempito di limonata, alterando quindi la scena del crimine: tuttavia esse non sapevano ( o invece sì) che in quel bicchiere c’era stato mercurio?
Nell’alveo delle testimonianze, più d’uno sono i sospettabili, però Laing sa che almeno Virginia al pari di Stephen sarebbe stata una sospettata certa se Stephen e qualche altro ne avesse fatto parola, cosa che non è stata.
Chi ha ucciso Thelma? E’ stato uno dei sei? Oppure il misterioso uomo con la pistola?
Oppure è stato suicidio?
Thelma non era persona da uccidersi, e di questo tutti sono concordi. Ma è anche vero che la tara della pazzia si annidava nella sua casa: infatti la madre era stata curata in casa dal padre medico fino a quando lui non aveva capito che la moglie era diventata socialmente pericolosa e come tale aveva deciso di sopprimerla con una dose di veleno, una specie di eutanasia che però non gli aveva evitato la sedia elettrica. Possibile che il germe della pazzia fosse rinato in Thelma e si fosse espresso in forma autolesionistica?
Laing fornirà la prova dell’innocenza di Stephen, elaborando due teorie, la seconda escludente la prima, in cui prima accuserà Thelma di essersi uccisa involontariamente avendo bevuto prima dell’alcool e poi del calomelano, con cui avrebbe tentato un falso suicidio per concentrare l’attenzione su di sé: poi quando gli altri fossero corsi a cercare aiuti, lei davvero sarebbe rimasta avvelenata per effetto della combinazione della limonata col calomelano che avrebbe prodotto Bicloridio di mercurio, causandole la morte. Nella seconda, che pubblicamente non rivelerà, ma che gli sarà estorta dalla moglie Deirdre, che non ha abboccato all’esca lanciata dal marito agli astanti, indicherà il vero assassino e come egli ha potuto propinarle il veleno senza che nessuno se ne sia accorto.
Bellissimo romanzo, purtroppo tagliato nell’edizione Casini, propone, al di là del detective cieco protagonista delle storie di Baynard Kendrick (cioè Duncan Maclain), un nuovo detective cieco, Patrick Laing, professore di psicologia, che solo con la sua forza della sua mente riesce a ricostruire delitti e a inchiodare colpevoli. Laing si avvale della psicologia per vagliare sei deposizioni (da notare è come il numero 6 compaia in parecchi romanzi polizieschi, oltre che nel presente: Six hommes morts, di Steeman; Six Were to Die, di James Ronald; Six crimes sans assassin, di Pierre Boileau; etc..). Il detective in questione comparirà in altri 5 romanzi, tutti firmati dalla Reynolds con lo pseudonimo di Patrick Laing: If I Should Murder, Stone Dead, Murder from the Mind, A Brief Case of Murder, The Lady Is Dead.
Anche in questo caso abbiamo la situazione che il detective cartaceo corrisponde allo scrittore effettivo a sua volta pseudonimo (come Ellery Queen), situazione che vediamo realizzata anche per Abbot e Van Dine con la particolarità che qui identità c’è tra lo scrittore e l’aiutante del detective, tutti casi che comunque mi pare tendano ad inquadrare una situazione di narrativa poliziesca “made in USA”.
Che alla scrittrice americana piacessero Agatha Christie e i giallisti britannici, è confermato dal tema del plot ideato: un avvelenamento, trattato assai bene e svolto con interessanti risvolti. Anche la stessa attività da detective dello psicologo ricalca il modo di procedere di Poirot: ascolta tutti, pone domande, annota, deduce, prende appunti. Non disdegna nessuno, neanche la piccola Doris, che peraltro, non essendo stata toccata da interessi di parte, fornisce la testimonianza più vera e al tempo stesso più determinante per la risoluzione del caso. Poi al momento opportuno, riunisce tutti gli indiziati in un luogo chiuso e qui chiude il caso fornendo la sua verità ed il suo colpevole.
Interessante l’omicidio con il bicloruro di mercurio, HgCl2, veleno assai tossico e corrosivo (è la prima volta che lo vedo usato) ed ingegnoso è il suo uso medicale (vero) che spiega la sua reperibilità. Ancora più ingegnoso come esso venga utilizzato e la maniera in cui venga somministrato: tramite un giocattolo. E se al giocattolo c’ero arrivato prima che lo si rivelasse nella soluzione, sono stato preso in contropiede dalla doppia soluzione, quella vera ( con il giocattolo) e quella falsa (con la miscela di calomelano e alcool). Qui devo dire che si manifesta la capacità di Amelia Reynolds di scrittrice non solo di mystery ma anche di fantascienza, per saper inventare situazioni che lasciano sbalorditi. Devo dire che probabilmente si intendesse anche di chimica o quantomeno si fosse preparata: infatti se dimostra la possibilità nella prima spiegazione, quella falsa, che il calomelano, protocloruro di mercurio (Hg2Cl2) o cloruro mercuroso, potesse essersi trasformato in bicloruro di mercurio grazie alla combinazione con un reagente acido (vero), esso però sarebbe potuto avvenire solo per combinazione con acido cloridrico concentrato, HCl, ad ebollizione.
Ora, questo nello stomaco non può avvenire, perché la presenza di acido cloridrico è minima, e del resto come riconosce lo stesso Laing, se ciò fosse potuto succedere, si sarebbe verificato già moltissime volte prima (e invece di ciò la letteratura medica non tiene tracce). Ma intanto l’ipotesi, in quanto ha mischiato il vero col falso, ha lasciato il lettore incredulo, prima di rassicurarlo e procedere con la soluzione vera. E nello stesso tempo si manifesta scrittrice di razza, perché sa mischiare l’incredibile col credibile, l’odio con l’amore, la pazzia con la compassione.
E dopo averci convinti con l’impossibile, ci lascia ammutoliti col reale, e propone ancora una volta, in un finale memorabile, e patetico, la ripetizione del delitto, solo narrato, che aveva portato il padre di Thelma alla sedia elettrica: questa volta però, ad essere uccisa come sua madre è stata la figlia, uccisa per pietà e perché la sua pazzia non provocasse successive tragedie.
Pietro De Palma
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