Un altro piccolo capolavoro firmato Anthony Berkeley.
Il romanzo risale al periodo di maggior successo internazionale e al pieno della sua attività letteraria: dello stesso anno è infatti Before the Fact (Il sospetto) che avrà una notissima trasposizione cinematografica ad opera di Alfred Hitchcock nove anni dopo; l’anno prima, Berkeley aveva pubblicato un altro suo grande successo, Malice Aforethought (1931). E nel 1933 pubblicherà un altro romanzo fondamentale , Jumping Jenny.
La trama del romanzo è parecchio macabra.
Una coppietta di sposini ritorna dal viaggio di nozze e prende dimora in una casa affittata. Mentre lei disfa le valigie, lui non trova di meglio che andare ad ispezionare la casa, e in particolare la cantina dove vorrebbe custodire i suoi vini. Ma ecco che un particolare cattura la sua attenzione: in un angolo, il pavimento di mattoni si è come infossato, come se qualcuno avesse scavato per nasconderci qualcosa. Lui pensa ad un forziere, ma invece vi trova..un cadavere vecchio di almeno sei mesi, talmente irriconoscibile e decomposto che per puro caso si riesce a capire che era una femmina giovane e che aveva una cicatrice all’interno di una delle cosce. Il cadavere è nudo, ma su quello che rimane delle mani vi è un paio di guanti. Perché?
L’Ispettore Moresby di Scotland Yard naviga nel buio: chi era la donna? E come è finita in quella cantina? Perché aveva i guanti? La precedente affittuaria era una vecchia al di sopra di ogni sospetto, e la data della morte sembrerebbe coincidere nel periodo di agosto, in cui la vecchia era in vacanza e la casa era vuota: chi mai avrebbe potuto avere le chiavi? Dei parenti? I due soli sono due nipoti che però hanno degli alibi talmente solidi da essere subito estromessi dalle indagini. E allora? Alla minuziosa indagine della polizia non sfugge nulla. Eppure Moresby non riesce a dare un nome al corpo! I guanti sono ordinari, e le indagini casa per casa non portano a risultati perché nessuno, nelle villette vicine, ha visto nulla. Basterebbe sapere di chi diavolo è quel cadavere e lui – ne è sicuro – sarebbe a cavallo, perché l’assassino non avrebbe scampo. Ma… non si trova nulla. Finchè vi è una sua intuizione: la cicatrice. Sulla base dell’autopsia si stabilisce che la vittima era stata operata al femore e gli era stata applicata una placca di metallo per saldare l’osso dopo una frattura: la fortuna che gli arride è data dal fatto che la placca è fatta di un materiale subito abbandonato, utilizzato solo come esperimento in pochi e certificati casi. Insomma, scartando tutti i soggetti che non risultavano essere scomparsi e i cui parenti ne avrebbero subito denunciato la scomparsa, si arriva a individuare la vittima in una certa Mary Waterhouse che era riuscita a farsi assumere in una scuola privata di Allingford, Roland House, nel personale amministrativo.
Ecco che allora Moresby si ricorda che il detective dilettante e scrittore affermato Roger Sherringham, che l’ha aiutato in tanti casi, è stato in quella scuola tempo prima; e così lo interpella per chiedergli se ricordi qualcosa dell’ambiente. Infatti, diversamente da quelle che erano le convinzioni iniziali dell’Ispettore, una volta conosciuta l’identità della vittima, non si è arrivati all’identificazione dell’assassino. E neanche partendo dall’altro opposto, cioè dal luogo della sepoltura, si è arrivati ad un qualche risultato: perché non c’è modo di riuscire a capire come quel cadavere ci sia finito, e soprattutto chi poteva avere la chiave della casa, perché non è stato segnalato nel passato nessun tentativo di effrazione a quella casa.
Roger accetta volentieri di riassumere un quadro dell’ambiente all’Ispettore, anzi gli fornisce un rapporto che aveva stilato tempo prima che raccoglieva le sue impressioni sulle persone operanti nella scuola e che sarebbe dovuto servire come canovaccio per un romanzo mai scritto. Sulla base di questo Roger riesce a capire chi possa essere stata la donna uccisa senza che glielo dica l’Ispettore. Però, alla successiva richiesta di fare da infiltrato per la polizia, rifiuta, in quanto quelle persone che lui ha descritto lo hanno accolto come un amico e si rifiuta di spiarli ora.
In pratica osserva le azioni dell’ispettore, intervenendo quando lo ritiene opportuno, perché si arrivi all’individuazione del caso.
Anche Roger tuttavia non capisce come Mary sia finita sottoterra nella cantina, finchè un’informativa della polizia rivela che la placca all’osso era stata acquistata da un carcere, dove la tizia era stata reclusa qualche anno prima, con diverso nominativo, in quanto ladra borseggiatrice: era scivolata al momento della cattura della polizia, e si era rotta una gamba. Successivamente, ravvedutasi, dopo un corso di stenodattilografia e alcuni altri lavori, e con un cognome falso era riuscita a farsi assumere nella scuola. Quindi è possibile che Mary non avesse del tutto abbandonato la sua occupazione di un tempo, oppure che risalisse al tempo in cui era una borseggiatrice, un qualche furto ai danni della vecchia padrona della casa a Lewisham, al n.4 di Burnt Oak, E anche questo viene confermato. Quindi la chiave l’aveva lei. Ma..perchè è finita lì?
