Ma procurarsi “I Gialli del Veliero”
non è cosa agevole (e la cosa vale soprattutto per i Farjeon):
quindi è meritorio che Polillo l’abbia pubblicato con altra traduzione;
resterebbe da vedere, a mio modo di vedere, opinabile ovviamente e
soggettivo, quanto meritorio possa essere. Perché ? E’ presto detto.
Innanzitutto, di Farjeon, Polillo ha già pubblicato tempo fa un bel romanzo, “Sotto la neve” (Mystery in White, 1937) e
niente poteva far presagire che ne pubblicasse un altro; tanto più che
la collana parrebbe avere un suo fine: quello cioè di offrire uno
spaccato della letteratura poliziesca di marca anglosassone (l’assenza
di titoli francesi dimostra quest’asserto) presentando un romanzo per
volta che secondo l’editore sia rappresentativo dell’autore che lo abbia
scritto. Ora, francamente, non è che Farjeon possa dirsi un autore
capitale per la letteratura gialla: capitali sono John Dickson Carr,
Ellery Queen e Agatha Christie (a proposito avete notato che non c'è
nessun romanzo di entrambi nella collana? Eppure di testi da ritradurre
ce ne sarebbero parecchi..); importantissimi possono essere
Chesterton,Van Dine e Rex Stout (un altro autore grandissimo ignorato);
importanti Daly King, Rufus King, Edmund Crispin; importanti possono essere Anthony
Berkeley, Monsignor Knox, Norman Berrow, e tanti altri.
Ora, se è meritorio che Polillo abbia pubblicato
cose assolutamente poco conosciute in Italia, è altrettanto necessario
che si dica che tanti ancora aspettano il loro turno, autori del calibro
di Virgil Markham , Clifford Orr, Alan Thomas, Derek Smith e Clayton
Rawson (questi due già pubblicati ma non integralmente), Clason,
Tillett, Norman Berrow, Max Afford, Crofts, James Ronald, David Duncan, James Ronald, Theodore Roscoe, T. H. White e altri ancora.
“La casa dei
sette cadaveri” è del 1939: leggendolo e analizzandone la struttura
della trama, è come se facesse intendere che nel frattempo tutti gli
autori che avevano innovato il genere del Giallo Classico (almeno i
Christie, Queen, Van Dine, Carr, Rufus e Daly King, Stout, Marsh,
MacDonald, Innes) non fossero mai esistiti.
Il discorso sulla collana
potrebbe ovviamente essere ampliato: chi, come me, ne possiede parecchi,
avrà notato che ogni tanto esce un secondo romanzo di un certo autore.
Già questo in teoria potrebbe essere visto come un deviare dalla rotta,
perchè nel momento in cui viene pubblicato un secondo viene spontaneo
chiedersi perchè allora non lo si faccia con altri, tanto più che fin
quando di Carr ne uscissero due, nessuno direbbe nulla, ma che escano
due Farjeon o addirittura due Fletcher, insomma..fa pensare. Poi ci sono
stati 2 Rhode, 2 Berkeley e 2 Reilly: io, per conto mio, pur amando la
Reilly (posseggo quasi tutti i romanzi usciti in Italia ), avrei
preferito che ad una sua seconda uscita fosse uscito qualcos’altro, per
es. Whistle Up The Devil tradotto da Casini negli anni ’50 con
“Un fischio al Diavolo” e tagliato di almeno il 50%, che ho letto
recentemente e che è un’autentica bellezza; stessa cosa per Rhode.
Berkeley invece lo si può mesttere sullo stesso piano di Carr, essendo
un grandissimo autore, per cui..alla fine non si dice nulla e si plaude
all’iniziativa. Tutto questo per dire che, nonostante le finalità della
collana, ci siano delle uscite che sfuggono ad esse, conformandosi alle
scelte dell’editore, che non è dato conoscere (ma ci piacerebbe sapere
perchè di alcuni autori due titoli e di altri nessuno).
Il romanzo comincia con un fuoco
d’artificio che lascerebbe presagire un romanzo scoppiettante : a
Benwick, un ladruncolo tenta di fare un colpo in una casa e vi trova, in
una stanza chiusa ermeticamente dall’esterno (non è una Camera Chiusa)
sette cadaveri: sei di uomini ed uno di donna.
Nella stanza niente di
particolare tranne le imposte delel finestre inchiodate e la cappa del
camino ostruita da dei vecchio giornali in modo da impedire il
tiraggiodell’aria, ed una vecchia palla da cricket sopra la mensola del
camino; e anche un misterioso biglietto con una scritta in codice
dietro. In più un ritratto di bambina trapassato da un proiettile.
