domenica 27 ottobre 2024

Ellery Queen : L’ultima donna nella sua vita (The Last Woman in His Life, 1970) – trad. Claudio Lo Monaco – I Classici del Giallo Mondadori N° 507 del 1986

 


 

 

L’ultima donna nella sua vita (The Last Woman in His Life) è il penultimo romanzo della ditta Ellery Queen, formata dai due cugini Frederic Dannay  e Manfred Bennington Lee, tanto uniti che si solevano chiamare anche Danny e Manny.

Venne pubblicato nel 1970 e, contrariamente a quanto era accaduto con la serie inaugurata nel 1961 con L’eredità che scotta (Dead Man’s Tale) – che aveva visto l’uscita di scena di Dannay e la realizzazione di una serie di romanzi, ognuno scritto da un autore diverso che però non compariva col proprio nome (ma diversi autori firmarono più romanzi) ma con lo pseudonimo Ellery Queen, in quanto alla fine, prima della pubblicazione, il romanzo veniva sottoposto a Manfred Lee che lo leggeva, lo cambiava laddove ne ravvisava la necessità ed infine, approvando, dava il via alla pubblicazione  – il testo venne approntato da entrambi i cugini. Del resto il sodalizio si era riformato già precedentemente, tre anni prima, con il romanzo Face to Face, pubblicato in Italia col titolo Ellery Queen e la parola chiave, romanzo che aveva ottenuto entusiastici giudizi sia da critici che da colleghi, primo fra tutti John Dickson Carr.

Prima ancora, Ellery Queen era ritornato a far parlare di sé arrivando finalista all’Edgar nel 1964, con un romanzo pubblicato l’anno prima, Bentornato, Ellery (The Player on The Other Side, 1963). Tuttavia questo romanzo, se aveva spezzato il periodo di inattività della coppia di cugini, iniziato 5 anni prima con quella che sarebbe dovuto essere l’ultimo loro romanzo, Colpo di Grazia (The Finishing Stroke, 1958), come altri romanzi, aveva seguito la falsa riga di un romanzo approntato da un autore estraneo, però che questa volta aveva imbastito il romanzo non su una propria trama originale, ma seguendo una traccia di Dannay di circa settanta pagine.

Così, prima Face to Face e dopo The Last Woman in His Life, riportarono la coppia a scrivere un romanzo assieme. Ho parlato di Face to Face, perché dove questo finisce, comincia il successivo: nello stesso luogo, nello stesso giorno, Ellery e suo padre Richard Queen stanno in aeroporto: alla fine di Face to Face accompagnavano l’amico di Ellery, Burke, ad imbarcarsi su un aereo diretto in Scozia; all’inizio di The Last Woman in His Life, nello stesso luogo, nello stesso giorno, alla stessa ora, Ellery vede poco lontano due uomini che conosce: uno è il miliardario John Levering Benedict III, chiamato anche Johnny-B, uno degli uomini più ricchi d’America; l’altro è Al Marsh, suo avvocato, e anche lui molto abbiente per origini familiari. La differenza tra i due: ad uno il lavoro non importa (Benedict), per l’altro è un modo di svagarsi (Marsh).

Parlando con loro, a Ellery che avrebbe bisogno di una vacanza, in quanto il precedente caso lo ha svuotato di energie, Benedict offre la permanenza in una sua casa tra i boschi, vicino ad un torrente pieno zeppo di pesci, desiderosi di essere pescati. Così accettano. Comincia la vacanza, ma un bel giorno si presenta Benedict tutto accigliato e chiede a padre e figlio di fargli un favore che i due non sanno rifiutare:  far da testimoni e apporre le loro firme in calce ad una copia di testamento di Benedict, che dovrebbe stravolgere se non annullare del tutto il precedente, per il quale ognuna delle tre ex-mogli di Benedict, qualora non si fossero risposate, in caso di morte del miliardario, avrebbero ereditato un milione di dollari ciascuna. Ora invece, Benedict, vorrebbe cambiare le sue disposizioni testamentarie, lasciando sì 4000 dollari al mese alle tre ex-mogli e riducendo, in caso di morte, il premio finale del 90%, portandolo a 100.000 dollari.

Le tre mogli stanno per ritornare, tutte e tre: anche se la decisione è già presa, le tre cercheranno di far leva sulle loro grazie per portare Benedict dallo loro parte.

Arrivate a destinazione, Ellery fà conoscenza separata delle tre in quanto accade una cosa strana: qualcuno ruba un indumento a ciascuna di loro: ad Audrey Weston scompare l’abito da sera, a Marzia Kemp una parrucca verde, ad Alice Tierney dei lunghi guanti bianchi. Per quale ragione qualcuno dovrebbe rubare un indumento?

Ellery comincia a sentire puzza di bruciato.  Così, se il padre vuole andare in paese (è Wrightsville, la cittadina dover si svolge il dramma, che già altre volte è stata teatro di avventure di Ellery) a vedere un film erotico (Ellery commenta sul risveglio della libido nel vecchietto),Ellery invece rumina sulla sparizione dei tre indumenti, e perciò prende la decisione di ritornare alla casa padronale di Benedict ad Inver Lodge (loro due alloggiano in una casetta appartata), dove assiste ad una scenata tra Benedict e le tre ex-mogli, presente Al Marsh.

Qualche ora dopo, mentre dorme, Ellery è svegliato da uno squillo prolungato di telefono: all’altro capo è Benedict che con voce ansimante dichiara di essere stato ucciso e fornisce un indizio: Inver. Per quale ragione vuol ribadire di stare ad Inver Lodge? Fatto sta che padre e figlio andati sul posto lo trovano ormai morto, col cranio sfondato da un pesante soprammobile a forma di tre scimmiette di cui una non sente, una non parla e la terza non vede.

Altro fatto sconcertante: nella stessa stanza trovano per terra gli indumenti rubati precedentemente. Per quale ragione qualcuno vuole addossare la colpa sulle tre donne? Oppure è stata una di loro a mettere anche il suo indumento per coprire sé stessa davanti alle altre? E per quale motivo? Oppure tutte e tre hanno agito contro il miliardario a difesa dei propri interessi?

Un ulteriore fatto sconcertante avviene alla lettura del  testamento, affidato precedentemente ad Al Marsh: nessuna delle clausole precedentemente affrontate verbalmente da Benedict con le sue ex-mogli viene citata, ma solo che nel caso Bendict fosse morto senza essersi ancora sposato con Laura, tutto sarebbe andato alla cugina Leslie: chi è Laura, l’ultima donna nella vita di Benedict?

Fatto sta che ad ereditare tutto pare sia la cugina Leslie che, da povera in canna (la madre era stata diseredata dalla famiglia), si ritrova stra-arci-ultra milardaria. Possibile che sia stata lei? Alibi di ferro.

Si ricomincia daccapo ed Ellery è sempre più sconsolato perché non vede la luce, finchè avvengono dei fatti che alla fine accenderanno la fatidica lampadina: si scopre che Marzia non è affatto vedova, ma si è sposata tempo prima con un piccolo delinquente. Dopo che i due sono apparsi davanti alle autorità, accade che proprio Bernie Faulks, il marito di Marzia Kemp, viene ucciso: il sospetto è che abbia voluto ricattare qualcuno: chi se non l’assassino?

Sempre più buio pesto per Ellery. Il quale accusa un ultimo colpo di scena a cui non poteva essere preparato: contrariamente a quanto si sarebbe mai aspettato, a pochi giorni dalla morte di Faulks, Marzia Kemp si risposa. E con chi? Con Al Marsh, l’avvocato di Benedict. Possibile che Marsh celi qualcosa? Qualche affare poco chiaro, un’appropriazione indebita, qualcosa insomma che sia stato all’origine del delitto? Nemmeno su Marsh hanno trovato nulla: è ricco, spaventosamente ricco, e la sua situazione finanziaria è ottima.

Ma è proprio durante il matrimonio tra Al e Marzia che scocca la scintilla, che si accende la famosa lampadina: un attimo, la situazione vista da un’altra prospettiva e…la verità esplode nella testa di Ellery.

Riuscirà ad inchiodare l’omicida, a dare una spiegazione del perché gli indumenti fossero stati rubati, spiegando al contempo perché il Messaggio del Morente facesse riferimento ad Inver (Lodge). Tuttavia non consegnerà l’omicida alla polizia, perchè questo avrà l’opportunità di avvelenarsi col cianuro.

Straordinario romanzo della coppia di cugini, The Last Woman in His Life, ha ancora una volta una soluzione che spiazza con la sua logica inoppugnabile e con la sua capacità di penetrazione psicologica che rimette a posto le carte sparpagliate, spiegando il tutto con quella che parrebbe una spiegazione impossibile. A sorprendere è soprattutto il ragionamento che è alla base del “Dying Message”: per quale motivo, nel momento in cui stava per morire, Benedict non ha rivelato direttamente il nome dell’omicida, ma ha dato un indizio criptico, affidandosi su una capacità unica, quella di Ellery Queen, di riuscire a capire quello che è incapibile da parte di altri? Perché poteva, per varie ragioni, essere inteso diversamente, finendo per accusare persone che erano invece innocenti. Ma, una volta capita la natura dell’indizio, Ellery con un ragionamento che è puramente deduttivo, riesce prima a ritrovare la famosa Laura, e poi a trovare le prove che inchiodano l’omicida: un abito, che Ellery aveva visto indosso alla vittima durante la sua spiata fuori della casa, la notte dell’assassinio, e che poi, al sopralluogo della polizia non era stato ritrovato, particolare che Ellery aveva messo a fuoco solo prima di aver compreso la verità, e del perché l’omicida avesse ucciso Benedict.

Il romanzo è legato al precedente, e ad altri due, da vari fattori che si affacciano prepotentemente nell’ultima fase della stagione creativa dei due cugini, e che ineriscono alla sfera della sessualità. Del resto questi sono gli anni della Beat-generation, dei figli dei fiori, della scoperta della sessualità manifestata soprattutto con libri e films, con l’apparizione roboante della pornografia cinematografica. Già in uno degli ultimi cosiddetti apocrifi queeniani (che poi non lo erano perché venivano rivisti da Lee, che era uno dei Queen) il tema della sessualità e della pornografia era stato affrontato direttamente: infatti Ed Hoch (uno degli ultimi grandi maestri della Camera Chiusa) aveva firmato The Blue Movie Murders. Evidentemente vi erano delle ragioni perché i due Queen trattassero di sesso negli ultimi quattro romanzi: essi sono intimamente connessi, anche da particolari di natura crittografica. Del resto una accentuazione dei temi sessuali nei loro romanzi, era una cosa nuova, visto che mai precedentemente, se non nei casi da me ricordati, e quantomai nella prima produzione degli anni ’30, era mai stato fatto accenno a situazioni che anche lontanamente potessero raccordarsi con la sessualità.

Non vado oltre, accennando ad altre ipotesi che a me sembrano sensatissime, perché parlandone, svelerei anticipatamente l’identità degli assassini degli altri tre romanzi, con cui questo di oggi, forma una ideale tetralogia.

Ne parlerò a trattazione avvenuta di tutti e quattro.

Dico solo che l’omicida è una persona a tutto tondo, una vittima in sostanza, uno dei pochi colpevoli che forse Ellery non avrebbe voluto mai acciuffare, a cui chiede persino per quale ragione non si sia disfatto dell’abito color nocciola che mancava tra i capi di abbigliamento presenti nello spogliatoio della vittima, perchè così a lui sarebbe mancata la prova decisiva (il sangue della vittima sulla stoffa) per incriminarlo.

Pietro De Palma

venerdì 25 ottobre 2024

Ellery Queen : Ellery Queen e il mistero dell’attico (The Penthouse Mystery, 1941) – trad. A.M. Francavilla – Il Giallo Mondadori N°1817 del 2000

 

 

 

Parecchi autori di mystery, durante la guerra, confezionarono prodotti che utilizzavano sia gli scenari di guerra che il sottobosco spionistico per fare breccia nel pubblico e inserirsi in un contesto che era generale: quello della lotta al nemico. Così, come Carter Dickson giocò la carta del delitto impossibile in uno scenario di guerra (Murder in the Submarine Zone,1940) così altri scrittori giocarono la carta dello spionaggio: per es. Helen McCloy (Panic, 1944), Agatha Christie (N or M?, 1941). E’ il caso anche di The Penthouse Mystery, 1941 di Ellery Queen.

