Il ciclo di MacDougal Duff cominciò nel 1942 e
terminò nel 1945, dopo soli tre romanzi. Tanto bastò, tuttavia, per
aprire a Charlotte Armstrong le porte del successo, e per farla
apprezzare come una delle scrittici più fini e anche più ingegnose del
panorama poliziesco statunitense.
Charlotte
Armstrong era nata a Vulcan, in Michigan, nel 1905. Era figlia di un
inventore. A Vulcan seguì gli studi medi, laureandosi nel 1925
all’Università del Wisconsin. Fece la centralinista, poi la giornalista.
Infine si dette alla scrittura crativa.
Cominciò con lo scrivere poesie. Dopo aver scritto 2 commedie, provò a scrivere polizieschi.
E fece il grande salto proprio con la sua opera prima, Lay On, Mac Duff!, 1942 (“Un
cadavere al giorno”), un romanzo poliziesco che ebbe un’ottima
accoglienza. Sulla base di ciò, decise di continuare a scrivere, ed un
anno dopo bissò il successo con The Case of the Weird Sisters, 1943 (“Sosta pericolosa”), che la consacrò definitivamente. Dopo due anni, un altro successo ancora: The Innocent Flower, 1945 (“La morte tutta d’un fiato”).
Da allora, fu tutto un susseguirsi di successi, alcuni di grande impatto come The Unsuspected (1945/46), The Chocolate Cobweb (1948), Mischief (1951), A Dram of Poison
(1956) Premio Edgar nel 1957. Undici anni dopo avrebbe potuto bissare
l’Edgar con addirittura due romanzi nominati tra i cinque finali
nell’edizione del 1968, Gift Shop e Lemon in the Basket, cosa che ad oggi, credo, è ancora un record. Non solo. Anche tre suoi racconti furono nominati per l’Edgar: And Already Lost, (1957), The Case for Miss Peacock (1965) and The Splintered Monday (1966).
Scrisse
in tutto 29 romanzi, di cui parecchi furono pubblicati in Italia.
Alcuni romanzi furono ridotti per il grande schermo, tra cui Merci pour le chocolat (da The Chocolate Cobweb) e “Le Rupture” (da The Balloon Man), entrambi girati da Claude Chabrol. La Armstrong sceneggiò inoltre alcuni racconti per telefilm di Alfred Hitchcock, tra cui si ricorda soprattutto Incident at the Corner, tratto dall’omonimo suo romanzo breve.
Charlotte Armstrong morì nel 1969, dopo aver pubblicato ben 29 romanzi e parecchi racconti.
Un Cadavere al giorno, che inaugurò il ciclo Mac Duff (comprendente solo altri due romanzi: Sosta pericolosa e La morte tutta d’un fiato), è un romanzo che vorrei definire, di sperimentazione: vi sono già parecchie idee che lei inserì nei romanzi successivi.
Una
povera orfana, Bessie Gibbon, viene accolta nella dimora di un ricco
zio, Charles Cathcart. Il vecchio, che è anche conosciuto come un rapace
dell’alta finanza, ha tre soci, con cui spesso gioca: quando Bessie
viene introdotta nella sua casa, trova lo zio che gioca a “Tavola Reale”
assieme a Guy Maxon, Bertram Gaskell e Hudson Winberry. Lì è anche il
segretario di Winberry, Hugh Miller. Nella sala si respira un’aria che
non è gentile: Bessie percepisce chiaramente una aura di malvagità, di odio represso.
Che
si acuisce, allorquando suo zio perde (un’anomalia, giacchè vince
sempre) e vincono i soci: per la rabbia, zio Charles butta, non visto,
tre omini rossi, alcune delle pedine con cui si gioca a questo gioco,
dalla finestra. Bessie lo osserva. Nonostante sia inizialmente
disprezzata o almeno poco considerata dagli abitanti e frequentatori di
Casa Cathcart, ben presto proprio Bessie diventa forse il protagonista
assoluto della vicenda, rubando il posto principale proprio
all’investigatore eroe del romanzo, nel finale convulso: chi elabora le
accuse e porta a definizione il ragionamento logico che consente di
intrappolare l’omicida, è MacDuff; ma chi gli fornisce le chiavi per
capire la situazione è Bessie. Che quindi, assieme a MacDuff, forma la
coppia ideale Holmes-Watson della vicenda.
