lunedì 2 gennaio 2017

Charlotte Armstrong : Un cadavere al giorno (Lay On, Mac Duff!, 1942) – trad. Simonetta Cattozzo – I Classici del Giallo N. 1308, Mondadori, 2012.



Il ciclo di MacDougal Duff cominciò nel 1942 e terminò nel 1945, dopo soli tre romanzi. Tanto bastò, tuttavia, per aprire a Charlotte Armstrong le porte del successo, e per farla apprezzare come una delle scrittici più fini e anche più ingegnose del panorama poliziesco statunitense.
Charlotte Armstrong era nata a Vulcan, in Michigan, nel 1905. Era figlia di un inventore. A Vulcan seguì gli studi medi, laureandosi nel 1925 all’Università del Wisconsin. Fece la centralinista, poi la giornalista. Infine si dette alla scrittura crativa.
Cominciò con lo scrivere poesie. Dopo aver scritto 2 commedie, provò a scrivere polizieschi.
 E fece il grande salto proprio con la sua opera prima, Lay On, Mac Duff!, 1942 (“Un cadavere al giorno”), un romanzo poliziesco che ebbe un’ottima accoglienza. Sulla base di ciò, decise di continuare a scrivere, ed un anno dopo bissò il successo con The Case of the Weird Sisters, 1943 (“Sosta pericolosa”), che la consacrò definitivamente. Dopo due anni, un altro successo ancora: The Innocent Flower, 1945 (“La morte tutta d’un fiato”).
Da allora, fu tutto un susseguirsi di successi, alcuni di grande impatto come The Unsuspected (1945/46), The Chocolate Cobweb (1948), Mischief (1951), A Dram of Poison (1956) Premio Edgar nel 1957. Undici anni dopo avrebbe potuto bissare l’Edgar con addirittura due romanzi nominati tra i cinque finali nell’edizione del 1968, Gift Shop e Lemon in the Basket, cosa che ad oggi, credo, è ancora un record. Non solo. Anche tre suoi racconti furono nominati per l’Edgar: And Already Lost, (1957), The Case for Miss Peacock (1965) and The Splintered Monday (1966).
Scrisse in tutto 29 romanzi, di cui parecchi furono pubblicati in Italia. Alcuni romanzi furono ridotti per il grande schermo, tra cui Merci pour le chocolat (da The Chocolate Cobweb) e “Le Rupture” (da The Balloon Man), entrambi girati da Claude Chabrol. La Armstrong sceneggiò inoltre alcuni racconti per telefilm di Alfred Hitchcock, tra cui si ricorda soprattutto Incident at the Corner, tratto dall’omonimo suo romanzo breve.
Charlotte Armstrong morì nel 1969, dopo aver pubblicato ben 29 romanzi e parecchi racconti.
Un Cadavere al giorno, che inaugurò il ciclo Mac Duff (comprendente solo altri due romanzi: Sosta pericolosa e La morte tutta d’un fiato), è un romanzo che vorrei definire, di sperimentazione: vi sono già parecchie idee che lei inserì nei romanzi successivi.
Una povera orfana, Bessie Gibbon, viene accolta nella dimora di un ricco zio, Charles Cathcart. Il vecchio, che è anche conosciuto come un rapace dell’alta finanza, ha tre soci, con cui spesso gioca: quando Bessie viene introdotta nella sua casa, trova lo zio che gioca a “Tavola Reale” assieme a Guy Maxon, Bertram Gaskell e Hudson Winberry. Lì è anche il segretario di Winberry, Hugh Miller. Nella sala si respira un’aria che non è gentile: Bessie  percepisce chiaramente una aura di malvagità, di odio represso.
Che si acuisce, allorquando suo zio perde (un’anomalia, giacchè vince sempre) e vincono i soci: per la rabbia, zio Charles butta, non visto, tre omini rossi, alcune delle pedine con cui si gioca a questo gioco, dalla finestra. Bessie lo osserva. Nonostante sia inizialmente disprezzata o almeno poco considerata dagli abitanti e frequentatori di Casa Cathcart, ben presto proprio Bessie diventa forse il protagonista assoluto della vicenda, rubando il posto principale proprio all’investigatore eroe del romanzo, nel finale convulso: chi elabora le accuse e porta a definizione il ragionamento logico che consente di intrappolare l’omicida, è MacDuff; ma chi gli fornisce le chiavi per capire la situazione è Bessie. Che quindi, assieme a MacDuff, forma la coppia ideale Holmes-Watson della vicenda.