Gordon Cobb, famoso ventriloquo americano trapiantato in Cina e divenuto amico delle più importanti personalità cinesi del tempo, deve tornare in patria: con l’occasione, porterà una preziosa collana di giada rosa in regalo alla figlia Sheila. Durante il viaggio di ritorno, nel transatlantico Manciuria, conosce dei personaggi curiosi: la bella Otero, una esule apolide e il conte Simon Brett (che non gli riesce comunque molto simpatico), che vengono ad abitare come fa lui, all’ Hotel Hollingsworth, uno dei più lussuosi di New York, al piano attico: compagni di viaggio, finiscono per diventare anche compagni di piano. Fatto sta, comunque, che il Ventriloquo, conosciuto in Asia con il suo nome d’arte, VENTRO, dopo aver dato al facchino degli abiti da lavare, scompare misteriosamente. La figlia Sheila, preoccupata, si confida la sua amica Nikki Porter, segretaria e dattilografa di Ellery Queen, che cerca di coinvolgere il suo datore di lavoro in tale caso. Inizialmente Ellery non ha alcuna intenzione di cimentarvisi, ma poi l’aggressione di Sheila ed il tentativo di rubargli al borsetta, proprio nel suo studio, convincono Ellery a vedere più in fondo alla cosa. Entrato nell’attico, trovano tutto a posto; per di più un fattorino, in presenza loro, consegna gli abiti che Cobb aveva richiesto che fossero lavati e stirati. Solo una cosa è fuori posto: il grosso baule, in cui erano contenuti tutti gli abiti, le scarpe ed il vestiario e gli effetti personali di Cobb. Un altro facchino si presenta, per ritirare il baule: lo stesso Cobb ha richiesto che venisse inviato per corrispondenza a Chicago, almeno così pare. Ellery si insospettisce quando il facchino fa fatica a sollevare il baule, che dovrebbe essere vuoto. Liquidatolo con una scusa, lo apre e da esso rotola sul pavimento il cadavere di Cobb, morto da due giorni: è stato strangolato. Inoltre, presenta uno strano graffio, che coincide con quello che ha procurato l’aggressore ignoto a Sheila durante l’aggressione nello studio di Ellery. Questi pertanto si convince che autore dei due gesti è la stessa persona.

Chiamati in causa l’Ispettore Queen, della Omicidi di New York, e i suoi fidi assistenti, primo fra tutti il sergente Velie, cominciano gli interrogatori. Emergono subito delle discrepanze e comportamenti sospetti dei due vicini, tanto che Ellery decide di sorvegliarli: il primo, il Conte Brett, viene sorpreso nell’atto di introdursi nell’appartamento di Cobb, l’altra per il suo atteggiamento ambiguo induce Ellery ad introdursi furtivamente nel suo appartamento e scoprire nella sua valigia un intero kit per lo scassinamento di serrature.

Altri personaggi si muovono nell’ombra.

Innanzitutto il fattorino che ha consegnato gli abiti, che insospettisce Ellery per via del suo portamento. Investigato su di lui, ecco che si viene a sapere che è in realtà un giornalista che sotto falso nome si è imbarcato sul Manciuria e poi con una lettera di raccomandazione di un tale del transatlantico, è stato assunto, proprio in concomitanza con l’arrivo di Cobb. Tale Sanders, rivela una serie di circostanze molto interessanti, da cui si apprende che Cobb, con il ritorno in patria, avrebbe portato con sé, non si sa in cosa, una certa quantità di antichi e preziosissimi monili delle più ricche famiglie nobili cinesi, del valore di svariati milioni di dollari, allo scopo, d’accordo con i poteri più forti della Cina, di comprare medicinali e vettovaglie da inviare alle popolazioni in difficoltà, sotto occupazione dei Giapponesi. Tuttavia, lo stesso fattorino ha un atteggiamento ambiguo tale da ipotizzare che al di là delle notizie per uno scoop, egli insegua altri fini, tra cui magari impadronirsi dei gioielli.

Poi la bella Otero, che si finisce per capire che lavori al soldo dello spionaggio giapponese, desideroso di sventare il piano di aiuti alle popolazione da parte dei ribelli.

Ancora c’è il Conte Brett, che, sorpreso a pedinare Sheila, finisce per essere pedinato a sua volta da Ellery, che scopre come sia al centro di una organizzazione, dedita al raggiro di ingenui “polli” mediante l’organizzazione di partite truccate di poker, e anche al furto. Il suo capo è un certo Mister Smith, e agisce assieme ad un tale Ritter, che in realtà è un vecchio illusionista, tale Corri.

Infine c’è Walsh, l’agente di Cobb, che afferma di aver saputo dell’arrivo di Cobb il giorno stesso dell’arrivo di quegli a New York, mentre in seguito si viene  a scoprire che l’aveva saputo ben due giorni prima. E quindi, meglio di altri, avrebbe potuto approfittare dell’ evenienza ed impadronirsi dei gioielli.

Tuttavia tutti dimostrano coi loro atteggiamenti, che i famosi gioielli non sono stati ancora trovati.

Ellery riuscirà a ritrovarli nascosti nell’unica cosa che mancava nell’appartamento che egli ha cercato da quel momento, cioè il fantoccio usato per lo spettacolo di Cobb. E a inchiodare un astuto assassino, non prima che abbia ucciso Ritter e abbia lasciato nuovamente la sua firma: un graffio. Determinanti come prova, saranno le carte che venivano segnate durante le partite coi “polli”.

Novella parecchio movimentata, in realtà, più che romanzo, si tratta di una novelization, approntata dai due cugini, come pubblicazione della sceneggiatura originale, da loro scritta, per il film Ellery Queen’s Penthouse Mystery, sempre del 1941.

 

Abbiamo quindi un primo punto fermo: non è un romanzo. E questo ha  la sua importanza perchè l’uso ed il fine per cui la sceneggiatura originale fu scritta, influì certamente sul prodotto finale. In un film, era necessario che si mettessero in rilievo dei fattori che nel romanzo giallo classico possono anche non esserci:

innanzitutto un chè di movimentato, che nel film avrebbe evitato che l’azione troppo statica annoiasse lo spettatore, ed in realtà di azione qui ce n’è parecchia; anche troppa, rispetto ad un romanzo queeniano. Già ciò dimostra quanto questo prodotto fosse diverso da un romanzo tipico dei due cugini, in cui l’unica azione costante è quella delle cellule cerebrali di Ellery sempre in movimento (tranne casi sporadici: mi vien da pensare per es. a The Egyptian Cross Mystery, ma solo perché i tre fratelli Van abitano in tre diversi posti e quindi Ellery deve materialmente spostarsi da uno all’altro);

poi la mancanza di un problema cervellotico, che era il marchio di fabbrica della ditta Queen, che avrebbe potuto appesantire l’azione filmica, e la proposizione di un tema che avvincesse lo spettatore medio, con un a trama anche in un certo senso attuale rispetto al tempo in cui il film venne proiettato: il film è del 1941, marzo del 1941, e già nove mesi prima dell’attacco a Pearl Harbor, “il pericolo giallo” era attualissimo nelle cronache americane, tanto più che il Giappone aveva invaso la Cina nel 1937 e la Manciuria già nel 1931. Ecco allora, che nel film venne inserito un plot secondario che si incentrava su presunte manovre da parte dello spionaggio giapponese al fine di impedire rifornimenti di viveri e medicinali in Cina: una serie di circostanze avventurose che ben si confacevano ad un film;

infine, l’elemento romantico, diciamo rosa, che sarebbe potuto piacere ad un pubblico anche femminile rappresentato dalla figura di Nikki Porter, personaggio molto conosciuto al pubblico soprattutto della radio, per i numerosi gialli radiofonici in cui era presente, che accompagna una figura di Ellery Queen che se non è caricaturale, comunque viene notevolmente ridimensionata rispetto a quella che conosciamo e che  emerge soprattutto dai primi dieci romanzi della produzione queeniana.

A questo proposito, ricordiamo come questa novelization fà pendant assieme a The Door Between, proprio per la proposizione del personaggio di Nikki Porter, che non si troverà più nei romanzi; e ci dà il modo di osservare come il personaggio di Ellery Queen non si sia  mantenuto inalterato nel tempo, come accadrà a quello di Merrivale o di Fell o di Poirot (tranne ovviamente l’invecchiamento di quest’ultimo), ma invece sia cambiato  sostanzialmente: mentre infatti nei primissimi romanzi, Ellery viene tratteggiato come un clone di Philo Vance (in possesso di una cultura enciclopedica) e si afferma come essi siano rievocazioni di fatti lontani, giacchè Ellery è sposato e padre di un bambino e vive in Italia, successivamente l’uomo che era sposato e già padre, perde figlio e moglie e diventa impenitente scapolone, celibe (non separato), nel corso della grande messe dei dieci romanzi iniziali, almeno intorno al 1936; poi a partire dal 1937, si assiste ad una sempre più marcata trasformazione di Ellery, che perde i connotati che ne avevano fatto il campione del romanzo puzzle super-deduttivo degli anni ’30, trasformandosi in un personaggio più simpatico e dimesso, in certo senso anche gigione, che ha rapporti con le donne meno misogini di quanto non apparisse precedentemente: insomma, in questo secondo periodo, si strizza l’occhio al pubblico femminile e quindi si confezionano storie che abbiano meno marcati caratteri tipicamente maschili (l’enigma super-deduttivo) e più espliciti femminili, aprendosi per di più ad ambienti connessi con l’industria cinematografica (i romanzi della serie di Hollywood); infine si abbandona questo tratto queeniano (che peraltro non aveva avuto il successo che si ipotizzava) e si arriva alla terza fase, quella caratterizzata da romanzi basati su elementi esplicitamente psicologici. L’unico carattere che si manifesta comune ai tre momenti non è tanto la figura di Ellery quanto quella del padre, che è come se facesse da collante alle tre fasi.

Nonostante vi siano degli sprazzi, neanche il plot, in questa novelization, si manifesta del tutto riuscito: non solo perché l’azione investigativa (con pedinamenti, inseguimenti, penetrazioni in appartamenti) sostituisce quasi del tutto l’azione deduttiva, ma anche perché, saputo l’assassino, si rimane un po’ con l’amaro in bocca, in quanto abituati, dai primi romanzi queeniani, a  super-assassini, con cui si ingaggiavano battaglie di logica, mentre qui l’assassino è un personaggio che sembra estraneo alla vicenda e che invece si apparenta tale solo nelle batture finali.

 

Pietro De Palma

martedì 22 ottobre 2024

Sua Maestà L’ENIGMA PURO: piccola storia dell’enigma come genere letterario (1^ Parte)

 

C’era una volta l’Enigma Puro.

Sin dai tempi di Sherlock Holmes, l’enigma è stato il centro del plot di tutti i romanzi polizieschi, da quelli della Golden Age sino ai meravigliosi romanzi degli anni ’30.

Passato attraverso le nebbie di inizio secolo, le avventure di Fantomas o di Arsene Lupin, l’enigma è stato il perno di tutta la narrativa di genere degli anni ’20. Se inizialmente le trame mettevano al centro dello svolgimento i disegni delittuosi di bande di malfattori, con la conquista dell’Alta Borghesia in quanto bacino privilegiato di lettura del poliziesco, la stessa qualità del Mystery si evolse, contemplando non più delitti nelle sordide stradine di Soho, ma nelle splendenti dimore di duchesse, diplomatici o banchieri.

Perché questo accadesse, perché il Mystery conquistasse un posto suo particolare, fu necessario innanzitutto che superasse il gap di essere considerato sottogenere letterario o che fosse confinato nella paraletteratura. Ciò accadde nel momento in cui il genere poliziesco cominciò ad essere avvertito come genere letterario, “come categoria letteraria specifica, come genere a sé”. Proprio il fatto che il poliziesco trattasse un’amplificazione letteraria di fatti di sangue, portò probabilmente alla convinzione che il poliziesco, come genere letterario, non fosse letteratura, ma cattiva letteratura. Ecco allora l’evoluzione del poliziesco e la sua trasformazione in romanzo-enigma.

Fu in Inghilterra che precipuamente questo indirizzo si affermò, considerando la detective novel come un esercizio letterario, che attraverso regole codificate, affermasse e valorizzasse il romanzo poliziesco. Il primo organismo che in certo senso si occupò di questo, legando i propri appartenenti a non violare il proprio codice, fu proprio il Detection Club, fondato nel 1928 da Berkeley. La codificazione venne poi stabilita e cristallizzata in più divieti, come nelle 20 Regole di S.S. Van Dine, nel Decalogo di Ronald Knox  o nelle regole di Dorothy Sayers.

 



 

 

Attraverso questi codici, venivano a crearsi delle piattaforme, delle piste preferenziali ed esclusive su cui marciavano solo quegli scrittori che avessero sottoscritto idealmente il contratto base: l’intrigo doveva essere inaccessibile alla soluzione perché a condurre il gioco, a stupire, doveva essere l’autore, e fatto imprescindibile perché il successo arridesse al romanzo era che la qualità dello stupore fosse di massimo grado possibile (cioè vi fosse ardimento,  fantasia, razionalità) ma mai imbroglio, cioè ancora se proprio vi fosse dovuta essere trasgressione, essa comunque sarebbe dovuta essere pur sempre sottoposta stata alla codificazione. Così, in questo modo, veniva creato un certo elenco di scrittori, da cui il lettore poteva aspettarsi di tutto, ma mai l’imbroglio e soprattutto, il rispetto alle regole a cui si attenevano tutti gli altri.