Proprio
quella notte, quando gli ospiti sono andati via tutti, Winberry viene
ucciso, a casa sua, con un colpo di pistola; e presso il cadavere viene
trovata una delle tre pedine rosse, che Charles aveva lanciato dalla
finestra.
Perché sarebbe stato ucciso Winberry, e da chi?
La
polizia si orienta da subito sul delitto maturato nel suo ambiente.
Solo tre persone, quindi avrebbero potuto commetterlo e trarne
vantaggio: i tre soci. Gli indizi diverrebbero quattro se si aggiungesse
ai tre l’unico altro uomo presente quella sera a casa Cathcart: Hugh
Miller, assistente di Winberry. Proprio Hugh Miller prima che il delitto
si consumasse dice di aver perso la sua chiave dell’appartamento di
Winberry: verrà ritrovata successivamente altrove.
Tuttavia
ben presto le indagini si profilano difficili. Tutti dicono la loro, e
non è possibile al momento scalfirne gli alibi: tutti e tre, anzi tutti e
quattro avrebbero pututo commettere l’omicidio. Il fatto è che ben
presto appare evidente che Miller pare non c’entrarci proprio col
delitto: per quale motivo avrebbe ammazzato proprio il suo datore di
lavoro? Non vi avrebbe ricavato nulla. Gli altri invece potrebbero
ricavarvi qualcosa.
Il
problema è che la vittima pare abbia esclamato che non aveva mai visto
prima il proprio assassino: infatti quando è stato soccorso era ancora
vivo. Cosa significa? Se fosse vero assolutamente, non potrebbe essere
uno degli altri tre, anzi quattro, l’assassino, perché la vittima non
avrebbe mai sussurrato, per di più in punto di morte, di non
riconoscerlo.
Più
si va avanti nelle indagini, più si conoscono altri particolari: il
domestico, che ha soccorso il padrone, afferma che vi sono stati due
entrate in casa, una successiva all’altra, e dopo poco che ha sentito,
per la seconda volta, la porta di casa aprirsi, ha udito lo sparo.
Vecchio com’è il servitore, nel momento in cui ha soccorso il padrone,
l’assassino era già lontano.
Quello
che tuttavia proprio non si riesce a capire è perché la vittima non si
sia tolto il cappotto, se fosse arrivato prima. Questa del cappotto è
un’altra delle caratteristiche peculiari di questo romanzo: si può dire
che la Armstrong giochi con le sensazioni. Lo dirà più in là,
all’apparire dell’investigatore dilettante Mac Duff, ex docente di
Storia, che le sensazioni, le percezioni, gli stati d’animo sono spesso
più interessanti degli indizi. Qui le sensazioni sono quelle inerenti il
caldo e il freddo. Più volte ritorneranno nel corso del romanzo. Già in
quell’occasione, questo insistere sull’opposizione di caldo e freddo si
rende evidente due volte: non solo nel ragionamento concernente il
cappotto ( e ce ne sarà un altro ancor più determinante alla fine del
romanzo, su altro capo di altra persona, da cui emergerà
indubitabilmente la colpevolezza dell’assassino), ma anche su quello che
si appunta sugli occhiali. Già, perché qualcuno (Mac Duff, dopo essere
stato assunto da Bessie e dal suo fidanzato, il giornalista Jones)
riflettendo sul famoso cappotto, insinua che il padrone di casa potrebbe
essere stato non il primo ad arrivare, ma il secondo: infatti, la cosa
potrebbe essere messa in relazione al fatto che avesse gli occhiali, e
che , come tutti sanno, quando si passa da un ambiente più freddo ad uno
più caldo, gli occhiali si appannano. Ma perché non l’aveva mai visto?