Proprio quella notte, quando gli ospiti sono andati via tutti, Winberry viene ucciso, a casa sua, con un colpo di pistola; e presso il cadavere viene trovata una delle tre pedine rosse, che Charles aveva lanciato dalla finestra.
Perché sarebbe stato ucciso Winberry, e da chi?
La polizia si orienta da subito sul delitto maturato nel suo ambiente. Solo tre persone, quindi avrebbero potuto commetterlo e trarne vantaggio: i tre soci. Gli indizi diverrebbero quattro se si aggiungesse ai tre l’unico altro uomo presente quella sera a casa Cathcart: Hugh Miller, assistente di Winberry. Proprio Hugh Miller prima che il delitto si consumasse dice di aver perso la sua chiave dell’appartamento di Winberry: verrà ritrovata successivamente altrove.
Tuttavia ben presto le indagini si profilano difficili. Tutti dicono la loro, e non è possibile al momento scalfirne gli alibi: tutti e tre, anzi tutti e quattro avrebbero pututo commettere l’omicidio. Il fatto è che ben presto appare evidente che Miller pare non c’entrarci proprio col delitto: per quale motivo avrebbe ammazzato proprio il suo datore di lavoro? Non vi avrebbe ricavato nulla. Gli altri invece potrebbero ricavarvi qualcosa.
Il problema è che la vittima pare abbia esclamato che non aveva mai visto prima il proprio assassino: infatti quando è stato soccorso era ancora vivo. Cosa significa? Se fosse vero assolutamente, non potrebbe essere uno degli altri tre, anzi quattro, l’assassino, perché la vittima non avrebbe mai sussurrato, per di più in punto di morte, di non riconoscerlo.
Più si va avanti nelle indagini, più si conoscono altri particolari: il domestico, che ha soccorso il padrone, afferma che vi sono stati due entrate in casa, una successiva all’altra, e dopo poco che ha sentito, per la seconda volta, la porta di casa aprirsi, ha udito lo sparo. Vecchio com’è il servitore, nel momento in cui ha soccorso il padrone, l’assassino era già lontano.
Quello che tuttavia proprio non si riesce a capire è perché la vittima non si sia tolto il cappotto, se fosse arrivato prima. Questa del cappotto è un’altra delle caratteristiche peculiari di questo romanzo: si può dire che la Armstrong giochi con le sensazioni. Lo dirà più in là, all’apparire dell’investigatore dilettante Mac Duff, ex docente di Storia, che le sensazioni, le percezioni, gli stati d’animo sono spesso più interessanti degli indizi. Qui le sensazioni sono quelle inerenti il caldo e il freddo. Più volte ritorneranno nel corso del romanzo. Già in quell’occasione, questo insistere sull’opposizione di caldo e freddo si rende evidente due volte: non solo nel ragionamento concernente il cappotto ( e ce ne sarà un altro ancor più determinante alla fine del romanzo, su altro capo di altra persona, da cui emergerà indubitabilmente la colpevolezza dell’assassino), ma anche su quello che si appunta sugli occhiali. Già, perché qualcuno (Mac Duff, dopo essere stato assunto da Bessie e dal suo fidanzato, il giornalista Jones) riflettendo sul famoso cappotto, insinua che il padrone di casa potrebbe essere stato non il primo ad arrivare, ma il secondo: infatti, la cosa potrebbe essere messa in relazione al fatto che avesse gli occhiali, e che , come tutti sanno, quando si passa da un ambiente più freddo ad uno più caldo, gli occhiali si appannano. Ma perché non l’aveva mai visto? Bessie a questo punto rivela una cosa che MacDuff non poteva sapere: durante la famosa partita, Winberry, una persona cattiva come il peccato, aveva esclamato più volte la parola “mai”, non conferendole però il suo significato assoluto. Significa che nel nostro caso, avrebbe potuto significare, che “poteva non averlo visto”. Cosa che si accorda con l’ipotesi degli occhiali appannati.
Quindi l’assassino è stato il primo ad entrare, ha aspettato il padrone di casa e quando questi è apparso sulla soglia della camera, immediatamente ha fatto fuoco: l’altro a causa degli occhiali appannati non l’ha visto. Si rimette tutto in discussione: chiunque avrebbe, degli ospiti di casa Cathcart, averlo ucciso. Sì perché, nonostante questo, ed il successivo omicidio di Gaskell, avvengano nelle dimore delle vittime, tutto si è costruito nell’atmosfera di casa Cathcart. In definitiva, tutto quello che accade in questa casa, ha ripercussioni altrove.
Poi c’è il secondo omicidio: Gaskell viene pugnalato. Anche qui tutti sono imputabili, solo che il numero diminuisce. Vedremo quale importanza possa avere, stilisticamente parlando, questo avvenimento.