Perché anzi si potesse parlare di Mystery di un certo tipo qualitativo, era necessario che ogni accenno a malavita o altro fosse bandita, perchè il delitto non era più un fatto di sangue, una vendetta, un atto di protervia e di cieca brutalità, ma un parto delle menti più raffinate (e degenerate), una partita a scacchi, una sfida di strategia tra due menti supreme, l’assassino e il detective. I cadaveri furono privati del sangue, spesso puliti, non si accennava se non raramente a scene da Grand Guignol, i delitti erano asettici, perché il sangue, l’emozione, non doveva turbare il procedimento logico, il gioco, l’enigma.

La letteratura poliziesca del resto, seguiva (segue tuttora, ma solo in determinati casi) un procedimento unico in quanto spesso deve confrontarsi con la logica, che è una qualità non tanto di carattere umanistico ma matematico: potremmo dire che, attraverso l’enigma puro, il genere letterario poliziesco diventa la sintesi di due discipline opposte: le lettere e la matematica, lo spirito razionale e quello irrazionale, la fantasia (e la capacità di descrivere) e la logica. Per questo, “il delitto come una delle belle arti” come soleva dire De Quincey, diventa l’espressione massima dello spirito intellettuale dell’epoca: una sorta di divertissement delle menti più impegnate, pronte alla sfida di scrivere, ma al tempo stesso una sorta di confronto con un lettore molto più esigente, avvezzo oramai alle tecniche e conoscitore delle regole, che non si può imbrogliare con mezzucci vari, e con cui entrare in competizione, in singolar tenzone. Questo momento, che trova la propria collocazione negli anni ’30, rappresenta il trionfo dell’Enigma puro: ora, a confrontarsi sul terreno della logica, delle descrizioni, dell’astuzia e dell’ingegno, non sono più assassino e detective, mentre il lettore ne registra mentalmente lo scontro, ponendosi atarassicamente su una nuvola e guardando distaccato il tutto, ma lettore e detective: ecco allora la sfida intellettuale, la cosiddetta Challenge to Reader, la Sfida al lettore cui non ci si sottrae ,da Ellery Queen a Spriggs, da Berkeley a Philip MacDonald, etc..

 

Quando invece. Sia lettore che detective si trovano contrapposti al reo, ma innanzitutto contrapposti fra di loro.

Tutte le cose belle, però,  hanno un termine; e così anche il tempo dell’Enigma puro finì, nel mondo anglosassone, con un attacco non coordinato, ma deciso e definitivo ( o quasi) portato in America dagli scrittori Hard-Boiled e da alcuni autori operanti nell’ambito del Commonwealth, tra cui, soprattutto, Agatha Christie.

Seguace anche lei dell’Enigma Puro, già nel 1926, con The Murder of Roger Ackroyd, aveva sferrato un attacco non di poco conto, proprio lei che da sempre era stata appartenente al Detection Club. Tuttavia l’attacco definitivo, con cui venne data una spallata all’Enigma puro, fu dato da un affondo del genere psicologico che divenne totalizzante a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Si può dire che i due conflitti, a vario grado, segnarono la storia dell’Enigma Puro: con la fine del primo, esso nacque e si affermò sempre più; la fine del secondo, ne decretò la fine.

Nel mondo anglosassone di derivazione british, si può dire che la fine dell’Enigma venga a coincidere con la pubblicazione nel 1952, di Mrs McGinty’s dead ( “Fermate il boia”), di Agatha Christie, romanzo che và oltre la mera trasgressione, in quanto con esso vengono abbandonate le regole da oltre un ventennio seguite pedissequamente ( o quasi) e non essendoci più regole, non essendoci più un codice stabilito, il giallista può dare libero sfogo alla sua fantasia proponendo delle vie nuove: per esempio, vari omicidi non per forza attribuibili al medesimo assassino.

E’ bene dire però che se il romanzo della Christie rappresenta un paletto, anche in considerazione del nome della scrittrice (e della sua conseguente fama, per cui tutto ciò che lei scrive acquista maggiore diffusione di ciò che scrivono gli altri), altri prima di lei avevano tentato di sballare il codice di Van Dine (o di Knox o di Sayers), per esempio Christianna Brand.

L’Enigma Puro però, se in quanto vetta di un genere, finisce, rimane purtuttavia nell’opera di taluni scrittori, pochi, pochissimi in verità, che per condizioni geografiche o per fama, possono ancora aderirvi.

Quelli che continuano a praticarlo nel mondo anglosassone, sono coloro che hanno una tale fama, da fregarsene di quello che instaurano altri: ad esempio John Dickson Carr. E’ vero che la produzione carriana post bellica è inferiore sia per numero che qualitativamente (tranne alcune eccezioni) ma comunque non rinuncia ai suoi presupposti base, che si assommano nella sfida per eccellenza della logica, qual è quella che opera in un sottogenere caratteristico del Whodunnit, da lui assurto a genere a sé stante, quasi: i delitti in una Camera Chiusa. In quest’ambito, Carr applica alla Locked Room gli stessi presupposti ideologici che avevano attuato per un intero genere i suoi colleghi del Detection Club (a cui aderì anche lui in verità). Infatti, nel 1935, codifica tutti i tipi di Camera Chiusa e tutti i possibili mezzi per evaderne (che si tratti di uno spazio chiuso da quattro muri, o da spazi aperti ma per certi versi inaccessibili (spazi innevati, distese di sabbia, piscine, campi da tennis).

Poi vi sono quegli scrittori che, per condizione geografica, risentono meno dei cambiamenti del poliziesco: costoro sono gli scrittori francesi. La ragione del loro successo nei paesi francofoni?

Per aver testimoniato di saper scrivere e affascinare anche loro, per il fatto di ritenere di non dover per forza seguire il carro anglosassone, anche per una sorta di rivendicazione delle loro origini (il poliziesco era nato non solo con Sherlock Holmes ma anche con Monsieur Lecoq), per ritornare ad affermare una loro forza, in contrapposizione ai loro cugini inglesi (in certo modo la ruggine, dalla Guerra dei cent’anni, affiora sempre qua e là) che si era persa con l’inizio del primo conflitto mondiale, fino a quando gli scrittori francesi erano stati sulla breccia dell’onda: se vogliamo la grande stagione della Letteratura Gialla francese è quella con Lupin di Leblanc e Rouletabille di Leroux. Ma fin quando c’è il romanzo d’appendice e il Feuelliton, la Francia ammalia. Tutto finisce con la Prima Guerra Mondiale : son le guerre che sanciscono la fine dei filoni di Letteratura Gialla.
La Belle Epoque finisce e dalle ceneri nasce la pretesa che ci si distacchi dai soliti romanzi di avventura e fantasia.

 

 Coloro che ripetono le forme, come Gaston Boca (pubblicato in Italia, con l’italianizzazione fascista dei nomi stranieri, come Gastone Boc(c)a ), e i suoi amici Latzarus, Bernard, Destez, Groc etc., tutti dimenticati, sono sorpassati da chi inventa nuove soluzioni. Io penso che la sconfitta prematura del Giallo francese sia derivato dalla tendenza tutta francese ad adagiarsi su se stessa, una sorta di sciovinismo letterario, di chi crede di essere depositario della cultura : sugli allori di Leroux, Leblanc e Allain& Souvestre (Fantomas), hanno riposato gli altri, chi credeva di continuare in maniera estenuante a ripetere stilemi fritti e rifritti.

Il “Grand Guignol” nasce nella Francia di inizio secolo, e tutti gli scrittori di polizieschi, soprattutto i più lontani nel tempo, hanno utilizzato elementi del Grand Guignol: violenza, sangue, scene macabre. Quasi nessuno si è sottratto.

La tendenza ad una letteratura e a riferimenti macabri sono soprattutto presenti negli scrittori di inizio secolo : Georges Meirs (di cui ho svariate opere, le cui copertine sono illustrate da Crepax) è uno di quelli. Come autore non è nulla di speciale, in quanto ricalca gli stilemi di inizio secolo : il brillante poliziotto William Tarps ed il suo fido collaboratore l’avv. Pastor Lynham sono il suo Sherlock Holmes e il fido Watson, e in questo ripete quello che affermano molti altri scrittori. Devo dire che in alcuni vi sono Camere Chiuse, ma abbondano le situazioni orrorifiche e d’effetto – davanti alle quale oggi ci metteremmo a ridere – e i titoli le ricalcano :”L’ombra che uccide”, “Il Cadavere Assassino”, “La mano fantasma”, “Il segreto della mummia”, “La carta insanguinata”, etc… Per certi versi, i titoli di questi romanzi mi ricordano quelli del ciclo per ragazzi de “I 3 Investigatori”: un’altra influenza del romanzo francese su quello anglosassone?

Un bel giorno è avvenuto il sorpasso del filone all’inglese su quello francese. Hanno cominciato a dettare legge la Christie, la Sayers, Wallace, e poi gli americani Van Dine soprattutto, ma anche Biggers.  E così ilgiallo francese è divenuto vassallo di quello britannico e americano.

Con il successo di questo filone, vengono fondate importanti case editrici in Francia :“Le Masque” (1927) che presentò Agatha Christie, e l’ “Empreinte” (1929) che presentò Carr, Crofts, Wallace, Queen, Freeman, etc. Nello stesso anno de “La Collection de l’Empreinte” viene pubblicato il primo Giallo della Mondadori con Van Dine, “La strana morte del Signor Benson”.
Essendo un’enclave, quella francese, una sorta di valle solitaria (anche se come abbiamo detto parecchi autori francesi varcarono le Alpi per affermarsi altrove), essa, alla fine della seconda guerra mondiale, si sottrasse alle regole seguite altrove, nonostante alcuni degli autori francesi si fossero avviati sulla via tracciata dagli inglesi: seguendo vie nuove, oppure confrontandosi sullo stesso terreno e creando dei capolavori pari per sottigliezza a quelli anglosassoni.

Fine Prima Parte

 

PIETRO DE PALMA

lunedì 21 ottobre 2024

Kelley Roos : Sudario alla moda (If the Shroud Fits, 1941) – I Classici Del Giallo Mondadori N° 114 del 1971

 


 

 

Sudario alla moda (If the Shroud Fits, 1941) è dei romanzi di Kelley Roos, pubblicati da Mondadori, forse il più famoso. L’ultima volta fu pubblicato su I Classici del Giallo 114 del 1971, ma lo era stato già stato nel Giallo Mondadori. Si ambienta, come un famoso giallo di De Angelis, nel mondo della moda: il soggetto, non è che fosse dei più popolari per un romanzo poliziesco, ma in Italia – si sa – la moda è una sorta di emblema nazionale. Per cui… il romanzo, tra quelli di Kelley Roos mondadoriani, è il più famoso (dico mondadoriani, perché il più bello fu pubblicato invece da I Gialli del Veliero, Martello Editore).

In uno studio fotografico fervono i preparativi: la milionaria Isabelle Fleming, ha accettato di posare dinanzi ad una esposizione di pezzi di argenteria Cattrell. Isabelle è la zia di Erika Maccormick, moglie di Mac Maccormick proprietario dello studio fotografico. Mac la sera prima gli ha chiesto un prestito di trentamila dollari. Le fanno la foto, e le lastre le mandano a sviluppare. Julia Taylor, la segretaria dello studio, andata in camera oscura a prendere la lista degli oggetti del servizio di argenteria Cattrell presi a nolo, ad un certo punto sente che qualcuno, nel buio è entrato alle sue spalle, sente un odore dolciastro: una luce di lampadina tascabile l’abbaglia, e poi chi era venuto di soppiatto, di soppiatto va via. Julie esce dalla Camera oscura ma non trova nessuno. Si confida con Haila Troy, ex modella ed attrice.

La seduta di posa però è andata male visto che le lastre sono state rotte, ma non si sa da chi, e quindi  dev’essere rifatta: così, in fretta e furia ,vengono richiamate le persone che avevano posato assieme alla  Fleming, cioè Madge Lawrence e May Ralston modelle, Robert Yorke attore, Lee Kenyon ballerino, Jim Snyder giocatore di golf. Viene riallestita la scena, con l’argenteria Cattrell in primo piano, e dopo che tutto si è ripetuto con grande maestria, la sig.ra Fleming viene trovata uccisa con un trinciante in argento del servizio conficcato nella schiena. Chi mai avrebbe avuto motivo di ucciderla? Lo strano incidente accaduto a Julia ha un nesso? Julia però non l’ha rivelato a nessuno oltre Haila, e continua a mantenere il segreto quando viene interrogata dal Tenente Wyatt della Squadra Omicidi.