Bessie a questo punto rivela una cosa che MacDuff non poteva sapere:
durante la famosa partita, Winberry, una persona cattiva come il
peccato, aveva esclamato più volte la parola “mai”, non conferendole
però il suo significato assoluto. Significa che nel nostro caso, avrebbe
potuto significare, che “poteva non averlo visto”. Cosa che si accorda
con l’ipotesi degli occhiali appannati.
Quindi
l’assassino è stato il primo ad entrare, ha aspettato il padrone di
casa e quando questi è apparso sulla soglia della camera, immediatamente
ha fatto fuoco: l’altro a causa degli occhiali appannati non l’ha
visto. Si rimette tutto in discussione: chiunque avrebbe, degli ospiti
di casa Cathcart, averlo ucciso. Sì perché, nonostante questo, ed il
successivo omicidio di Gaskell, avvengano nelle dimore delle vittime,
tutto si è costruito nell’atmosfera di casa Cathcart. In definitiva,
tutto quello che accade in questa casa, ha ripercussioni altrove.
Poi
c’è il secondo omicidio: Gaskell viene pugnalato. Anche qui tutti sono
imputabili, solo che il numero diminuisce. Vedremo quale importanza
possa avere, stilisticamente parlando, questo avvenimento.
Principale
indiziato è proprio Cathcart, anche sulla base della testimonianza di
Hugh Miller, che afferma di aver tentato di avvisarlo telefonicamente a
notte inoltrata, in quella dell’assassinio di Winberry, e di non averlo
trovato in stanza (due volte, una a distanza di dieci minuti
dall’altra). Sulla base di questo, e del fatto che Bessie poi lo veda
quella notte, sulle scale, con le scarpe, non con le pantofole, a
dimostrare che non stava riposando, Miller e Bessie, nella notte
dell’assassinio di Gaskell, mettono delle cordicelle davanti alle porte
del palazzo, così da sapere se effettivamente il padrone di casa esca di
soppiatto oppure no. Inoltre quando lo fanno, Bessie si accorge che uno
dei tre cappotti è sparito dall’attaccapanni. Ricomparirà, ed una
cordicella si troverà caduta. Alla ricomparsa di questo cappotto, e alla
nuova contrapposizione freddo-caldo, si legherà la deduzione finale che
inchioderà l’assassino alle sue responsabilità.
Tuttavia,
per questo secondo delitto, non è solo in questo caso che abbiamo una
nuova contrapposizione termica: infatti, è soprattutto la questione
dell’orologio del termostato del sistema di riscaldamento della casa a
tenere banco. E’ stato trovato rotto, con il vetro e le lancette rotte e
storte, per cui non si può sapere con certezza se l’ora indicata sia
effettivamente quella della morte, connessa alla rottura dell’orologio,
oppure se l’assassino abbia intenzionalmente spostato manualmente le
lancette per far credere che il delitto sia stato commesso alle due di
notte ed invece sia avvenuto a mezzanotte, tempo in cui i moventi dei
sospettati non sono più inattaccabili. Come si vede, però, un nuovo
duello freddo-caldo.
Questa
continua contrapposizione fra due stadi termici contrapposti non è
tuttavia solo una storia di sensazioni e percezioni; è soprattutto la
chiave che porterà alla soluzione finale.
Prima
tuttavia che questa avvenga, avverrà un terzo omicidio. E a quel punto
ci sarà il duello-confronto tra i due soli possibili sospettabili. Ma in
quel frangente si farà strada un terzo incomodo: Herbert Graves.
