venerdì 16 giugno 2017

Joseph Jefferson Farjeon : La casa dei sette cadaveri (Seven Dead, 1939) – traduz. Dario Pratesi – Polillo Editore, Collana “I Bassotti” N. 101 – 2011 – Pagg. 278.




 Cominciamo col dire una cosa che è in controtendenza rispetto a quello che dicono gli altri: “La casa dei sette cadaveri” (Seven Dead, 1939) viene riportato, sul risvolto interno della copertina, come “inedito”, ma  non lo è: Aldo Martello Editore, di Milano, negli anni ’50, pubblicò, nella sua collana di tascabili, intitolata “I Gialli del Veliero”, parecchi Farjeon e, tra questi, “La palla da cricket” (Seven Dead, 1939), la cui data di stampa indicata è il 12 dicembre 1951, contrassegnato dal numero di serie “26” e traduzione di Raffaella Lotteri. [1]
Ma procurarsi  “I Gialli del Veliero” non è cosa agevole (e la cosa vale soprattutto per i Farjeon): quindi è meritorio che Polillo l’abbia pubblicato con altra traduzione; resterebbe da vedere, a mio modo di vedere, opinabile ovviamente e soggettivo,  quanto meritorio possa essere. Perché ? E’ presto detto.
Innanzitutto, di Farjeon, Polillo ha già pubblicato tempo fa un bel romanzo, “Sotto la neve” (Mystery in White, 1937e niente poteva far presagire che ne pubblicasse un altro; tanto più che la collana parrebbe avere un suo fine: quello cioè di offrire uno spaccato della letteratura poliziesca di marca anglosassone (l’assenza di titoli francesi dimostra quest’asserto) presentando un romanzo per volta che secondo l’editore sia rappresentativo dell’autore che lo abbia scritto. Ora, francamente, non è che Farjeon possa dirsi un autore capitale per la letteratura gialla: capitali sono John Dickson Carr, Ellery Queen e Agatha Christie (a proposito avete notato che non c'è nessun romanzo di entrambi nella collana? Eppure di testi da ritradurre ce ne sarebbero parecchi..); importantissimi possono essere Chesterton,Van Dine e Rex Stout (un altro autore grandissimo ignorato); importanti Daly King, Rufus King, Edmund Crispin; importanti possono essere Anthony Berkeley, Monsignor Knox, Norman Berrow, e tanti altri.
Ora, se è meritorio che Polillo abbia pubblicato cose assolutamente poco conosciute in Italia, è altrettanto necessario che si dica che tanti ancora aspettano il loro turno, autori del calibro di Virgil Markham , Clifford Orr, Alan Thomas, Derek Smith e Clayton Rawson (questi due già pubblicati ma non integralmente), Clason, Tillett, Norman Berrow, Max Afford, Crofts, James Ronald,  David Duncan, James Ronald, Theodore Roscoe, T. H. White e altri ancora.
“La casa dei sette cadaveri” è del 1939: leggendolo e analizzandone la struttura della trama, è come se facesse intendere che nel frattempo tutti gli autori che avevano innovato il genere del Giallo Classico (almeno i Christie, Queen, Van Dine, Carr, Rufus e Daly King, Stout, Marsh, MacDonald, Innes) non fossero mai esistiti.
Il discorso sulla collana potrebbe ovviamente essere ampliato: chi, come me, ne possiede parecchi, avrà notato che ogni tanto esce un secondo romanzo di un certo autore. Già questo in teoria potrebbe essere visto come un deviare dalla rotta, perchè nel momento in cui viene pubblicato un secondo viene spontaneo chiedersi perchè allora non lo si faccia con altri, tanto più che fin quando di Carr ne uscissero due, nessuno direbbe nulla, ma che escano due Farjeon o addirittura due Fletcher, insomma..fa pensare. Poi ci sono stati 2 Rhode, 2 Berkeley e 2 Reilly: io, per conto mio, pur amando la Reilly (posseggo quasi tutti i romanzi usciti in Italia ), avrei preferito che ad una sua seconda uscita fosse uscito qualcos’altro, per es. Whistle Up The Devil tradotto da Casini negli anni ’50 con “Un fischio al Diavolo” e tagliato di almeno il 50%, che ho letto recentemente e che è un’autentica bellezza; stessa cosa per Rhode. Berkeley invece lo si può mesttere sullo stesso piano di Carr, essendo un grandissimo autore, per cui..alla fine non si dice nulla e si plaude all’iniziativa. Tutto questo per dire che, nonostante le finalità della collana, ci siano delle uscite che sfuggono ad esse, conformandosi alle scelte dell’editore, che non è dato conoscere (ma ci piacerebbe sapere perchè di alcuni autori due titoli e di altri nessuno).
Il romanzo comincia con un fuoco d’artificio che lascerebbe presagire un romanzo scoppiettante : a Benwick, un ladruncolo tenta di fare un colpo in una casa e vi trova, in una stanza chiusa ermeticamente dall’esterno (non è una Camera Chiusa) sette cadaveri: sei di uomini ed uno di donna.
Nella stanza niente di particolare tranne le imposte delel finestre inchiodate e la cappa del camino ostruita da dei vecchio giornali in modo da impedire il tiraggiodell’aria, ed una vecchia palla da cricket sopra la mensola del camino; e anche un misterioso biglietto con una scritta in codice dietro. In più un ritratto di bambina trapassato da un proiettile.