Ora, il lettore si aspettetrebbe
una indagine serrata, almeno un esame autoptico che rivelasse la causa
della strage: eppure non c’è nulla. Anzi, di palo in frasca, l’indagine
si trasferisce abbastanza inusualmente in Francia, a Boulogne, laddove
il proprietario della casa e sua nipote (i Fenner) sono riparati il
giorno stesso della strage: sarebbe quindi lecito supporre che
potessrero c’entrarvi qualcosa, tanto più che in una stanza sopra, nella
casa della strage, son stati ritrovati un paio di scarpe al centro del
pavimento ed un abito lasciato cadere per terra sul tappeto, segno di
una partenza improvvisa.in E sarebbe lecito che la polizia diramasse un
allarme all’Interpol o comunque attraverso canali diplomatici si ponesse
in contatto con la polizia francese per fermare i due; eppure..nulla.
E’ un giornalista capitato in quei paraggi, tale Hazeldean, a condurre l’indagine che sarebbe dovuta spettare ad un poliziotto e recarsi a Boulogne.
E già in questo c’è un certo
sentore di improbabilità. Ma se poi si aggiunge a questo che il
giornalista trovi nella Pensione di Madame Paula a Boulogne sia Fenner
che la nipote, sulla base di una cartolina vista sulla mensola del
camino della loro abitazione vicino alla palla da cricket, e che sin
dall’inizio del suo arrivo, senza sapere nulla, consideri la ragazza
assolutamente all’oscuro di quanto successo, e abbia timore persino a
rivelarle la strage accaduta in casa sua, beh allora a questo punto la
cosa ci fa ridere: Farjeon è datato, ma datato alla grande! Per lui le
donne sono sante, incapaci di commettere un delitto, e addirittura
talmente fragili da poter risentire della rivelazione di un delitto. E
quindi non sono sospettabili: ma aveva mai letto Farjeon Agatha
Christie, per esempio?
Insomma, se il delitto lasciava
presagire un’indagine serrata, questa non c’è; c’è invece l’indagine di
questo poliziotto imprestato e dilettante, che neanche per conto della
polizia compie le proprie indagini, sì da costringere l’ispettore
Kendall a mettergli alle costole un proprio uomo, indagine che porta a
rivelare nella pensione un sottobosco di sotterfugi, reticenze, omertà,
da parte di personaggi malavitosi e criminali, che meglio sarebbe stato
collocato in romanzi d’appendice dei primi del ‘900, Mi vien quasi da
dire che, si dimostrano meno convenzionali al confronto le storie del
Arsene Lupin di Maurice Leblanc, laddove le donne possono anche essere
puttane e non per forza sante.
Ma al di là della
convenzionalità, il discorso va avanti in un labirinto di supposizioni
(da cui si desume solo che il padrone di casa, il marito di Madame
Paula, sia morto in circostanze sospette; che un tale Pierre, sia un
fetente oltre che lestofante; che una cameriera, tale Marie, sia una
poveraccia impaurita da Pierre; che Madame Paula, innamorata di Fenner, non
voglia avere in casa un estraneo impiccione e cerchi di allontanarlo. E
intanto c’è un altrettanto improbabile venditore ambulante di sete che
spunta da ogni parte (si saprà essere un poliziotto). Tutto in cento
pagine, da pag. 54 a 154; pagine che, senza fare un torto a chi si batte
per le traduzioni integrali, si sarebbero potuto ridurre pesantemente
senza che se ne sentisse la necessità materiale. Tanto più che quando
creava il dialogo tra Hazeldean e la cameriera (Marie), Farjeon sentiva
anche la necessità di impostare i dialoghi in francese: ora, dico io, in
quel tempo, il francese era la lingua studiata nelle scuole di un certo
grado così come lo è ora l’inglese, e quindi, mettere dei dialoghi in
francese non era così strano, tanto più che I Romanzi Gialli erano,
all’epoca, rivolti non certo alle classi popolari ma almeno alla piccola
borghesia: ora, invece, che in Italia pochi conoscono il francese
rispetto alla totalità che impara l’inglese, mettere dei dialoghi in
francese in una traduzione italiana, mi è sembrata un’operazione un po’
retro, tanto più che ci si sarebbe dovuti mettere nei panni di coloro
che il francese non lo praticano (io grazie a Dio lo conosco e riesco a
leggere, con fatica, dei romanzi gialli in quella lingua; ma..chi invece
non lo conosce? Ho cominciato a leggere un Vindry di Gallimard, degli
anni trenta, La Fuite des morts, che non so quando finirò..) invece che in quei pochi che lo conoscono
Ohibò, dopo cento pagine di
dialoghi melensi e talora inutili, ecco che rispunta Kendall ( e
l’azione si risposta a Benwick) e investigando con il suo sergente,
arriva a delle conclusioni sorprendenti: l’assassino (Fenner
probabilmente) è scappato, prima con una bicicletta, poi con un aereo ( e
questo si può capire dagli indizi); come possa invece individuare il
mezzo che sia servito ai sette per raggiungere la casa, e attribuirlo ad
una barca che stanno rimorchiando lì per lì davanti ai suoi occhi, è
tutto un dire: se li immagina tutti e sette in quella barca, e allora si
fissa che è quello il mezzo (che poi davvero si scoprirà esserlo)
utilizzato : arriva ad una conclusione in base non ad un ragionamento ma
sulla base di una intuizione, vorremmo dire quasi una precognizione.