Dal tenente vanno ritirate le lastre nuove, ma anche queste vengono trovate in frantumi: perché? Wyatt sospetta che qualcuno non voglia che possa essere provato che dopo l’ultima foto, il trinciante sia stato preso da qualcuno e usato nel modo sbagliato. A questo punto, visto che  il positivo della prima foto è stato distrutto ne chiede il negativo, e lo confronta con la foto positiva della seconda posa: dalla prima  risultano i pezzi d’argento, dalla seconda no, a significare che il trinciante non è stato sottratto dopo la ripetizione della posa ma prima, cioè è stato un delitto premeditato.

Interrogati, tutti gli astanti negano di aver visto mail il pezzo Cattrell né tantomeno di aver visto qualcuno prenderlo: tuttavia, dai movimenti, e dal fatto che a ereditare sarebbe Maccormick attraverso la moglie Erika, la polizia si persuade che sia stato lui. Non basta a dissuadere la polizia dal sospettarlo, neanche il fatto che egli riveli alla polizia di aver ottenuto la promessa del prestito di 30.000 dollari dalla vittima, la sera prima – somma che se fosse stata erogata lo avrebbe salvato dal fallimento, mentre per ereditare gli otto milioni di dollari ci sarebbe voluto molto tempo – e che altri lo confermino: per la polizia il sospettato è lui.

Fatto sta che Maccormick sentendosi già in trappola e non fidandosi della polizia, si affida ad un amico Jeff Troy, marito di Haila, provetto investigatore che all’inizio rifiuta di occuparsi delle indagini perché sta per essere coinvolto in un lavoro molto remunerativo, ma poi accetta quando sa che in pericolo è Mac. Da questo punto in poi comincia una girandola di situazioni che vedono Jeff alle prese con tutti coloro che erano presenti alle due sedute di posa.

E così viene a sapere che:

Haila molto spesso è stata vista con Lee Kanyon e gli ha procurato un lavoro in un locale; Lee improvvisamente da squattrinato che è, comincia a vestirsi in maniera lussuosa e a condurre una vita ben al di sopra delle sue magre possibilità: interrogato, si saprà che aveva ricevuto 10.000 dollari proprio dalla vittima, perché non frequentasse più Erika, nipote e moglie anche di Mac; Haila vuole divorziare da Mac perché lui non le assicura più una vita lussuosa; Isabelle Fleming, 15 anni prima, aveva fatto di tutto perché alla prima moglie di suo marito Sanford Fleming non venissero riconosciuti i 60.000 dollari che egli le aveva riconosciuto come riparazione, in sede testamentaria, pagando un testimone in mala fede perché testimoniasse che la disposizione testamentaria era stata fatta su minaccia; così facendo però, come prevede la legge dello Stato di New York, in mancanza di testamento olografo, alla moglie sarebbe stato riconosciuto un lascito pari ad un terzo, mentre i due terzi sarebbero andati allo Stato; da questa volontà della moglie era sorto uno scandalo che lei non aveva previsto; May Ralston, ha come primo cognome Fleming: è parente anche lei della milionaria uccisa?; Madge Lawrence è un mistero: non si sa chi sia, e l’agenzia che le dà lavoro la difende come nessun’altra. Veste con abiti di gran classe e ha un portamento regale. Rifiuta di parlare a Jeff: perché alla ripetizione delle foto è arrivata alle dieci, mentre la seduta di posa era alle nove? Cos’ha fatto in quell’ora di buco? Non si sa dove abiti, manca ogni riferimento su di lei.

E poi ci sarebbe anche colui per il quale Erika vuole divorziare: anche questo X è sospettabile perché avrebbe potuto ambire a sposare Erika, dopo aver lei ereditato otto milioni di dollari, il che vuol dire che avrebbe potuto architettare la morte di Isabelle, perché Erika potesse ereditare, visto che lei intendeva a sua volta divorziare da Mac; inoltre avrebbe potuto far cadere la colpa su di lui. Insomma di carne al fuoco ce n’è parecchia.

 

 

E per di più ci sono anche Snyder e Rorke che non si sa che parte abbianonella vicenda e che potrebbero essere loro indifferentemente Mr X.

A tutto questo si sommano delle situazioni che tengono la vicenda con una tensione piuttosto alta: Jeff aiutato da Mac e dal suo collega e socio Kirk Findlay, che in giro – si sa- ha del tenero nei confronti di Julie Taylor, si barcamena in situazioni caotiche. Per esempio deve capire chi ha attentato alla vita di Haila (o se volesse davvero attentarvi), nello studio fotografico, dove lei si è addormentata e Jeff prima di uscire le ha messo sopra un soprabito: nel buio ha sentito qualcuno entrare e trafficare, producendo un rumore metallico ripetuto che all’inizio non sa bene identificare e poi temendo di essere in pericolo è ricorsa alle scale di servizio, capendo di essere in trappola e per fuggire ha dovuto salire per quasi trenta piani per poter uscire sul pianerottolo e poter prendere l’ascensore, perché le uniche porte che possono aprirsi dal di dentro sono quelle del piano terra e dell’ultimo piano; e poi deve capire dove si sia cacciata Julie e per quale motivo sia dovuta fuggire e se davvero sia fuggita o qualcuno l’abbia uccisa; qualcuno colpisce Jeff in un locale dove sta assieme ad Erika, dopo aver provocato il buio nella sala; si capisce cosa fosse il rumore metallico che Haila aveva sentito: le monete che vengono messe nel distributore dell’acqua: svitata la coppa dei bicchieri, viene trovata una scatoletta contenente cloroformio. Chi ve l’aveva messa? Si verrà a sapere che a nasconderla lì era stata Julie. Perché ?

E che parte ha nella vicenda Frances Frost, amica di Julie, che vive circondata di tartarughe che odia?

Jeff scoprirà l’assassino quasi per caso alla fine, dopo che ha ucciso anche Erika, e dopo che Mac è stato arrestato per l’omicidio della zia della moglie e della moglie stessa.

Romanzo nato con altra aspettativa, If the Shroud Fits mischia situazioni leggere ad altre che hanno ben altra tensione, talora opprimente: questo è già un elemento che rivela come si tratti di un’opera acerba (nell’ambito della produzione di Kelley Roos, questo romanzo è il secondo) perché nel prosieguo della serie delle avventure di Jeff e Haila, il tono delle avventure sarà sempre più leggero, diventando questo una sorta di distintivo della produzione della coppia di scrittori marito e moglie, William Roos e Audrey Kelley, che si firmarono come Kelley Roos.

Inoltre la soluzione arriva inaspettata, per un ragionamento fatto da Jeff senza che il lettore, com’era nell’ambito della produzione degli anni ’30 e ’40, fosse stato messo a parte degli indizi base che porteranno poi all’identificazione dell’assassino.

Questa è la base dolente del romanzo: non sempre infatti lo scrittore mette a disposizione del lettore gli stessi indizi su cui basano le proprie indicazioni Wyatt da una parte e Jeff dall’altra. Così, se fa capire perché Julie abbia nascosto la scatoletta di latta contenente cloroformio nel distributore di acqua, non potendolo portare fuori per la presenza della polizia, dopo averla trovata per caso nella tasca della giacca di Mac, dove l’assassino l’aveva nascosta per far cadere un altro sospetto su di lui e dove lei cercava dei cerini per accendersi una sigaretta, in maniera simile dovrebbe far capire il ruolo di altre persone nell’azione, che sbrigativamente alla fine viene citato.

Molto spesso si arriva a determinati situazioni per effetto di colpi di fortuna o di situazioni non ben definite: l’unico vero momento di pura detection è quando Jeff scopre l’identità vera di Madge  Lawrence. Jeff indaga e alla fine scopre che Madge all’età di diciassette anni si era sposata a Sanford Fleming e lei era la sua prima moglie che Isabelle Fleming, gelosa, aveva rovinato. Madge, così si fa chiamare, in realtà si chiama Amanda Lewis, nominativo che Jeff ha trovato scartabellando vecchi giornali,  ha trentotto anni, vive dei pochi servizi che riesce a rimediare e per schermare il suo passato, noleggia abiti costosi quando va al lavoro cosicchè gli altri si convincano che lei non è quella che invece è: una poveraccia o quasi; e l’intuizione che porta ad associare il rumore metallico a quello delle monete che vengono introdotte nel distributore d’acqua.

Il tutto condito da una moltitudine di fatterelli, di indizi, di piccoli dettagli, che portano a schemi non tutti incastrantisi tra loro, che vengono cuciti assieme ma non definiscono un quadro d’insieme. Questo rivela pecca sostanziale del romanzo: se il plot ha una soluzione ultra complessa, rivelando un assassino insospettabile, in realtà manca una trama ben assortita, un puzzle plot che troveremmo in un super romanzo di Ellery Queen o di Carr o di Crispin o di Rawson o di Brand, perché parecchi di questi dettagli non portano a vie che sfociano in altre che poi si incanalano nella soluzione finale: ci sono cioè delle tessere del puzzle che hanno vita propria, che è come se fosse indifferenti a ciò che si sta sviluppanndo. Per es. Erika, che parte ha nella faccenda? Si vede all’inizio e quasi alla fine quando viene ammazzata. E perché l’assassino la ammazza? Il motivo non è molto chiaro: per salvarsi? E avrebbe fatto tutto quello che ha fatto per poi ammazzare la gallina dalle uova d’oro?

Almeno il finale non è prevedibile, no questo no. Inoltre il ritmo è notevole, e stilisticamente è molto più facile da leggere perché le descrizioni sono risicate e i fatterelli stemperano l’attenzione verso il plot centrale. Probabilmente è anche il frutto di un abile montaggio in sede di traduzione (è tagliato non c’è dubbio), perché la critica che ne da Mike Grost è tutt’altra, cioè che non è un romanzo facile (bello) da leggere: “One is the tone of grim anxiety, even horror sometimes, that dominates this book. It is not fun to read”.

Insomma è la prima volta che possa dire che la traduzione italiana ha superato la versione originale inglese del romanzo.

Pietro De Palma

venerdì 18 ottobre 2024

Patricia McGerr Vs Anthony Berkeley: Storia di un modello non riconosciuto ( pubblicato per la prima volta sul Blog del Giallo Mondadori il 12/11/2014)

 

 

La categoria dei romanzieri dedicati al genere poliziesco, potrebbe essere divisa sostanzialmente in due grandi gruppi: gli innovatori e i manieristi. I primi sono coloro che hanno inventato soluzioni di certo tipo che poi hanno fatto storia, gli altri quelli che hanno ripetuto, magari variando, quelle soluzioni inventate dai primi. Carr, per quanto grande egli sia, e secondo me è il più grande, non ha inventato nulla di nuovo ma ha applicato infinite volte gli stessi cliche: per cui è un manierista; Agatha Christie, Philip MacDonald, S.-A. Steeman degli innovatori. Ma non sono solo questi. Ce ne sono anche degli altri.
La prima è Patricia McGerr. Parecchi tra quelli che mi leggono, sono sicuro che non sanno lontanamente chi ella possa essere stata: trattasi di scrittrice americana, del tempo di Ellery Queen, assai meno conosciuta dei due cugini. La storia della critica poliziesca le ascrive un guizzo di genio che avrebbe applicato in un suo romanzo: una procedura deduttiva non nuova ma assai originale. Prima che ci pensasse lei, il genere più utilizzato era il “Whodunnit”: cioè la scoperta del colpevole: data una certa ridda di sospetti e dato un omicidio, bisogna scoprire l’assassino. In altre parole, il Cluedo in carta stampata.
Una prima variazione a tale procedimento, era stata la cosiddetta “inverted story”: conosciuto già l’assassino, il romanzo verteva su come si era arrivati a sospettare di lui, insomma una ricostruzione dei fatti che avevano portato alla cattura del responsabile. E poi c’era ovviamente una seconda variazione: conosciuta la vittima e noto qualcuno che la volesse uccidere, il plot era concentrato sul fatto che la macchinazione andasse a buon fine o no, e che ovviamente il colpevole venisse preso oppure sfuggisse alla cattura. Nessuno aveva però pensato ad una terza variazione. A questo vi pensò Patricia McGerr, almeno per quello che comunemente si legge: a lei viene ascritto un altro modo, con cui si dice abbia innovato il genere. In altre parole, avrebbe spostato l’indagine, che è concentrata normalmente sull’identificazione del colpevole, sul suo opposto, ossia sulla vittima.
Patricia (“Pat”) McGerr (1917-1985) è stata uno scrittrice poliziesca statunitense. Vinse un Ellery Queen Magazine / MWA, per una sua storia e il Grand Prix de Littérature policière nel 1952 per il suo romanzo dell’anno prima, Follow, As the Night . Era nata in Nebraska dove si era laureata, e poi aveva preso un master in giornalismo alla Columbia University.
La sua fama è legata principalmente al suo primo successo, Pick Your Victim (1946), in cui si narra la storia di un gruppo di marines americani, di stanza sulle isole Aleutine, nel corso della seconda guerra mondiale, che, per ingannare il tempo, e superare la noia, legge tutto quello che capita a tiro. Ben presto i giornali, i libri, dopo aver fatto il giro di tutti i soldati, si deteriorano. E quindi, per avere qualcos’altro da leggere, sfruttano ogni situazione persino la più originale per poter ingannare il tempo.
La situazione cambia in meglio, quando, uno di loro, Pete, riceve dalla famiglia un pacco di viveri: la madre, per evitare che i barattoli non si rompessero, li ha avvolti in carta di giornale, E proprio su questi ritagli si appunta l’attenzione dei soldati, particolarmente su uno di essi che narra dell’omicidio da parte di un conoscente del possessore del pacco di viveri, di altra persona: Paul Stetson, l’assassino, è il padrone incontrastato di STUDS, un’associazione nata con lo scopo di porre lenimento con consigli e indicazioni alle mansioni di quelle donne che vivono particolarmente sfavorevoli condizioni lavorative, una specie di protettorato, quasi un sindacato, che si occupi di loro, e proteggendole, protegga anche il loro ambiente di lavoro, l’attività domestica, a cui tutte le donne, secondo i fini di chi ha fondalo la società, sono deputate : cuoche, cameriere, guardarobiere, le donne meno difese fra tutte, perché svolgenti mansioni umili nell’ambito domestico. Ora, nell’articolo si narra proprio della condanna di Paul reo di aver ucciso uno dei dirigenti della sua società; solo che è ignoto il nome della vittima, perché, laddove ci sarebbe dovuto essere il suo nome, vi è uno strappo, mancando un pezzo di giornale. Nonostante i soldati mettano assieme i vari pezzi, a voler formare la pagina, in realtà il buco rimane lì.