A
questo fantomatico terzo personaggio è legato un particolare di cui non
abbiamo parlato: all’atto dell’omicidio di ciascuno dei tre soci di
Cathcart, vicino alla vittima, è stato rinvenuto un omino rosso. E tre
omini rossi erano stati buttati giù dalla finestra, per stizza, da
Charles dopo la perdita della partita. Questi omini rossi, si viene a
sapere successivamente sono stranamente molto simili alle caramelle
Peppinger, oramai ritirate dal mercato perché contenenti tracce di
droghe: la loro formula era stata inventata da tale Herbert Graves che
l’aveva venduta a Guy Maxon, Bertram Gaskell, Hudson Winberry e Charles
Cathcart, che al loro volta l’avevano imposta sul mercato con la
caratteristica forma di omino.
Dopo
esser stato pagato, tuttavia Herbert Graves, a posteriori, essendosi
ammalata la moglie ed avendo egli ritenuto di esser stato pagato troppo
poco a confronto con la fortuna che i quattro avevano accumulato, aveva
tentato di ottenere qualcos’altro che gli sarebbe servito per pagare le
cure alla moglie, ma non aveva ottenuto nulla. E nel frattempo la moglie
era morta. Dei quatto quello che aveva fatto maggior fortuna
successivamente era stato Cathcart, l’unico che gli avesse promesso di
dargli un aiuto, solo che gliel’aveva fornito troppo tardi, per cui la
rabbia di Graves si era appuntata soprattutto nei suoi confronti. Come
si vede, un eccellente movente per uccidere: la vendetta.
E
Lina che parte ha? Ha cercato a sua volta di assumere Mac Duff per
salvare il marito da una situazione disperata: è davvero estranea ai
delitti o l’ha aiutato? Oppure ha assunto l’investigatore per togliere
da sé il sospetto che abbia voluto congiurare contro il marito, che l’ha
conquistata solo con la promessa che non avrebbe mandato in galera il
padre di Lina?
La
conclusione sarà sorprendente, perché la prova conclusiva, quella
inoppugnabile, la fornirà Bessie. E sarà ancora una volta basata sulla
contrapposizione tra freddo e caldo.
Cosa notiamo in questa opera prima di Charlotte Armstrong?
Innanzitutto,
una tendenza alla narrativa di tensione, alla suspence. Non è un
romanzo di suspence pura, ma vi sono grandi momenti in cui si respira
una fortissima tensione, di cui si avvantaggia la lettura, che fila
liscia e senza intoppi, come un treno veloce. Ma anche se vi sono
parecchi momenti di tensione, in cui si respira l’aria del thriller,
questo primo romanzo è fondamentalmente un romanzo d’atmosfera, un
mystery che più classico non si può.
Abbiamo detto che in questo romanzo, le emozioni hanno una loro importanza. Mac Duff a pag. 60 dice:
“..Le azioni dell’uomo dipendono dalle sue emozioni..L’omicidio di
Winberry affonda le radici nelle emozioni di qualcuno..Qui troviamo
delle emozioni lasciate libere di vagare nell’atmosfera di una stanza.
Non prendiamole troppo alla leggera. Cerchiamo di scoprire con esattezza
di che emozione si trattava e soprattutto a chi apparteneva..”
Cosa
significa nei romanzi della Armstrong, che le percezioni e le
sensazioni sono più importanti degli indizi? Che Charlotte Armstrong,
partendo dal 1942, non si apparenta tanto alla detection inglese
classica che parte dagli indizi come mezzo assoluto di indagine (Doyle e
Freeman soprattutto), ma piuttosto a quella americana del decennio
precedente: in altre parole
eredita la detection vandiniana. Come più volte aveva affermato Philo
Vance nelle sue opere, gli indizi non sarebbero nulla se non seguisse la
psicologia dei personaggi: se questa non apparisse, non si potrebbe
capire il gioco intellettuale, il puzzle come mezzo per affermare la
mente, il ragionamento deduttivo, che aveva trionfato nel periodo
immediatamente precedente a quello di entrata in scena di Charlotte
Armstrong. Del resto l’indagine di Sherlock Holmes è opposta a quella di
Philo Vance, come concezione, perché mentre il primo si basa
espressamente sulla metodologia puramente scientifica, il secondo
rivaluta l’espressione umanistica dell’indagine, che si basa non solo
sul ragionamento matematico-deduttivo, ma anche sull’esame dell’anima
umana, dei sentimenti. Quindi, Charlotte Armstrong eredita Van Dine. Sì.