Dalle indagini della polizia a Roland House emerge un quadro molto variegato: a dirigere la scuola, nominalmente è il preside Harrison, ma in realtà è la figlia Amy che dirige, attirandosi più di una antipatia. Amy è legata al signor Wargrave, un docente di Chimica: nessuno dei due ama l’altro, ma è anche conscio che solo con l’altro riuscirà ad ottenere i suoi scopi; poi c’è Elsa Crimp, altra docente legata sentimentalmente al curato; il signor Duff, il signor Parker, il signor Rice, anche loro docenti: quest’ultimo è l’amante della signora Phyllis Harrison, la moglie del preside che sembra non accorgersi di nulla, perso solo nel modo della scuola che dirige; infine c’è la governante, Jevons.
Finalmente, dagli interrogatori emerge un particolare rivelatore: il signor Wargrave era stato visto uscire dalla camera della signorina Mary Whitehouse, quando quella era stata a scuola. Successivamente si era saputo che la signorina era incinta e che sarebbe andata via perché in procinto di sposarsi con un australiano: a riprova di ciò era un anello con brillanti e smeraldi che la ragazza sfoggiava al dito.
L’ispettore è convinto di aver individuato il suo assassino, e da questo momento tutta l’indagine viene avviata allo scopo di dimostrare che Wargrave aveva ucciso Whitehouse, e con che arma. Ma le prove non ce ne sono e gli indizi sono così aleatori che neanche quando Wargrave viene beccato con un revolver calibro 45, sua pistola d’ordinanza durante la Prima Guerra Mondiale, il cui calibro è proprio quello corrispondente al proiettile che ha ucciso la donna, si riesce a collegarlo ad ella, perché la pistola è sporca, e manca il bossolo incriminato. Insomma..
Quindi entra in scena Sherringham e in un pirotecnico finale riesce a…discolpare Wargrave, individuando il vero assassino. Tuttavia non lo consegna alla polizia, perché il suo fine non è quello di Moresby, e anzi inventa una storia plausibile ad uso dell’Ispettore, dandogli una soluzione e nel termpo stesso salvando dall’impiccagione Wargrave che si è addossato il crimine di un altro, e il vero assassino, che ha ucciso perché ricattato.
Altro romanzo con una penetrante introspezione psicologica, Murder in the Basement, è solo apparentemente un procedural: in realtà il procedural serve solo a fornire le basi per l’indagine, da cui l’Ispettore e il detective divergono ad un certo punto nell’individuazione del colpevole. L’indagine di Sherringham è molto simile a quella di Poirot: si serve della deduzione, a cui si aggiunge una analisi approfondita della natura umana. E come Agatha Christie, anche Berkeley è un innovatore: infatti questo romanzo, nella storia del whodunnit poliziesco, riserva più di una sorpresa: non ne parlo in questa sede, perché sarà oggetto di un approfondito breve saggio prossimamente sul Blog del Giallo Mondadori.
Quello che ancora una volta sottolineo è la grandezza di Berkeley, non solo uno dei grandi maestri del poliziesco psicologico britannico ma anche uno degli scrittori più affermati nel meccanismo delle soluzioni molteplici: inquadrare lo sviluppo in un senso, indirizzando la concentrazione del lettore su n un determinato soggetto e poi, al momento opportuno, rigettandolo, e fornendo una soluzione del tutto plausibile, anzi di più di quella che si era prospettata sino a quel momento. In questo senso, ecco la particolarità di questo romanzo: se per tutto il suo svolgimento sembra un thriller in quanto la vittima è risaputa e l’assassino pure e quindi l’indagine è solo rivolta a vedere di concretizzare gli indizi e trasformarli in prove schiaccianti, solo alla fine con la soluzione vera, che si allontana in parte da quella prospettata sino quel momento, il detective si distingue in tutto dall’Ispettore Moresby, che neanche stavolta riesce a far tutto da solo bene, e con una impennata, stravolge l’andamento del romanzo, indirizzandolo nel solco del Whodunnit classico.
In più lo stile è scoppiettante, mai prolisso e tedioso. E ancora una volta si afferma la precisione di Berkeley nel ricordare veri fatti di sangue ed inserirli nel contesto del romanzo (L’affare Rainshill: i coniugi Deeming), per renderlo maggiormente vicino al lettore britannico di quei tempi. In più, Berkeley, inserisce nel contesto della narrazione, degli spunti umoristici, che servono a caratterizzare meglio i protagonisti: come quando Sherringham propone all’ispettore che ha giurato di andare via e di non poter perdere altro tempo, di rimanere suo ospite a cena: il solo accenno alla trippa, un piatto per nulla britannico, e molto latino, lo convince invece a mandare al diavolo i suoi impegni:
“La cena, signor Sherringham? Temo di non potermi più fermare per cena, ora per ora…
– Meadows non la perdonerà mai se non mangia quello che ha preparato..il piatto forte era tripes à la mode de Caen.
– Cosa sarebbe signore?
– Trippa.
– Trippa?
– Trippa.
– Johnson può aspettare” (pag. 166).
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