Quando lo trovai, tempo fa, in una libreria
antiquaria, venduto ad un euro, avevo già letto qualche recensione di
lettori cui non era piaciuto. Ma si sa “De gustibus non disputandum est”
e quindi..contemplavo anche la possibilità che il libro in realtà
sarebbe potuto piacermi.
Non so, ma evidentemente anche il fatto che fosse un romanzo di Ngaio Marsh, fece il resto, e così lo acquistai.
Non l’ho preso in mano fino agli inizi di luglio,
quando, per 9 giorni, sono stato su una spiaggia anche sotto un
ombrellone: devo dire alla fin fine che aver acquistato il Marsh, è
stato una scelta azzeccata.
Ngaio Marsh, neozelandese, è stata una scrittrice
di grande talento e di gran gusto, molto raffinata nella sua scrittura,
che ha privilegiato nei suoi romanzi le atmosfere pittoriche e ancor più
teatrali, conseguenza del fatto che lei stessa per gran parte della sua
vita è stata un’apprezzata regista teatrale, avendo ancor prima
studiato pittura, e che solo nel tempo che le avanzava scriveva
polizieschi; nonostante ciò, in un periodo che va dal 1934 con da A Man Lay Dead al 1982 con Light Thickens, ha consegnato alle stampe 32 romanzi, alcuni dei quali trattano tematiche legate agli ambienti teatrali o artistici (pittorici).
Tra i primi è compreso il romanzo in oggetto, che tratta di un teatro e
di una recita shakespeariana (non scordando che molte delle produzioni
dirette da Ngaio Marsh erano di drammi o commedie di Shakespeare), e che
nel 1967 fu finalista dell’Edgar Allan Poe Award (l’Edgar Award
quell’anno fu vinto da The King of the Rainy Country di Nicolas Feeling: Come il re d’un paese piovoso, Garzanti R 66 N.12).
In Death at the Dolphin si parla di teatro e di Shakespeare;
tuttavia il delitto non arriva subito, ma dopo un’ elaborata
introduzione che, diversamente da altri romanzi, non serve tanto per
rendere visibile al lettore una situazione di odio o invidia o gelosia
che possa sfociare in un omicidio, quanto creare il presupposto perché
si abbia il delitto.
Peregrine Jay, commediografo e regista teatrale, ha
un sogno: salvare dall’oblio e dalla distruzione completa il Delfin, un
teatro liberty che sta andando in rovina, abbandonato e rovinato
dall’incuria e dal tempo. Un bel giorno vi si reca e dopo aver ammirato
le forme, le sculture, la linea della platea e dei palchi e aver
respirato l’aria, ora polverosa, di un grande teatro dell’epoca,
riempito da una folla di appassionati un tempo, mentre ora lo è da ragni
e topi, volendo provare il palco, laddove si erano esibiti attori
importanti, non si avvede di un grosso buco, provocato da una bomba
sganciata da un aereo tedesco, riempito ormai di acqua putrida, e vi
cade dentro, senza possibilità di uscirne, con la prospettiva reale di
morire annegato, senza che nessuno possa sapere che lui è lì disperato a
cercare di non morire in quell’acqua fredda e puzzolente. Quando ormai
le sue speranze sono svanite ed è lì intorpidite che sta quasi per
cedere la propria volontà all’abbraccio della morte, una mano lo afferra
e lo trae in salvo: è la mano di Vassily Conducis, un favoloso
miliardario greco, proprietario del teatro, che si sente in colpa per
quanto accaduto a Jay. Fatto sta che, portato a casa Conducis e lì
cambiatosi, lavatosi e rifocillato, Conducis gli fa vedere una cosa
estremamente rara: un guanto che si ritiene sia appartenuto al figlio
morto di William Shakespeare, di cui è venuto in possesso; e gli
racconta la storia legata ad esso. Jay, reso alquanto brillo dai punch
che gli son stati dati per scaldarsi dopo l’avventura gelida del teatro,
comincia a fantasticare, e durante un’appassionata filippica, contagia
Conducis con i suoi sogni, di far rivivere il Delfin legandolo ad una
commedia basata proprio sulla storia di quel guanto. Fatto sta che
Conducis, quando lui è ritornato sul terreno della realtà, gli offre una
possibilità più unica che rara: finanzierà a sue spese la ricostruzione
del teatro, a patto che Jay vi rappresenti, con un’adeguata compagnia,
una vicenda legata al guanto di Shakespeare. E in cambio, la pubblicità
che verrà creata allo scopo di rilanciare il teatro, servirà anche a
rendere appetibile la vendita del guanto a collezionisti stranieri: il
guanto dopo adeguatata perizia, tesa a confermare l’autenticità almeno
del tempo di creazione, verrà riposto in una cassaforte collegata a
sistemi di sicurezza, posta all’interno del teatro.
