C’era una volta l’Enigma Puro.
Sin dai tempi di Sherlock Holmes, l’enigma è stato il centro del plot di tutti i romanzi polizieschi, da quelli della Golden Age sino ai meravigliosi romanzi degli anni ’30.
Passato attraverso le nebbie di inizio secolo, le avventure di Fantomas o di Arsene Lupin, l’enigma è stato il perno di tutta la narrativa di genere degli anni ’20. Se inizialmente le trame mettevano al centro dello svolgimento i disegni delittuosi di bande di malfattori, con la conquista dell’Alta Borghesia in quanto bacino privilegiato di lettura del poliziesco, la stessa qualità del Mystery si evolse, contemplando non più delitti nelle sordide stradine di Soho, ma nelle splendenti dimore di duchesse, diplomatici o banchieri.
Perché questo accadesse, perché il Mystery conquistasse un posto suo
particolare, fu necessario innanzitutto che superasse il gap di essere
considerato sottogenere letterario o che fosse confinato nella
paraletteratura. Ciò accadde nel momento in cui il genere poliziesco
cominciò ad essere avvertito come genere letterario, “come categoria
letteraria specifica, come genere a sé”. Proprio il fatto che il
poliziesco trattasse un’amplificazione letteraria di fatti di sangue,
portò probabilmente alla convinzione che il poliziesco, come genere
letterario, non fosse letteratura, ma cattiva letteratura. Ecco allora
l’evoluzione del poliziesco e la sua trasformazione in romanzo-enigma.
Attraverso questi codici, venivano a crearsi delle piattaforme, delle piste preferenziali ed esclusive su cui marciavano solo quegli scrittori che avessero sottoscritto idealmente il contratto base: l’intrigo doveva essere inaccessibile alla soluzione perché a condurre il gioco, a stupire, doveva essere l’autore, e fatto imprescindibile perché il successo arridesse al romanzo era che la qualità dello stupore fosse di massimo grado possibile (cioè vi fosse ardimento, fantasia, razionalità) ma mai imbroglio, cioè ancora se proprio vi fosse dovuta essere trasgressione, essa comunque sarebbe dovuta essere pur sempre sottoposta stata alla codificazione. Così, in questo modo, veniva creato un certo elenco di scrittori, da cui il lettore poteva aspettarsi di tutto, ma mai l’imbroglio e soprattutto, il rispetto alle regole a cui si attenevano tutti gli altri.
Perché anzi si potesse parlare di Mystery di un certo tipo qualitativo, era necessario che ogni accenno a malavita o altro fosse bandita, perchè il delitto non era più un fatto di sangue, una vendetta, un atto di protervia e di cieca brutalità, ma un parto delle menti più raffinate (e degenerate), una partita a scacchi, una sfida di strategia tra due menti supreme, l’assassino e il detective. I cadaveri furono privati del sangue, spesso puliti, non si accennava se non raramente a scene da Grand Guignol, i delitti erano asettici, perché il sangue, l’emozione, non doveva turbare il procedimento logico, il gioco, l’enigma.
La letteratura poliziesca del resto, seguiva (segue tuttora, ma solo
in determinati casi) un procedimento unico in quanto spesso deve
confrontarsi con la logica, che è una qualità non tanto di carattere
umanistico ma matematico: potremmo dire che, attraverso l’enigma puro,
il genere letterario poliziesco diventa la sintesi di due discipline
opposte: le lettere e la matematica, lo spirito razionale e quello
irrazionale, la fantasia (e la capacità di descrivere) e la logica. Per
questo, “il delitto come una delle belle arti” come soleva dire De
Quincey, diventa l’espressione massima dello spirito intellettuale
dell’epoca: una sorta di divertissement delle menti più impegnate,
pronte alla sfida di scrivere, ma al tempo stesso una sorta di confronto
con un lettore molto più esigente, avvezzo oramai alle tecniche e
conoscitore delle regole, che non si può imbrogliare con mezzucci vari, e
con cui entrare in competizione, in singolar tenzone. Questo momento,
che trova la propria collocazione negli anni ’30, rappresenta il trionfo
dell’Enigma puro: ora, a confrontarsi sul terreno della logica, delle
descrizioni, dell’astuzia e dell’ingegno, non sono più assassino e
detective, mentre il lettore ne registra mentalmente lo scontro,
ponendosi atarassicamente su una nuvola e guardando distaccato il tutto,
ma lettore e detective: ecco allora la sfida intellettuale, la
cosiddetta Challenge to Reader, la Sfida al lettore cui non ci si
sottrae ,da Ellery Queen a Spriggs, da Berkeley a Philip MacDonald, etc..