Ora, il lettore si aspettetrebbe una indagine serrata, almeno un esame autoptico che rivelasse la causa della strage: eppure non c’è nulla. Anzi, di palo in frasca, l’indagine si trasferisce abbastanza inusualmente in Francia, a Boulogne, laddove il proprietario della casa e sua nipote (i Fenner) sono riparati il giorno stesso della strage: sarebbe quindi lecito supporre che potessrero c’entrarvi qualcosa, tanto più che in una stanza sopra, nella casa della strage, son stati ritrovati un paio di scarpe al centro del pavimento ed un abito lasciato cadere per terra sul tappeto, segno di una partenza improvvisa.in E sarebbe lecito che la polizia diramasse un allarme all’Interpol o comunque attraverso canali diplomatici si ponesse in contatto con la polizia francese per fermare i due; eppure..nulla.
E’ un giornalista capitato in quei paraggi, tale  Hazeldean, a condurre l’indagine che sarebbe dovuta spettare ad un poliziotto e recarsi a Boulogne.
E già in questo c’è un certo sentore di improbabilità. Ma se poi si aggiunge a questo che il giornalista trovi nella Pensione di Madame Paula a Boulogne sia Fenner che la nipote, sulla base di una cartolina vista sulla mensola del camino della loro abitazione vicino alla palla da cricket, e che sin dall’inizio del suo arrivo, senza sapere nulla, consideri la ragazza assolutamente all’oscuro di quanto successo, e abbia timore persino a rivelarle la strage accaduta in casa sua, beh allora a questo punto la cosa ci fa ridere: Farjeon è datato, ma datato alla grande! Per lui le donne sono sante, incapaci di commettere un delitto, e addirittura talmente fragili da poter risentire della rivelazione di un delitto. E quindi non sono sospettabili: ma aveva mai letto Farjeon Agatha Christie, per esempio?
Insomma, se il delitto lasciava presagire un’indagine serrata, questa non c’è; c’è invece l’indagine di questo poliziotto imprestato e dilettante, che neanche per conto della polizia compie le proprie indagini, sì da costringere l’ispettore Kendall a mettergli alle costole un proprio uomo, indagine che porta a rivelare nella pensione un sottobosco di sotterfugi, reticenze, omertà, da parte di personaggi malavitosi e criminali, che meglio sarebbe stato collocato in romanzi d’appendice dei primi del ‘900, Mi vien quasi da dire che, si dimostrano meno convenzionali al confronto le storie del Arsene Lupin di Maurice Leblanc, laddove le donne possono anche essere puttane e non per forza sante.
Ma al di là della convenzionalità, il discorso va avanti in un labirinto di supposizioni (da cui si desume solo che il padrone di casa, il marito di Madame Paula, sia morto in circostanze sospette; che un tale Pierre, sia un fetente oltre che lestofante; che una cameriera, tale Marie, sia una poveraccia impaurita da Pierre; che Madame Paula, innamorata di Fenner,  non voglia avere in casa un estraneo impiccione e cerchi di allontanarlo. E intanto c’è un altrettanto improbabile venditore ambulante di sete che spunta da ogni parte (si saprà essere un poliziotto). Tutto in cento pagine, da pag. 54 a 154; pagine che, senza fare un torto a chi si batte per le traduzioni integrali, si sarebbero potuto ridurre pesantemente senza che se ne sentisse la necessità materiale. Tanto più che quando creava il dialogo tra Hazeldean e la cameriera (Marie), Farjeon sentiva anche la necessità di impostare i dialoghi in francese: ora, dico io, in quel tempo, il francese era la lingua studiata nelle scuole di un certo grado così come lo è ora l’inglese, e quindi, mettere dei dialoghi in francese non era così strano, tanto più che I Romanzi Gialli erano, all’epoca, rivolti non certo alle classi popolari ma almeno alla piccola borghesia: ora, invece, che in Italia pochi conoscono il francese rispetto alla totalità che impara l’inglese, mettere dei dialoghi in francese in una traduzione italiana, mi è sembrata un’operazione un po’ retro, tanto più che ci si sarebbe dovuti mettere nei panni di coloro che il francese non lo praticano (io grazie a Dio lo conosco e riesco a leggere, con fatica, dei romanzi gialli in quella lingua; ma..chi invece non lo conosce? Ho cominciato a leggere un Vindry di Gallimard, degli anni trenta, La Fuite des morts, che non so quando finirò..) invece che in quei pochi che lo conoscono