IMG_7612.JPG 

I soldati allora scommettono fra loro: puntando una certa somma qualcuno, e raccontando il narratore della sua vicenda lavorativa in STUDS, non omettendo nulla e quindi fornendo una certa mole di indizi che dovrà essere convenientemente dai suoi commilitoni, vincerà chi, sulla base del racconto, sarà riuscito a formulare il nome dell’assassino, posto che il narratore non potrà partecipare alla scommessa e allo stesso modo sarà il solo ad aver per primo la risposta, visto che l’ha chiesto ad una sua collega, Sheila, tramite lettera.
L’escamotage del romanzo della McGerr è chiaro: i soldati per ingannare il tempo, scommettono, come scommetterebbero su qualsiasi cosa: questa volta, la posta è riuscire a mettere il nome mancante a causa di quel buco:
Washington, 6 settembre – Paul
W. Stetson, Direttore Generale
della Society to Uplift Do
Stic Service, la
Sato alla pol
Strangolato
Negli uf
Day.
Anche la vittima
Gente della organizz
Nazionale. La sco
Del corpo, con una sciarpa
Di lana marrone annodata
La gola, fu fatta da Tom Ad
Impiegato della SUDS, alle pri
Ore ieri mattina. Egli chia
La polizia che arrivò im

[Paula McGerr, Scegliete la vostra vittima (Pick Your Victim,1944) – trad. Glauco De Rossi – Il Romanzo per Tutti, Anno XI N.13, 1955]
 

Per farlo, il narratore, Pete, conosce tutti i dieci dirigenti dell’azienda (Presidente: Hunter Willoughby, Vice-presidenti: Frank Johnson (capo dell’Ufficio Legale), Chester Whipple (capo della Pubblicità), Anna Coleman (incaricata dell’istruzione), Carl Doherty (incaricato dell’Albo dei Soci), Ray Saunders (dell’Uffico del Presidente), Loretta Knox ( incaricata della Costa Occidentale), Harold L. Sullivan (incaricato delle ricerche), Segretaria: Bertha Harding, Tesoriere: George Biggers. Fornirà di ognuno di essi un profilo, sulla base delle proprie esperienze lavorative e della sua conoscenza diretta delle possibili vittime. Quindi in sostanza, non sarà “una scommessa al buio” come avrebbe voluto fare altro commilitone, lasciando decidere alla fortuna il nome del vincitore, ma sarà una sorta di “Giochiamo all’assassino”, un Cluedo invertito, laddove normalmente si parte dalla vittima e grazie ad una serie di indizi, si cerca di dare un volto al colpevole. Qui invece è l’opposto: il colpevole è noto, ma non si sa chi, tra i dieci dirigenti, sia stata la vittima. E questa la si potrà evincere solo sulla base del racconto fatto dal narratore, lavorante nell’Uffico Stampa di quell’azienda.
Il racconto che Pete fa ai commilitoni, comincia con il suo inserimento nell’organizzazione della Società SCUDS, ad opera di Chet Whipple, il primo dei dieci dirigenti che lui ha conosciuto, perché è per opera sua che lui è stato assunto:
“Chet Whipple fu il primo dirigente della SUDS che conobbi, Solo che allora non era ancora un dirigente e l’organizzazione non si chiamava SUDS. Eravamo nell’estate del 1939 e si chiamava ancora Homemakers Information Bureau, il che mi dette l’idea di un gruppo di gente suonata.” (op. cit. pag. 6). Di lui tratteggia i dati indicativi della personalità, la sua presunzione, l’adulazione del capo e il disprezzo per i suoi colleghi, unito ad una buona parte di pettegolezzi sull’operato di essi, che lui, “marito integerrimo”, gira alla moglie, per poi tirarsi indietro quando accusato.
“…nessuno può impedirti di fabbricare le tue bugie e di raccontarle a casa per eccitare tua moglie..di diffonderle nell’ufficio..continua così. Divertiti. Ma un giorno qualcuno ti caccerà i denti in gola. Se non avrò la fortuna di poterlo fare io stesso spero di trovarmi presente quando accadrà” ( op. cit. pag.18).
Quindi Pete già indica una possibile vittima, perché c’è qualcuno che potrebbe aver avuto motivi di risentimento, per le calunnie profferite da Chet e dalla moglie nei confronti non solo di Mary Dalton, l’accompagnatrice di Biggers, ma anche di altre persone..
E così ogni capitolo. Così qualche pagina avanti si viene a sapere che nella società c’erano due donne tra i dieci dirigenti.
“Le donne sono un veleno in una impresa commerciale. Con una sola donzella, se fate attenzione, potete cavarvela. Mettetene due insieme e vi troverete tra due gatti selvatici” (op.cit.pag.20). George Biggers, parla a Pete e gli tratteggia le due donne dell’azienda Anne Coleman e Bertha Harding, una contro l’altra (si vedrà che è la seconda contro la prima). In realtà Bertha “è dura come un chiodo, diretta nell’azione, incisiva nel discorso”. Si veste con tailleur, scarpe basse, capelli acconciati in pose molto severe e così si manifesta agli altri. Tuttavia, seppure molto apprezzata per le sue doti manageriali, in realtà nessuna la guarda per altro. E di questo si avvantaggia la Coleman che invece ha “i capelli d’oro rosso che cadevano in morbide onde, gli abiti attillati, i braccialetti tintinnanti e scarpine col tacco a spillo..sembrava più a suo agio con un uomo, e alla SUDS questo aveva molta importanza” (op. cit. pag.20). In breve Anne Coleman diventa l’amante di Paul Stetson, il Capo della Società, che è in rotta con la moglie. Un giorno il narratore e la sua amica Sheila insospettendosi perché la Coleman che sarebbe dovuta essere presente ad una manifestazione per sua stessa dichiarazione e non vi è invece andata, si recano a casa sua, e la trovano in fin di vita, perché ha tentato di uccidersi coi barbiturici, e tutto in seguito ad una lettera velenosa che ha ricevuto, in cui a firma della moglie di Stetson, Claire, le viene restituita la chiave del suo appartamento utilizzata dall’amante, perché i due hanno deciso di fare pace. In realtà, come scopre Sheila, i due non hanno fatto pace.
“La lettera deve averla scritta qualcuno che odia la Coleman – qualcuno che sperava reagisse proprio come ha fatto, avvelenandosi…la signorina Harding è quella che avrebbe beneficiato dalla sparizione della Coleman..”(op. cit. pag. 26). Ma la Harding non è sola. E’ legata a Ray Saunders, un altro dei vice-presidenti. E’ lui che può averle passato la chiave dell’appartamento che era nell’automobile del Capo che “..Saunders ha usato per la fine della settimana”. Insomma tutti contro tutti, un nido di vipere.
E così abbiamo altri potenziali vittime: Paul Stetson avrebbe potuto strangolare sua moglie, per poter vivere con l’amante; l’amante, per ritornare a vivere con la moglie; la Harding, per aver tentato di far suicidare la Coleman; Saunders perché cospirante contro di lui e la sua amante. Avrebbe potuto strangolare Chet Whipple per la campagna di calunnie montata da lui nei confronti di altri (magari anche della Coleman). Anche se in questo caso sarebbe stato molto più semplice licenziarlo.
Il risentimento nei confronti della Harding diventa tangibile qualche pagina dopo, quando durante una partita a poker, la Harding parla troppo e rinfaccia al suo Capo uno sbaglio colossale nel giocare, umiliandolo dinanzi a tutti: “..o non avete visto bene le vostre carte oppure il caldo della stanza vi ha dato alla testa” (op.cit. pag. 32).
Poi vi è una spinta che Stetson rifila a Whipple sulla scalinata del Campidoglio dopo la bocciatura di una legge in cui Steson sperava, che a sentire Whipple e la sua campagna di stampa, avrebbe dovuto esser stata approvata, costituendo così un fondo di stato di cento milioni di dollari per l’istituzione di una accademia per le mansioni domestiche delle donne.
Ancora, vi è nelle pagine seguenti il tentativo di Stetson di approfittare di Mary Dalton, l’ira di Biggers e le amare considerazioni sulla ricattabilità di un personaggio pubblico, quando non si prendono opportune misure di riservatezza.
Insomma..ogni capitolo riserva nuove prospettive per individuare nuove potenziali vittime di Stetson. Dei commilitoni di Pete, è Joe che capisce tutto e indica la vittima, alla fine di un certo ragionamento, la cui giustezza viene confermata allorquando, qualche giorno dopo, arriva la missiva di Sheila a Pete contenente un ritaglio di giornale, gemello di quello deteriorato arrivato ai militari, in cui viene menzionato il nome della vittima dello strangolamento.
Questo romanzo, non fu comunque l’unico tentativo di Patricia McGerr di cambiare i connotati del Whodunnit classico: infatti, ripetè in altro romanzo, la stessa idea base utilizzata in Pick Your Victim, in Follow As the Night (1950) pubblicato già un anno prima con altro titolo, Save the Witness, che sarà tradotto in un film cinematografico da Henri Decoin, Bonnes a tuer (=Buone da uccidere): Larry Rock ha deciso di uccidere una delle quattro donne che ha amato. Ma quale, tra la moglie, la ex-moglie, l’attuale sua accompagnatrice oppure l’amante? Nel 1947, invece, pubblicò l’altro suo romanzo che le dette fama, The Seven Deadly Sisters (1947) in cui al lettore spetta l’individuazione non solo della vittima ma anche dell’assassino: la statunitense Sally Bowen, si trasferisce in Inghilterra e lì una lettera la informa che una sua zia ha ucciso il marito. Ma quale? Nella lettera non si fa il nome dell’assassina, né della vittima. E’ un problema individuarli, perché Sally ha sette zie tutte sposate.
Si sa che Patricia McGerr piaceva al Presidente Truman. Almeno piacevano certi suoi libri, di forte ispirazione religiosa: Martha, Martha ( Marta, la sorella di Lazzaro, l’amico di Gesù da lui resuscitato) o The Missing Years. La McGerr era una fervente cattolica, tradizionalista, e nei suoi romanzi si colgono certi accenni, sul ruolo tradizionale della donna per esempio nella società e nella famiglia americana. Infatti, almeno questi due libri, sono stati trovati nello studio di Harry S. Trouman, a casa sua.
A questo punto, sarebbe chiaro che Patricia McGerr, sebbene non popolarissima e considerata quasi solo dagli addetti del settore, sia stata una innovatrice del Whodunnit, ascrivendo a lei l’invenzione dello spostamento dell’indagine non tanto sul colpevole, nota la vittima, ma sulla vittima, noto il colpevole, basandosi su un resoconto di fatti attinenti. Almeno così parlano un po’ tutte le fonti.
Anche Gadetection, al momento il sito più specialistico sulla Crime Fiction, ne parla in questi termini:
“A stunning tour de force, from a then-debutant author. Reversing whodunit’s priorities in a revolutionary fashion, Mc Gerr reveals the guilty party from the start and turns on an unusual, compelling problem. Who has died? The answer is as surprising as expected, and wholly fair-play. As usual with McGerr, however, the book doesn’t limit to a well-exploited gimmick. We have in bonus some delightful characterization and a lively office-life evocation. Barzun and Taylor raved about this book. They were right.”
Il giudizio di Xaver Lechard è anche più diretto:
“Pat McGerr’s “Pick Your Victim” is a comparatively little-known entry into the annals of crime fiction, but which is nevertheless held in high esteem among a small group of knowledgeable and well read Connoisseurs of Crime – praising the story for it’s unique take on the classic detective format, that’s both original and successful.”
E gli addetti ai lavori le riconoscono un merito indubbio. Ma…è veramente tale? Cioè, davvero lei per la prima volta ha rovesciato i termini di paragone del Whodunnit?
Ebbene No, Signori. Il primo è stato un altro, qualche anno prima. La storia dovrà essere riscritta.