E solo ora si scopre la causa
della morte: gas. Kendall trova una stanza sotterranea, un laboratorio,
forse un ex bunker nel giardino intorno alla casa, e due gatti, morti
non per causa naturale, e qualcosa lasciato lì tra cui un vecchio tubo
di gomma che sembra (e lo confronterà dopo con successo) adattarsi
benissimo alla serratura della stanza chiusa in cui son stati trovati i
corpi. Kendall ricostruisce anche le sequenze drammatiche e e spiega
come il quadro sia stato trapassato da una pallottola. A questo punto si
sente finalmente (era ora!) il bisogno di rintracciare i Fenner, zio e
nipote: E così Kendall va in Francia. Insomma, a dirla tutta, Farjeon
non dice subito la causa della morte, perchè così, “può allungare il
brodo”.
Nella pensione famosa trovano il
venditore di sete, ucciso anche lui, la nipote di Fenner, rinchiusa in
una stanza, il giornalista precedentemente tramortito, la cameriera
scomparsa assieme a Fenner, e Pierre che viene arrestato.
Qui l’azione si ferma. E
riprende presumibilmente dopo del tempo quando Kendall fa il punto delle
indagini: questa è un’altra cosa curiosa. Normalmente in un romanzo
giallo all’arresto di Pierre sarebbe seguita tutta l’indagine relativa a
ottenere informazioni e vagliarle, ricostruire la vicenda: Farjeon non
ne sente la necessità, e la glissa. E quindi fa raccontare a Kendall
tutto quello che si sia scoperto nel corso delle settimane trascorse:
Fenner ha ucciso il marito di Madame Paula, innamorata di lui e che
odiava il marito; questi lo ricattava da tempo; Fenner aveva impiegato
la dote della nipote per finanziare gli studi sul gas da lui scoperto e
per pagare il ricattatore; Pierre aveva ucciso il venditore di sete, e
poi tentato di far sparire Marie che invece era stata salvata dai
poliziotti. Tutto si ricollegava ad un naufragio: Fenner era stato
trovato in mare aggrappato ad una zattera e salvato da altra nave,
laddove si trovavano il futuro marito di Madame Paula, il dottor Jones
(medico di bordo) e Pierre che era uno steward. E da qui era cominciato
tutto. Ma non spiegava i sette cadaveri. Kendall analizzza allora lo
strano biglietto col codice e ipotizza potersi trattare della latitudine
e longitudine di un posto, che vien trovato a sud dell’Oceano
Atlantico.
Il procedimento del racconto, la
spiegazione di quello che è accaduto prima, ci rivela come Farjeon
fosse un autore della vecchia scuola, quella che aveva preso le mosse da
Sherlock Holmes: in La Valle della Paura, c’è un procedimento analogo.
Vagliando i dati di latitudine e longitudine, Kendall
individua una piccola isola dell’Atlantico del Sud : che sia sulla
buona strada, lo afferma il fatto che anche il naufragio di cui era
stato vittima Fenner era avvenuto da quelle parti. E così l’ispettore,
il giornalista, la nipote di Fenner ed altra gente trovano le prove che
dei naufraghi siano approdati e siano vissuti lì. Trovano addirittura il
diario di uno di loro e ricostruiscono la vicenda di quell naufragio
che è alla base del tutto.
Non diciamo come vada a finire.
Solo che il finale si legge bene, e ha dei ribaltamenti che portano un
po’ di suspence nel romanzo, che altrimenti sarebbe, a mio parere,
prevedibile.
Tutto sommato un romanzo
carino,appesantito da troppe pagine ( superflui mi parrebbero parecchi
dialoghi), non certo un capolavoro, paragonato a “La belva deve morire”
di Nicholas Blake o a “La rossa mano destra” di Joel T. Rogers, oppure
anche a “La morte cammina per Eastrepps” di Francis Beeding; ma con dei
ribaltamenti finali, che alleggeriscono il tutto e consentono di finire
il romanzo con una rivelazione finale che cambia le carte in tavola, ed un finale tragico (ma solo per l’assassino), molto molto cinematografico.
Pietro De Palma
[1] Può verificare la giustezza delle mie affermazioni, chi consulti Il Dizionario Bibliografico del Giallo,
di Pirani Bibliografica Editrice, strumento indispensabile
all’appassionato e più ancora al collezionista. Io ho potuto consultare
il volume intitolato “Collane e Periodici Gialli in Italia (1895-1999)”:
a pag. 357 sono riportate le indicazioni che ho inserito.
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