Ohibò, dopo cento pagine di dialoghi melensi e talora inutili, ecco che rispunta Kendall ( e l’azione si risposta a Benwick) e investigando con il suo sergente, arriva a delle conclusioni sorprendenti: l’assassino (Fenner probabilmente) è scappato, prima con una bicicletta, poi con un aereo ( e questo si può capire dagli indizi); come possa invece individuare il mezzo che sia servito ai sette per raggiungere la casa, e attribuirlo ad una barca che stanno rimorchiando lì per lì davanti ai suoi occhi, è tutto un dire: se li immagina tutti e sette in quella barca, e allora si fissa che è quello il mezzo (che poi davvero si scoprirà esserlo) utilizzato : arriva ad una conclusione in base non ad un ragionamento ma sulla base di una intuizione, vorremmo dire quasi una precognizione.
E solo ora si scopre la causa della morte: gas. Kendall trova una stanza sotterranea, un laboratorio, forse un ex bunker nel giardino intorno alla casa, e due gatti, morti non per causa naturale, e qualcosa lasciato lì tra cui un vecchio tubo di gomma che sembra (e lo confronterà dopo con successo) adattarsi benissimo alla serratura della stanza chiusa in cui son stati trovati i corpi. Kendall ricostruisce anche le sequenze drammatiche e e spiega come il quadro sia stato trapassato da una pallottola. A questo punto si sente finalmente (era ora!) il bisogno di rintracciare i Fenner, zio e nipote: E così Kendall va in Francia. Insomma, a dirla tutta, Farjeon non dice subito la causa della morte, perchè così, “può allungare il brodo”.
Nella pensione famosa trovano il venditore di sete, ucciso anche lui, la nipote di Fenner, rinchiusa in una stanza, il giornalista precedentemente tramortito, la cameriera scomparsa assieme a Fenner, e Pierre che viene arrestato.
Qui l’azione si ferma. E riprende presumibilmente dopo del tempo quando Kendall fa il punto delle indagini: questa è un’altra cosa curiosa. Normalmente in un romanzo giallo all’arresto di Pierre sarebbe seguita tutta l’indagine relativa a ottenere informazioni e vagliarle, ricostruire la vicenda: Farjeon non ne sente la necessità, e la glissa. E quindi fa raccontare a Kendall tutto quello che si sia scoperto nel corso delle settimane trascorse: Fenner ha ucciso il marito di Madame Paula, innamorata di lui e che odiava il marito; questi lo ricattava da tempo; Fenner aveva impiegato la dote della nipote per finanziare gli studi sul gas da lui scoperto e per pagare il ricattatore; Pierre aveva ucciso il venditore di sete, e poi tentato di far sparire Marie che invece era stata salvata dai poliziotti. Tutto si ricollegava ad un naufragio: Fenner era stato trovato in mare aggrappato ad una zattera e salvato da altra nave, laddove si trovavano il futuro marito di Madame Paula, il dottor Jones (medico di bordo) e Pierre che era uno steward. E da qui era cominciato tutto. Ma non spiegava i sette cadaveri. Kendall analizzza allora lo strano biglietto col codice e ipotizza potersi trattare della latitudine e longitudine di un posto, che vien trovato a sud dell’Oceano Atlantico.
Il procedimento del racconto, la spiegazione di quello che è accaduto prima, ci rivela come Farjeon fosse un autore della vecchia scuola, quella che aveva preso le mosse da Sherlock Holmes: in La Valle della Paura, c’è un procedimento analogo.
Vagliando i dati di latitudine e longitudine,  Kendall individua una piccola isola dell’Atlantico del Sud : che sia sulla buona strada, lo afferma il fatto che anche il naufragio di cui era stato vittima Fenner era avvenuto da quelle parti. E così l’ispettore, il giornalista, la nipote di Fenner ed altra gente trovano le prove che dei naufraghi siano approdati e siano vissuti lì. Trovano addirittura il diario di uno di loro e ricostruiscono la vicenda di quell naufragio che è alla base del tutto.
Non diciamo come vada a finire. Solo che il finale si legge bene, e ha dei ribaltamenti che portano un po’ di suspence nel romanzo, che altrimenti sarebbe, a mio parere, prevedibile.
Tutto sommato un romanzo carino,appesantito da troppe pagine ( superflui mi parrebbero parecchi dialoghi), non certo un capolavoro, paragonato a “La belva deve morire” di Nicholas Blake o a “La rossa mano destra” di Joel T. Rogers, oppure anche a “La morte cammina per Eastrepps” di Francis Beeding; ma con dei ribaltamenti finali, che alleggeriscono il tutto e consentono di finire il romanzo con una rivelazione finale che cambia  le carte in tavola, ed un finale tragico (ma solo per l’assassino), molto molto cinematografico.

Pietro De Palma





[1] Può verificare la giustezza delle mie affermazioni, chi consulti Il Dizionario Bibliografico del Giallo, di Pirani Bibliografica Editrice, strumento indispensabile all’appassionato e più ancora al collezionista. Io ho potuto consultare il volume intitolato “Collane e Periodici Gialli in Italia (1895-1999)”: a pag. 357 sono riportate le indicazioni che ho inserito.

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