 

 

Nel 1932 Anthony Berkeley, aveva scritto e pubblicato, Murder in the Basement ,1932 ( Assassinio in Cantina – trad. Mauro Boncompagni – I Classici del Giallo Mondadori, N.1056, del 2005). Il romanzo risale al periodo di maggior successo internazionale e al pieno della sua attività formativa: dello stesso anno è infatti Before the Fact (Il sospetto) tradotto sul grande schermo nel 1941 da Alfred Hitchcock in un film di grandissima notorietà, con Cary Grant e Joan Fontaine, Suspicion (Il Sospetto); l’anno prima, Berkeley aveva pubblicato un altro suo grande successo, Malice Aforethought (1931). E nel 1933 pubblicherà un altro romanzo fondamentale , Jumping Jenny.
Berkeley, già con The Poisoned Chocolates Case (1929) e prima ancora con The Wychford Poisoning Case (1926) aveva innovato il genere puntando su romanzi di grande penetrazione psicologica e sulla molteplicità delle soluzioni contemplate nei romanzi, poi abbandonate a favore di quella giusta e definitiva.
Quindi Berkeley è un altro innovatore. A noi interessa però perché è stato anche il solo ad aver innovato il Whodunnit classico, nella forma adottata da Patricia McGerr, ben prima che lei scrivesse il suo romanzo, Pick Your Victim. La cosa strana è che nessuno se ne sia accorto finora e tanto più è strano perché tra il romanzo di Berkeley e quello della McGerr ci sono ben 14 anni. Non solo. Non se n’è neanche accorto Malcolm J. Turnbull che nel 1996 ha firmato l’unica biografia dedicata a Berkeley, Elusion Aforethought:The Life and Writing of Anthony Berkeley

 

.

La trama del romanzo è parecchio macabra.
Una coppietta di sposini ritorna dal viaggio di nozze e prende dimora in una casa affittata. Mentre lei disfa le valigie, lui non trova di meglio che andare ad ispezionare la casa, e in particolare la cantina dove vorrebbe custodire i suoi vini. Ma ecco che un particolare cattura la sua attenzione: in un angolo, il pavimento di mattoni si è come infossato, come se qualcuno avesse scavato per nasconderci qualcosa. Lui pensa ad un forziere, ma invece vi trova..un cadavere vecchio di almeno sei mesi, talmente irriconoscibile e decomposto che per puro caso si riesce a capire che era una femmina giovane e che aveva una cicatrice all’interno di una delle cosce. Il cadavere è nudo, ma su quello che rimane delle mani vi è un paio di guanti.
L’Ispettore Moresby di Scotland Yard naviga nel buio: chi era la donna? E come è finita in quella cantina? La precedente affittuaria era una vecchia al di sopra di ogni sospetto, e la data della morte sembrerebbe coincidere nel periodo di agosto, in cui la vecchia era in vacanza e la casa era vuota: chi mai avrebbe potuto avere le chiavi? Dei parenti? I due soli sono due nipoti che però hanno degli alibi talmente solidi da essere subito estromessi dalle indagini. E allora? Alla minuziosa indagine della polizia non sfugge nulla. Eppure Moresby non riesce a dare un nome al corpo! Basterebbe saperlo e – lui ne è sicuro – si sarebbe a cavallo, perché l’assassino non avrebbe scampo. Ma… non si trova nulla. Finchè vi è una sua intuizione: la cicatrice. Sulla base dell’autopsia si stabilisce che la vittima era stata operata al femore e gli era stata applicata una placca di metallo per saldare l’osso dopo una frattura: la fortuna che gli arride è data dal fatto che la placca è fatta di un materiale subito abbandonato, utilizzato solo come esperimento in pochi e certificati casi. Insomma, scartando tutti i soggetti che non risultavano essere scomparsi e i cui parenti ne avrebbero subito denunciato la scomparsa, si arriva a individuare la vittima in una ladra borseggiatrice che era scivolata al momento della cattura della polizia, rompendosi una gamba, e che tempo dopo, ravvedutasi, dopo un corso di stenodattilografia e alcuni altri lavori, e con un cognome falso era riuscita a farsi assumere in una scuola privata di Allingford, Roland House, nel personale amministrativo..
Ora, in cosa i romanzi di McGerr e Berkeley si assomiglierebbero tanto da poter essere comparati, se si conosce già l’identità della vittima in The Murder in the Basement?
Nel fatto che l’Ispettore Moresby, ricordandosi del fatto che Roger Sherringham, di cui egli si è già servito come esterno in indagini poliziesche, è stato a Roland House in passato, lo interpella, e gioca con lui a rimpiattino: non gli rivela subito il nome della vittima, ma sfida Sherringham a scoprirlo da solo, sulla base di quello che lui si ricorda dell’ambiente, e soprattutto basandosi su una traccia, un canovaccio che Roger ha scritto l’estate prima volendolo dapprima usare per un romanzo, ma che è stato abbandonato. Proprio questo racconto, che viene compreso nel romanzo e di cui viene reso cosciente il lettore, diviene la base del ragionamento psicologico di Sherringham. Che arriva ad individuare la vittima, poi confermato il tutto da Moresby.
Abbiamo cioè due fonti talmente simili e con caratteristiche talmente sovrapponibili da non poter essere inquadrati come due casi isolati: entrambi i romanzi si basano sui ricordi di una persona che non è coinvolta nel caso in quanto sospettabile ma nello stesso tempo conosce l’ambiente tanto da poter estrapolarne i caratteri psicologici più pregnanti; in entrambi i romanzi colui che illustra il quadro psicologico generale e i soggetti interessati non conosce in primis l’identità della vittima; in entrambi i casi, l’individuazione dell’identità della vittima, avviene nel corso di una sfida, di una scommessa; in entrambi i casi, l’identità supposta della vittima viene confrontata con chi ne è perfettamente a conoscenza (Sheila nel primo caso, Moresby nel secondo); in tutti e due i casi vi sono rievocazioni personali in cui sono compresi tutti i personaggi del caso; in tutti e due i romanzi la vittima svolge le stesse mansioni; in tutti e due i romanzi l’assassino ha stesse funzioni dirigenziali, pur nella diversità di ambienti di lavoro (una società commerciale e una scuola); in tutti e due i casi il movente dell’assassinio è il ricatto, di cui è vittima l’assassino da parte della vittima. Le uniche 2 differenze sostanziali sono che il racconto su cui si base l’individuazione della vittima nel primo è l’anima del plot mentre nel romanzo di Berkeley è solo un inciso, che potrebbe non avere nessuna utilità perché Moresby conosce già l’identità della vittima ma che dà a Roger il potere ancora una volta di affermare le sue doti di introspezione psicologica; e che mentre nel romanzo della McGerr tutto il romanzo si basa solo sull’identificazione della vittima, mentre dell’assassino si conosce già il nominativo, nel romanzo di Berkeley, vengono analizzati e entrambi vengono scoperti da Sherringham: vittima e assassino. Perchè sulla base di detto racconto, si evidenzieranno degli utili indizi per arrivare alla soluzione finale.
Si avrebbe cioè una risultanza ancora più sconvolgente: Patricia McGerr non sarebbe solo debitrice a Berkeley dell’inversione tra assassino e vittima in Pick Your Victim, ma anche il successivo The Seven Deadly Sisters che presenta un’altra variazione – scoperta di vittima e assassino – non sarebbe affatto originale, in quanto tale variazione del Whodunnit, è già l’anima del romanzo di Berkeley, in cui appunto Sherringham scopre nel corso di una scommessa con Moresby, quale sia la vittima, ma anche poi, alla fine del romanzo, l’assassino.
Sarebbe interessante vedere quando l’opera di Berkeley fu per la prima volta tradotta e pubblicata in America: ebbene, nello stesso anno della prima edizione inglese, 1932, Doubleday Crime Club, di New York, firmava la prima edizione statunitense del romanzo di Berkeley. A questo punto sarebbe interessante investigare sull’influenza che potrebbe aver avuto questo romanzo di Berkeley su Patricia McGerr, sempre che si provasse però che a lei piacevano i romanzi polizieschi inglesi.
Nessuno dice espressamente che vi sia stato plagio, ma cosa può essere accaduto se i due autori hanno formulato due storie così sovrapponibili l’una all’altra? Un caso simile a quello di Hilary St George Saunders che prese come modello per il suo The Sleeping Bacchus, la celeberrima Camera Chiusa di Pierre Boileau, Le repos de Bacchus? Solo che La McGerr rivendicava il suo genio con queste parole :
“From my reading I knew that a classic mystery included a murderer, a victim, and several suspects. So I began by assembling the cast of characters. But when I began to assign roles, it was obvious that only one of them could commit murder, whereas any of the other ten might be his victim. So, reversing the formula, I named the murderer on page one and centred the mystery around the identity of the victim.”
E quindi non menzionava in nulla il modello originario di Berkeley.
E perché mai Berkeley, e questa è la cosa che più mi incuriosisce, non avrebbe rivendicato la paternità della genialità da lui inventata ben prima che vi ci accingesse Patricia McGerr? Possibile che si fosse tanto disinteressato dal mondo del poliziesco da rifiutare persino di accampare diritti su qualcosa di cui altra si dichiarava genitrice?
Mah.
Certo che la critica poliziesca d’ora in poi avrà un altro mistero da risolvere.

Pietro De Palma

martedì 15 ottobre 2024

Anthony Berkeley: Assassinio in cantina (Murder in the Basement ,1932 – trad. Mauro Boncompagni – I Classici del Giallo Mondadori, N.1056, del 2005.

 



 

Un altro piccolo capolavoro firmato Anthony Berkeley.

Il romanzo risale al periodo di maggior successo internazionale e al pieno della sua attività letteraria: dello stesso anno è infatti Before the Fact (Il sospetto) che avrà una notissima trasposizione cinematografica ad opera di Alfred Hitchcock nove anni dopo; l’anno prima, Berkeley aveva pubblicato un altro suo grande successo, Malice Aforethought (1931). E nel 1933 pubblicherà un altro romanzo fondamentale , Jumping Jenny.

La trama del romanzo è parecchio macabra.

Una coppietta di sposini ritorna dal viaggio di nozze e prende dimora in una casa affittata. Mentre lei disfa le valigie, lui non trova di meglio che andare ad ispezionare la casa, e in particolare la cantina dove vorrebbe custodire i suoi vini. Ma ecco che un particolare cattura la sua attenzione: in un angolo, il pavimento di mattoni si è come infossato, come se qualcuno avesse scavato per nasconderci qualcosa. Lui pensa ad un forziere, ma invece vi trova..un cadavere vecchio di almeno sei mesi, talmente irriconoscibile e decomposto che per puro caso si riesce a capire che era una femmina giovane e che aveva una cicatrice all’interno di una delle cosce. Il cadavere è nudo, ma su quello che rimane delle mani vi è un paio di guanti. Perché?

L’Ispettore Moresby di Scotland Yard naviga nel buio: chi era la donna? E come è finita in quella cantina? Perché aveva i guanti? La precedente affittuaria era una vecchia al di sopra di ogni sospetto, e la data della morte sembrerebbe coincidere nel periodo di agosto, in cui la vecchia era in vacanza e la casa era vuota: chi mai avrebbe potuto avere le chiavi? Dei parenti? I due soli sono due nipoti che però hanno degli alibi talmente solidi da essere subito estromessi dalle indagini. E allora? Alla minuziosa indagine della polizia non sfugge nulla. Eppure Moresby non riesce a dare un nome al corpo! I guanti sono ordinari, e le indagini casa per casa non portano a risultati perché nessuno, nelle villette vicine, ha visto nulla. Basterebbe sapere di chi diavolo è quel cadavere e lui – ne è sicuro – sarebbe a cavallo, perché l’assassino non avrebbe scampo. Ma… non si trova nulla. Finchè vi è una sua intuizione: la cicatrice. Sulla base dell’autopsia si stabilisce che la vittima era stata operata al femore e gli era stata applicata una placca di metallo per saldare l’osso dopo una frattura: la fortuna che gli arride è data dal fatto che la placca è fatta di un materiale subito abbandonato, utilizzato solo come esperimento in pochi e certificati casi. Insomma, scartando tutti i soggetti che non risultavano essere scomparsi e i cui parenti ne avrebbero subito denunciato la scomparsa, si arriva a individuare la vittima in una certa Mary Waterhouse che era riuscita a farsi assumere in una scuola privata di Allingford, Roland House, nel personale amministrativo.