Quando invece. Sia lettore che detective si trovano contrapposti al reo, ma innanzitutto contrapposti fra di loro.
Tutte le cose belle, però, hanno un termine; e così anche il tempo dell’Enigma puro finì, nel mondo anglosassone, con un attacco non coordinato, ma deciso e definitivo ( o quasi) portato in America dagli scrittori Hard-Boiled e da alcuni autori operanti nell’ambito del Commonwealth, tra cui, soprattutto, Agatha Christie.
Seguace anche lei dell’Enigma Puro, già nel 1926, con The Murder of Roger Ackroyd, aveva sferrato un attacco non di poco conto, proprio lei che da sempre era stata appartenente al Detection Club. Tuttavia l’attacco definitivo, con cui venne data una spallata all’Enigma puro, fu dato da un affondo del genere psicologico che divenne totalizzante a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Si può dire che i due conflitti, a vario grado, segnarono la storia dell’Enigma Puro: con la fine del primo, esso nacque e si affermò sempre più; la fine del secondo, ne decretò la fine.
Nel mondo anglosassone di derivazione british, si può dire che la fine dell’Enigma venga a coincidere con la pubblicazione nel 1952, di Mrs McGinty’s dead ( “Fermate il boia”), di Agatha Christie, romanzo che và oltre la mera trasgressione, in quanto con esso vengono abbandonate le regole da oltre un ventennio seguite pedissequamente ( o quasi) e non essendoci più regole, non essendoci più un codice stabilito, il giallista può dare libero sfogo alla sua fantasia proponendo delle vie nuove: per esempio, vari omicidi non per forza attribuibili al medesimo assassino.
E’ bene dire però che se il romanzo della Christie rappresenta un paletto, anche in considerazione del nome della scrittrice (e della sua conseguente fama, per cui tutto ciò che lei scrive acquista maggiore diffusione di ciò che scrivono gli altri), altri prima di lei avevano tentato di sballare il codice di Van Dine (o di Knox o di Sayers), per esempio Christianna Brand.
L’Enigma Puro però, se in quanto vetta di un genere, finisce, rimane purtuttavia nell’opera di taluni scrittori, pochi, pochissimi in verità, che per condizioni geografiche o per fama, possono ancora aderirvi.
Quelli che continuano a praticarlo nel mondo anglosassone, sono coloro che hanno una tale fama, da fregarsene di quello che instaurano altri: ad esempio John Dickson Carr. E’ vero che la produzione carriana post bellica è inferiore sia per numero che qualitativamente (tranne alcune eccezioni) ma comunque non rinuncia ai suoi presupposti base, che si assommano nella sfida per eccellenza della logica, qual è quella che opera in un sottogenere caratteristico del Whodunnit, da lui assurto a genere a sé stante, quasi: i delitti in una Camera Chiusa. In quest’ambito, Carr applica alla Locked Room gli stessi presupposti ideologici che avevano attuato per un intero genere i suoi colleghi del Detection Club (a cui aderì anche lui in verità). Infatti, nel 1935, codifica tutti i tipi di Camera Chiusa e tutti i possibili mezzi per evaderne (che si tratti di uno spazio chiuso da quattro muri, o da spazi aperti ma per certi versi inaccessibili (spazi innevati, distese di sabbia, piscine, campi da tennis).
Poi vi sono quegli scrittori che, per condizione geografica, risentono meno dei cambiamenti del poliziesco: costoro sono gli scrittori francesi. La ragione del loro successo nei paesi francofoni?