Principale indiziato è proprio Cathcart, anche sulla base della testimonianza di Hugh Miller, che afferma di aver tentato di avvisarlo telefonicamente a notte inoltrata, in quella dell’assassinio di Winberry, e di non averlo trovato in stanza (due volte, una a distanza di dieci minuti dall’altra). Sulla base di questo, e del fatto che Bessie poi lo veda quella notte, sulle scale, con le scarpe, non con le pantofole, a dimostrare che non stava riposando, Miller e Bessie, nella notte dell’assassinio di Gaskell, mettono delle cordicelle davanti alle porte del palazzo, così da sapere se effettivamente il padrone di casa esca di soppiatto oppure no. Inoltre quando lo fanno, Bessie si accorge che uno dei tre cappotti è sparito dall’attaccapanni. Ricomparirà, ed una cordicella si troverà caduta. Alla ricomparsa di questo cappotto, e alla nuova contrapposizione freddo-caldo, si legherà la deduzione finale che inchioderà l’assassino alle sue responsabilità.
Tuttavia, per questo secondo delitto, non è solo in questo caso che abbiamo una nuova contrapposizione termica: infatti, è soprattutto la questione dell’orologio del termostato del sistema di riscaldamento della casa a tenere banco. E’ stato trovato rotto, con il vetro e le lancette rotte e storte, per cui non si può sapere con certezza se l’ora indicata sia effettivamente quella della morte, connessa alla rottura dell’orologio, oppure se l’assassino abbia intenzionalmente spostato manualmente le lancette per far credere che il delitto sia stato commesso alle due di notte ed invece sia avvenuto a mezzanotte, tempo in cui i moventi dei sospettati non sono più inattaccabili. Come si vede, però, un nuovo duello freddo-caldo.
Questa continua contrapposizione fra due stadi termici contrapposti non è tuttavia solo una storia di sensazioni e percezioni; è soprattutto la chiave che porterà alla soluzione finale.
Prima tuttavia che questa avvenga, avverrà un terzo omicidio. E a quel punto ci sarà il duello-confronto tra i due soli possibili sospettabili. Ma in quel frangente si farà strada un terzo incomodo: Herbert Graves.
A questo fantomatico terzo personaggio è legato un particolare di cui non abbiamo parlato: all’atto dell’omicidio di ciascuno dei tre soci di Cathcart, vicino alla vittima, è stato rinvenuto un omino rosso. E tre omini rossi erano stati buttati giù dalla finestra, per stizza, da Charles dopo la perdita della partita. Questi omini rossi, si viene a sapere successivamente sono stranamente molto simili alle caramelle Peppinger, oramai ritirate dal mercato perché contenenti tracce di droghe: la loro formula era stata inventata da tale Herbert Graves che l’aveva venduta a Guy Maxon, Bertram Gaskell, Hudson Winberry e Charles Cathcart, che al loro volta l’avevano imposta sul mercato con la caratteristica forma di omino.
Dopo esser stato pagato, tuttavia Herbert Graves, a posteriori, essendosi ammalata la moglie ed avendo egli ritenuto di esser stato pagato troppo poco a confronto con la fortuna che i quattro avevano accumulato, aveva tentato di ottenere qualcos’altro che gli sarebbe servito per pagare le cure alla moglie, ma non aveva ottenuto nulla. E nel frattempo la moglie era morta. Dei quatto quello che aveva fatto maggior fortuna successivamente era stato Cathcart, l’unico che gli avesse promesso di dargli un aiuto, solo che gliel’aveva fornito troppo tardi, per cui la rabbia di Graves si era appuntata soprattutto nei suoi confronti. Come si vede, un eccellente movente per uccidere: la vendetta.
E Lina che parte ha? Ha cercato a sua volta di assumere Mac Duff per salvare il marito da una situazione disperata: è davvero estranea ai delitti o l’ha aiutato? Oppure ha assunto l’investigatore per togliere da sé il sospetto che abbia voluto congiurare contro il marito, che l’ha conquistata solo con la promessa che non avrebbe mandato in galera il padre di Lina?
La conclusione sarà sorprendente, perché la prova conclusiva, quella inoppugnabile, la fornirà Bessie. E sarà ancora una volta basata sulla contrapposizione tra freddo e caldo.
Cosa notiamo in questa opera prima di Charlotte Armstrong?