Ecco che allora Moresby si ricorda che il detective dilettante e scrittore affermato Roger Sherringham, che l’ha aiutato in tanti casi, è stato in quella scuola tempo prima; e così lo interpella per chiedergli se ricordi qualcosa dell’ambiente. Infatti, diversamente da quelle che erano le convinzioni iniziali dell’Ispettore, una volta conosciuta l’identità della vittima, non si è arrivati all’identificazione dell’assassino. E neanche partendo dall’altro opposto, cioè dal luogo della sepoltura, si è arrivati ad un qualche risultato: perché non c’è modo di riuscire a capire come quel cadavere ci sia finito, e soprattutto chi poteva avere la chiave della casa, perché non è stato segnalato nel passato nessun tentativo di effrazione a quella casa.

Roger accetta volentieri di riassumere un quadro dell’ambiente all’Ispettore, anzi gli fornisce un rapporto che aveva stilato tempo prima che raccoglieva le sue impressioni sulle persone operanti nella scuola e che sarebbe dovuto servire come canovaccio per un romanzo mai scritto. Sulla base di questo Roger riesce a capire chi possa essere stata la donna uccisa senza che glielo dica l’Ispettore. Però, alla successiva richiesta di fare da infiltrato per la polizia, rifiuta, in quanto quelle persone che lui ha descritto lo hanno accolto come un amico e si rifiuta di spiarli ora.

In pratica osserva le azioni dell’ispettore, intervenendo quando lo ritiene opportuno, perché si arrivi all’individuazione del caso.

Anche Roger tuttavia non capisce come Mary sia finita sottoterra nella cantina, finchè un’informativa della polizia rivela che la placca all’osso era stata acquistata da un carcere, dove la tizia era stata reclusa qualche anno prima, con diverso nominativo, in quanto ladra borseggiatrice: era scivolata al momento della cattura della polizia, e si era rotta una gamba. Successivamente, ravvedutasi, dopo un corso di stenodattilografia e alcuni altri lavori, e con un cognome falso era riuscita a farsi assumere nella scuola. Quindi è possibile che Mary non avesse del tutto abbandonato la sua occupazione di un tempo, oppure che risalisse al tempo in cui era una borseggiatrice, un qualche furto ai danni della vecchia padrona della casa a Lewisham, al n.4 di Burnt Oak, E anche questo viene confermato. Quindi la chiave l’aveva lei. Ma..perchè è finita lì?

Dalle indagini della polizia a Roland House emerge un quadro molto variegato: a dirigere la scuola, nominalmente è il preside Harrison, ma in realtà è la figlia Amy che dirige, attirandosi più di una antipatia. Amy è legata al signor Wargrave, un docente di Chimica: nessuno dei due ama l’altro, ma è anche conscio che solo con l’altro riuscirà ad ottenere i suoi scopi; poi c’è Elsa Crimp, altra docente legata sentimentalmente al curato; il signor Duff, il signor Parker, il signor Rice, anche loro docenti: quest’ultimo è l’amante della signora Phyllis Harrison, la moglie del preside che sembra non accorgersi di nulla, perso solo nel modo della scuola che dirige; infine c’è la governante, Jevons.

Finalmente, dagli interrogatori emerge un particolare rivelatore: il signor Wargrave era stato visto uscire dalla camera della signorina Mary Whitehouse, quando quella era stata a scuola. Successivamente si era saputo che la signorina era incinta e che sarebbe andata via perché in procinto di sposarsi con un australiano: a riprova di ciò era un anello con brillanti e smeraldi che la ragazza sfoggiava al dito.

L’ispettore è convinto di aver individuato il suo assassino, e da questo momento tutta l’indagine viene avviata allo scopo di dimostrare che Wargrave aveva ucciso Whitehouse, e con che arma. Ma le prove non ce ne sono e gli indizi sono così aleatori che neanche quando Wargrave viene beccato con un revolver calibro 45, sua pistola d’ordinanza durante la Prima Guerra Mondiale, il cui calibro è proprio quello corrispondente al proiettile che ha ucciso la donna, si riesce a collegarlo ad ella, perché la pistola è sporca, e manca il bossolo incriminato. Insomma..

Quindi entra in scena Sherringham e in un pirotecnico finale riesce a…discolpare Wargrave, individuando il vero assassino. Tuttavia non lo consegna alla polizia, perché il suo fine non è quello di Moresby, e anzi inventa una storia plausibile ad uso dell’Ispettore, dandogli una soluzione e nel termpo stesso salvando dall’impiccagione Wargrave che si è addossato il crimine di un altro, e il vero assassino, che ha ucciso perché ricattato.

Altro romanzo con una penetrante introspezione psicologica, Murder in the Basement, è solo apparentemente un procedural: in realtà il procedural serve solo a fornire le basi per l’indagine, da cui l’Ispettore e il detective divergono ad un certo punto nell’individuazione del colpevole. L’indagine di Sherringham è molto simile a quella di Poirot: si serve della deduzione, a cui si aggiunge una analisi approfondita della natura umana. E come Agatha Christie, anche Berkeley è un innovatore: infatti questo romanzo, nella storia del whodunnit poliziesco, riserva più di una sorpresa: non ne parlo in questa sede, perché sarà oggetto di un approfondito breve saggio prossimamente sul Blog del Giallo Mondadori.

Quello che ancora una volta sottolineo è la grandezza di Berkeley, non solo uno dei grandi maestri del poliziesco psicologico britannico ma anche uno degli scrittori più affermati nel meccanismo delle soluzioni molteplici: inquadrare lo sviluppo in un senso, indirizzando la concentrazione del lettore su n un determinato soggetto e poi, al momento opportuno, rigettandolo, e fornendo una soluzione del tutto plausibile, anzi di più di quella che si era prospettata sino a quel momento. In questo senso, ecco la particolarità di questo romanzo: se per tutto il suo svolgimento sembra un thriller in quanto la vittima è risaputa e l’assassino pure e quindi l’indagine è solo rivolta a vedere di concretizzare gli indizi e trasformarli in prove schiaccianti, solo alla fine con la soluzione vera, che si allontana in parte da quella prospettata sino quel momento, il detective si distingue in tutto dall’Ispettore Moresby, che neanche stavolta riesce a far tutto da solo bene, e con una impennata, stravolge l’andamento del romanzo, indirizzandolo nel solco del Whodunnit classico.

In più lo stile è scoppiettante, mai prolisso e tedioso. E ancora una volta si afferma la precisione di Berkeley nel ricordare veri fatti di sangue ed inserirli nel contesto del romanzo (L’affare Rainshill: i coniugi Deeming), per renderlo maggiormente vicino al lettore britannico di quei tempi. In più, Berkeley, inserisce nel contesto della narrazione, degli spunti umoristici, che servono a caratterizzare meglio i protagonisti: come quando Sherringham propone all’ispettore che ha giurato di andare via e di non poter perdere altro tempo, di rimanere suo ospite a cena: il solo accenno alla trippa, un piatto per nulla britannico, e molto latino, lo convince invece a mandare al diavolo i suoi impegni:

“La cena, signor Sherringham? Temo di non potermi più fermare per cena, ora per ora…

–          Meadows non la perdonerà mai se non mangia quello che ha preparato..il piatto forte era tripes à la mode de Caen.

–          Cosa sarebbe signore?

–          Trippa.

–          Trippa?

–          Trippa.

–          Johnson può aspettare” (pag. 166).

 

Pietro De Palma

sabato 12 ottobre 2024

F. D. Roosvelt (R.Hughes, H.Adams, A.Abbot, R.Weiman, S.S. Van Dine, J.Erskine)– Le due vite di Giacomo Blake (The President Mystery Story, 1935) – Il Romanzo Mensile N.3 Anno XXXV (dell’Era Fascista) – Marzo 1937

  


In Italia, recependo immediatamente il grande successo americano, il soggetto fu pubblicato su Il Romanzo Mensile N.3 Anno XXXV (dell’Era Fascista) – Marzo 1937. Questa è la versione da me presa in esame, quella originale. Tuttavia, non è l’unica. Infatti, siccome l’ultimo capitolo lasciava la vicenda di Giacomo Blake “appesa” , parecchio tempo dopo, in America, si pensò di darvi una legittima conclusione. Così, nel 1967, il romanzo fu ripubblicato con una introduzione di Arthur Schlesinger Jr. ed un finale postumo, approntato all’uopo da Erle Stanley Gardner (creatore di Perry Mason). Questa è la veste del soggetto tradotto ad A.Ghilardelli e pubblicato nel 1982 da Mondadori nella sua collana, “Gli Oscar del Giallo”. Successivamente le Edizioni Olivares, nel 1993, ne approntarono un’ulteriore traduzione (sempre della versione postuma non originale), affidandola  a T. Guiducci.

Come già detto, l’inizio della storia, La voce dell’altro, che dovesse sviluppare il nocciolo di plot proposto dal Presidente Roosvelt, fu affidato a Rupert Hughes (sceneggiatore e scrittore).

Jim Blake è a capo di una famosa ditta di pratiche legali. E’abbastanza ricco, e ha sposato Ilka Varaska, una sedicente russa espatriata e riparata in Occidente dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Nonostante Jim la ami, tuttavia ben preso i rapporti si incrinano quando risulta che la coppia non è allietata dalla nascita di figli e che la stessa Ilka si rifiuta di adottarne. Per di più Jim, notevole filantropo, mecenate soprattutto di sportivi in erba, poveri e senza prospettive di successo, ne accoglie uno persino a casa sua, un tennista promettente di nome Earle Marshall, che come ringraziamento non solo vive e sbafa senza neanche ringraziare Jim, ma per di più si sbatte la moglie fedifraga, Ilka. Jim non sospetta nulla, ma della tresca è a conoscenza Carlotta Hope, la sua socia dello studio legale, ventiseienne, che lo ama segretamente ma è al tempo stesso conscia del legame matrimoniale che lega Jim ad Ilka, e nonostante sia a conoscenza dei rapporti dei due amanti, non dice nulla a Jim. Ma un giorno, per caso, Jim capisce di essere stato tradito dai due. Pertanto comincia a pensare di rifarsi una vita – visto che la moglie non vuole divorziare – e per questo, innazitutto vuole cambiare voce: pertanto fa ricercare un ventriloquo che gli insegni l’arte di cambiar voce. Questa sua iniziale decisione diventa una certezza quando, approfittando dell’assenza di Marshall, una sera chiama a casa sua la moglie, imitando alla perfezione la voce del tennista, e così apprende con sua grande paura, che i due folli amanti stanno progettando di ucciderlo. Lui vorrebbe sbattere la cornetta in faccia alla moglie ma poi, cambiando voce ed assumendo una dal timbro femminile, le rinfaccia di conoscere quanto lei ha appena detto. Inoltre Carlotta, nonostante lo ami, fà capire a Jim che in realtà ha un suo innamorato, e così quello capendo di non avere più ancore, né la moglie né l’amata, si fissa di non avere altra chance se non quella di fuggire via.

Il capitolo due, La prima vita finisce, affidato a Hopkins Adams (giornalista e scrittore), è in sostanza lo sviluppo della risoluzione di Jim: assume un vecchio attore teatrale perché gli dia lezioni di recitazione; assume come proprio primo modello, per poter applicare i suggerimenti del ventriloquo e dell’attore, un certo Fillinson, suo conoscernte; si fa liquidare cinque milioni in contanti dalla sua banca; prende contatti con il chirurgo plastico Grimshaw chiedendogli, in cambio di 70.000 dollari, di rifargli un’identità facciale; e sbriga ogni giorno fino a notte fonda gli affari dell’ufficio, così da ottenere la massima liquidità possibile. Le sue assenze da casa si fanno così frequenti che la moglie, che aveva abbandonato il proposito di assassinio, spaventata dal fatto che qualcuno al di fuori dell’amante sapesse del loro piano, ma che purtuttavia aveva preso l’abitudine di chiudere la propria stanza a chiave, quando viene a sapere che pure il marito chiude la porta dalla parte sua, si fissa che la cosa accada perché è lui a non amarla più e ciò perché ama Carlotta. Così intima alla socia del marito di dirgli cosa il marito faccia la sera, non ricevendo alcuna risposta e per di più mette in allarme Carlotta, quando questa sa da lei che non c’è nessuna vacanza che Ilka e Jim stiano per iniziare, come invece Jim le ha detto motivando il superlavoro in ufficio. Ritornando in ufficio, scopre la lettera con cui Jim le dà il suo  addio.

