Gli anni ’20 furono per il Romanzo Poliziesco, un
periodo di grande fermento: fu proprio in questi anni che i Gialli, come
li chiamiamo noi, divennero un fenomeno di massa; e fu proprio in
questi anni che furono poste le basi, perché nel decennio successivo e
in pratica sino alla fine del secondo conflitto mondiale, il genere
deduttivo assurgesse a vette inusitate, che non ha raggiunto più. Ma,
sicuramente, non vi sarebbero stati Carr ed Ellery Queen, se in questi
anni per esempio non fosse continuato il fenomeno Chesterton, e S.S. Van
Dine in America e J.J.Connington in Inghilterra, non avessero scritto
le loro opere.
J.J. Connington fu lo pseudonimo più noto con cui
Alfred Walter Stewart, Professore di Chimica e Radioattività prima a
Belfast e poi a Glasgow, e inventore del termine “Isobaro” da applicare
ad un elemento radioattivo, scrisse romanzi polizieschi. Nato nel 1880 a
Glasgow, in Scozia, e morto nel 1947, scrisse parecchi romanzi
pubblicandoli a partire dai primi anni ’20 fino all’anno della sua
morte.
Ancor oggi Connington è letto con interesse, soprattutto nel mondo anglosassone.
In Italia, son stati pubblicati nove romanzi (sei
da Mondadori e tre da Polillo, di cui uno è la ripubblicazione di romanzo già pubblicato da Mondadori).
Tragedy At Raventhorpe, pubblicato da
Mondadori nel 1933 nella collana de I Libri Gialli, al numero 73, col
titolo “Le tre meduse”,fu ripubblicato nel 1974 nella collana de I
Classici Mondadori. E’ un romanzo molto interessante, al pari di Mystery at Lynden Sands, “Orme sulla sabbia” e The Case With Nine Solutions, “Il segreto di una notte”, entrambi del 1928, e pubblicati da Mondadori, rispettivamente del 1931 e 1932.
Le tre meduse, narra di una tragedia avvenuta nel castello di Raventhorpe.
Sir Clinton Driffield, Sovrintendente di Polizia
della Contea, viene invitato al Castello di Raventhorpe, per visitare le
collezioni d’arte ivi contenute, tra cui spiccano 3 medaglioni
attribuiti a Leonardo da Vinci. Proprietario del Castello e della tenuta
è Maurice Chacewater. Egli contrariamente ai fratelli Attilio e Johanna
è intenzionato a vendere i medaglioni. Per questa ragione, al castello è
presente anche un mediatore americano, J.B.Foss (con maggiordomo ed
autista), oltre al fidanzato di Johanna, Michael Clifton, ad una cugina
dei Chancewater, Ida Rainhill, ed ad un amico loro, Faustus Polegate. Un
bel giorno, Maurice organizza nel suo castello una festa a maschera,
nel corso della quale i pezzi più pregiati della collezione verranno
esposti al pubblico dei presenti. Sir Clinton cerca in tutti i modi di
convincerlo dell’estrema pericolosità dell’evento, dato che chiunque
potrebbe introdursi nel castello, protetto da una maschera. Ma Maurice è
irremovibile. E così, la sera della festa, accade l’irreparabile:
vengono rubati i medaglioni. Non però gli originali ma le tre copie che
sono state realizzate a partire dagli originali. La cosa è parecchio
strana: perché il ladro, ammettendo che non sapesse quali fossero gli
originali e quali le copie, non ha rubato tutti e sei i pezzi e non solo
tre, le copie? Ma la cosa che più colpisce, e che Driffield deve
scoprire, è dove sia finito il ladro, dato che nella confusione dopo il
colpo, è stato inseguito, nella sera illuminata dalla luna, ma, arrivati
sulla terrazza che è a picco sul lago, tra le panchine e le statue, gli
inseguitori, non son riusciti a capire dove il ladro sia potuto
fuggire: in altro modo, egli si è volatilizzato. E’ possibile che il
tonfo sentito, corrispondesse al ladro che si tuffava nel lago? Sir
Clinton non crede. Il lago è pieno di scogli affilati: perché rischiare
di sfracellarsi? No, lui pensa ad altro.
Intanto si viene a sapere che il furto in realtà
sarebbe stato compiuto da Attilio e da Faustus Polegate, contrari alla
vendita del pezzo d’arte. Quanta meraviglia quando si constata che al
finto furto si è sovrapposto un vero furto. In pratica il ladro,
travestito da Pierrot, è giunto un attimo prima dei due, ha rubato le
tre copie, lasciando gli originali, che poi sono stati attaccati sotto
il fondo della teca, dai cospiratori, per simulare la sparizione.
