martedì 28 marzo 2017

(Mary Dominic) Paul McGuire : Funerale in Paradiso (A funeral in Eden, anche come Burial Service, in edizione britannica, 1938) – traduz. Carlo Rossi – I Gialli Moderni n.4, Carlo Brighenti Editore, 1948, pagg. 96.



Paul McGuire (pseudonimo di Mary Dominic Paul MacGuire), fu un intellettuale, scrittore e diplomatico australiano.
Nacque nel 1903 a Peterborough, e fu educato in Istituti Cattolici. Nel 1927 sposò Frances Mary Cheadle, biochimico, e come lui, attivista cattolico.
Nono figlio, vide morire attorno a sé cinque fratelli ed una sorella: la sua fanciullezza fu pertanto triste, dominata dalla consapevolezza della fragilità umana, della morte e della ricerca della felicità.
Cominciò a scrivere in versi dall’età di dodici anni, ma alla poesia si affiancò l’impegno culturale cattolico, soprattutto dopo che incontrò la moglie, di famiglia agiata protestante convertita al cattolicesimo. La loro unione fu, al di là del resto, una grande unione di spiriti forti, entrambi accomunati dall’impegno culturale e personale nella loro comunità, di marchio cattolico-irlandese. Questa impostazione, di cattolicesimo inteso come servizio, fu sostituita da una basata sulla visione del mondo ispirato dalla tradizione cattolica, in cui l’apporto prettamente intellettuale era rivolto verso i grandi temi sociali, quando si trasferirono entrambi a Londra, entrando allora nell’orbita di Chesterton soprattutto.
Continuò a scrivere poesie, ma anche opere di critica letteraria, storia, e romanzi polizieschi: ne scrisse ben 16, nella più pura tradizione britannica, dal 1931 al 1940, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale prestò servizio nella Royal Australian Navy.
Dopo la guerra, fu prima giornalista, poi personalità di grande spicco nell’ambito della cultura di stampo cattolico, fondando gruppi e anche una Libreria Cattolica ad Adelaide (Australia), scrivendo poesie, e testi vari. In seguito intraprese la carriera diplomatica, divenendo prima Ambasciatore australiano in Italia, poi primo Ambasciatore presso la Santa Sede. Fu insignito della Gran Croce dell’Ordine equestre di San Silvestro. Fu anche rappresentante australiano alla Conferenza dell’O.N.U.
Morì nel 1978 ad Adelaide.
Paul McGuire fa parte di quella genia di scrittori australiani, più o meno conosciuti: oltre a lui, A. E. Martin, Arthur Upfeld, Arthur Gask, Geraldine Halls( conosciuta come Charlotte Jay), Pat Flower.
I suoi sedici romanzi, si strutturarono soprattutto in due serie, basate sui personaggi dell’Ispettore Capo Cummings e dell’Ispettore (poi Sovrintendente) Fillinger. 