Il Capitolo tre, Verso l’ignoto, fu scritto da Fulton Ousler (Anthony Abbot). In pratica Jim Blake chiusa la sua precedente esistenza, sotto il falso nome di Carter, si dirige verso la clinica del dottor Grimshaw, dove trova tanta povera gente ferita, dolente e terrorizzata, che grida, che piange, che si lamenta. E quindi rimane molto scosso: comincia solo ora a capire cosa lo aspetti, ma trovata la  stanza riservatagli, estremamente accogliente, solo quando vi si abbandona, si rilassa. Nei giorni successivi, espone le sue aspettative a Grimshaw che gli chiede un modello. Jim, dopo un’indagine affidata ad una agenzia investigativa, trova un modello perfetto, Frank Carter: una persona che sta per morire, che ha grande reputazione, che non ha parenti, originaria del Canada, a cui Jim chiede di cedergli la sua identità, in cambio di una cospicua somma con cui potrà beneficiare la sorella ed il nipote che non riesce a trovare. Jim viene sottoposto ad una serie di interventi operatori che ne modificano radicalmente l’aspetto, e in più con l’uso di lenti colorate, cambia anche il tono degli occhi. Inoltre tramite un’agenzia specializzata, Jim Blake con la nuova identità di Frank Carter (il vero FranK Carter nel frattempo è morto ed è stato seppellito come Jim Blake) rileva una Ditta di Toronto, “Noble & Scarf” Ltd.  rilevando il 51% delle azioni. Intanto Carlotta, trovando delle indicazioni di Grimshaw, in ufficio, è arrivata in clinica proprio mentre è presente Jim: egli ha paura di rivederla perché teme che lei possa riconoscerlo, ma è Grimshaw stesso che lo convince ad incontrarla perché solo così saprà se l’intervento di plastica è perfettamente riuscito.

Quarto capitolo è L’Alba di Frank Carter, elaborato da Rita Weiman (una famosa sceneggiatrice cinematografica del tempo): Jim incontra Carlotta, ma quando lei lo vede non lo riconosce quindi pensa di avere preso una cantonata; nonostante ciò Jim cerca di consolarla. Avendo capito che l’intervento è perfettamente riuscito, vuole morire del tutto e quindi riesce a prendere contatto con un giovane studente di medicina, oberato da debiti di gioco, affinchè in cambio del saldo dei debiti, gli procuri un cadavere della sua corporatura. La notte prevista, avvenuta la consegna, facendosi forza, Jim ripone i suoi effetti personali su di lui e gli fa indossare i suoi indumenti, poi si mette al volante dell’auto che come Jim Blake aveva lasciato ad un’autorimessa e che lì ha ripreso, e si dirige ad un posto prefissato, lì dove c’è un burrone, dove lancia nel vuoto l’auto finchè di essa e del corpo che contiene non restano solo fumo e cenere. Intanto Ilka, che sapeva dell’auto lasciata da Jim e del tempo in cui lui l’avrebbe ripresa, l’ha seguito ad una debita distanza, fino a che assiste alla sceneggiata ordita dal marito e assiste alla di lui “morte”, rallegrandosi di essere finalmente rimasta sola a godersi la fortuna del marito, col suo amante.

Il quinto e penultimo capitolo fu affidato a S.S. Van Dine: L’imprevisto. Jim Blake prende possesso della sua nuova identità a Toronto e lì si dedica alal sua nuova occupazione, Nonostante ciò sente il bisogno di andare a vedere chi lo pianga al “suo” funerale, accorgendosi di quanto la moglie finga e di come invece sia addolorata Carlotta. Tuttavia un imprevisto scombussola quelli che erano i piani sia di Jim, che avrebbe voluto rifarsi una vita, sia della moglie Ilka che si sta apprestando a godere di quella che ritiene una grossa eredità: la moglie, avvisata del fatto che in realtà della eredità originale rimanga solo la nuda proprietà, che Jim le ha intestato prima di scomparire, con la scusa di facilitazioni fiscali, accusa Carlotta di sapere dove Jim abbia messo i soldi, venendo accusata di rimando di aver ucciso il marito. Infatti Carlotta si è accorta che Ilka è mancata alcuni giorni ed è ritornata proprio in coincidenza della morte del marito. Rosa da questa eventienza, Carlotta si reca alla polizia, dall’Ispettore Markham al quale confessa le sue perplessità, e la velata accusa che Ilka abbia ucciso Jim, sulla base dell’infedeltà manifesta di cui lei era stata  testimone. L’Ispettore ci vuol vedere chiaro e così comunica la sua decisione di voler riesumare la salma, chiedendo al dottor Doremus di apprestarsi ad una autopsia del cadavere. I risultati sono assolutamente sconcertanti: nel cranio della vittima viene rinvenuta una pallottola calibro 5,5. Guarda caso Ilka aveva proprio una pistola di quel calibro a casa sua, ma, sconsideratamente, accusata da Carlotta,  aveva chiesto al suo amante di disfarsene. Ora che la polizia, che sa dell’esistenza di una pistola a casa sua, chiede di vederla, lei non può acconsentire, ed offre quindi su un piatto d’argento la prova della sua presunta colpevolezza. Ilka viene arrestata per omicidio di primo grado e condannata a morte. In attesa di notizie, essendo venuto a sapere che pure la domanda di grazia è stata respinta e che quindi Ilka è avviata alla sedia elettrica, Jim decide di fare marcia indietro e di confessare tutto alla polizia. Per questo, decide di chiamare al telefono Carlotta, che lì per lì, prima di capire che Jim è vivo, pensa di star parlando ad un fantasma.

Il capitolo finale, La prova, fu scritto da John Erskine, un grande scrittore del tempo. Jim non vede altra alternativa che coinvolgere Carlotta nel suo tentativo di salvare Ilka, nonostante ella non sia una “stinco di santo” e abbia tentato di ucciderlo in passato. Ora si confessano vicendevolmente e finalmente Jim ha la prova dell’amore di Carlotta perché lei butta al vento ogni remora. Il tentativo per salvare Ilka non può che far capo al Governatore dello Stato di New York, il quale, solo lui, può annullare la sentenza capitale. Jim e Carlotta lo vanno a trovare e nonostante egli dubiti fortemente che quella persona, così diversa fisiognomicamente sia Jim, che egli ha conosciuto personalmente in passato, conunque, sulla base di ricordi comuni, che Jim gli rivela, acconsente all’estrema richiesta che gli viene formulata: l’unico che possa riconoscere Jim, lui ne è sicuro, è il cane, Tinker, che giace malato presso il suo casolare. Il guardiano, Patrick, come il Governatore, non riconosce Jim anzi si mostra decisamente indisponente, ma quando viene a sapere che quello sconosciuto vuol vedere Tinker e sa come si chiami, rimane sbalestrato: Tutti lo chiamano per nome ma il cane non risponde; ma quando Jim lo accarezza come solo lui sapeva fare, il cane in un ultimo guizzo di vita, si alza, lo lecca per poi accasciarsi senza vita. Solo a questo punto il Governatore crede alla storia di Jim e dà ordine di annullare la sentenza capitale. Jim si aspetterebbe di venir inquisito, ma anche qui vi è un imprevisto, questa volta a suo favore: il Governatore gli comunica che nessuno gli farà nulla, e che non ha da temere nulla, neanche da Ilka, visto che si è scoperto come la stessa non fosse affatto vedova, prima di sposarsi con Jim, ma avesse ancora il proprio vero marito vivo e vegeto a Varsavia: quindi il suo successivo matrimonio non è valido, e lei potrebbe essere accusata di bigamia. Solo allora Jim e Carlotta si baciano e finisce con un Happy End il romanzo.

E’ evidente, leggendo la storia, che scrivere a dodici mani non è la stessa cosa che scrivere da soli: è estremamente più difficoltoso, perché ciascun o deve imbastire la propria storia sulla base di quello che ha scritto quello prima di lui; tuttavia la storia non ha mai un andamento costante, ma ha alti e bassi. Con tutta franchezza i capitoli più entusiasmanti sono il primo, il quarto, il quinto e il sesto, cioè quelli scritti da scrittori di professione, o da sceneggiatori cinematografici: sono i capitoli che hanno un respiro più ampio e posseggono indubbiamente un piglio e un taglio assolutamente spettacolari. In particolare, il quarto, il quinto, e il sesto sono in assoluto i migliori, perché danno una sterzata al romanzo, che fino ad allora sembra una storia di appendice, trasformandolo in un thriller atipico in cui il morto è tale per opera di ignoti e il fine è quello di salvare la vita ad una assassina potenziale da parte di chi, essendo una persona buona, non può vivere col rimorso di aver mandato a morte chi in effetti non l’aveva ucciso, Si noti come Van Dine usi dei suoi personaggi della serie di Philo Vance: il dottor Doremus e Markham che qui è un Ispettore mentre lì è un Procuratore Distrettuale, come se avesse fatto carriera, laureandosi in legge. Comunque sia, magistrale è l’invenzione della finta morte con un cadavere preso in prestito, come pure magistrale è l’invenzione del proiettile nel cranio del cadavere preso in prestito, che determina l’accusa di omicidio di primo grado. Infine, il finale ha un peso letterario molto ampio ed è teatrale: il cane che riconosce il suo padrone. Dico che ha un peso letterario non di poco conto, perché mi pare che il finale ripeta esattamente un altro celeberrimo ritorno a casa, in uno dei Poemi più famosi in assoluto: l’Odissea. Anche lì Ulisse, badate bene, sotto mentite spoglie, sotto cioè un aspetto che non è il suo, come accade per Jim, si presenta a casa sua ma nessuno lo riconosce: così come Patrick, il guardiano del suo casale nei confronti di Jim, così Eumeo non riconosce Ulisse. Ma in tutti e due i casi è il cane che riconosce il padrone, seppure si presenti sotto mentite spoglie: Argo riconosce Ulisse, Tinker riconosce Jim.

E Roosvelt? Mah. Sicuramente fu migliore come Presidente che come scrittore di polizieschi. E anche se questo viene chiamato Il romanzo del Presidente, The President Mystery Story, in realtà converrà con me chi mi legge che il suo contributo fu assolutamente irrisorio, anche se il fine ultimo fu grande: si mise a punto un progetto per aiutare i bambini affetti da paralisi, che opera ancor oggi.

In quanto all’edizione italiana, mi vien da dire una cosa: la traduzione del testo è una delle migliori per resa in italiano che io abbia mai potuto vedere, tanto più se si pensa che risale al 1937, e la sua resa è in tale italiano fluido che si potrebbe pensare sia risalente a questi giorni; inoltre, individuo una caratteristica peculiare: in quei tempi, si tendeva a italianizzare tutti i nomi stranieri possibili, ma in questo testo assistiamo ad una procedura singolare: non so se per precisa decisione editoriale o per una presa di posizione rispetto alle direttive centrali e politiche dell’editoria, si tende a conservare dei nomi stranieri la formazione originaria: Franco Carter, viene indicato come Carter in tutto il romanzo per non indicarlo come Franco; Carlotta come Carlotta; Patrick come Patrick; “Giacomo (detto Jim)” Blake, viene indicato come Jim per tutta la durata del romanzo, invece che come Giacomo; Earle è Earle; Ilka è Ilka. Insomma, è la prima volta che mi trovo dinanzi ad una evenienza del genere ed è per questo che l’ho fatta notare.

Al di là del testo in sè per sè, comunque, il giallo può essere visto, come un Giallo nel Giallo, ad uno strato più profondo: Schlesinger Jr. nella prefazione all’edizione del 1967, avanzò l’ipotesi tutta da provare, ma suggestiva e secondo me assai verosimile, che il soggetto  inventato dal Presidente non fosse stato altro che la proiezione di se stesso secondo la tesi di Sigmund Freud secondo cui  i racconti, come i sogni, “possono essere una proiezione, la rivelazione di un processo interiore e cosi’ svelare qualche particolarita’ insospettabile del narratore”. Secondo questa ipotesi il preteso cambiamento di identità del ricco Jim Blake, sarebbe stato specularmente il cambiamento di identità del Presidente Roosvelt: anche lui appartenente all’Alta Borghesia,  disprezzava la classe sociale da cui proveniva . E sognava un’altra vita che si materializzò nella scelta politica. Cioè con altre parole “hating the falsity of his existence, the meaninglessness of his career, the sameness of his middle-aged routine, the absence of purpose and the boredom with his marriage”.

Pietro De Palma