E’ una pura coincidenza che i due furti siano
avvenuti contemporaneamente? Fatto sta che se il ladro vero non viene
trovato, è anche vero che il padrone di casa vien ritrovato rintanato in
una delle tante Case di Fate, caratteristica saliente della tenuta: se
le fate ritornassero e non trovassero le loro case, una maledizione
cadrebbe sulla testa degli appartenenti alla famiglia proprietaria del
castello. E così, le case di fate, continuano ad esistere, disseminate
tra i boschi intorno al castello. Cosa ci faceva Maurice in una di esse,
con una espressione stravolta?
Sir Clinton vuole vederci chiaro, nell’ostilità dei
suoi ospiti: perché, anche se oramai sa dell’innocente “scherzo da
preti”, vuole continuare ad indagare? La ragione è che il Sovrintendente
di Polizia sospetta che qualcun altro, a ragione, sia interessato ai
tre pezzi. Viene dragato il lago e vien trovato il costume di Pierrot.
Foss offre ai Chancewater di riduplicare i pezzi,
con delle tecnologie che ha con sé, ma, poco tempo dopo viene
assassinato, con un colpo di spada giapponese, conservata in altra teca
del Museo. Era insieme a Maurice: testimone è Thomas Marden, maggiordomo
di Foss, che non afferma che Maurice è l’assassino. Dice solo che quei
due erano assieme, poi lui è entrato, ha visto il suo padrone nel
sangue, è scivolato infrangendo una vetrina e ferendosi seriamente la
mano, ma anche dice che non ha visto uscire Maurice: un’altra
sparizione.
Ora c’è un assassinio, su cui Clinton deve dire la
sua. E nel mentre deve scoprire se l’assassino sia davvero Maurice, e
dove egli sia andato a finire. E nello stesso tempo si sparge la voce
che un misterioso Uomo Nero è apparso nel bosco la sera del furto.
Insomma, cose da far perdere la ragione. Intanto il guardiacaccia li
avvisa di aver sentito uno sparo vicino ai resti dell’antica torre, nel
bosco, un po’ dopo dell’assassinio di Foss. Ma non ha trovato e visto
nessuno.
Sir Clinton sa che a Raventhorpe esistono dei
passaggi segreti: possibile che uno si apra proprio nella sala del
museo? Si rivolge ad Attilio, ma quello è fuori. Deve quindi aspettare
che arrivi col treno, il giorno dopo, per poter accedere al passaggio
segreto, che effettivamente si apre in una nicchia , nel museo. Dal
budello, nelle segrete del castello, arrivano ad una cella, dove trovano
una macchia di sangue. Attilio ha detto di esser arrivato poco prima,
ma viene sbugiardato dall’Ispettore Armadale che sa invece che non ha
preso nessun treno. E’ coinvolto Attilio?
Intanto, ecco il secondo cadavere: Maurice viene
ritrovato nel bosco, dietro l’antica torre, con la testa spappolata da
un colpo di pistola sparato a bruciapelo. L’assenza di sangue e macchie
ipostatiche, fanno sorgere il sospetto che il cadavere si sia irrigidito
altrove.
Intanto si viene a sapere da Marden che era stato
incaricato dal padrone di inviare un misterioso pacchetto, che poi si
scopre contenere un orologio assolutamente nuovo; inoltre sulla scatola
non si trovano impronte digitali. E anche che Foss era sul punto di
ripartire dal castello senza che nessuno lo sapesse, compreso lui: aveva
visto l’autista fermo con la macchina in attesa.
Ma qualcuno poi mette in discussione le parole di
Marden. E intanto Driffield e l’Ispettore Armadale, suo contendente in
questo caso, vengono a scoprire un misterioso aggeggio, detto “Otofono
di Marconi”: a cosa serviva? Si scoprirà essere un amplificatore di
suono.
E anche che Foss non era un mediatore ma un illusionista ed imbroglione.
Sir Clinton tenderà una trappola all’assassino e
dopo una nuova fuga sulla terrazza, riuscirà a beccarlo, individuandolo,
dopo che questi avrà di nuovo tentato di svanire tra le panchine e le
statue della terrazza sul lago.
Diciamo subito che il romanzo di Connington è uno
di quelli che più a lungo rimane fisso in memoria: la ragione risiede
nella grandissima atmosfera. Connington ne fu un maestro ineguagliato. E
anche la tensione è tale che duecento pagine si leggono con un piacere
ed un accanimento rari. Quindi, da questo punto di vista, nulla da dire.
Inoltre il romanzo è uno di quelli in cui si ravvisa subito la tendenza
dell’autore a dare spazio, anche in ragione della professione
universitaria esercitata, a tutte le diavolerie e le invenzioni che in
quegli anni, la scienza e la tecnologia mettevano a disposizione: lo si
vedrà per esempio nella descrizione e nell’uso dell’Otofono di Marconi.