Ma anche Rufus King, nell’uso sapiente di costruire la tensione nella
storia. E persino Agatha Christie, quando si ha la rivelazione che un
certo personaggio che appare nella storia, in realtà non è quello che
appare, ma è altra persona sotto un nome falso, che non si pensava che
fosse, e che aveva tutto il movente per uccidere.
Ora,
qual è la caratteristica saliente del romanzo? E’ un mystery con una
fortissima tensione, una tensione che in taluni momenti diventa
spasmodica. A questo punto, voglio inquadrare quale sia la tensione di
cui si serve Charlotte Armstrong, perché mi serve per inquadrare
l’importanza della sua opera, non solo nel caso di questo romanzo, ma
anche di altri.
La
suspence negli scrittori a lei precedenti è direttamente connessa
all’atmosfera. L’atmosfera, cioè l’insieme di quegli elementi che
influiscono sull’animo dei soggetti (spavento, paura, gioia, emozione,
etc..) è il più delle volte connessa a descrizioni d’ambiente: notti
buie, la presenza della luna, rumori, etc.. Questa atmosfera, porta ad
una tensione descrittiva, che è tipica degli autori degli anni ’20
(Connington in testa).
Poi vi è una tensione di tipo psicologico-descrittivo che secondo me la Armstrong può aver mutuato da Rufus King.
King – riprendendo un passo del mio saggio pubblicato sul Blog Mondadori due anni fa – “teneva
molto alla descrizione dei personaggi e alle atmosfere; e concentrare
l’azione in uno spazio chiuso (le navi per così dire sono degli
ampliamenti di una Camera Chiusa), gli dava la possibilità di
enfatizzare il dramma e l’angoscia mutevole delle situazioni e dei
personaggi, dinanzi alla immobilità del mare, con un effetto di
contrasto assai efficace..l’elemento liquido (che fosse il mare nei suoi
vari stati: calmo, in tempesta, agitato; le nebbie pungenti; gli scosci
di pioggia; le burrasche) veniva associato di volta in volta a
determinati stati psicologici o processi mentali dei personaggi o a
determinati passi dei romanzi, creando effetti drammatici di grande
effetto”.Talora, Rufus King opera con la tecnica dell’insinuazione:
aggiungendo o togliendo un qualche particolare al quadro, in maniera
assolutamente geniale, quel quadro cambia continuamente, e questo genera
una tensione emozionale.
Charlotte
Armstrong a questo tipo di approccio emozionale di tipo
psicologico-descrittivo, aggiunge qualcosa di suo, in termini puramente
stilistici, che porta a risultati ancora più accentuati: quando il
numero delle persone interessate alla trama, che possono essere anche
indiziate (come in questo caso), è massimo, la tensione emotiva è
minima; man mano che, invece, il numero progressivamente si assottiglia,
la tensione aumenta. Questa raggiunge il massimo, quando arriva al
climax, con l’eliminazione dell’innocente e l’individuazione del
colpevole. In altre parole un max. numero di soggetti interessati ad un
qualche avvenimento è inversamente proporzionale alla tensione generata:
max numero di soggetti= tensione minima, minimo numero di soggetti=
tensione massima.