Innanzitutto, una tendenza alla narrativa di tensione, alla suspence. Non è un romanzo di suspence pura, ma vi sono grandi momenti in cui si respira una fortissima tensione, di cui si avvantaggia la lettura, che fila liscia e senza intoppi, come un treno veloce. Ma anche se vi sono parecchi momenti di tensione, in cui si respira l’aria del thriller, questo primo romanzo è fondamentalmente un romanzo d’atmosfera, un mystery che più classico non si può.
Abbiamo detto che in questo romanzo, le emozioni hanno una loro importanza. Mac Duff a pag. 60 dice: “..Le azioni dell’uomo dipendono dalle sue emozioni..L’omicidio di Winberry affonda le radici nelle emozioni di qualcuno..Qui troviamo delle emozioni lasciate libere di vagare nell’atmosfera di una stanza. Non prendiamole troppo alla leggera. Cerchiamo di scoprire con esattezza di che emozione si trattava e soprattutto a chi apparteneva..”
Cosa significa nei romanzi della Armstrong, che le percezioni e le sensazioni sono più importanti degli indizi? Che Charlotte Armstrong, partendo dal 1942, non si apparenta tanto alla detection inglese classica che parte dagli indizi come mezzo assoluto di indagine (Doyle e Freeman soprattutto), ma piuttosto a quella americana del decennio precedente: in  altre parole eredita la detection vandiniana. Come più volte aveva affermato Philo Vance nelle sue opere, gli indizi non sarebbero nulla se non seguisse la psicologia dei personaggi: se questa non apparisse, non si potrebbe capire il gioco intellettuale, il puzzle come mezzo per affermare la mente, il ragionamento deduttivo, che aveva trionfato nel periodo immediatamente precedente a quello di entrata in scena di Charlotte Armstrong. Del resto l’indagine di Sherlock Holmes è opposta a quella di Philo Vance, come concezione, perché mentre il primo si basa espressamente sulla metodologia puramente scientifica, il secondo rivaluta l’espressione umanistica dell’indagine, che si basa non solo sul ragionamento matematico-deduttivo, ma anche sull’esame dell’anima umana, dei sentimenti. Quindi, Charlotte Armstrong eredita Van Dine. Sì. Ma anche Rufus King, nell’uso sapiente di costruire la tensione nella storia. E persino Agatha Christie, quando si ha la rivelazione che un certo personaggio che appare nella storia, in realtà non è quello che appare, ma è altra persona sotto un nome falso, che non si pensava che fosse, e che aveva tutto il movente per uccidere.
Ora, qual è la caratteristica saliente del romanzo? E’ un mystery con una fortissima tensione, una tensione che in taluni momenti diventa spasmodica. A questo punto, voglio inquadrare quale sia la tensione di cui si serve Charlotte Armstrong, perché mi serve per inquadrare l’importanza della sua opera, non solo nel caso di questo romanzo, ma anche di altri.
La suspence negli scrittori a lei precedenti è direttamente connessa all’atmosfera. L’atmosfera, cioè l’insieme di quegli elementi che influiscono sull’animo dei soggetti (spavento, paura, gioia, emozione, etc..) è il più delle volte connessa a descrizioni d’ambiente: notti buie, la presenza della luna, rumori, etc.. Questa atmosfera, porta ad una tensione descrittiva, che è tipica degli autori degli anni ’20 (Connington in testa).
Poi vi è una tensione di tipo psicologico-descrittivo che secondo me la Armstrong può aver mutuato da Rufus King.
King – riprendendo un passo del mio saggio pubblicato sul Blog Mondadori due anni fa –  teneva molto alla descrizione dei personaggi e alle atmosfere; e concentrare l’azione in uno spazio chiuso (le navi per così dire sono degli ampliamenti di una Camera Chiusa), gli dava la possibilità di enfatizzare il dramma e l’angoscia mutevole delle situazioni e dei personaggi, dinanzi alla immobilità del mare, con un effetto di contrasto assai efficace..l’elemento liquido (che fosse il mare nei suoi vari stati: calmo, in tempesta, agitato; le nebbie pungenti; gli scosci di pioggia; le burrasche) veniva associato di volta in volta a determinati stati psicologici o processi mentali dei personaggi o a determinati passi dei romanzi, creando effetti drammatici di grande effetto”.Talora, Rufus King opera con la tecnica dell’insinuazione: aggiungendo o togliendo un qualche particolare al quadro, in maniera assolutamente geniale, quel quadro cambia continuamente, e questo genera una tensione emozionale.