La fama, come autore di polizieschi, la conquistò oltre che con There Sits Death (1933) tradotto da Polillo Editore come "La poltrona e il rasoio", con i suoi due ultimi romanzi: Burial Service (1938), e The Spanish Steps (1940). Tra i due, il migliore, quello che gli assicurò la fama e che fu ottimamente accolto presso il pubblico internazionale, tanto che ebbe due edizioni, americana e britannica fu Burial Service (A Funeral in Eden, nell’edizione americana). Per di più, Jacques Barzun e Wendell Hertig Taylor lo segnalano nel loro A Catalogue of Crime, tra le opere che essi hanno considerato Classici del Crimine dal 1900 al 1975.  Nella fattispecie, gli contendono la segnalazione per l’anno 1938, Georgette Heyer  (“A Blunt Instrument”), Rex Stout (“Too Many Cooks”) e l’altro australiano Arthur Upfield (“The Bone Is Pointed”).
Anni fa ne accennò Mauro Boncompagni nella Prefazione allo Speciale Mondadori “L’Isola dei Delitti”, e mi ricordo che ci fu un intervento sul Blog Mondadori che perorava la traduzione in Italia di A Funeral in Eden. Questo mio contributo a Paul McGuire è anche volto a dimostrare che nel passato del romanzo poliziesco in Italia, non c’è stata solo Mondadori ma una miriade di case editrici, conosciute magari solo dagli appassionati e collezionisti, tra cui appunto Carlo Brighenti Editore.
L’ambientazione del romanzo è quantomai singolare: un’isola, il fantomatico sultanato di Kaitai, nell’Oceano Pacifico, al cui capo è un “sultano” non musulmano, un suddito britannico, tale George Buchanan, erede di colui che scoprì l’isola e se ne appropriò, non essendo essa colonia di un qualsivoglia Stato estero: è lui a governarla e nel tempo stesso ad amministrarne la giustizia, insomma un monarca assoluto. Ma che guarda benignamente alle popolazioni indigene che la abitano e fa di tutto per proteggerle, soprattutto dal mondo esterno. Nonostante ciò, proprio per la lontananza dalle rotte usuali, ha accolto un gruppo di persone che si è ritirato lì, fuggendo dai clamori della vita quotidiana nella società civile: c’è Cooper, il capitano Hawkesbury, la dottoressa Alicia Murray che vi si è recata per studiare una malattia che colpisce gli indigeni, e altri personaggi: Swan, Mitchell, Thompson, Bernard. Ed una pittrice, Dorothy Roper.
La vita scorre mollemente sull’isolotto, fin quando un bel giorno arriva uno sconosciuto, tale Goulburn, a bordo di un battello. I suoi modi, il suo approccio piuttosto disinvolto, i suoi accenni al mondo civilizzato da cui proviene, gli inimicano ben presto tutti i personaggi che lo attorniano. Giunge persino ad inimicarsi il sultano, da cui pretende la concessione per lo sfruttamento dei vasti giacimenti di asfalto presenti sull’isola, minacciandolo di parlare male dell’isola e di farvi arrivare tutte quelle persone che egli non vuole arrivino.
Fatto sta che la notte successiva allo scontro verbale tra Goulburn ed il sultano Buchanan, il primo viene trovato morto, con profonde ferite e mutilazioni provocate dagli squali. Si pensa che ubriaco, si sia imbarcato per ritornare a bordo del battello, e che poi sia caduto in mare, affogato e poi straziato dagli squali. books?id=boK7TfYSQH4C&printsec=frontcover&img=1&zoom=1&imgtk=AFLRE72tq5Ovt_j0sEoSfnHxMhMtTb8CXvfL9_4FtRT5niM84g9R2ozgf8Ie6VOrcK7VbBeioUgq6dkKfsgdqe-rohfy34wKE7hFoSxsQi2dQUfIRY5HtfA
A supportare la prima tesi, quella dell’affogamento è il fatto che la barca si sia capovolta. Ma poi, strano, non viene trovato il tappo della valvola di sentina: in altre parole, la barca si è allagata perché mancava il tappo alla valvola. Che fine ha fatto? Non si trova. E per di più uno dei personaggi presenti sull’isola e che fino a quel momento hanno costituito l’entourage, quasi la corte di Buchanan, Thompson, fa capire agli altri come le pantofole di tela, che il morto ha ancora ai piedi, siano state infilate al contrario, come da qualcun altro che non fosse il morto. A questo punto, la tesi che prende corpo è che sia stato assassinato, si pensa per procurato affogamento. Prima, tuttavia,  che l’autopsia effettuata dalla dottoressa Murray, indichi che è morto a causa di percosse che gli hanno sfondato il cranio, posteriormente. 
Chi mai avrebbe potuto compiere un omicidio, in un Paradiso Terrestre come il sultanato di Kaitai, in cui boschi virginei contendono, a fiumi e laghi cristallini, la vita sull’isola?
Eppure qualcuno ha ucciso, con un oggetto simile per forma ad una staffa: sembrerebbe un poggia remo, ma poi potrebbe essere un bastone a forma di staffa, oppure altro. Fatto sta che le indagini vengono affidate da Buchanan (anche lui sospettato) a Thompson  che interroga i presenti, ne prende le impronte digitali, e svolge le indagini. A complicare la vicenda è il tentativo di sfondare il cranio del povero Goulburn, che poi si è scoperto chiamarsi Smith, ed essere un giornalista, incaricato da un comitato di affari, che è stato informato da qualcuno presente sull’isola dei giacimenti di asfalto, di prelevare campioni e di ottenere una concessione allo sfruttamento dello stesso: qualcuno con un mortaio, ha cercato di confondere il chiaro segno a forma di ferro di cavallo, sul cranio di Smith, maciullandolo. E temendo di essere scoperto, ha tramortito la dottoressa Murray che stava entrando nella camera mortuaria, insospettita dai rumori che da lì provenivano.
Successivamente viene ucciso Thompson, allo scopo di sottrargli la macchina fotografica Zeiss (che verrà successivamente trovata da Buchanan in un cassettone), in cui c’erano delle pose che l’assassino voleva distruggere; e viene anche trovato ferito gravemente Cooper, che nel frattempo era scomparso. Chi mai sarà l’assassino?
Il romanzo è furbescamente ambientato in una sorta di Arcadia, in un paradiso in cui non dovrebbe esserci violenza. Il modo di preludere all’omicidio è quantomai classico: vengono presentati i vari personaggi; poi, il misterioso Goulburn, che rompe l’atmosfera idillica; e infine gli scontri personali che lo stesso Goulburn ha con i vari personaggi prima tratteggiati. Fino all’inevitabile catarsi con il ritrovamento del cadavere. Il personaggio che sconvolge un determinato ambiente, provenendo dall’esterno, è un must, non solo dei romanzi ma anche del cinema : l’erede che ritorna; il figlio che si credeva morto; il soldato che era stato dato per morto in guerra, etc..
L’interesse della trama, sta nell’aver coinvolto tra i sospettati anche il sultano, cioè colui che dovrebbe amministrare la giustizia nell’isola; e soprattutto nel dispensare indizi falsi e veri, e false piste, con una indagine svolta su due percorsi paralleli : la prima, quella di Thompson, si basa su  indizi materiali ( impronte digitali, fotografie, tracce) che ci riportano a Freeman o a Conan Doyle (interessante è notare la posa di Thompson, che fuma pensoso una pipa, quasi fosse Sherlock Holmes); la seconda, si basa sull’esame dei moventi, degli alibi, di chi potesse trarne vantaggio, con un salto nella qualità dell’indagine, di tipo più moderno, svolta da Buchanan.
Infatti, un ulteriore interesse del plot sta nella doppia figura dell’investigatore: quello reale, che agisce in prima persona(e che poi viene assassinato), cioè Thompson; e quello che agisce nell’ombra, che svolge però i fili del movente trovandone il burattinaio: Buchanan.
A rappresentare un’ulteriore forma di interesse è il triplo finale, con l’individuazione di tre possibili diversi assassini, tutti in relazione ad un diverso oggetto usato da loro come arma: l’ultimo sarà quello giusto.
Un bel romanzo, tutto sommato, che ha uno stile fluido, fresco non appesantito per nulla da una traduzione, risalente a più di sessant’anni fa, che pur ricorrendo qua e là ad un italiano ormai vetusto, riesce, con la sua qualità, a renderne la lettura quantomai piacevole.

Pietro De Palma

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