Un’atmosfera
del genere, costruita artificialmente sulla base di un procedimento
letterario puramente stilistico, si arricchisce qui di una componente
d’atmosfera pura: la claustrofobia, unita ad un’altra: il male. In
pratica, tutto ciò che accade, avviene perché qualcosa aleggia nella
casa, un sentimento d’odio represso, che si nutre di se stesso: finchè i
personaggi della vicenda, si trovano rinchiusi nei vari ambienti della
casa padronale, le percezioni di odio che Bessie ( personaggio estraneo
alla casa, che viene dal di fuori, e quindi è più recettivo di chi
invece in quell’ambiente vive già), percepisce, sono sempre molto forti;
quando invece i personaggi escono da una stanza, ecco che la tensione
diminuisce. Questa diminuzione è certamente da mettere anche in risalto
dal raffronto tra le situazioni in cui governa il sentimento dell’odio
represso espresso dall’assassino, che frequenta quell’ambiente da tempo,
e la solarità e la luce di Lina Cathcart, giovane moglie di Charles
Cathcart, che dissipano quell’atmosfera di odio.
La claustrofobia è una modalità
che accentua la tensione, che non si trova solo qui. Anzi, qui viene in
un certo senso provata, ma la sua espressione massima, è nella
messinscena delle tre sorelle (quasi le tre Parche) una cieca, una
sorda, una monca, che sono rinchiuse nella vecchia casa in The Case of the Weird Sisters, il secondo romanzo del ciclo Mac Duff.
Normalmente,
al buio, alla notte, viene connsessa una sensazione di insicurezza: nei
romanzi polizieschi, e nella realtà, l’omicidio, la rapina, lo stupro
avvengono quasi sempre di sera, di notte, al buio, in posti non
frequentati, poco luminosi; alla luce sono legati invece degli stati
relativi alla sicurezza e al bene. Nel caso del nostro romanzo, a questi
due stati originari e visibili, è legata anche la contrapposizione di
percezioni connesse alla temperatura, al freddo o al caldo. Queste
rispondono alla logica di creare un’atmosfera supplementare, suggerendo
che alcune cose accadono quando c’è una temperatura, altre quando ce n’è
un’altra. Più precisamente, siccome i primi due omicidi
avvengono di notte, e di notte fa freddo, per sillogismo il male è
associabile al freddo, perché avviene fuori dalla casa, dove invece
tutto è sotto controllo, dove c’è il calore del focolare.
Quando
al calore, reagisce il freddo pungente, ecco l’appannamento delle lenti
ed il primo omicidio; quando nel secondo caso viene variato il timer
del termostato all’interno della casa, è perché c’è stato il secondo
omicidio. Il terzo si sottrarrà a questa concatenazione logica, perché
avverrà non secondo la premeditazione ma secondo l’occasione che deve
essere presa al volo, il carpe diem che sfugge ad ogni legge
preordinata.
Ma
Charlotte Armstrong individua in questo romanzo, nella contrapposizione
freddo caldo, la radice emozionale del romanzo, perché, io credo, va
alla fonte della sensazione percettiva di freddo-caldo: il freddo non
solo è connesso alla morte perché è proprio della notte, ma anche perché
man mano che ci si avvicina alla morte, si diventa sempre meno caldi;
perché la morte è fredda. Quindi laddove vi è freddo, indipendentemente
che ci sia giorno o notte, si finisce per morire, se non si è
adeguatamente riparati.
Bessie
troverà la prova conclusiva dell’identità dell’assassino, e lo
scagionamento dell’innocente, proprio nella contrapposizione
freddo-caldo: il cappotto se fosse stato usato di notte, sarebbe dovuto
essere freddo; invece quello che lei ha accarezzato era caldo, cioè era
rimasto nella casa, non era stato portato fuori, nella notte. E ancor
più conseguentemente, quel cappotto non poteva esser stato usato
dall’assassino.
Non
a caso, si ricorderà di questo particolare, prima che l’assassino venga
riconosciuto tale, quando assocerà il tepore del cappotto al tepore che
lei aveva provato stringendosi al giornalista Jones, sentendo il calore
della sua giacca, quando si era riparata adeguatamente fra le sue
braccia.
In altre parole, è come se Charlotte Armstrong avesse detto che “solo l’amore può sconfiggere l’odio”.
Pietro De Palma
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