Lo stesso marchingegno, unito all’acume scientifico nell’investigazione,
avvicina molto Connington a Conan Doyle e allo stesso Freeman, cosicché
Sir Clinton Driffield in qualche modo può esser anche paragonato al
Dottor Thorndyke: lo si veda per esempio nell’investigazione sulle gocce
di sangue trovate, e sulla spiegazione che esse possono dare, sia che
siano rotonde sia allungate, sia che esse siano copiose sia che siano
spruzzate; e nella spiegazione delle macchie ipostatiche. Particolari
che in altri romanzi di altri autori, sarebbero stati spiegati da
appartenenti alla Polizia Scientifica, oppure da Medici Legali. Qui,
invece, è l’investigatore che desume tutto. Come..Sherlock Holmes.
La cosa principale che mi vien da dire a riguardo
delle sue atmosfere gotiche, è che, oltre ai passaggi segreti, nel
romanzo mi è balzata agli occhi la scena dell’inseguimento notturno, al
chiaro di luna: queste scene notturne, sono un po’ peculiari di
Connington e si trovano in alcuni suoi romanzi: se ne trova un’altra per
esempio in The Case With Nine Solutions (corsa in macchina con la nebbia, di notte). Perché mi sembra il caso di metterle in evidenza? Perché Carr, in The Grandest Game in the World, saggio
del 1946 (pubblicato in Italia da Mondadori in “La Porta sull’Abisso”,
Altri Misteri, 1986), ammise di essere stato grandemente tributario e
ammiratore di Connington.
Ve la ricordate la scena in It Walks By Night,
in cui, dopo una passeggiata nel parco, in una sera illuminata dal
chiarore della luna, viene scoperto il secondo omicidio, quello di
Vautrelle? Ne ho parlato in altro articolo di questo blog. Beh, la
scena, per me è molto, ma molto simile a quella di Connington, e
sicuramente Carr dovette essere influenzato anche da lui, in quel suo
primo romanzo. E se questa scena mi sembra simile, se ne trovano altre,
sempre di notte, al chiaro di luna, in altri romanzi d’atmosfera
carriani, come Death-Watch o The Crooked Hinge . E le statue sulla terrazza? A me quella scena, fa pensare al carriano, di qualche anno dopo, The Corpse in the Waxworks.
Tante lodi, ma anche delle pecche.
Innanzitutto, il romanzo si apparenta a quella
serie che negli anni venti e prima ancora, parlava di malefatte, di
bande di malfattori, di furti, in cui i colpevoli non sono aristocratici
o appartenenti alla buona borghesia (cosa che avverrà negli anni ’30),
ma delinquenti, soli o organizzati. Per cui, individuato il modus
agendi, e la spiegazione di “Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando”
(pag.79), sarà più facile del previsto individuare il colpevole, anche
perché, a chi non fosse in grado di individuarlo, vien fatto capire chi
sia prima della conclusione del romanzo.
Tuttavia la pecca principale e fondamentale di
questo romanzo, è il rilievo della figura di Maurice Chacewater e della
sua morte: Maurice non muore assassinato ma suicida. Perchè ha
assassinato Foss? No, perché è stato colto da una nevralgia, da un
malore, o da una crisi di agorafobia!
La cosa paradossale è che questa crisi che ha
originato il suo suicidio, avviene dentro la sala del museo, proprio
quando è in compagnia di Foss al quale ha fatto vedere le tre meduse
originali; e ancor più paradossale è che egli senta la necessità di
entrare nel passaggio segreto proprio un attimo prima, ma proprio un
attimo prima, che Foss sia ucciso. E che nel passaggio segreto, invece
di attendere che la crisi sia finita come altre volte (egli non sa nulla
di quello che avviene alle sue spalle nella sala museale), guarda caso,
decida di farla finita, uccidendosi. Insomma vengono messi in atto dei
meccanismi che solo in un romanzo d’appendice potrebbero realizzarsi. E
che quindi sottraggono spontaneità e “verità” all’azione. Per di più, la
caratterizzazione del personaggio è alquanto lacunosa: questa
agorafobia, avrebbe potuto essere sfaccettata meglio. Giustamente Nick
Fuller afferma che “..the agoraphobic suicide of Maurice
Chacewater..could (and should) have been used as the central idea of an
ingeniously horrible murder along Chestertonian lines ..”
La predilezione di Connington per le psicosi, è
d’altronde un fatto incontestabile: sonnambulismo, agorafobia,
cleptomania. Chi altro dei grandissimi, manifesterà predilezione per le
psicosi? Ellery Queen. Possibile che oltre che su Carr, Connington
avesse finito per influire su Ellery Queen?
Possibile direi, anzi.. possibilissimo.
La cleptomania che appare in un certo romanzo
queeniano è un indizio incontrovertibile. Come del resto il mancinismo,
anche questo presente prima in Connington e poi in Queen.
Peccato solo che “Le tre meduse” non sia ristampato da parecchio in Italia.
Lo sarà un giorno? Sperare..non è un delitto.
Pietro De Palma
Nessun commento:
Posta un commento