Charlotte Armstrong a questo tipo di approccio emozionale di tipo psicologico-descrittivo, aggiunge qualcosa di suo, in termini puramente stilistici, che porta a risultati ancora più accentuati: quando il numero delle persone interessate alla trama, che possono essere anche indiziate (come in questo caso), è massimo, la tensione emotiva è minima; man mano che, invece, il numero progressivamente si assottiglia, la tensione aumenta. Questa raggiunge il massimo, quando arriva al climax, con l’eliminazione dell’innocente e l’individuazione del colpevole. In altre parole un max. numero di soggetti interessati ad un qualche avvenimento è inversamente proporzionale alla tensione generata: max numero di soggetti= tensione minima, minimo numero di soggetti= tensione massima.
Un’atmosfera del genere, costruita artificialmente sulla base di un procedimento letterario puramente stilistico, si arricchisce qui di una componente d’atmosfera pura: la claustrofobia, unita ad un’altra: il male. In pratica, tutto ciò che accade, avviene perché qualcosa aleggia nella casa, un sentimento d’odio represso, che si nutre di se stesso: finchè i personaggi della vicenda, si trovano rinchiusi nei vari ambienti della casa padronale, le percezioni di odio che Bessie ( personaggio estraneo alla casa, che viene dal di fuori, e quindi è più recettivo di chi invece in quell’ambiente vive già), percepisce, sono sempre molto forti; quando invece i personaggi escono da una stanza, ecco che la tensione diminuisce. Questa diminuzione è certamente da mettere anche in risalto dal raffronto tra le situazioni in cui governa il sentimento dell’odio represso espresso dall’assassino, che frequenta quell’ambiente da tempo, e la solarità e la luce di Lina Cathcart, giovane moglie di Charles Cathcart, che dissipano quell’atmosfera di odio.
La claustrofobia è una  modalità che accentua la tensione, che non si trova solo qui. Anzi, qui viene in un certo senso provata, ma la sua espressione massima, è nella messinscena delle tre sorelle (quasi le tre Parche) una cieca, una sorda, una monca, che sono rinchiuse nella vecchia casa in The Case of the Weird Sisters, il secondo romanzo del ciclo Mac Duff.
Normalmente, al buio, alla notte, viene connsessa una sensazione di insicurezza: nei romanzi polizieschi, e nella realtà, l’omicidio, la rapina, lo stupro avvengono quasi sempre di sera, di notte, al buio, in posti non frequentati, poco luminosi; alla luce sono legati invece degli stati relativi alla sicurezza e al bene. Nel caso del nostro romanzo, a questi due stati originari e visibili, è legata anche la contrapposizione di percezioni connesse alla temperatura, al freddo o al caldo. Queste rispondono alla logica di creare un’atmosfera supplementare, suggerendo che alcune cose accadono quando c’è una temperatura, altre quando ce n’è un’altra. Più precisamente, siccome i primi due  omicidi avvengono di notte, e di notte fa freddo, per sillogismo il male è associabile al freddo, perché avviene fuori dalla casa, dove invece tutto è sotto controllo, dove c’è il calore del focolare.
Quando al calore, reagisce il freddo pungente, ecco l’appannamento delle lenti ed il primo omicidio; quando nel secondo caso viene variato il timer del termostato all’interno della casa, è perché c’è stato il secondo omicidio. Il terzo si sottrarrà a questa concatenazione logica, perché avverrà non secondo la premeditazione ma secondo l’occasione che deve essere presa al volo, il carpe diem che sfugge ad ogni legge preordinata.
Ma Charlotte Armstrong individua in questo romanzo, nella contrapposizione freddo caldo, la radice emozionale del romanzo, perché, io credo, va alla fonte della sensazione percettiva di freddo-caldo: il freddo non solo è connesso alla morte perché è proprio della notte, ma anche perché man mano che ci si avvicina alla morte, si diventa sempre meno caldi; perché la morte è fredda. Quindi laddove vi è freddo, indipendentemente che ci sia giorno o notte, si finisce per morire, se non si è adeguatamente riparati.
Bessie troverà la prova conclusiva dell’identità dell’assassino, e lo scagionamento dell’innocente, proprio nella contrapposizione freddo-caldo: il cappotto se fosse stato usato di notte, sarebbe dovuto essere freddo; invece quello che lei ha accarezzato era caldo, cioè era rimasto nella casa, non era stato portato fuori, nella notte. E ancor più conseguentemente, quel cappotto non poteva esser stato usato dall’assassino.
Non a caso, si ricorderà di questo particolare, prima che l’assassino venga riconosciuto tale, quando assocerà il tepore del cappotto al tepore che lei aveva provato stringendosi al giornalista Jones, sentendo il calore della sua giacca, quando si era riparata adeguatamente fra le sue braccia.
In altre parole, è come se Charlotte Armstrong avesse detto che “solo l’amore può sconfiggere l’odio”.

Pietro De Palma

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