Intanto Jay deve allestire lo spettacolo sulla base
di un testo che lui stesso ha inventato, ma gli attori che formano la
compagnia fanno di tutto per appesantire il suo compito: tra capricci da
prima donna di Gertrude Bracey e scocciata voglia di ripetere le parti
fino alla perfezione da parte di Marcus Knight, tra punzecchiature
continue di Hartly Grove, e patriottica rivendicazione del cimelio del
guanto all’Inghilterra da parte dello scenografo e amico di Peregrine,
Jeremy Jones, le prove dello spettacolo che deve essere allestito vanno
avanti. Ma ben presto soprattutto Marcus e Hartly arrivano ai ferri
corti per reciproci affronti: una notte qualcuno ruba il guanto e nello
stesso tempo uccide il guardiano e tenta di uccidere l’attore più
giovane della compagnia, che normalmente impersona il figlio piccolo di
Shakespeare, quello cui viene regalato il guanto e che poi muore: il
bello è che anche nella realtà il ragazzo rischia di dipartire
affrettatamente, cadendo (lanciato o inciampato per errore dopo una
lotta con l’assassino) da una balaustra. Il fatto strano è che il
guardiano aveva addosso un cappotto a riquadri marroni che gli aveva
regalato proprio Hartly: si insinua quindi il dubbio che qualcuno abbia
ucciso il guardiano avendolo scambiato per Hartly Grove.
A questo punto entra in scena Sir Roderick Alleyn,
Sovrintendente di Scotland Yard, che dovrà investigare in un ambiente in
cui spesso gli attori continuano a recitare anche nella realtà di tutti
i giorni, sondare anche i più piccoli particolari, e arrivare alla fine
all’individuazione dell’assassino, che sarà ancora una volta il meno
probabile : sarà uno degli attori, o lo scenografo? O forse sarà lo
stesso Conducis o la collezionista americana Constantia Guzman sotto
mentite spoglie?
Dopo una caccia al topo, con numerosi colpi di
scena, l’individuazione del colpevole arriverà in virtù di un
piccolissimo particolare, che sfugge all’attenzione ma che ha un valore
fondamentale per la soluzione finale, anche se il movente verrà rivelato
alla fine ed sarà anch’esso una sorpresa.
Quello che si nota immediatamente, leggendo il
romanzo, è che l’atmosfera teatrale non è finta, non è stata inventata
da chi non conosce quel mondo, ma è stata costruita basandosi su tante
esperienze personali: i rimbrotti, gli screzi, le rivalità, le invidie,
le gelosie tra attori, sono resi con grande maestria, da chi
probabilmente li viveva quotidianamente. Inoltre, l’attaccamento a quel
mondo è reso in maniera intensa: si sente l’amore per il teatro, unito
ad una voluttà che può essere capita da chi vive una passione per
qualcosa: quando Peregrine è nel teatro in rovina e immagina come quel
teatro sarebbe dovuto essere, vede con gli occhi della mente i palchi,
il palcoscenico, la galleria, i corridoi, le pitture, le sculture
lignee, i marmi, è come se li stesse vedendo in quel momento Ngaio,
perché Peregrine Jay regista teatrale è Ngaio Marsh regista teatrale.
Solo che Ngaio è anche scrittrice, e così state pure sicuri che
Peregrine non sarà certo l’assassino; e che in fin dei conti, accanto a
Roderick Alleyn, sarà il personaggio più vivido e più simpatico, fra
tutti quelli presentati.
E’ questo che rende il romanzo una lettura estremamente appagante e per niente noiosa.
Inoltre Ngaio Marsh si conferma scrittrice di razza
e di finissimo gusto nella costruzione del plot, invero piuttosto
complesso: non è affatto semplice individuare il filo di Arianna in
questo intricato labirinto di odii e bugie. Man mano che si snocciola
l’indagine, si assisterà a rivelazioni che possono avere una propria
importanza come pure possono non averla; oppure possono addirittura
imbrogliare le carte, oppure possono ordinarle. Basta solo inquadrare
l’indizio determinante, tra i tanti forniti, e si avrà la soluzione:
solo che non sarà per nulla facile superare Ngaio Marsh in quanto ad
acutezza!
Non aggiungo altro perché questo è un romanzo da
leggere e da gustare. E si tenga presente che è un romanzo del 1966,
cioè quando la Marsh aveva 71 anni: eppure fa specie che tutto sia così
fresco e immediato, anche se velato da una melanconia struggente.
Una riscoperta.
Pietro De Palma
Nessun commento:
Posta un commento