Per aver testimoniato di saper scrivere e affascinare anche loro, per
il fatto di ritenere di non dover per forza seguire il carro
anglosassone, anche per una sorta di rivendicazione delle loro origini
(il poliziesco era nato non solo con Sherlock Holmes ma anche con
Monsieur Lecoq), per ritornare ad affermare una loro forza, in
contrapposizione ai loro cugini inglesi (in certo modo la ruggine, dalla
Guerra dei cent’anni, affiora sempre qua e là) che si era persa con
l’inizio del primo conflitto mondiale, fino a quando gli scrittori
francesi erano stati sulla breccia dell’onda: se vogliamo la grande
stagione della Letteratura Gialla francese è quella con Lupin di Leblanc
e Rouletabille di Leroux. Ma fin quando c’è il romanzo d’appendice e il
Feuelliton, la Francia ammalia. Tutto finisce con la Prima Guerra
Mondiale : son le guerre che sanciscono la fine dei filoni di
Letteratura Gialla.
La Belle Epoque finisce e dalle ceneri nasce la pretesa che ci si distacchi dai soliti romanzi di avventura e fantasia.
Coloro che ripetono le forme, come Gaston Boca (pubblicato in Italia, con l’italianizzazione fascista dei nomi stranieri, come Gastone Boc(c)a ), e i suoi amici Latzarus, Bernard, Destez, Groc etc., tutti dimenticati, sono sorpassati da chi inventa nuove soluzioni. Io penso che la sconfitta prematura del Giallo francese sia derivato dalla tendenza tutta francese ad adagiarsi su se stessa, una sorta di sciovinismo letterario, di chi crede di essere depositario della cultura : sugli allori di Leroux, Leblanc e Allain& Souvestre (Fantomas), hanno riposato gli altri, chi credeva di continuare in maniera estenuante a ripetere stilemi fritti e rifritti.
Il “Grand Guignol” nasce nella Francia di inizio secolo, e tutti gli
scrittori di polizieschi, soprattutto i più lontani nel tempo, hanno
utilizzato elementi del Grand Guignol: violenza, sangue, scene macabre.
Quasi nessuno si è sottratto.
La tendenza ad una letteratura e a
riferimenti macabri sono soprattutto presenti negli scrittori di inizio
secolo : Georges Meirs (di cui ho svariate opere, le cui copertine sono
illustrate da Crepax) è uno di quelli. Come autore non è nulla di
speciale, in quanto ricalca gli stilemi di inizio secolo : il brillante
poliziotto William Tarps ed il suo fido collaboratore l’avv. Pastor
Lynham sono il suo Sherlock Holmes e il fido Watson, e in questo ripete
quello che affermano molti altri scrittori. Devo dire che in alcuni vi
sono Camere Chiuse, ma abbondano le situazioni orrorifiche e d’effetto –
davanti alle quale oggi ci metteremmo a ridere – e i titoli le
ricalcano :”L’ombra che uccide”, “Il Cadavere Assassino”, “La mano
fantasma”, “Il segreto della mummia”, “La carta insanguinata”, etc… Per
certi versi, i titoli di questi romanzi mi ricordano quelli del ciclo
per ragazzi de “I 3 Investigatori”: un’altra influenza del romanzo
francese su quello anglosassone?
Un bel giorno è avvenuto il sorpasso del filone all’inglese su quello francese. Hanno cominciato a dettare legge la Christie, la Sayers, Wallace, e poi gli americani Van Dine soprattutto, ma anche Biggers. E così ilgiallo francese è divenuto vassallo di quello britannico e americano.
Con il successo di questo filone, vengono fondate importanti case
editrici in Francia :“Le Masque” (1927) che presentò Agatha Christie, e
l’ “Empreinte” (1929) che presentò Carr, Crofts, Wallace, Queen,
Freeman, etc. Nello stesso anno de “La Collection de l’Empreinte” viene
pubblicato il primo Giallo della Mondadori con Van Dine, “La strana
morte del Signor Benson”.
Essendo un’enclave, quella francese, una sorta di valle solitaria (anche
se come abbiamo detto parecchi autori francesi varcarono le Alpi per
affermarsi altrove), essa, alla fine della seconda guerra mondiale, si
sottrasse alle regole seguite altrove, nonostante alcuni degli autori
francesi si fossero avviati sulla via tracciata dagli inglesi: seguendo
vie nuove, oppure confrontandosi sullo stesso terreno e creando dei
capolavori pari per sottigliezza a quelli anglosassoni.
Fine Prima Parte
PIETRO DE PALMA
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